Ricadi. Capo Vaticano - La Spiaggia 'Praja 'i Focu'

Capo Vaticano
e
la Baia di Santa Maria
 

di Mariella Di Pasquale


Capo Vaticano

Così é chiamato, giù in fondo all’Italia, sulla costa tirrenica della Calabria, quel maestoso sperone di roccia, a strapiombo sul mare, di origine geologica molto antica.
Infatti, venti o trenta milioni di anni fa, tutto il territorio, scosso dai violenti movimenti della crosta terrestre, ha dovuto sopportare dolorose e sconvolgenti spinte tettoniche che causarono il distacco di una grande massa, enorme frammento di una catena montuosa formatasi pressappoco nel cretaceo circa 40 milioni di anni prima, durante l’orogenesi alpina, e comprendente il settore più meridionale dell’Appennino calabro-siculo. Tale frammento spezzettandosi ancora, andò poi galleggiando nel mare (il Mar Mediterraneo che si andava definendo) e alla fine depositò là dove oggi lo vediamo, un vasto promontorio, il Poro, che dall’Appennino Calabrese si estende fino al mare tra il Golfo di Gioia Tauro e il Golfo di Santa Eufemia, e da cui si protende, a strapiombo sul Tirreno, fra la baia del Tono e le frastagliate insenature di Grotticelle e S.Maria, quell’ammasso roccioso cui è stato dato appunto il nome di Capo Vaticano e che oggi ospita un faro e un radio-faro ben attrezzati.
Ecco, così si presenta il Capo al visitatore in arrivo dal mare: un’imponente e antica roccia di granito e arenaria che, battuta dalle onde e dai venti, sembra proteggere con tenerezza, come fossero creature scaturite dal suo ventre, le delicatissime piccole insenature che trovano spazio ai suoi piedi luminose di sabbia bianchissima, come la stupenda “Praja ‘i focu”.
Molte le specie vegetali, tipicamente mediterranee, ospitate da queste superbe scogliere, come i fichi d’India e le euforbie, le gialle ginestre e il lentisco e l’elicriso e il garofono degli ottentotti. Sull’enorme scoglio poi, vicino al belvedere del faro, si possono notare anche le rare palme nane del Mediterraneo su cui si posano a meditare la tortora comune col suo monotono canto e il passero solitario che forse “pensoso in disparte il tutto mira”.
Dagli antichi greci questo sito venne chiamato Taurianòs Scopulos, mentre in epoca romana si chiamò prima Promontorium Taurianum e più tardi Vaticanum Promontorium.
I nomi Taurianòs Scopulos ovvero Promontorium Taurianum potrebbero derivare da Oreste figlio di Agamennone che, approdato in questa zona per purificarsi nelle acque di sette fiumi dopo avere ucciso la madre Clitennestra, avrebbe dato a questo luogo il nome di Tauriano in omaggio alla sua terra di provenienza: la Tauride. A. Pantano1 che ci riferisce questa notizia, preferisce ipotizzare però che un popolo balcanico, giunto sulle nostre coste dalle montagne del Tauro, abbia fondato la città di Taurino, fra Reggio e Medma, anteriormente alla colonizzazione Achea.
Per il termine Vaticanum invece F. Arcella2 ci riferisce questa intricante ipotesi: “Secondo alcuni il termine Vaticano sarebbe una contrazione di Abbatti cane, un grido di sfida o un ordine emesso da Scipione l’Africano il quale, fermatosi nelle acque di Formicoli (nei pressi del Capo) dopo la distruzione di Cartagine, avrebbe avuto uno scontro con un pirata chiamato Gran Cane. “Tuttavia - aggiunge Arcella – è da ritenersi un’ipotesi senza alcun fondamento”.
Il domenicano Leandro Alberti3 collega l’origine del nome alla distruzione dell’antica città di Medma (che sostiene essere a Capo Vaticano) da parte dei cani pagani (nel Medio Evo si trovava anche la denominazione Baticano invece di Vaticano) cioè gli arabi. Ma Medma certamente non si trovava nella zona di Capo Vaticano, ma forse nei pressi di Rosarno.
A noi sembra più probabile e più affascinante l’ipotesi che fa derivare Vaticanum da vaticinium, oracolo. Nell’antichità infatti, secondo la tradizione, i naviganti che andavano verso sud, prima di affrontare i pericolosi gorghi di Scilla e Cariddi, si recavano sull’alta roccia del Capo per rivolgersi alla profetessa Manto che viveva nascosta in una grotta di fronte allo scoglio Mantineo, ‘u Mantineu, come lo chiamano i nativi del posto (dal greco manteuo = do responsi) che da lei ha preso il nome. La profetessa in cambio di doni dava il suo oracolo e forse lasciava che questi viaggiatori andassero di qua e di là ad ammirare le bellezze del posto.
A prescindere dal mito, dall’alta roccia comunque i naviganti potevano probabilmente meglio guardare e studiare  le condizioni del tempo e del mare verso la Sicilia, e  la forza dei venti.
 
