Elpis Melena (1818 - 1899)

 

ELPIS MELENA A TROPEA NEL 1860


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 Calabria and the Liparian Islands in the Year 1860 by Elpìs Melena, Saunders, Otley, and Co. London 1862.


di Salvatore Libertino


Figlia di un ricco banchiere amburghese, Speranza Von Schwartz, resta vedova a soli sedici anni. Si risposa con il banchiere Schwartz dal quale divorzia. Nata in Inghilterra, attraente, ricca, elegante, intelligente e colta, intenditrice di arte e musica, sa molte lingue, compreso il greco, scrive indifferentemente in ciascuna di esse e conosce le letterature e la storia di molti paesi. Le piace viaggiare e ama l'avventura. Nell'ottobre del '57, sbarca a La Maddalena col preciso intento di conoscere l'uomo di cui tutto il mondo parla. Forse ciò che colpisce maggiormente Garibaldi è lo spirito indomito, inquieto e avventuroso di lei, che la spinge a viaggiare senza sosta per l'Europa, la dove più incandescenti si fanno le lotte di indipendenza, dove fervono il pensiero e l'opera dei molti "profeti" degli ideali di redenzione. Dotata di un coraggio virile, unito alla dolcezza e a una grande sensibilità, amazzone perfetta, signora della conversazione, diplomatica sottile: queste le qualità che forse più di ogni altra è vicina, dopo Anita, al Garibaldi dell'epoca.
L'amore scocca subito, fin dal primo giorno a Caprera e appena essa lascia l'isola, in novembre, già partono le appassionate lettere del Generale; ma Speranza è tanto intelligente da saper indirizzare quel sentimento dirompente in un profondo legame di solidarietà, quasi come tra compagni d'arme, che piace a Garibaldi in maggior misura di un rapporto fisico che non vi è mai. L'amore è tutto espresso da lui nelle lettere e nell'accettazione riconoscente dei mille servizi e doni che riceverà dall'amica negli anni seguenti; da lei, in una generosità senza limiti. Tra l'altro, Speranza scriverà moltissimo sull'Uomo di Caprera, sia col suo nome sia con lo pseudonimo di Elpis Melena, traduzione in greco di Speranza (Elpis) e Schwartz (= nera = Melena): essa è tra i massimi divulgatori contemporanei delle idee e delle gesta del Generale.

L'obiettivo di Speranza è quello di arrivare alle Isole Lipari e quindi avvicinarsi sulla costa calabrese al punto più vicino alla meta e nel contempo favorevole ad un imbarco che renda più agevole la traversata. Durante il viaggio, la scelta cade su Tropea. Ecco in breve il diario dell'avvicinamento a Tropea: il 30 settembre, arrivo a Napoli con piroscafo Blidah. Incontro con il musicista Giuseppe Saverio Mercadante. 1° ottobre, viaggio in carrozza per Maddaloni e ritorno a Napoli. Partenza da Napoli per Messina con piroscafo Pompei. 3 ottobre, navigazione lungo la costa calabrese (Paola, San Lucido, Fiumefreddo, Belmonte, Amantea, Capo Suvero). Fermata a Paola. Sbarco a Pizzo; alloggio alla 'Locanda nobile all'aurora' di Antonio Billotta, visita al paese e al castello. 4 ottobre, partenza in barca per Tropea. Tempesta e sbarco a Punta della Rocchetta. Briatico. Viaggio verso Parghelia e Tropea. Arrivo a Tropea: conoscenza con Antonio Tranfo. Alloggio nella locanda. 5 ottobre, a Tropea. 6 ottobre, visita a Tropea e dintorni. Partenza per Stromboli con la barca Santa Maria. 7 ottobre, sbarco a Stromboli, alle 4 del mattino. Alloggio nel 'palazzo' di Giuseppe Costa....

L'Autrice è l'unica donna 'viaggiatrice' fra i suoi contemporanei ad approdare in Calabria e in particolare a Tropea, dove vi staziona per tre giorni. Accompagnata dal 'capitano' Alessandro Dodero, famoso uomo di mare amico di Garibaldi, da due giovani guide di Briatico, e da un paio di asinelli portabagagli, arriva, stanca del viaggio, in una Tropea, 'sprofondata in un sonno mortale'. Prostrata e delusa, dopo numerosi e vani tentativi, finalmente trova ospitalità in un bugigattolo di una lurida locanda. E proprio nel momento dello sconforto più totale, ecco che si fa avanti un signore molto distinto e galante, il 'Cavalier' Antonio Tranfo, che si mette subito a disposizione della bella Signora e dei suoi amici. E già dopo qualche ora agli occhi della bella Signora Tropea cambia tono, diventa 'magica': "La romantica Tropea, con le sue mura merlate, le sue torri medievali, la sua rigogliosa vegetazione e le sue montagne piene di crepacci, aveva l'aspetto di un vero ritratto magico".... ma a questo punto sarebbe più opportuno che sia la stessa Speranza a raccontare quello che succede durante la sua breve permanenza in città ai primi di ottobre del 1860, in pieno periodo della Dittatura delle Provincie Napoletane, quando al timone della Città c'è don Saverio Toraldo, della Chiesa Mons. Filippo de Simone, del quale è coadiutore Mons. Luigi Vaccari, e di tutta la Marina Napoletana il capitano di vascello Napoleone Scrugli, appena nominato (8 settembre 1860) da Vittorio Emanuele Dittatore delle Due Sicilie. Del racconto, vogliamo anticipare solo come l'Autrice descrive il momento della partenza da Tropea per le Eolie mentre si trova ormai al largo sul gozzo 'Santa Maria salva in porto' di maestro Giulio, emozionata dalla “poesia di questo viaggio avventuroso, unitamente alla prospettiva di conoscere quell’arcipelago così poco visitato”:

“Sopra di me luccicava un tale splendore di stelle che i miei occhi si pascevano in muto rapimento di quella splendida immagine proveniente dal libro della natura che era aperto davanti a me. Come sembrano piccole tutte quelle sorti terrene al cospetto di questi simboli celesti dell’eternità, che assistono con sorriso imperituro al nascere e al morire del genere umano. La scintillante luce stellare dovette gradualmente ritirarsi di fronte all’imminente aurora, la luna impallidì e la natura si risvegliò festosa ad uno splendido giorno autunnale… Quale penna potrebbe descrivere l’incanto e la poesia di quegli istanti che io vivevo qui in solitudine – trasportata in mare aperto su una fragile barchetta lasciata a sé stessa e in intima relazione con tutto ciò che la mia strana situazione offriva di poetico e con tutto ciò che l’ambiente mi offriva di rimembranze classiche e bellezze naturali. Non era un gioco di prestigio o un sogno a colori – no, ciò che vedevo e mi circondava era tutta realtà, una realtà però mutata e nobilitata nel più fantastico dei sogni.”.

Il racconto che segue è tratto da 'In Calabria e alle Isole Eolie nell'anno 1860' di Elpis Melena, Rubbettino, 1997. Traduzione di Liliana De Stefano. Prefazione e note di Angelo Raffa.

Buona lettura!

