La Casa di Carità di Limbadi
di Pantaleone Andria
In questi ultimi tempi parole come pace, amore verso il prossimo, beneficenza o solidarietà, sono termini che sembra siano stati cancellati dal lessico comune. Oggi si parla tanto di guerra, attentati, ritorsioni o vendetta senza pensare alle conseguenze che simili azioni possono provocare. E spesso le cose belle e importanti, sotto tutti i punti di vista, le abbiamo vicine a noi, anzi delle volte ci conviviamo finanche, ma quasi sempre non le apprezziamo o non le consideriamo per quello che meritano. È il caso della “Casa della Carità” di Limbadi dove per fortuna i significati delle parole su citate non sono stati smarriti. La sensazione che si prova entrando dal portone di via Piave, è una sensazione di serenità, sembra di entrare in un mondo a parte, in una di quelle dimensioni parallele nelle quali il contatto con la realtà dura e cruda della quotidianità, sembra essere messo da parte, anche se purtroppo la sofferenza insieme alla solitudine delle anziane ospiti è tangibile e presente. Attualmente le anziane ospitate tra le mura dell’istituto limbadese sono venti, provenienti da tutta la regione e anche dalla Sicilia. Vengono assistite in maniera dignitosa dalle Oblate del sacro Cuore di don Mottola che si occupano anche dell’assistenza spirituale, spesso molto più importante di quella fisica. La solidarietà porta anche occupazione, infatti sono in cinque le persone, nostre compaesane regolarmente retribuite, che vi lavorano, anche se il verbo più indicato non dovrebbe essere lavorare bensì occuparsi, avere cura. La “Casa della Carità” fu inaugurata il 6 gennaio 1946. Nacque per la volontà di don Mottola, che già aveva dato vita a un’altra casa nella sua Tropea, e fu affidata alla direzione di don Domenico Musumeci il quale condivideva pienamente l’idea del sacerdote tropeano: costruire una casa che avrebbe dato ricovero ai bisognosi, ai poveri, agli ammalati, e agli abbandonati. In un primo momento, ricorda la direttrice della casa Pasqua Faraci “la casa accolse anziani d’ambo i sessi, bisognosi nel corpo e nello spirito, e i bambini manchevoli di assistenza dalla nascita ai 14 anni, tutti venivano assistiti grazie alla carità di qualche benefattore (non si pensi a persone ricche o notabili, ma alla gente comune anch’essa relativamente bisognosa) e con i mezzi racimolati dalle Oblate mediante la questua. Malgrado i disagi materiali in cui spesso si sono trovate per far fronte alle spese,
Un'immagine degli anni Cinquanta di Don Musumeci ed i ragazzi della Casa di Carità di Limbadi
le Oblate non si sono mai arrese o scoraggiate, anzi si sono più che mai convinte che la loro opera e il loro esempio erano necessari per mantenere lo spirito in alto. Hanno fatto tesoro di tutti i mezzi a disposizione per continuare il lavoro di apostolato loro affidato, impegnando in esso il cuore, la volontà e l’intelletto. Per dare bisogna avere, e per avere bisogna cercare il possesso di Dio, che si acquista con uno sforzo personale, con la preghiera, la meditazione, con i sacrifici e l’amore”. Come si evince dalle dichiarazioni della direttrice, le Oblate del Sacro Cuore hanno avuto un ruolo che definire importante è molto riduttivo nella riuscita di una simile opera. Nel 1941 le Oblate limbadesi erano ben dieci e il parroco Musumeci vedendo tanta buona volontà e disposizione si prese cura di loro assumendosene la cura spirituale, alcune di queste sono ancora in vita, ma è doveroso elencarle tutte affinché la loro opera non venga dimenticata dal passar del tempo. Sono, Antonia Saccomanno, Elvira Bisurgi, Marta Saladino, Domenica Scardamaglia, Isabella Andria, Teresa Andria, Giuseppina Calzone, Rosina Lotta, Costanza Mazzitelli, Rosina Sesto. A esse si aggiunse l’attuale direttrice della Casa Pasqua Faraci che porta avanti la missione con immutato impegno e grande tenacia. “Le Oblate - dice ancora la direttrice - insegnavano il catechismo ai piccoli, servivano a domicilio gli ammalati, curavano ogni sorta di piaga dolorosa. Erano gli anni del primo dopoguerra nella casa mancava di tutto, a stento si erano procurate le brande per riposare dopo la preghiera e il lavoro. Una cassa sgangherata faceva da dispensa e alcuni pezzi di legno da sedie. Le oblate erano felici di poter servire con gioia ed amore poveri, vecchi, storpi ed ammalati, ogni nuovo ricoverato era per le oblate una benedizione del cielo.” “I bambini vennero ospitati fino al 1965, erano orfani o trovatelli, andavano via dopo la terza media, si cercava di trovar loro un lavoro, altri continuavano gli studi e sono oggi validi professionisti che conservano un ricordo misto d’affetto e gratitudine, e ogni tanto portano il loro saluto. Nel 1965 la Casa venne demolita e ricostruita, per renderla più efficiente e accogliente e si stabilì che avrebbe ospitato solo persone anziane di sesso femminile, perché i tempi esigevano questo”. Purtroppo circa il 40% delle persone ospitate necessita di cure particolari e presenza continua, questo sia per le piaghe da degenza che è necessario alleviare, sia per la demenza senile che colpisce tutte le persone avanti con gli anni. Quando chiedo di raccontare l’episodio che ricorda con più piacere la direttrice mi racconta di quella volta che “negli ani ’50 fu ospite un vecchio colonnello di Palmi il quale dopo aver ricevuto agi e privilegi dalla vita, per problemi familiari si ridusse in miseria. Prima di venire qui da noi viveva con gli animali e dormiva in un porcile. Era ammalato grave, un male incurabile. Memore del passato benessere e conscio dell’umiliante situazione attuale, se la prendeva con gli altri adducendogli la colpa delle sue sofferenze. Era esigente con le Oblate e provava soddisfazione a dare ordini. Le Oblate lo curavano e lo accontentavano in tutto cercando di alleviargli le sofferenze fisiche, morali, spirituali. Lo circondavano d’affetto e pregavano per la sua conversione, il colonnello prima di morire, si riconciliò con il Signore, ricevette i Sacramenti, e spirò dicendo: ‘gli occhi in alto e il pensiero a Dio’. Oggi per far sì che la “Casa della Carità” continui l’opera per la quale è nata si sostiene con le pensioni delle ospiti, anche se è doveroso precisare che se un’anziana sprovvista di pensione chiede ospitalità non viene mandata via anzi viene accolta come e meglio delle altre. Questo perché il sostentamento della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) non basterebbe a tirare avanti. Purtroppo, in Italia oggi la situazione è quella che è: si trovano i soldi per fare la guerra ma non si trovano pochi euro per i bisognosi, e spesso dei più sfortunati deve occuparsi la cosiddetta società civile.