 


Ricadi. Capo Vaticano - Grotticelle

LA STORIA

Chissà quanti viaggiatori, ma prima ancora, quante genti appartenenti a tribù pre-italiche nelle loro scorribande hanno deciso poi, per il clima favorevole e la fertilità della terra, di fermarsi in questo territoro che oggi giustamente viene chiamato La costa degli dei.
Sull’altopiano di Torre Galli (sopra il paesino di Carìa a ovest di Spilinga), ci dice ancora A. Pantano, una nuova civiltà infatti si era andata man mano formandosi fin dai tempi primitivi con uno sviluppo continuo che quelle genti, provenienti  non  si  sa  da dove  (A. Pantano ipotizza che fossero Ausoni di lingua oscia), riuscirono ad attuare fra il  XII e il VII sec. A C., epoca in cui Torre Galli divenne  centro di produzione e commercio sia di prodotti agricoli (cereali, olio) che di oggetti di terracotta e altri manufatti. “Ne fa fede – dice Pantano - l’immensa necropoli rinvenuta in tutta la zona che, lungo il corso del torrente Brace abbraccia le contrade Biluscia, Spartà di Brattirò, Palazzi, Bordorello, Laganà e, risalendo  la vallata del torrente Ruffa verso l’antica Torre Marrana di Brivadi, include anche  Barbalaconi e le contrade Marchione e Sambate della frazione di Orsigliadi e poi infine tutto il versante che si affaccia sul mare di Santa Maria, con particolare riferimento alla fascia costiera che dal fondo Carnilivari arriva alla spiaggia dei Magazzeni”.
Pantano ci dice ancora, a conferma di un avviato commercio degli abitanti di Torre Galli, che in località «Grotticella», dove ancora il posto conserva il nome di «Magazzeni», si possono vedere gli avanzi di una cisterna, con annessi depositi, in cui, proveniente dai frantoi delle frazioni vicine per essere commerciato (venti frantoi c’erano a Ricadi, uno ad Orsigliadi e due a S.Nicolò), arrivava l’olio attraverso un canale di stagno sotterraneo che ne facilitava il trasporto alla marina nei magazzini.
E’ plausibile pensare dunque ( la tesi è sempre di Pantano anche se precisa che “altri studiosi non sono di questa opinione in quanto vogliono che la civiltà di Torre Galli si sia esaurita nell’ambito della stessa Torre Galli”) che gli abitanti di Torre Galli, verso l’VIII-VII sec. A.C., ritenendo che il mare fosse una via di comunicazione e quindi di commercio più facile che non le impervie vie terrestri, abbiano cominciato certamente, lungo le vallate dei torrenti Brace e Ruffa, a spingersi man mano verso le zone costiere, stabilendosi sui bassi colli intorno  alle spiagge di più facile approdo e più protette nella loro conformazione, come la baia di S. Maria, che si trova subito a sinistra del Capo dopo la baia di Grotticelle (quest’ultima bellissima ma piuttosto infida come approdo per  la presenza di numerose scogliere).
L’opinione di Pantano è anche la nostra perché sull’acrocoro di S.Maria, come precisa lo studioso, sono state rilevate tracce di antichi insediamenti umani del VII-VI secolo A.C.: mura perimetrali, una vasta necropoli, residui di edifici e templi e oggetti, che  presentano le stesse caratteristiche di quelle di Torre Galli, come orciuoli e brocche o lapidi di argilla che i contadini di epoca recente hanno spesso utilizzato per chiudere la bocca dei forni in cui cuocevano il pane!
Nei secoli successivi certamente la gente di Torre Galli venne a contatto, sulla costa, con altre civiltà più evolute (Liguri, Siculi, Umbri, e più tardi con i Greci) finchè poi fu assorbita dai Locresi e più tardi dai Romani.
Gli ultimi scavi negli anni ottanta in località «Carnilivari», sempre a S.Maria, hanno messo in luce, infatti, anche le tracce di un vasto insediamento posteriore, del IV-III sec. A. C., con i residui di un’antica villa romana e di una fornace in cui erano depositate una enorme quantità di anfore granarie sepolte sotto gli strati alluvionali di un torrente.
I vari reperti che la Sovrintendenza alle Antichità della Calabria ha fatto in tempo a prelevare nella zona, sia del periodo della civiltà di Torre Galli che del periodo greco o romano (per la maggior parte il resto è stato trafugato o spesso interrato per poter continuare a costruire), è possibile ammirarli sia nel Museo di Reggio Calabria che in quello di Nicotera.


