La Veduta di Tropea DALla marina VERSO Pargalia

e la peregrinazione letteraria in Calabria

dell’Accademia delle Scienze e delle Belle Lettere di Napoli

di Salvatore Libertino


La crisi sismica conosciuta come ‘Terremoto della Calabria del 1783’ durò quasi 3 anni e fu caratterizzata da 5 scosse catastrofiche dell’XI grado della scala Mercalli (5, 6 e 7 Febbraio, 1 e 28 Marzo 1783) e da varie centinaia di scosse ‘minori’ (alcune delle quali del IX grado, come quella del 26 Aprile 1783). Le scosse interessarono l’intera Calabria meridionale e, in parte, la Sicilia orientale (Messina/Valdemone). Fu senza dubbio uno dei terremoti più catastrofici che abbiano mai colpito il nostro Paese: centinaia furono i paesi completamente distrutti; i morti per cause dirette furono quasi 30.000 (6,7% della popolazione), ai quali se ne dovettero aggiungere altri 5.000 per malattie e stenti negli anni successivi. Il territorio subì drammatici cambiamenti morfologici e idro-geologici: frane, smottamenti e crolli cambiarono la geografia della regione, il corso dei fiumi e la morfologia delle coste, e nacquero oltre duecento nuovi laghi, alcuni dei quali di notevoli dimensioni. Alcuni centri distrutti non furono più ricostruiti.

Il governo borbonico per trovare i fondi necessari alla ricostruzione ricorse all’esproprio dei beni ecclesiastici della Calabria Ulteriore istituendo con tali risorse la Cassa Sacra. Per gli interventi immediati, il 15 febbraio, fu nominato Vicario generale delle Calabrie, con l’assegnazione di 100.000 ducati, il conte Francesco Pignatelli che stabilì il proprio ufficio operativo a Monteleone, dove risiedette fino al 10 settembre dello stesso anno. La ricostruzione avvenne però senza seguire fino in fondo i criteri antisismici anticipando gli inevitabili disastri causati dai successivi terremoti.

La catastrofe provocò nel mondo grandissima eco, destando profonda attenzione e vivissimo interesse per gli effetti devastanti che si verificarono in un così vasto territorio. Innumerevoli sono stati gli scrittori, i letterati, gli scienziati, i disegnatori, gli incisori che vollero dare la propria testimonianza all'umanità di ciò che si vedeva dal vivo per comunicare la sensazione più realistica del terribile cataclisma nonché per permettere agli studiosi, che non poterono giungere sul posto, di studiare il fenomeno. Il terremoto destò curiosità e attrazione anche nei 'viaggiatori' che appresa la notizia dirottarono i loro percorsi programmati per giungere nelle lande calabresi martoriate. E fu così che la Calabria ed il suo popolo, per la prima volta nella storia, tenne banco per molto tempo su un impietoso palcoscenico, facendosi conoscere nel bene e nel male dall'opinione pubblica di tutti i paesi del mondo.

Uscirono le prime opere, i primi resoconti, le relazioni governative, gli Atlanti che permettevano di evidenziare sulla carta, a cura di esperti disegnatori, lo sfacelo operato dalla natura, la sofferenza di un popolo abituato a pagare sempre tributi, anche di sangue versato.

Un esempio illustre nel campo dell'editoria ce lo fornisce la Istoria dè Fenomeni del Tremoto avvenuto nelle Calabrie, e nel Valdemone nell’anno 1783 posta in luce dalla Reale Accademia delle Scienze, e delle Belle Lettere di Napoli, e dall’Atlante iconografico ad essa allegato, pubblicata a Napoli nel 1784 a cura dell’impressore Giuseppe Campo. L'autore dell'Istoria è il segretario dell'Accademia, Michele Sarconi. L’Atlante, di grande formato (cm.48x37) consiste in una raccolta di 68 tavole eseguite dagli architetti Pompeo Schiantarelli ed Ignazio Stile, tutti incisi da Antonio Zaballi, di una grande Carta corografica della Calabria ulteriore, ripiegata più volte, opera di P. Eliseo, e di un disegno raffigurante una «macchina equatoriale». Il progetto di tale opera, unica del suo genere, nasce in seno all’Accademia Napoletana, che istituisce ‘una peregrinazione letteraria nei luoghi della Calabria Ultra e del Valdemone, i quali erano stati i più potentemente della natura ne’ fatal’istanti del suo furore oltraggiati’.