 


 

Il paesino di Parghilia1, al quale giungemmo dopo sei ore di faticoso errare2, ci fece capire che ormai non eravamo più così distanti dalla nostra meta. Da questo paesino scendemmo verso la riva. Lo scrosciare di una sorgente sgorgante dalla roccia mi sorprese piacevolmente; mi precipitai laggiù per ristorare le labbra bruciacchiate con l'acqua fresca - un momento che la sfrontata guida utilizzò per farsi luce e accertarsi di cosa avesse realmente preso dalla borsa! Scandalizzata e irritata da questa enorme sfacciataggine, raccolsi, le mie ultime forze per arrampicarmi su quella non indifferente altura rocciosa su cui sorge Tropea. Ma quale vista sconsolata si aprì davanti a me quando raggiunsi la piazza della cittadina deserta3 in cui il capitano era già da lungo tempo arrivato con la sua piccola carovana.
-<<Qui è tutto sprofondato in un sonno mortale>>, mi gridò il mio amico; <<nonostante tutto il chiamare e bussare, tutte le finestre restano oscure e tutte le porte chiuse; dopo la nostra pericolosa marcia non solo trascorreremo questa notte à la belle étoile, ma anche sotto un acquazzone, visto che già cadono gocce grandi come perle!>>.
Purtroppo era proprio così, e già cominciavo a temere l'avverarsi di questa profezia, quando infine un'imposta si aprì e si udì una voce di donna e una chiave cadde ai nostri piedi. Subito Peppo aprì la porta del paradiso nel quale ci doveva condurre. Stavo per salire una scala, quando vidi in cima ad essa una figura femminile nuda, all'infuori di un leggero vestito col quale si era alla meglio drappeggiata. <<La nostra casa è occupata e questa stanza difficilmente vi basterà>>, disse la ragazza semi addormentata, indicandoci un bugigattolo - il più orrido che io avessi mai visto come abitazione umana e dal quale si sprigionava un'aria così sconvolgente, che feci subito marcia indietro per non essere asfissiata. L'apparizione di un signore ben vestito che mi venne incontro per strada mi sorprese non poco e, sebbene non mi spiegassi come egli potesse essere l'oste di una così orribile bettola, mi rivolsi a lui come tale. <<Mi perdoni, signora>>, mi rispose lo straniero in perfetta lingua italiana, <<io non sono il padrone di questa locanda, ma un particolare (qui sta per "privato", n.d.t.) locale; dato il mio lavoro all'ufficio telegrafico4, questa notte sono dovuto restare sveglio, e quando ho sentito che due viaggiatori di riguardo erano arrivati qui, ho ritenuto mio dovere offrire loro i miei servizi; Tropea non viene mai visitata dai turisti e si trova così fuori mano e lontana da ogni strada principale che, se dei viaggiatori finiscono per caso qui, devono soffrire ogni privazione>>.
Mentre il giovane calabrese parlava in modo così cavalleresco, da un'altra finestra venne lanciata giù una chiave. L'ingresso della seconda locanda era di gran lunga più ripugnante della scala della prima, poichè conduceva per dei blocchi scavati nella roccia e difficili da salire e faceva immaginare le cose peggiori.
La prima delle cosiddette camere era abitata da un malato delirante per la febbre, la seconda - un buco senza finestre - doveva servire al capitano, mentre nella stanza accanto, simile a una stalla, che toccava a me, si trovavano quattro contadini che russavano, che senza riguardo vennero strappati al loro bel sonno e, simili a dei Lazzari che sentono le miracolose parole <<prendi il tuo letto e va'>>, avvolti nelle loro coperte, improvvisamente e misteriosamente, scomparvero da una finestra nella casa vicina.
Il regno era nostro, ma quale regno! Ogni fibra mi si irrigidiva al pensiero di stabilirmi qui; solo la pioggia scrosciante e la paura di incomodare il cavalleresco calabrese - che ci aveva offerto un letto nel suo ufficio telegrafico - ci risolse ad una così difficile decisione.
Il nostro padrone di casa era stato mandato a prendere insieme alla moglie, perché qui è indegno per un oste dividere lo stesso tetto con i propri ospiti: egli lascia i viaggiatori al loro destino, o, nei casi più fortunati, alle cure di qualche ragazza, per poter abitare indisturbato con la sua famiglia in un'altra casa.
Mentre il Cavalier Tranfo - così si chiamava il cavalleresco calabrese - invitava Ser Antonio e la moglie a fare il possibile per accontentarci, esaminai il contenuto della mia borsa. Con piacevole sorpresa scoprii che il mio orologio d'oro, la collana e altri oggetti preziosi erano stati risparmiati dalle dita furtive della guida. Poiché egli si era impadronito soltanto di alcune cose senza valore, decisi di non accennare al fatto, visto che una - sia pur giusta - denuncia tra questa popolazione semiselvaggia5 ci avrebbe potuto portare grossi svantaggi.
Sopraffatta da una stanchezza che mi rese insensibile ad ogni privazione e ad ogni eccesso, caddi ben presto in un sonno profondo. Soltanto al risveglio mi accorsi in quale stalla di Augias6 fossi capitata. La luce del sole splendeva su di me attraverso le fessure del tetto; di vetri alle finestre non se ne parlava neanche e le imposte, che li sostituivano, chiudevano così male che il vento tempestoso le spalancava regolarmente. Il pavimento, decisamente mal piastrellato, era reso molle dalla frequente irruzione della pioggia e in molti posti si era trasformato in vero e proprio fango. Ero proprio occupata a sbarrare le finestre e a piazzare una batteria di pentole per raccogliere l'acqua proveniente dal tetto, quando il capitano entrò nella mia stalla, gocciolante come Nettuno e accompagnato dalla padrona di casa. - <<Brutte, brutte prospettive!>>, sospirò, prendendo dalle mani dell'ostessa un pollo che strillava lamentosamente e un cesto colmo, <<che cosa ci ha portati a lasciare anche Pizzo, dove ogni otto giorni fa comunque scalo un vaporetto, mentre qui potremmo languire intere settimane tagliati fuori da ogni comunicazione: ho appena dato un'occhiata al mare dalla spiaggia e mi sono convinto che questo temporale è giusto adesso al suo punto massimo e per quanto riguarda la promessa scelta di mezzi di trasporto, essa sembra tanto misera, quanto le locali risorse alimentari>>.
-<<Si offre infatti un vasto campo alla vostra pazienza e al vostro spirito inventivo>>, replicai al mio amico, il quale aveva intanto pronunciato un immediato giudizio di morte sul povero pollo, aveva dato diverse istruzioni culinarie all'ostessa e adesso si arrabattava nel tentativo di proteggere dalla pioggia invadente un braciere, sul quale doveva essere cucinato il nostro pot au feu.
I tuoni si susseguivano così velocemente, e il cielo si scaricava così a dirotto, che io non osavo lasciare la nostra spelonca. Ancor più benvenuta mi giunse quindi la visita del cavaliere che, non poco preoccupato per noi, ci dimostrò una cordialissima simpatia.
Poichè Tropea viene appena accennata nei moderni libri di viaggio, lo pregai di darmi alcune notizie sulla sua città natale, che io non manco di comunicare al lettore7.
Tropea è la Portercole d'una volta, una città dell'antica Magna Graecia, che venne fondata dai Greci quando si stabilirono a Capo Vaticano. Già Strabone e Plinio ne parlano. Alcuni archeologi sostengono tuttavia che la fondazione di Tropea sia da ascrivere a un condottiero romano, o Scipione o Sesto Pompeo o Augusto, e che il suo nome derivi dai trofei che furono là innalzati dopo le vittorie conseguite dal fondatore. Stefano Bizantino indica Tropea nel quinto secolo col nome di <<città della Sicilia>> - polis Sikelìa - e Belisario la fortificò e la occupò dopo il suo sbarco a Reggio.
Durante il Medioevo, Tropea appartenne sempre alla camera reale e possedette da allora i privilegi e le libertà delle Università. Gli Aragonesi concessero in seguito alla città importanti vantaggi, che furono poi confermati da Carlo V. Nell'anno 1703 essa si divise in due ceti - il ceto nobile, chiamato <<sedile erculeo>> e il <<sedile africano>>, che sembra fosse costituito da proprietari terrieri borghesi e benestanti. Questi due ceti si divisero l'amministrazione e la giurisdizione della città e dei ventitré paesi vicini, così che si può dire che Tropea aveva allora una sorta di costituzione repubblicana su principi aristocratici.
Dalla sua diocesi, che data al terzo secolo, sono discesi vescovi e cardinali. Tropea sembra inoltre aver fornito in particolare molti dignitari di corte, come tesorieri, capo scudieri e simili, così come anche generali e marescialli.
Una piccola pausa nell'infuriare e mugghiare degli elementi, ci consentì più tardi di fare una passeggiata verso la costa, dove, con l'aiuto e il buon consiglio del cavaliere, avevamo pensato di concludere un contratto con l'uno o l'altro dei barcaioli per il nostro prossimo viaggio.
Sulla spiaggia vi erano molte graziose e invitanti barche, che aspettavano soltanto il buon tempo per salpare verso Reggio, Messina o Milazzo; tuttavia per Stromboli, isolata in mezzo al mare, - la nostra sospirata meta di viaggio - vi era solo un'unica, piccola, vecchia barca, sovraccarica per di più di cipolle, alla cui vista sul volto del mio amico, certo non pauroso, si delinearono una certa ironia e sfiducia che non mi sfuggirono. -
<<Santa Maria salva in porto>>, lesse il capitano, decifrando con una certa fatica le lettere, rovinate dal tempo, che prima indicavano il nome della barca; <<ci credo che questa testuggine è salva in porto; grazie all'evidente opera di rappezzatura si può appena riconoscere qualcosa della sua forma originaria; il suo prossimo viaggio sarà certo l'ultimo, visto che deve imbarcare molta acqua e che avrà almeno ventanni>>.
- <<Vent'anni!>> interruppe il proprietario della barca denigrata con orgogliosa franchezza, <<la Santa Maria doveva avere vent'anni quando la comprai dieci anni fa; noi ci avventuriamo in mare solo col bel tempo, perché per Stromboli ci sono 50 miglia e se durante il viaggio ci sorprendesse una tropea (tempesta)8 o dovesse aprirsi improvvisamente una grossa falla, allora saremmo perduti insieme al nostro carico>>. Era strano che a Maestro Giulio non sembrava importasse di prenderci come passeggeri per Stromboli. Soltanto quando il cavaliere gli spiegò quanto gli convenisse accondiscendere ai nostri desideri, egli acconsentì a concederci un posticino in mezzo al carico di cipolle e promise di lasciare Tropea non appena il tempo lo avesse permesso; nel caso in cui, poi, durante il viaggio fossimo stati sorpresi da una tempesta, egli diede la sua parola di buttare il nostro bagaglio fuori bordo solo dopo aver fatto lo stesso con il suo carico. Per contro noi dovemmo dare subito al cavaliere otto ducati - circa otto talleri prussiani, il nolo pattuito - come pegno che avremmo perduto, nel caso in cui avessimo lasciato Tropea con una barca diversa dalla <<Santa Maria salva in porto>>. Giove approvò questo consolante contratto con i suoi fulmini e con tuoni fragorosi; le cateratte del cielo si aprirono di nuovo e, poiché la <<Santa Maria>> non ci offriva il benché minimo riparo, non ci rimase altro che salire, sotto la pioggia scrosciante, per la ripida strada che portava a Tropea. La serata, che si prospettava lunga nella nostra scomoda dimora, grazie alla compagnia del cavaliere passò con incredibile rapidità. Conoscemmo in lui una di quelle anime nobili che, esiliate dal destino in un remoto angolo del mondo e inconsapevoli delle grandi doti di cui li ha forniti la natura, si consumano inerti, senza aver visto le splendenti sfere alle quali erano chiamati.
Appartenente ad una eminente e ricca famiglia di Tropea9, improvvisamente caduta in povertà a causa della mutevolezza del destino, e privato del padre in tenera età, Antonio Tranfo10 non si era potuto dedicare a studi più seri11, che gli avrebbero aperto la strada ad una brillante carriera, poiché, quale unico sostegno della madre e della sorella, era stato costretto ad accettare un posto modesto all'ufficio telegrafico. Sebbene non avesse mai lasciato la sua città natale, dove gli mancava qualsiasi occasione di entrare in contatto con uomini istruiti12, il suo spirito era nutrito di letture molto serie, la sua cerchia di idee si era ampliata e le sue vedute politiche e religiose non solo erano sane, ma anche nobili ed elevate. Appresi anche che solo la sua preoccupazione per i suoi lo tratteneva dal seguire i suoi impulsi patriottici e dall'offrire i suoi servigi al dittatore13.
La notte era già molto avanzata quando il nostro gradito ospite ci lasciò. Per incoraggiarsi ci gridò dalla strada che il vento era girato e che la notte stellata faceva sperare in una bella giornata.
Dopo una breve visita che feci al mio vicino febbricitante, mi ritirai nella mia misera tana. Questa volta però non vi erano stati degli strapazzi durati sette ore per rendermi insensibile alle privazioni. Il sonno non voleva arrivare. Prima era il desiderio di ottenere dal dittatore qualcosa per il cavaliere a tenermi occupata, poi il pensiero della Santa Maria, le cui travature rappezzate ci dovevano dividere, come dice Byron, dall'eternità per un tratto lungo cinquanta miglia; dopo essere stata così sbattuta per lungo tempo su un alto mare di fantasmagorie e infine, spossata, volevo giungere al porto della tranquillità, un canto risuonante da lontano mi strappò improvvisamente dal felice sonno profondo. Credevo di sognare... ma il coro maschile a quattro voci veniva sempre più vicino, finché non si fermò all'entrata della nostra spelonca e intonò una scelta di bellissimi canti. Sopra tutto risuonava l'inno caro a Garibaldi, poi un canto popolare toscano, poi uno siciliano e, infine, uno calabrese. Non ricordo di avere mai ascoltato, né alle feste musicali, né nelle città universitarie tedesche, cori maschili più belli dei magnifici suoni naturali che scaturivano dal petto di questa gioventù calabrese. Non si trattava qui di rendere omaggio ad una bella dagli occhi blu in tenere rime; qui un popolo energico acclamava con semplici e robuste parole la recente libertà:

