BIZZARRO:
UNA VITA
SCELLERATA
 

di Alberto Feliziani
 






La tristissima vicenda di Francesco Moscato di Vazzano, detto il Bizzarro, non potè non attirare l'interesse di artisti e viaggiatori dell'epoca, tanto che lo stesso Bartolomeo Pinelli, nel corso del 1823, immortalò le fasi salienti delle due vite, del brigante e della sua compagna, intrecciate indissolubilmente, attraverso la realizzazione magistrale di numerosissime opere, alcune create con il solo ausilio di matita e penna, su carta, altre, descritte con maggiore dovizia di particolari, con la tecnica dell'acquerello: opere, queste ultime, raccolte in sei splendide tavole, nelle quali si scorge, limpidissimo, l'impegno che il Pinelli profuse - attraverso il mirabile effetto coloristico - per connotare di riflessi tragici <<la vita scellerata>> del brigante Bizzarro. Questa serie di opere era accompagnata, nella originale stesura, da un anonimo manoscritto in lingua inglese, datato <<Roma - 1825>>, dall'esame del quale si è potuto risalire all'esatto collegamento delle stesse con la vita e le gesta di uno dei più temuti e crudeli briganti dell'Italia meridionale.

                                                                                                                                                                                                                                             Il rapimento di Margherita
Figlio del colono di una ricca famiglia calabrese, nacque in una capanna nella zona di Varano, e, sin dalla più tenera età, si dimostrò di carattere rissoso e violento: connotati questi che lo porteranno all'emarginazione prima, al brigantaggio più sanguinario, poi.
A diciannove anni riuscì a sedurre Margherita, la figlia del padrone, ma, scoperto in flagranza dai fratelli di questa, fu pugnalato ed abbandonato morente sopra un letamaio, come ultimo atto di disprezzo nei suoi confronti. Raccolto da mani pietose, venne dato per morto, e quella che avrebbe dovuto essere la sua <<salma>> venne composta nella chiesa del paese, in attesa dell'inumazione che sarebbe avvenuta l'indomani: ma il ragazzo, oggi diremo <<uscito dal coma>>, durante la notte quantunque gravemente ferito ed ormai dissanguato, riuscì a calarsi dalla bara e una volta guadagnata l'uscita, ad allontanarsi lentamente verso la montagna, sicuro rifugio per ogni fuggiasco.
Correva l'anno 1802, e Bizzarro per alcuni mesi lottò tra la vita e la morte, sino a quando, completamente ristabilito, raccolse intorno a sè i più feroci criminali, ai quali concesse asilo e sicurezza, eleggendosi capo indiscusso di una delle più temute e numerose bande calabresi, nella segreta speranza, una volta abbracciata la causa dei borboni, di vedersi garantita l'immunità per i crimini commessi.
                               La famiglia del brigante
Nel 1810, mai dimentico del feroce affronto anni addietro, decise di porre in essere la tanto agognata vendetta: infatti, una domenica, mentre gli abitanti di Varano erano raccolti in chiesa per la messa mattutima (compresi i suoi assalitori), alla testa di numerosi briganti circondò il sacro luogo e, postosi sul portale d'ingresso, ordinò a tutti di uscire silenziosamente, passando dinnanzi a lui, che, ad uno ad uno li scrutava nella speranza di potersi trovare faccia a faccia con chi lo aveva vilmente pugnalato.
Dinnanzi alla sua persona sfilarono uomini, donne e bambini atterriti, fino a quando non ebbe di fronte i fratelli di Margherita, i quali, in preda al terrore, non osarono neppure parare i terribili colpi di pugnale che, micidiali, si abbatterono su di loro.
Toccò poi, identica sorte, ad ogni maschio di quella sventurata famiglia, compreso il vecchio padre che, malato, giaceva nel proprio letto, assistito amorevolmente dalla figlia Margherita: tutti caddero sotto l'inesorabile pugnale di Bizzarro.
Compiuta la vendetta, il capobrigante costrinse Margherita a seguirlo sui monti, dove, ben presto (soprattutto perchè la ragazza ne era ancora segretamente innamorata) divennero amanti.