Brivadi di Ricadi - Torre Marrana

Porto Ercole

Proporre dunque S.Maria come luogo dove poteva essere collocato l’antico Porto Ercole4 (nella Galleria delle Carte Geografiche, dipinte lungo le pareti da A.Danti 1580-1583 presso i Musei Vaticani a Roma, si nota la denominazione di Porto Ercole in Calabria) ci sembra una tesi abbastanza attendibile.
Sappiamo, da varie testimonianze, che il porto, spesso citato nelle antiche fonti, di certo  diventò  nel  tempo un vero e proprio emporio marittimo dapprima utilizzato dagli abitanti di  Torre  Galli e in un secondo momento dalle altre popolazioni che lo conquistarono come i coloni greci e poi i romani. Oltre che per gli scambi commerciali a Porto Ercole certamente sbarcavano  varie genti anche per il rifornimento di cibo  e  acqua (ci sono varie testimonianze, come quella di Strabone su uno sbarco di Pompeo con i suoi soldati e anche una menzione di Plinio).
L’ipotesi dell’ubicazione di Porto Ercole nella baia di S.Maria è accreditata  oltretutto dal fatto che ancora oggi  si possono vedere  le tracce di un muraglione che dalla  punta  destra  della  baia (in contrada detta Torre S.Maria) si allunga nel mare.
La maggior parte degli studiosi pensa perciò che tale traccia possa certamente costituire una prova dell’esistenza in passato di un porto in quanto il muraglione appare come  un residuo di un antico molo di attracco.
Altri studiosi comunque pensano che Porto Ercole sia da ubicarsi nella spiaggia di Formicoli perché, oltre al fatto che anticamente il porto veniva proprio chiamato  Formicole (supposta contrazione di Forum Erculis ) pare inoltre che anche là, a Formicoli, ci siano delle imponenti strutture sommerse che potrebbero far pensare all’antica presenza di un molo. Ci sembra però improbabile la presenza di un porto in una spiaggia così aperta e poco protetta come appare oggi quella di Formicoli. Inoltre il nome Formicole, non è detto che sia una probabile deformazione o volgarizzazione dell’antica denominazione Forum Erculis, ma potrebbe derivare invece, come ci dice il  Barrio, e come è stato affermato da ricerche successive, dalle Formicole, quel gruppo di scogli delle isole Eolie, piccoli come formiche, situati proprio di fronte alla spiaggia dell’odierna Formicoli. Si può ipotizzare che, avendo la gente eoliana  in Formicoli un vicino punto di approdo in Calabria  per esportare l’ossidiana, i contatti dunque fra le due coste dovevano pur esserci e frequenti. Da qui le eventuali varie influenze sulla toponomastica.
Che all’epoca però si potesse certamente preferire dare a un porto un nome importante, come quello che appunto poteva richiamarsi al mitico Ercole, ipotizzando un suo sbarco sul posto, ci sembra un’ipotesi molto più verosimile. Anche Dionigi di Alicarnasso era di questo parere: “…et loca quaedam a se nominavit, ut est Promontorium Herculeum…”.
“Forse sotto l’alta roccia – ci dice  Pasquale Russo5 sempre pensando appunto a personaggi mitici che potrebbero dare più lustro alla zona – passò anche il profugo Ulisse dopo aver superato Scilla e Cariddi e forse, lontano dagli scogli del pericolo, anche l’abile navigante dalla sibilla ebbe responsi alla sua avventurosa sete di conoscere…”.
 
 