E' già distrutta quella canaglia
Che amava sempre una battaglia
Non più regna l'infamità
Viva l'Italia e la libertà!-

E' già entrata la forte Schiera

Che va gridando per la città
Viva l'Italia e la libertà!

Oh Italia, inesauribile fonte di vita della poesia e dell'arte! Sotto il tuo magico cielo persino le tue ferite, la tua miseria, il tuo abbandono si trasformano in ornamenti e fascino! Quale poeta si sentì soffiare dal tuo alito senza sentire la furia di un entusiasmo mai presagito, quale pittore ti guardò senza afferrare incantato il suo pennello, quale amante della natura osservò i tuoi tesori senza essere sopraffatto dall'ammirazione?

La magia della bella musica notturna era ancora nella mia anima, quando, ai primi chiarori dell'alba, i profondi toni minori di una voce femminile giunsero alle mie orecchie: aprii le imposte e vidi alla finestra di fronte, circondata di viti, una bella giovane donna, moglie di pescatore, che con il suo canto cercava di addormentare il suo neonato. I suoni scaturivano dalle sue labbra di corallo così dolci e malinconici, come gli sguardi anelanti che prorompevano da sotto le folte ciglia e fissavano l'ampio mare, verso il giovane marito.

In contrapposizione a questo quadro alla Hillingford me ne si offrì presto un altro non meno classico nel suo genere; quando infatti, sorpresa da un discorso concitato che si svolgeva nella stanza vicina, aprii la porta che portava in quella camera, vidi il mio amico, seduto con rassegnazione filosofica su un pezzo di legno, che mangiava alcune uova cotte su un fornellino a spirito, mentre i caratteristici volti color tanè di sei marinai mezzi nudi, che fumavano stando a bocca aperta, venivano illuminati in modo così strano dalla scarsa luce della lampada che credetti di avere di fronte un <<Teniers>> o un <<Terburg>>.

- <<Il tempo si cambia in meglio, due barche sono già in mare, ma questo cocciuto patron non vuole partire>>, mi disse il mio amico esasperato, quando entrai nella sua oscura camera.

- <<No, oggi non parto>>, ripetè Maestro Giulio deciso, <<con delle barche nuove e grandi si può ben costeggiare verso Reggio, ma con una barca vecchia e così pesantemente carica come la Santa Maria non oso partire per Stromboli>>. -

- <<Visto che voi fate solo la commedia e non volete mantenere la vostra parola, allora dateci indietro il nostro denaro>>, rispose il capitano con crescente sdegno.