                                                                                                                           Il figlio di Bizzarro
La giovane, divenuta anch'essa un'esperta brigantessa, fu assurta al rango di luogotenente di Bizzarro, ruolo nel quale si distinse per coraggio ed audacia pari, se non addirittura superiore, a quelli dimostrati dall'amante-maestro, tanto da conquistarsi l'assoluta devozione di tutti i componenti la feroce banda.
Le cronache di quel tempo altro non ci tramandano, sulla breve esistenza di questa giovane donna, divenuta brigantessa per amore, se non notizie sulla sua fine ingloriosa: fatta prigioniera dalle truppe francesi nel corso di un'imboscata, fu rinchiusa nella prigione di Monteleone, dove le amare condizioni del carcere, unite alla forzata lontananza dal primo amore, ebbero ragione del suo giovane fisico.
Bizzarro, però, si ricostituì ben presto un nuovo nucleo familiare, se è vero che durante una scorreria a Seminara, invaghitosi di una fanciulla che vide per la prima volta mentre si sporgeva all'uscio di casa, la rapì, trascinandola con lui.
Niccolina Licciardi, questo era il nome della giovane, finì inevitabilmente con l'innamorarsi del proprio rapitore, tanto da dargli addirittura un bambino, e con Bizzarro divise la dura vita dell'eterno fuggiasco, dopo che le truppe del Generale Menhés riuscirono a spazzare via la feroce banda, braccando di continuo il capobrigante che, per sfuggire alla cattura, doveva continuamente spostarsi da un rifugio all'altro, trascinando nella fuga moglie e figlio.
                       Bizzarro uccide il figlio
Fu proprio durante la fuga che, nel tentativo di guadare un torrente, il capobrigante si accorse che poco più a monte vi era un militare di guardia al vicino ponte, proprio mentre il bambino scoppiò in un pianto dirotto tra le braccia della madre vinto dalla stanchezza ed evidentemente <<stranito>> per il continuo vagare in cerca di un riparo sicuro; in quell'istante Bizzarro concepì fulmineamente il più ignobile ed orrendo delitto che essere umano possa mai realizzare.
Dopo che gli amorevoli tentativi della madre per far cessare il pianto del bimbo fallirono, il capobrigante strappò la creatura dalle braccia della moglie, e, afferratala per i piedini, la sbattè contro le rocce, fracassandole il cranio.
Nicolina, paralizzata dal dolore, riuscì a reprimere un moto di istintiva violenza, trattenuta dal desiderio di una vendetta più razionale e di sicuro effetto, soprattutto in considerazione dal fatto che, attaccare Bizzarro in quel momento, avrebbe significato essere sbranati dal feroce mastino che il capobrigante portava sempre con sè, abituato, dal crudele padrone, a cibarsi di carne umana.
La notte seguente, seppellito all'interno di una grotta il cadaverino del figlio, persuase il marito a legare la belva ad un vicino albero, e, non appena il Bizzarro cadde addormentato, raccolse da terra il fucile di questo, e, avvicinatolo silenziosamente al capo del brigante, fece fuoco, uccidendolo all'istante.
 



L'uccisione e la decollazione del Bizzarro


La preghiera e il pentimento di Niccolina

Quantunque fosse preda di immediati ed atroci rimorsi, essendo innamorata, comunque, dell'uomo, non esitò, usando un coltello affilatissimo, a staccare la testa del cadavere dell'uomo, dopodichè, avvolto il macabro trofeo in un grembiule, si recò a Catanzaro, presso l'abitazione del governatore, per riscuotere la taglia che ormai le spettava di diritto: introdotta da un servitore in sala da pranzo, mentre il governatore pranzava con la propria famiglia, alla domanda rivoltale se portasse notizie utili per la cattura del brigante, per tutta risposta gettò il capo mozzato di Bizzarro al centro della tavola imbandita.
Le cronache dell'epoca ci riferiscono che, avuta la riconpensa di mille ducati (tale era la taglia posta sul capo di Bizzarro) la donna effettivamente venne incarcerata per reati minori ma, a partire del 1825 di lei si perde ogni traccia.