La partenza della spedizione degli Accademici Napoletani avviene via mare da Napoli il 5 aprile, un paio di mesi dopo la prima scossa. Il drappello abbastanza nutrito è composto dal segretario dell’Accademia Michele Sarconi, dagli accademici pensionari Angiolo Fasano, Nicolò Pacifico, P. Eliseo della Concezione Teresiano e P. Antonio Minasi Domenicano, dai soci D. Giulio Candida, D. Giuseppe Stefanelli, D. Luigi Sebastiani, dagli architetti addetti ai disegni, Pompeo Schiantarelli con l’incarico di direttore, D. Ignazio Stile e D. Bernardino Rulli. Nella suddivisione dei compiti, il segretario Sarconi prende con sé il disegnatore D. Pompeo Schiantarelli, mentre Pacifico, Fasano e Sebastiani si fanno seguire da D. Ignazio Stile. D. Bernardino Rulli viene aggregato a P. Eliseo e a P. Minasi.

Sbarcata in Calabria a Scalea il 10 aprile, la commissione si spinge lungo il litorale fino a Cetraro, dove  riscontra per la prima volta il profondo smarrimento di una popolazione misera e sofferente toccando con mano durante le ore notturne la paura 'in diretta' a causa di una lunga scossa di assestamento, la prima di molte altre. Il drappello unito si trasferisce a Paola passando per Fuscaldo, annotando nei taccuini rovine e disperazione. Giunge poi a S. Lucido dove è bloccata dal maltempo e dalle numerose scosse; dedica allora le giornate del 12 e del 15 aprile all’osservazione e allo studio dei sconvolgimenti più estesi del territorio, che saranno affidati alla penna dello Schiantarelli, autore della prima tavola.

Luigi Sebastiani da solo si spinge a Falconara, Fiumefreddo e Longobardi per registrare le alterazioni del terreno di quei luoghi.

Si transita quindi per una Belmonte prostrata, della quale nella raccolta ammiriamo una bella veduta del Castello a firma di Schiantarelli, per poi arrivare a Pizzo, dove si inorridisce per lo ‘sterminio de’nostri simili’ avvenuto a seguito della  forte scossa del 28 marzo. Qui la spedizione si riunisce compatta dopo che il segretario Sarconi da Belmonte con un paio di componenti si era spinto in esplorazione fino a Cosenza. Belle le due vedute della città napitina, la terza e la quarta della serie, realizzate da Antonio Zaballi su disegno di Ignazio Stile e da Pompeo Schiantarelli.

A Pizzo, altra scissione del gruppo accademico. Sarconi con i disegnatori P. Eliseo e Sebastiani si dirigono verso Monteleone, dove arrivano la sera del 27 aprile; Schiantarelli e Stile dedicano alla città due vedute. Qui verosimilmente i soci fanno visita alla dimora del Vicario generale conte Pignatelli che tra l’altro è presidente della stessa Accademia.

            

Atlante - Tav. X e XI (particolari). Esemplari di Echiniti conoidei e Spondiloliti rinvenuti a Orsigliadi  

 Dopo le brevi escursioni ai vari villaggi del comprensorio di Monteleone, compresa Briatico, è la volta di Mileto, cui viene posta grande attenzione da parte di Schiantarelli che firma tre disegni sui fasti trascorsi di una città distrutta. Gli scienziati si soffermano presso Garavati e Orsigliadi: “Orsigliadi e Caravate furono annientati. In questi luoghi si ritrovano cospicui segni di una innegabile antichissima rivoluzione fisica, avvenuta o per invasione tentata dal procelloso mare sulla terra, o per tumultuaria rapina operata dalla terra sul mare. Vi ha Orsigliadi, e Caravate una picciola prominenza tutta arenosa, posta nella contrada denominata l’Aria di Caravate, situata a mezzogiorno, e in distanza quasi di sei miglia dal mare di Nicotera di Nicotera, che è la parte marittima più vicina. Da questa prominenza arenosa si estrassero cinque Echini di rara grandezza, petrificati, e benissimo conservati”…“[Ad Orsigliadi] acquistammo in oltre tre grandi Spondili petrificati, e non maltrattati dalla forza del tempo. Questi rari monumenti de’ fasti della natura, ritrovansi ora nel nostro Museo Accademico” (Istoria). Nell’Atlante accademico sono inserite due immagini separate di Echiniti conoidei e Spondiloliti di Orsigliadi, a grandezza naturale.

Ai primi di maggio, dopo la sosta di Mileto dove lo sciame sismico continua a farsi sentire minaccioso, finalmente qualcuno giunge a Tropea, di certo non il Sarconi ma di sicuro lo Stile al seguito di P. Eliseo.