Ricadi. Capo Vaticano - La baia di Santa Maria

La Baia di Santa Maria, anno 2005

L’antico Porto Ercole, cioè l’odierna Baia di Santa Maria, oggi fa parte del comune di Ricadi, ed è diventata, da circa trent’anni a questa parte, un ameno luogo di villeggiatura, come del resto tutta le zone a ridosso del Capo.
Quando ancora era in vita, lo scrittore Giuseppe Berto, che con amore costruì la sua casa sul Capo, accoglieva gli ospiti con simpatia nel suo piccolo ristorante ed era bello e interessante scambiare qualche parola con lui che gentilmente si soffermava ora a un tavolo ora a un altro.
Certo  negli anni settanta la fama del suo libro «Il male oscuro», in cui Berto ci parla di Capo Vaticano come il posto dove egli è riuscito a trovare la sua pace, ha contribuito a dare notorietà a queste zone e i turisti anno dopo anno cominciarono a scendere a frotte. Soprattutto la vicina cittadina di Tropea diventò un ottimo centro turistico da gareggiare quasi con Taormina e Capri, con i suoi splendidi e nobili palazzi e i vari negozi dove magari potevi trovare qualche attore o attrice famosi, personaggi del mito dei nostri tempi, che ti invitavano a entrare a comprare la merce, come ad esempio Marisa del Frate nel suo accogliente negozio di antiquariato.
Anche la Baia di Santa Maria, come altre della zona (baia di Grotticelle, spiaggia del Tono) cominciò ad animarsi con conseguente costruzione di ville e villette e villaggi turistici su per le colline una volta terrazzate  secondo tecniche arabe e piene di vigneti con superbi grappoli di zibibbo e di piante di ulivo e di limoni importate quasi sicuramente durante la dominazione araba. Purtroppo però, per fare spazio a qualche costruzione, è sparita la Torre di avvistamento di Santa Maria che ancora era visibile cinquant’anni fa sull’altura che da un lato chiude la baia (zona che appunto si chiama ancora oggi Contrada Torre Santa Maria) e da cui si segnalava l’eventuale arrivo di pirati turchi affinché gli abitanti dei dintorni potessero trovare alla svelta un più sicuro rifugio.
Il villaggio di pescatori di S.Maria, al centro della baia, ancora oggi si presenta piccolo e grazioso con la sua piazzetta affacciata sul mare dove domina tuttora la chiesetta, divenuta  santuario, di Santa Maria di Loreto o di Galilea, una della poche chiese della zona non dedicata a santi di origine orientale come S.Nicola o S.Basilio o Sant’Irene, la cui venerazione in quasi tutto il comprensorio, al tempo dell’iconoclastia del cesaropapismo bizantino, fu portata dai monaci basiliani nei quali la Curia romana (sec.XI) indicava appunto i monaci italo-greci dell’Italia meridionale. A ridosso della balconata a mare della piazzetta durante l’inverno si possono vedere a volte, allineate in fase di riposo, le barche dei pescatori odorose di pesce locale come i pregiatissimi surici (che si pescano in prevalenza nei fondali del Mantineo o nei pressi dello scoglio del Vàdaro o sull’orlo della fossa di Grotticelle), da gustare sempre freschi di mare,  nelle trattorie dei dintorni, dal pescatore alla tavola. Il lunedi di Pasqua, in onore della Madonna di Galilea, o nei festeggiamenti del ferragosto, il villaggetto si anima risvegliandosi con il suono dei luccicanti ottoni della banda e il mormorio della processione a mare sulle barche, tutte dietro quella più grande che porta la statua della Madonna.