L'arrivo del cavaliere, che ci veniva a prendere per una passeggiata, interruppe questa discussione che diventava sempre più accesa. Maestro Giulio non si convinceva né a partire, né a restituire gli otto ducati e il mio amico dovette adattarsi al suo destino e accompagnarci nel nostro giro.

Ci dirigemmo per prima cosa verso la spiaggia, da dove Tropea offriva una vista particolarmente pittoresca. Questa cittadina è situata in una baia frastagliata sotto la protezione di quella catena di colline che si estende fino a Capo Vaticano. Una scogliera conica, alta circa quattrocento piedi, piena di fenditure e coronata di una cappella, si innalza dai flutti di fronte a Tropea14. Un po' più in alto di questa scogliera si innalza la parte nord di Tropea con le sue chiese, i chiostri e i cosiddetti palazzi su una sporgenza composta in parte di arenaria e in parte di granito, mentre la parte sud si sviluppa verso l'interno tra giardini e vitigni.

Alla vista di questa rigogliosa contrada che si estende da Tropea al paesino di Parghelia, si potrebbe quasi credere che una benigna natura si sia qui sforzata di ricompensare lo smarrito viaggiatore delle privazioni inflittegli. Tutto diventa verde e cresce rigoglioso con vera floridezza meridionale, come ho visto soltanto sulla costa berbera o in Grecia.