A Tropea i danni del terremoto sono modesti. E’ questa l’impressione che dà subito all’occhio la veduta, la dodicesima tavola dell'Atlante, Tropea veduta dalla marina verso Pargalia, incisione su rame, cm. 22 x 40, realizzata da Antonio Zaballi, su disegno 'dal vero' di Ignazio Stile. Era stato nel 1664 l'olandese Willem Schellinks, autore della più antica veduta di Tropea, a 'scoprire' il lato migliore della città, un disegno su carta a penna e inchiostro bruno, acquarellato in grigio e marrone. Quel taglio prospettico - in seguito - ricorrerà molto nelle opere degli artisti viaggiatori, affascinati dall'immediata, prorompente e pittoresca bellezza del borgo sospeso tra cielo e mare sulla rupe scoscesa che la 'Perla del Tirreno' offre - ancora oggi - all'osservatore da quel versante. Una veduta tra le più animate dell'Atlante quella dell'architetto Stile che non solo viene impressionato dal paesaggio naturale che, in un momento così doloroso, ha la forza di esprimere una benaugurante serenità, ma è anche colpito dal fermento delle attività lavorative in riva al mare, trasposte in primo piano della scena, di falegnami che attendono alla costruzione di barche e pescatori che riparano le reti, a testimonianza che, nonostante tutto, la vita giornaliera riprende a scorrere normalmente. Nello spazio in basso riservato ai termini didascalici della veduta, sono indicati alcuni luoghi che nell'incisione sono contrassegnati da numeri: 1. Castello, 2. Il Vescovato, 3. La Ripa, 4. S. Francesco d'Assisi, 6. Gli Espulsi, 7. Fondaco del sale. Potremmo completare tali notizie osservando che il Vescovato era in sede vacante, il vescovo Felice Paù (1751 - 1782), patrizio Bitontino di Terlizi, era scomparso da poco, il 6 novembre 1782; la Ripa è il piccolo affaccio (ripicea) cui si accede da Largo Galluppi; S. Francesco d'Assisi è la chiesa francescana di San Demetrio (o dell'Immacolata), sempre in Largo Galluppi; gli Espulsi sono i Gesuiti, termine che identifica il loro ex Collegio con annessa la Chiesa, detta ancora oggi, dei Gesuiti; il Fondaco del sale è il corpo di fabbrica che appare a sinistra sulla spiaggia, all'interno del quale veniva custodito il sale e regolata la vendita, dal 1759 per conto del fisco, ai vari suffondaci per la diffusione al minuto del prezioso prodotto.

Vediamo come Ilario Principe nella seconda edizione di Città nuove in Calabria nel tardo Settecento, Gangemi 2001, commenta la veduta:

“A Tropea invece il terremoto pare non aver prodotto danni di rilievo, o almeno così pare dalla serena veduta che ci restituisce lo Stile, XII – Tropea veduta dalla marina verso Pargalia, coi pescatori in primo piano intenti al loro lavoro quotidiano e la fila compatta delle case e palazzi che si erge ben alta sulla rupe senza visibili segni di rovine o diroccamenti: solo nella parte centrale dell’allineamento delle coperture una innaturale concavità nel profilo pare alludere a crolli, ma si tratta di ben poca cosa rispetto a quanto era stato evidenziato per altre località. E infatti i 20 decessi registrati dal Vivenzio a Tropea per il terremoto appaiono causati da “timori, e malattie” e non già da rovina degli edifici. Tropea è nel complesso in buona salute quando gli accademici si recano a visitarla e lo Stile ne traccia il profilo provenendo dalla strada di Parghelia a nord dell’abitato, il Castello è ancora al suo posto e ben evidenziate appaiono la cupola del cappellone di santa Domenica nel complesso della Cattedrale lì accanto e, sulla estremità, il convento di S. Francesco e la vicina sede dei Gesuiti. Ancora per poco tuttavia, perché nel marzo del 1784 la relazione conclusiva dell’architetto Ermenegildo Sintes sulla demolizione e l’ampliamento di Tropea autorizza il Vicario Francesco Pignatelli ad avviare un vasto quanto inopportuno programma di pianificazione urbana e di ristrutturazione edilizia, affidandone fra l’altro l’incarico al fratello Diego, che in breve stravolgerà il volto medievale della cittadina, cancellando in primo luogo proprio l’antico Castello.”

Lasciata Tropea il 4 maggio, le osservazioni scientifiche dei valorosi Accademici Napoletani, il cui gruppo si ricompatta ancora una volta  a Mileto, continueranno l'impegnativa missione nel profondo Sud della Calabria. Nel loro cammino incontreranno Francica, il Mesima, Soriano, Serra San Bruno, Arena, Dasà, Acquaro, Galatro, Feroleto, Caridà, Soreto, Borrello, Filocastro, Nicotera, Rosarno ed altri luoghi ancora, fino a estendere le loro preziose ricerche nel restante territorio calabrese e quello messinese del Valdemone. Qui, nel mese di settembre del 1783 terminerà con pieno successo la loro 'peregrinazione letteraria', nonostante gelosie e recriminazioni, riuscendo tutto sommato a portare a casa un'opera capolavoro, che è sicuramente una pietra miliare nello studio della sismicità italiana, ed è ancora oggi apprezzata e citata nella letteratura specialistica sia italiana che straniera.