Ricadi. Capo Vaticano. Santa Maria. Processione

Certo oggi il piccolo borgo si è molto dilatato per le nuove costruzioni (del resto in tutte le spiagge d’Italia è accaduta pressappoco la stessa cosa) ciò non toglie che è  sempre bello ammirare l’incantevole scenario della baia: l’antico Porto Ercole riesce, malgrado tutto, a mantenere intatto il suo splendore specialmente in primavera, maggio-giugno, quando inondato quasi sempre dalla luce del sole, pare voglia amorevolmente racchiudere il mare fra le sue braccia: da una parte il braccio dell’alta costa di contrada Torre S.Maria pietrosa alla base con disseminati vari piccoli scogli frequentati dai pescatori subacquei, dall’altra il braccio della zona di Porticello con la Grotta dell’Aspide (si diceva infestata da serpenti) e gli scogli della Galea che, allungandosi nel mare sparsi come briciole di roccia a volte ricamati di bianca schiuma quando batte lo scirocco, hanno come spinto lontano per un tratto quel piccolo scoglio che spicca là isolato fra le onde, punto fermo a chiusura della baia.
Già in maggio-giugno o dopo l’estate in settembre e fino a  ottobre e anche novembre, se il tempo è bello nella baia assolata, si possono  fare dei bagni stupendi in acque marine sempre chiare e trasparenti, punteggiate di polvere d’oro, dove i pescatori subacquei, fra gli scogli di destra o di sinistra possono ancora trovare delle belle cernie.
Al tramonto, quando il cielo assume sfumature diverse di colore man mano che il sole si abbassa, è gradevole percepire nell’aria  l’odore di nepitella e origano ed  è bello poter ammirare in qualche angolo della zona rimasto intoccato, la delicata orchidea serapias lingua o il pancratium maritimum (giglio marino).
Per parlare di piaceri più prosaici ma gustosi, in agosto, sempre al tramonto, quando il sole  sparisce dietro Stromboli, ancor oggi come ieri, si possono gustare, a cena in qualche buon ristorante della zona, antichi sapori   come  i fileja (maccheroni fatti a mano) con la salsa alla ’nduja, quel saporitissimo e molle insaccato di Spilinga che sa di fumo e... di peperoncino (da andouille, salame o salsicciotto in francese) o come l’ insalata di cipolle crude aceto olio e sale, o la crema, sempre di cipolle, all’agro-dolce spalmata su fette di pane tostato. Le dolcissime cipolle, cosiddette cipolle di Tropea, forse provenienti dalla Persia e coltivate da Fenici ed Egizi, quelle rosse di forma rotonda o ovoidale, sono famose a livello nazionale e anche fuori Italia, perchè solo quelle che si coltivano  in una zona piuttosto limitata (che abbraccia in particolare il territorio del comune di Ricadi) hanno quel dolce sapore e quindi sono le vere cipolle di Tropea. Altre cipolle, coltivate altrove, possono avere la stessa forma o lo stesso colore, ma non avranno mai quel sapore e quella dolcezza. La procedura di coltivazione è particolare: dai vivai (cioè solchi nella terra di forma quadrata o rettangolare), dove si depositano i semi in agosto coperti con le felci del Poro per proteggerne la germinazione, si raccolgono in ottobre (generalmente le donne fanno questo lavoro) i fili di cipolle (i cipujmi) che verranno trapiantati subito per raccoglierne in primavera i frutti ormai maturi.
Nei tardi pomeriggi estivi invece, può essere molto piacevole fare anche  delle amene passeggiate nelle belle campagne dei dintorni arrivando ad esempio alla mitica Torre Marrana a Brivadi i cui ruderi fanno intravedere ancora la sua forma cilindrica (era una Torre di avvistamento o Torre di guardia, come tutte le altre torri della Calabria che il Vicerè di Napoli Don Pietro De Toledo diede ordine di costruire fra il 1537 e il 1540) su cui volano le poiane dalle larghe ali. O ancora si può arrivare, inoltrandosi all’interno della campagna, al mulino ad acqua di Lampazzone del XVIII sec. ancora funzionante, che qualche anno fa ci accompagnò a visitare il sig. Rizzo, padrone del mulino, simpatico ottantenne e gran camminatore. Appoggiandosi al suo lungo bastone, bene ci spiegò, col suo colorito dialetto, il funzionamento del mulino: l’acqua del Torrente della Ruffa dalla presa, cioè il luogo dove l’acqua viene deviata per mezzo di un argine, arriva a cascata attraverso la gora (un canale scavato artificialmente) sulle pale di una grande ruota la quale, girando, muove la ruota superiore di granito che con il suo movimento di rotazione in orizzontale trita i chicchi dei cereali versati nella bocca della tramoggia. Nel farinaio si raccoglie così la farina che insaccata viene consegnata poi ai contadini in attesa.
- Viditi  comu  funziona  bonu ‘u mulinu - concluse quel giorno il sig. Rizzo mentre cibava i suoi gatti e le galline – ancora oggi ‘nci putimu macinari ‘u granu e puru u frumentu.
 
 


Giuseppe Berto

 “Qui mi costruirò con le mie mani un rifugio di pietre e avrò intorno un pezzo di terra  per farne un orto, non molto grande naturalmente perché non ho la forza nelle braccia che troppo poco conoscono la fatica; e penso che in conclusione questo potrebbe andare bene come luogo della mia vita e anche della mia morte…”.
Così ha scritto Giuseppe Berto che infatti ha voluto essere sepolto lì, a Capo Vaticano, luogo di voci antiche, dove Dio ha reso più tangibile la bellezza del creato.
 

NOTE

1 A. Pantano: “Capo Vaticano nella leggenda nella storia e oggi”, Industria Tipografica frama – Chiaravalle centrale (Cz).
2F. Arcella:  “ Ricadi”, Ed. Mapograf 1989.
3Leandro Alberti: “Descrittione di tutt’Italia”, Bologna 1550
4Come  affermano, oltre ad A. Pantano, anche G. Barrio in “De antiquitate et situ Calabriae” citando un passo di Strabone, e G. Mirafioti da Polistena nelle sue “Cronache ed antichità di Calabria”.
5P. Russo - “Capo Vaticano tra storia e leggenda” – TropeaMagazine.