Sotto questo felice pezzetto di cielo crescono prosperosi i più nobili prodotti, poiché né il gelo, né il pungente vento nordico impediscono la loro crescita. Le oscure e rigogliose fronde dell'albero di arancio o del limone, il tenero verde chiaro dei delicati melograni, le spesse foglie degli arbusti di ricino color rosso venoso e la vite pesantemente carica si contendono qui il terreno, mentre il più modesto albero di fichi, l'olivo dai rami cartilaginosi, l'aloe e il cactus, posti ai bordi rocciosi di questo giardino, formano attorno ad esso la più bella delle cornici. Il convento di San Francesco d'Assisi15 che si trova vicino Tropea, quello di San Francesco da Paola16 a una certa distanza, qui i bianchi pilastri di un portico, là una cappella o un padiglione a forma di chiosco, interrompono piacevolmente la bella monotonia di questa ricca vegetazione. Un alto canneto, la cui fioritura è molto simile a quella dell'aloe, mi ricordò moltissimo l'Algeria e la Tunisia, come anche il moresco stile di costruzione delle case dei pescatori che si trovavano sulla spiaggia e lo stridente contrasto di colore dell'accecante sabbia della riva con il profondo azzurro del cielo e del mare, che danno un'impressione veramente africana.
Avrei certo passato sognando alcune ore in quel lido se non mi avesse scossa un improvviso sparo risuonante da tutte le case, dai cespugli, dalle gole, insieme a un generale correre, gridare ed esultare. <<Cosa è accaduto?>> chiesi a un vecchio che, nonostante questo funesto spettacolo, riempiva la sua brocca dell'acqua con impassibile calma a quella stessa sorgente a cui, la sera del nostro arrivo a Tropea, avevo spento la mia sete. <<E' appena arrivata la notizia di un cambiamento di governo, viene innalzato il vessillo del nuovo re>>. - <<Buon Dio>>, pensai fra me, <<forse in seguito allo scontro al Volturno i Borboni sono riusciti a impadronirsi nuovamente di Napoli?>> I miei timori politici scomparvero però molto presto, perché si trattava di una dimostrazione di gioia, provocata dalla notizia appena arrivata della capitolazione di Ancona16. Il lettore lo può certo aver difficilmente indovinato, perché Ancona capitolò il 29 settembre e l'incerta fama, che qui ancora non viaggia sui fili di rame, giunse a Tropea il 5 ottobre!..
Non appena cessò il primo sfogo di questa tumultuosa dimostrazione, tornammo verso la città, per vederne il panorama dall'interno.
La merlate mura medievali che la circondavano sono ancora ben conservate17 e, al tempo in cui non erano ancora stati inventati i proiettili a lunga gittata e si combatteva soltanto all'arma bianca, la città doveva essere adeguata per una buona difesa. Dietro Tropea il terreno si solleva in dolci alture, in parte ricoperte da una vegetazione rigogliosa, in parte coltivate con cura, coperte qua e là da paesi e chiese, e dominate da imponenti montagne.
Il cavaliere ci condusse in alcuni giardini sulla sommità di Tropea; essi mi ricordavano da vicino i bei boschetti sorrentini di arance, solo che le numerose palme e altre piante tropicali davano loro un carattere molto più meridionale. Terminammo il nostro giro, durato diverse ore, dirigendoci verso un promontorio dal quale si gode un'ampia vista sul mare. Il vento si era calmato, il cielo si era fatto del tutto chiaro e da quell'altezza i flutti sembravano piatti come uno specchio. Con una buona lente si potevano distinguere in lontananza i deboli contorni, avvolti nella nebbia, dell'isola di Stromboli, a forma di cono - la nostra anelata meta.
-<<Com'è vero che sono vivo!>> gridò improvvisamente il capitano, dopo aver guardato fisso in lontananza per un certo tempo, <<là sono partite le barche dirette a Messina, contemporaneamente alle quali Maestro Giulio aveva promesso di partire. Quell'uomo ci ha beffati, e se è folle abbastanza da non sfruttare questo tempo, ci coglierà un'altra tempesta autunnale e noi non partiremo più>>.
Dovemmo dar ragione al capitano e non ci rimase altro da fare che dirigerci in fretta all'ufficio del cavaliere per prendere là una decisione con il barcaiolo.
L'élite della gioventù di Tropea era già radunata da don Antonio per passare la serata chiacchierando con lui à l'italienne e, mentre un paio di messi cercavano Maestro Giulio, avemmo occasione di conoscere alcuni giovani calabresi istruiti e ben informati che, come membri del bel coro maschile, erano doppiamente interessanti.
Quando infine apparve il barcaiolo, accompagnato da numerosi compagni della sua gentaglia, e il capitano, sostenuto dal cavaliere e dai suoi amici, gli chiese conto, ebbe luogo un tale pandemonio che fui presa dall'angoscia, tanto mi scoppiava la testa.
La conclusione di questo tumultuoso dibattito fu che Maestro Giulio promise di prenderci alle dieci se fino ad allora il tempo fosse rimasto favorevole per la partenza. Il cavaliere promise per parte sua di essere presente al nostro imbarco notturno e noi ci accomiatammo dai degni Lions per prepararci alla eventuale partenza.
-<<Mettetevi a dormire tranquilli>>, ci gridò da lontano don Antonio, <<Maestro Giulio non osa ancora mettersi in mare e certo non vi verrà a prendere>>.
Il nostro amico aveva ragione. Si fecero le undici, ma il barcaiolo non apparve; stanca dell'inutile attesa mi coricai e mi addormentai tra i melodici suono del canto patriottico: <<Viva l'Italia e la libertà>>.
Potevo aver riposato appena un paio d'ore, quando le forti grida di una voce a me ben nota mi strapparono improvvisamente dal sonno. Feci luce, aprii la finestra e vidi nel chiarore lunare due figure maschili - il cavaliere e il capitano.
Il mio accompagnatore di viaggio, infatti, animato dal vivo desiderio di sfuggire alla nostra spiacevole detenzione, non si era messo come me a riposare, ma, appena si era convinto che il tempo non sarebbe cambiato, si era affrettato in città - aveva destato dal loro sonno i primi senza tetto che aveva incontrato -, si era fatto condurre da loro all'abitazione del cavaliere e lo aveva tirato giù dal letto senza pietà, per pregarlo di cercare Maestro Giulio che dormiva alla marina e di costringerlo a partire; adesso quindi mi gridava a squarciagola che la Santa Maria era a galla e io mi dovevo avviare in fretta!
In un viaggio così strano come il nostro certo non mi poteva meravigliare un modo di fare così militaresco. In pochi istanti mi ero preparata, avevo pagato i nostri osti e avevo anche fatto il caffè; il mio amico mi incitava però incessantemente e, non appena ne ebbe bevuto una tazza, si affrettò con il grosso del bagaglio verso la marina per caricarlo nella barca, mentre io davo le ultime disposizioni e lo seguivo poi con il cavaliere.
La luna, che era sorta tardi, percorreva solo in un piccolo arco il cielo blu scuro, e, attorniata dai suoi obliqui strali argentati, la romantica Tropea, con le sue mura merlate, le sue torri medievali, la sua rigogliosa vegetazione e le sue montagne piene di crepacci, aveva l'aspetto di un vero ritratto magico. Una sublime quiete dominava la natura a riposo, nessuna brezza rinfrescava la mitezza dell'atmosfera leggermente profumata, e in silenzio noi percorrevamo il ripido sentiero che conduce, lungo una profonda gola verso la riva; il pensiero infatti dell'incerta barchetta che andava incontro a una incerta meta aumentava il fascino misterioso di questa quasi precipitosa partenza e mi toglieva la parola.
Ancora un piccolo tratto ci divideva dal luogo dell'imbarco, quando il saluto del capitano al cavaliere giunse alle nostre orecchie. Egli aveva già preso posto nella Santa Maria rimessa a galla e mi gridava ininterrottamente che non dovevo perdere tempo. Una schiera di improvvisati facchini, fattorini e marinai mi aspettava però in agguato e voleva essere soddisfatta prima che si consentisse di portarmi sulla barca, e Dio solo sa come mi sarei potuta sottrarre alla loro sfacciataggine e invadenza senza l'aiuto del cavaliere. Questo signorile cavaliere, che dal primo all'ultimo momento del nostro soggiorno nella sua città natale ci aveva dimostrato la più servizievole delle amicizie, ci vide partire a malincuore, poiché avevamo interrotto la monotonia della sua vita in un modo che per Tropea era del tutto inusuale, e forse avevamo svegliato in lui aspirazioni e speranze che dovevano d'ora in poi porre fine alla sua tranquillità d'animo. Io gli promisi di fare il possibile per procurargli, tramite l'influenza del dittatore, un impiego diverso18 che, insieme a un'occupazione più importante, offrisse ai suoi talenti e alle sue conoscenze un campo più vasto.
Posso paragonare la nostra posizione sulla barca pesantemente carica soltanto a quella di un tassello in un mosaico romano. La forzatura della nostra posizione, in parte eretti, in parte seduti, e l'odore, che il carico di cipolle, posto proprio accanto a noi, spandeva tutt'intorno, era infatti orribile, ma la poesia di questo viaggio avventuroso, unitamente alla prospettiva di conoscere quell'arcipelago così poco visitato, mi avrebbero fatto dimenticare ben altre scomodità.
Dietro di noi, al timone, sedeva Maestro Giulio19, avvolto nel suo rappezzato mantello da marinaio e silenziosamente astioso per la forzata partenza; davanti a noi stava la sua ciurma che consisteva dei suoi tre figli - il più giovane dei quali era un ragazzino di otto anni - di suo genero e di un marinaio molto attempato. Dato che il vento era così calmo, si dovette subito andare ai remi per muovere la Santa Maria, di profondo pescaggio, lungo la costa fino a Capo Vaticano, dove il nostro barcaiolo sperava di trovare una brezza mattutina spirante dalla Sicilia; altrimenti, nel caso non ci fosse stata, minacciava di tornare indietro.
Tutto ciò mi preoccupava però ben poco, poiché sopra di me luccicava un tale splendore di stelle che i miei occhi si pascevano in muto rapimento di quella splendida immagine proveniente dal libro della natura che era aperto davanti a me. Come sembrano piccole tutte le sorti terrene al cospetto di questi simboli celesti dell'eternità, che assistono con sorriso imperituro al nascere e al morire del genere umano. La scintillante luce stellare dovette gradualmente ritirarsi di fronte all'imminente aurora, la luna impallidì e la natura si risvegliò festosa ad uno splendido giorno autunnale.
Il sole non si era ancora levato dal suo letto purpureo, quando raggiungemmo Capo Vaticano - un punto per noi molto decisivo. Maestro Giulio guardò diffidente in lontananza verso la foschia, sempre non arrischiandosi a lasciare la costa. Soltanto dopo gli energici incoraggiamenti del capitano ordinò ai suoi uomini di issare la vela. <<Ci corre incontro una barca>>, gridò il vecchio marinaio al padrone dell'imbarcazione, mentre fermava improvvisamente la sua manovra, <<dobbiamo aspettarla>>.
Gli occhi di tutti si volsero subito verso il punto da dove proveniva un richiamo che diventava sempre più forte. <<E' il cavaliere che desidera parlare con i signori>>, gridò Maestro Giulio dopo un pausa. L'altra barca, che si avvicinava velocemente ci raggiunse subito; in mezzo agli otto rematori emerse la figura del giovane calabrese sul cui volto pallido si leggevano chiaramente i segni dell'agitazione.
-<<Non avete dimenticato nulla?>> chiese in fretta. <<No>>, rispondemmo noi contemporaneamente, dopo aver fugacemente ispezionato il nostro bagaglio. <<Anche dalla vostra borsa non è stato sottratto nulla, signora?>> continuò il cavaliere.
-<<Ma questa è stregoneria!>> gridai con grande stupore quando mi accorsi che dalla borsa era scomparso un rotolo con venti piastre, mentre io non riuscivo a ricordare quando non l'avessi avuta nelle mani.
-<<Io vidi come durante l'imbarco lei affidò la borsa a un certo Gennaro - lo stesso che mi svegliò su ordine del capitano per permettergli di partire>>, replicò il calabrese, <<egli la tenne solo pochi secondi, mentre lei stessa era occupata a prendere dalla borsa del denaro, ma questo tempo gli è stato sufficiente per derubarla. Lei aveva lasciato Tropea già da un'ora buona, quando per puro caso si destò in me il sospetto. Il pensiero che nella mia città natale le potesse capitare una cosa del genere non mi diede pace e feci pressioni su Gennaro finché egli non ammise il suo delitto, - restituì il denaro e mi pregò in ginocchio di non mandarlo davanti al tribunale. Questa volta mi è, per fortuna, riuscito di preservarla da un danno, ma lei non dimentichi, signora, che viaggia in Calabria e a quale deplorevole stato la servitù clericale ha ridotto il popolo>>.
Dicendo le ultime parole il cavaliere mi porse il rotolo di denaro, ci strinse la mano ed io ebbi appena il tempo di ringraziarlo per la sua azione cavalleresca che già la veloce barca si allontanava e presto anche il fazzoletto bianco, col quale egli ci salutava, scomparve ai nostri occhi.

 

NOTE

1 Correttamente Parghelia, che M. Paladini (Notizie storiche sulla città di Tropea, Catania 1830, Arti Grafiche Lorenzo Rizzo, p. 25), elenca fra i 23 villaggi di Tropea, <<Parghelia o Paralia... è vicino al mare e l'anno 1730 aveva 1500 abitanti. Questi abitanti sono addetti alla agricoltura, alla pesca, alla mercatura, a lavorar tonnare, a far coperte di cotone>>. G.M. GALANTI......, nel 1792 scrive (p.230) che <<Il territorio di Tropea... è tutto diffuso di picccioli casali. Tra questi Parghelia è il più grande ed esercita qualche poco di marineria>>; infatti <<Vi sono in Parghelia due feluche, le quali hanno circa 24 marinai ciascuna, le quali fanno il viaggio di Francia, di Corsica, di Genova... Oltre queste ve ne sono due altre che fanno il viaggio a Napoli. Vi sono ancora due altre paranze che fanno il tragitto continuo delle Sicilie. I marinai sono circa 200, i quali fanno il loro negozio sopra detti legni o sopra legni esteri...>> Il carattere marinaro del villaggio si coglie secondo G.B. MARZANO, Dizionario etimologico del dialetto calabrese, Laureana di Borrello, 1928, Stabilimento Tip. <<Il Progresso>>, p. 343, ad vocem, fin dal nome: egli afferma che questo deriva <<dal greco paralia, marittima, litoranea>>. Cfr. pure: G. ROHLFS, Dizionario toponomastico e onomastico della Calabria, Ravenna 1974, Longo editore, p. 229: <<Parghelia dial. Parghilia e Prajilia, sec. XVI Pragilia, ... cfr. a. 1131 in Calabria, paregialia "riva di mare", greco mod. dial. perigialia id>>; E. BARILLARO, Dizionario bibliografico e toponomastico della Calabria, vol. I, p. 99 s. ad vocem. Su alcune vicende moderne e contemporanee dei parghelioti e specialmente dei suoi antenati, v. ora Guido Mazzitelli, Parghelia, Savona 1976, Sabatelli editore: i personaggi del centro tirrenico che nel 1860 partecipano ai fatti politici e militari garibaldini, ricordati alle pp. 101-106, sono Nicola Meligrana e Antonio Mazzitelli, nominati poi ambedue capitani della Guardia nazionale.

 2 La distanza percorsa dalla von Schwartz in sei ore è fra dodici e sedici chilometri, a seconda del tragitto fatto. GIUSEPPE MARIA GALANTI, op. cit., p. 232 s., segnala fra le principali cause del miserevole stato dell'agricoltura <<le pessime strade che tolgono la comunicazione fra paese e paese>>. R. DE CESARE,...., p. 629, scrive nel suo libro edito nel 1895, ma riferendosi al periodo del viaggio della von Schwartz, intorno al 1860, che nel regno delle Due Sicilie <<le quattro grandi strade dette "consolari" somigliavano a fiumi senza affluenti, per l'assenza quasi assoluta di ogni viabilità locale... A dorso di bestie, o a piedi, si percorreva quasi tutto il regno delle Due Sicilie! Vi fu un progresso, quando venne impiantato un quotidiano servizio postale fra Napoli e le province..., Viaggiare nella posta era da signori, e però beneficio riservato a pochi, mentre tante regioni ignoravano persino che cosa fosse la ruota; e i corsi d'acqua, correndo di loro capriccio, rendevano per sei mesi dell'anno impossibile ogni transito...>>.

3 G.M. GALANTI, op. cit., p. 229, definisce Tropea nel 1792 <<... un picciolo paese pieno di gente mala. E' meschino. Le sue strade sono strette ed irregolari...>> e (p. 230) <<un paese pieno di famiglie nobili povere ed oziose>>. La situazione non appare mutata nel 1860. Scrivendo fra il 1872 e il 1875 (anno della sua morte), Nicola Scrugli (che era stato sindaco di Tropea fra il 1864 e il 1869), Notizie archeologiche e storiche di Portercole e Tropea, seguite da un discorso intorno all'Accademia degli Affaticati di questa città..., Napoli 1891, Tipografia del Cav. Antonio Morano, p. 114, afferma che la cittadina aveva un <<abitato di vie anguste e tortuose... [con] il disadorno della strada d'ingresso, tra non simmetriche e luride facciate di case...>>. Per Tropea, v. pure: G. ROHLFS, Dizionario... cit., p. 354: <<Tropea, dial. Trupia..., a. 1009 Tropaia, a. 1211 kora Tropion,... l'antico Portus Hercolis...>>; E. BARILLARO, cit., vol. I, pp. 160-164 ad vocem.

4 L'ufficio telegrafico di cui si parla doveva essere dotato soltanto di <<telegrafo ad asta>> o <<ottico-aereo>> e non di telegrafo <<elettrico-magnetico>>, dato che, fra gli uffici funzionanti con il nuovo sistema dopo il 1858, R. DE CESARE, op. cit., pp- 276-279, non ricorda quello di Tropea, ma nella <<settima divisione telegrafica>> solo quelli di Monteleone, Palmi e Reggio, e nella sesta Nicastro, Tiriolo, Catanzaro e Pizzo.

5 Eppure, lo stesso GALANTI, op. cit., nonostante abbia - come da noi ricordato - lamentato l'arretratezza del paese, rileva (p. 240) che <<Dopo Catanzaro Tropea mostra maggiore coltura nelle maniere civili>>; e ancora (p. 350) <<Si trova qualche coltura di spirito soltanto in Catanzaro, Monteleone, Tropea, Reggio e Maida>>.

6 Il riferimento è ad Augia, mitico re dell'Elide, uno degli argonauti: fra le fatiche compiute da Ercole, una consistette nella pulitura delle sue stalle dal letame accumulato in trent'anni da tremila buoi!

7 Quando E.M. scriveva il suo <<Blick...> non era stata ancora edita alcuna opera complessiva sulla storia di Tropea. Le fonti di tale storia erano allora manoscritte: LORENZO DARDANO, Del sito della città di Tropea, redatto alla fine del Cinquecento; AGOSTINO CRESCENZIO, Descrizione di Tropea, datata 1624; FRANCESCO SERGIO, Collectanea Chronologica sive chronicarum de civitate Tropeae eiusque territorio, libri tres ab u.c. usque ad annum 1720; ALESSANDRO CAMPESI, Collectanea Chronologica civitatis Tropeae, del 1736; GIUSEPPE M. CRISCENTI, Libri IV fastorum civitatis Tropeae, composti fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Due sole pubblicazioni esistevano nel 1860, contenenti accenni alle vicende civili e politiche della cittadina, ed erano ambedue recenti e di contenuto storico-religioso: F. ADILARDI, Cenno storico sulla Chiesa vescovile di Tropea, Napoli 1849 (è una 2^ ed.; non abbiamo rintracciato la data della 1^); VITO CAPIALBI, Memorie della S. Chiesa Tropeana, Napoli 1852. Elpis Melena poté consultare queste due fonti edite, o, più probabilmente, qualcuno le fornì le notizie desunte dalle fonti manoscritte: forse lo stesso cavaliere Tranfo, del quale M.E. scrive (p. 60) <<Sebbene non avesse mai lasciato la sua città natale, dove gli mancava qualsiasi occasione di entrare in contatto con uomini istruiti, il suo spirito era animato da letture molto serie, la sua cerchia di idee si era ampliata...>>. La parentela e discendenza del <<cavalleresco calabrese>> da cospicui esponenti della Chiesa tropeana, gli avranno consentito l'accesso a fonti storiche manoscritte conservate in gran parte nelle chiese cittadine (v. qui di seguito nota 9) e presso le famiglie nobili.

8 Per l'uso di <<tropea>> nel senso di tempesta, v. G.M. GALANTI, op. cit., p. 231: <<La situazione del paese posto fra due golfi rende il paese soggetto a gran tropee>>. L'origine del termine sembra greca: da trepein, volgere (in F. SCHENKL-F. BRUNETTI, cit., p. 881, ad vocem trepo, <<Oltracciò anche le forme epiche secondarie trapeo... e tropeo, attorco, volgo, rivolgo, dirigo dove che sia...>> e anche <<precipito, mando sossopra>> o <<cambio, muto>>). Quindi, esattamente il termine dovrebbe significare <<mutamento improvviso del tempo>>. G. ROHLFS, Nuovo dizionario... cit., p. 733, ad vocem scrive <<Trupìa, Tropéa, Trupija... temporale di breve durata, burrasca, pioggia d'estate che per più giorni torna quasi alla stessa ora [gr. tropaia "vento che torna dal mare alla terra"]; v. Tropina, Trabbìna>>. In G.B. MARZANO, op. cit., p. 443, ad vocem, del termine dialettale calabrese <<Tropina>> si dà questa spiegazione: <<subitanea burrasca con fulmini, temporale di breve durata, dal gr. tropaia, lat. tropaei>>. Nelle isole Eolie esite l'espressione dialettale <<trupiana>>, nel senso appunto di fortunale improvviso. V. anche G. DEVOTO-G.C. OLI, cit., p. 2566, ad vocem, <<... merid. temporale di breve durata; [dal lat. tropaei (venti) che è dal gr. tropaia (pnoe) "(venti) ritornanti", in quanto apportatori di tempesta, spirando dal mare verso terra]>>. GIUSEPPE FORESTIERO, Proposta per una grammatica calabrese, Roma 1985, Accademia degli Incolti, p. 111, inserisce nel suo <<Lessico>> la voce <<Trupìja>>, sempre nel senso di <<temporale di breve durata>>.

9 La famiglia Tranfo era fra le 59 famiglie <<numerate>> nei Capitoli del 1567, fra le 65 <<nobili>> elencate nel rescritto del re Filippo del 24 giugno 1623, e fra le 31 <<nobili del sedile>> decretate il 15 agosto 1703 (v. N. SCRUGLI, op. cit., rispettivamente pp.72, 88 nota (1), 96 s. nota (1)). Un Carlo Tranfo nel 1638 era <<Barone terrarum S. Agatae et Precacore Hieracensis Diocesis>> (v. Archivio Segreto Vaticano, Segreteria dei Brevi, 864, f. 804, 11 ottobre 1638, cit. in Francesco Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, vol. VI, Gesualdi ed., Roma 1982, n° 32816, p. 433). Una Isabella Tranfo, di Tropea, nel 1660 supplicava il Papa perchè facesse <<... ab occultis detinentibus restituere... census, scripturas, libros... ratione successionis haereditariae parentum et consanguineorum defunctorum ei spectantia, subtracta...>> (v. Dataria Apostolica, Registrum Contradict. 51, f. 2, 1° aprile 1660, ricordato in F. Russo, cit., vol. VII, 1983, n° 38901, p. 480). Un Antonio Tranfo, è nominato in A.S.V., Segreteria dei Brevi, 1493, f. 675 v., e 1495, f. 289, 27 maggio 1672, riportato in F. Russo, cit., vol. VIII, 1984, nn. 42549-42550, pp. 321 s.), quale suddiacono di Tropea, e, quattro anni dopo, quale <<beneficiato in ecclesia Monialium S. Clarae...>> (v. Registrum Lateranense 2055, f. 529, 1° maggio 1676, e in Dataria Apostolica, Per obitum, F. 91, f. 223 v., in F. RUSSO, ult. cit., n° 43619, p. 417). Nel 1724 si parla di un Antonio Tranfo di Domenico <<Ducis S. Agatae et Principis Cosoleti>> (v. A.S.V., Segreteria dei Brevi, 2608, f. 348, 15 febbraio 1724, in F. RUSSO, cit., vol. X, 1990, n° 55011, p. 279).

Fra i <<Religiosi Tropeani che fiorirono ai tempi del Campesi>> [il notaio Alessandro Campesi, che nel 1736 scrisse <<Collectanea Chronologica de Civitate Tropeae>>, rimasta manoscritta] in Tropea e altrove sono ricordati <<Giuseppe Tranfo Gesuita,... elegante Predicatore>> e <<Giuseppe Maria Tranfo Gesuita, fratello dell'anzidetto... professore e lettore di filosofia e di Teologia in Napoli>> (v. MICHELE PALADINI, Notizie storiche sulla città di Tropea, Catania 1830, Arti grafiche Lorenzo Rizzo, p. 172).

<Un Tranfo era ufficiale cadetto nella marina borbonica nel 1779 e, per ordine di Acton, si imbarcò su navi della flotta inglese, nel corso della guerra contro Francia e Spagna, in seguito alla sollevazione dei coloni d'America (v. TOMMASO ARGIOLAS, Storia dell'esercito borbonico, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1970, p. 131). Un Carlo Tranfo nel 1783 era principe di Cosoleto, e la sua famiglia <<possedeva altresì la bagliva, lo scannaggio e la gabella del pesce della città di Reggio>> (v. G.M. GALANTI, op. cit., p. 213, nota (6) del curatore Augusto Placanica). Fra i sindaci di Tropea, della famiglia Tranfo, sono ricordati (FELICE TORALDO, Il Sedile e la nobiltà di Tropea - con genealogie, documenti e tavole -, Pitigliano 1898, Tipografia editrice della Lente, di Osvaldo Paggi, pp. 130-135): nel 1569 e poi nel 1576 e 1578 Giovanni Battista; nel 1591 Giacomo Giovanni; nel 1761 Domenico di Marino; nel 1781 Gaetano, nel 1795 Giuseppe; nel 1804 Domenico; nel 1820, 21 e 22 Antonio.

In un manoscritto del filosofo Pasquale Galluppi, riportato da M. Paladini, (op. cit., p. 68 ss.; ma, in particolare, v. p. 78) fra le 23 sole famiglie patrizie <<al presente>> (Galluppi è vissuto fra il 1770 e il 1846; la parte del manoscritto attribuita a Galluppi dovrebbe essere di molto anteriore al 1825) si ricorda <<Tranfo degli odierni illustri Principi di Cosoleto e Duchi di S. Agata>>.

Ampie notizie sulla famiglia Tranfo si trovano in FELICE TORALDO, op. cit., pp. 93-101: il capostipite in Italia sarebbe un Amilcare signore di Tramps, giunto dalla Provenza con Carlo I d'Angiò; i discendenti si sarebbero stabiliti a Nicotera; dal 1567 compare questo nome nella <<numerazione del patriziato tropeano>> (v. p. 93), lo stemma della famiglia è <<d'oro con olivo verde situato sopra tre monti del medesimo [colore] col motto Sicut oliva in domo domini>>.

Secondo G.M. GALANTI, op. cit., pp. 239 e 348, <<generalmente nelle Calabrie vi è un fanatismo per la nobiltà, dalla quale si credono investite le famiglie principali di ogni paese anche più picciolo... Questi pretesi nobili affettano l'aristocrazia nelle loro miserabili patrie, mostrano un disprezzo insultante per tutte quelle persone che, non nate dalle loro famiglie, esercitano la professione legale o medica, ed appena onorano costoro col titolo di civili>>.

10 Antonio Tranfo, figlio di Giuseppe, proprietario (che era deceduto pochi mesi prima della visita della von Schwartz, il 18 aprile - Registro morti ad annum -, mentre M.E. afferma che era stato <<privato del padre in tenera età>>), e di Emilia Bernarducci, gentildonna, era nato il 23 novembre 1829 (v. Registro delle Nascite dello Stato civile del Comune di Tropea, atto n° 133 ad annum), e quindi al tempo della visita della von Schwartz la sua età era di 30 anni. Aveva quattro fratelli (M.E. afferma che Antonio era <<unico sostegno di sua madre e di sua sorella>>), Baldassarre di 48 anni, Saverio di 46, Francesca di 40, Giuseppa di 29. Egli sposerà Gaetana Gabrielli il 15 ottobre 1876 e ne avrà un figlio, Giuseppe. Le notizie errate su Tranfo, contenute nel libro della Schwartz, provenivano probabilmente dallo stesso interessato, che voleva <<giustificare>> i suoi mancati <<servigi al dittatore>> e alla causa nazionale, e spingere la nobildonna a procurargli qualche buon incarico da Garibaldi (v. appresso nel testo pp. 61 e 68).

11 G.M. GALANTI, op. cit., p. 235, afferma che <<In Tropea... mancano le istruzioni e gli stabilimenti pubblici, La nobiltà che è povera non può mandare ad educare i figli in Napoli>>.

12 A Tropea esisteva, almeno dalla seconda metà XVI secolo, una Accademia degli Affaticati, che ancora era in vita nel 1860, pur se privata dei rami delle scienze e delle arti e ridotta quindi a sola accademia della letteratura (v. NICOLA SCRUGLI, cit., pp. 123-135).

13 Un cugino di Antonio Tranfo, Giuseppe (del ramo I, linea 2^ della famiglia), invece, aveva offerto <<i suoi servigi al dittatore>>: <<precedendo Garibaldi morì nel fatto di armi presso l'Angitola nel 27 agosto 1860>> (v. FELICE TORALDO, Il sedile... cit., loc. cit.). Da Tropea Garibaldi, nella sua trionfale avanzata, non passò: la città fu solo indirettamente coinvolta nelle vicende insurrezionali. Traccia dell'impressione destatavi dall'Eroe rimane anche nei registri anagrafici, con l'attribuzione dei cognomi Garibaldino e Garibaldi ai nati da ignoti genitori (v. Stato civile del Comune di Tropea, Registro delle Nascite anno 1860, atti n° 125 e 167), così come avviene in quasi tutti i comuni del meridione (ad esempio a Milazzo, cui si fa riferimento, a tal proposito, nella nota (71) alla p. XXXII della Prefazione.

14 V. MICHELE PALADINI, op. cit., pp. 14 e 99: <<Dinanzi a Tropea dalla parte del mare vi ha due scogli, detti l'uno S. Leonardo, l'altro l'Isola... [lo] scoglio più grande è coltivato, ha una chiesa detta di S. Maria del Presepe o dell'Isola. Questo scoglio è detto l'Isola, ma per poca arena è attaccato al continente; forse un tempo era circondato tutto dal mare, al presente solo per due terzi. Vi si sale per un ponte. Dalla parte occidentale vi ha una porta... Su i due scogli i Francesi nell'occupazione militare fecero due forti>>.

15 V.M. PALADINI, op. cit., p. 106.

16 Ibidem, p. 113 s.

17 Il generale Christoph-Louis- Léon Juchaut de Lamoricière, dopo la sconfitta di Castelfidardo del 18 settembre, mentre l'indomani il grosso delle sue truppe pontificie capitolava a Loreto, con pochi reparti si era rifugiato ad Ancona, dove poi si arrese il 29 settembre. V. P. PIERI, op. cit., p. 717 s.

18 Meno di dieci anni dopo, nel luglio 1870, il Consiglio municipale di Tropea avrebbe <<deliberato di esser tolte le imposte [le porte] e diroccate le mura>>, come ricorda N. SCRUGLI, op. cit., p. 114 s, secondo il quale <<... non sarebbesi dovuto contro quelle sacre mura e contro quelle sacre torri usar mano vandalica ed esecranda... Non avrebbesi dovuto... aver l'inettezza di credere che fosse un incubo la mezza cinta delle muraglie, che serviva di prospettiva all'abitato di vie anguste e tortuose; che fosse un incubo e putisse di antico quella già diroccata porta, ch'era adatta a nascondere il disadorno della strada d'ingresso;... imperocché la vetustà delle torri e delle mura era appunto quel che formava il pregio della piccola città, ed il forestiere ammirava soprattutto quel sorprendente dell'alta torre, sul pianalto del castello, di ottanta palmi circa elevato in roccia incrostata di muraglie, e che si aveva dieci palmi di spessezza di mura, quindici di diametro interno di vuoto>>. Una descrizione precisa delle mura è in M. PALADINI, op. cit., p. 11 s. (la pubblicazione è del 1930, ma riporta notizie ricavate da un manoscritto del secolo precedente di Raffaele Paladini): <<Tropea dalla parte di terra è circondata di mura; ha fossato, ha torri, un castello, due porte, de' ponti. Le mura son ben forti; i fossati incavati nella pietra. Delle torri la nuova, detta volgarmente Torre Mastra, fu costruita per ordine del serenissimo Re cattolico D. Ferdinando d'Aragona; due piccole esterne come due altre piccole interne appartengono al Castello; un'altra finalmente detta Lunga è veramente lunga. Il castello è un'ottima fortificazione per le armi bianche; esso domina la città. (Al presente, anno 1825, è diruto quasi interamente). Delle porte la principale è quella che riguarda l'oriente, volgarmente detta porta di Mare, la seconda è detta porta di Vaticano. (Oggi, 1825, si ha la terza porta Nuova, aperta qualche anno dopo il terremoto del 1783 sotto l'ingegnere D. Ermenegildo Sintes: ed abbassata nel decennio). La porta di Mare ha ponte levatoio con profonda fossa innanzi. Il ponte di tavole, che ultimamente era fisso, fu tolto l'anno 1824, essendo Sindaco D. Antonio Pelliccia e si costruì una volta. La porta di vaticano ha più ponti incavati nella pietra, l'ultimo dei quali è levatoio. Questo, che da più tempo era fisso, fu tolto l'anno 1822 essendo Sindaco D. Antonio Tranfo e si sostituì un passaggio in pietra>>.

Sulle vicende urbanistiche di Tropea, v. <<Dossier Tropea - Studi, contributi, appunti per una lettura integrata delle sue componenti tipiche>>, a cura di G. Lonetti, Tropea 1990 Romano edizioni; per individuare la situazione urbana del 1860, pp. 43-76, Lonetti Giuseppe e Repice Anna Maria, Allegati di indagine critico-analitica con appunti di storia della città - Studi e analisi di G.L. e A.M.R., e spec. pp. 49-51 con le relative mappe.

19 Evidentemente l'interessamento della nobildonna (se vi fu) non sortì alcun effetto, poiché il povero Antonio Tranfo resterà <<uffiziale telegrafico>> per tutta la vita: così viene qualificato, infatti, nell'atto di morte del 26 ottobre 1880 (v. Registri di morte dello Stato civile del Comune di Tropea, atto n° 133 ad annum), dal quale sappiamo che egli (sposato a Maria Gaetana Gabrielli appena quattro anni prima - il 15 ottobre 1876 -: v. Registri Matrimoniali com. Tropea atto n° 20 ad annum), scomparve all'età di 50 anni, <<nella casa posta in via Aragona>>, quella probabilmente in cui vent'anni prima <<si adunava l'élite della gioventù di Tropea... per passare la serata chiacchierando [con don Antonio] à l'italienne>> e intonando cori patriottici (v. testo, pp. 61 s. e 65).

La realizzazione dell'unità d'Italia non apporta a lui, come ad altri cittadini del sud, vantaggi immediati, piuttosto gli farà certamente subire il dimezzamento dello stipendio, mettendolo in una sorta di drastica e immediata... cassa integrazione. Infatti, il Regio Decreto del 14 novembre 1861 (V. Collezione delle Leggi ed Atti del Governo del Regno d'Italia - anno 1861 -, Napoli 1867, Stamperia Governativa, n° 332 a p. 621 s.), sopprimendo <<il servizio telegrafico ottico-aereo nelle Province Napolitane ed il quelle di Sicilia>>, stabiliva che i dipendenti, che non avevano raggiunto ancora l'età di pensione, <<sono collocati in disponibilità con metà dello stipendio attuale, fino a che sia diversamente provveduto al loro riguardo>>.

19 Abbiamo cercato di documentare l'esistenza nel 1860 a Tropea di un proprietario di barca - maestro Giulio - con tre figli, costituenti quasi l'intero equipaggio della <<Santa maria salva in porto>>, con il più giovane componente dell'equipaggio, secondo il racconto di Elpis Melena. A parte i nomi, Giulio e Tonio, vi era un solo <<padron di barca>> che può corrispondere a quello di cui parla l'autrice: si tratta di Paolino Bagnato, coniugato con Paola Marchese, che in quell'anno aveva quattro figli maschi, Tommaso di 28 anni, Antonio di 23, Francesco di 13, Gerardo di 8, e quattro femmine, Domenica di 18, Caterina di 16, Eleonora di 14, Maria Romana di 7, padron Paolino aveva allora 55 anni, otto figli, tre dei quali imbarcati nel suo gozzo, insieme al genero, marito della figlia maggiore; il mozzo che continuamente raccoglieva l'acqua di sentina dovrebbe essere giovanissimo Gerardo, a cui la dura precoce vita di mare non gioverà certamente, dato che morirà nel 1879 alla giovane età di 27 anni: lo stesso padre gli sopravviverà, morendo a 76 anni nel 1882. V. registri di nascita anni 1832 (atto n° 95), 1837 (111), 1842 (25), 1844 (5), 1845 (170), 1847 (131), 1851 (170), 1853 (137); Registri di morte anno 1879 (atto n° 28), 1882 (atto n° 61).