IL MARCHESE
FELICE TORALDO
 
 

di Pasquale Toraldo
 
 





Il Marchese Felice Toraldo nacque in Tropea il 14 novembre 1860. Il babbo: Don Orazio Toraldo, dottore in legge e lettere; la mamma: Donna Maria Teresa, anche ella del medesimo casato; un perfetto gentiluomo, a dir di tutti, il padre ed una signora compita la madre.
Dalla scuola dei due virtuosi genitori il delicato figliolo non poteva non trarre proficui insegnamenti. Fu la famiglia la prima palestra ove egli si esercitò in quelle elette virtù che formarono in seguito il suo prezioso ornamento.
Fece i suoi primi studi nel Seminario di Oppido Mamertina, allora considerato come un vero centro d'illuminata coltura, e quivi ebbe a compagno il noto e gentile poeta calabrese Felice Soffrè.
Però poco vi stette: i genitori mal pativano la troppa distanza, in quei tempi ritenuta enorme, e poi anche la sua salute non vi trovava grande conforto. Sicchè rientrò in famiglia, dopo essere stato per breve tempo nel patrio Seminario finchè vi furono alla direzione i Padri Gesuiti, e continuò a studiare da sè, solo ricorrendo qualche volta al sacerdote Giuseppe Barone De Felice. E ben può dirsi, senza tema di smentita, che tutto quel vasto patrimonio di scienza ch'egli possedeva se lo acquistò da sè: un magnifico esempio di autodidatta.
Ebbe la sventura di perdere il babbo troppo presto, e dovette quindi prematuramente assumere le redini della sua famiglia, e tali condizioni non gli permisero il conseguimento di alcun dottorato.
All'età di 25 anni, nel 1885, passò a matrimonio con Donna Raffaella Taccone. La vita coniugale non troppo lo distrasse dall'amore allo studio; anzi egli sempre con maggiore lena alimentò questa nobile fiamma ed ebbe due validi sostenitori negli zii paterni, con cui conviveva: il mirabile latinista P. Giuseppe, già della Congregazione del S.S. Redentore, e l'Avv. Carlo, che tanti sprazzi di luce fulgidissima lanciò nel Foro Partenopeo e che al Parlamento Napolitano del 1848 fece magnifica mostra di sè, tanto da essere subito eletto a segretario di quel consesso. La compagnia d'un profondo cultore della lingua di Virgilio, quale P. Giuseppe, e quella d'un celebre civilista, matematico, astronomo, poliglotta, patriotta e uomo politico, quale Don Carlo, non poteva non esercitare influsso sul Marchese Toraldo, sempre avido di nobile e sodo sapere.
Ma se in vasti e svariati campi ebbe la farfalla a svolazzare, in uno però di preferenza si fermò ed in questo dette magnifiche prove: il campo della storia calabrese, tropeana in specie, e delle arti belle: la pittura, l'architettura, la scultura.
L'amore alla storia gli avvivò l'amore alle gloriose vicende del suo illustre casato, e lo indusse a indagini speciali nel vasto dominio delle scienze araldiche; in tali studi si accentra in lui un ardente desiderio di rendersi figlio non degenere degli illustri avi, e perciò una continua cura di far onore alla famiglia. Perchè questa crescesse in lustro e splendore, inizia pazientemente le lunghe e difficili pratiche per il riconoscimento del titolo marchionale, che finalmente, con Lettere Patenti del 2 luglio 1911, S.M. il Re Vittorio Emanuele III gli rinnovò, di suo sovrano motu-proprio, e considerate anche le elette virtù del richiedente.
L'amore alla famiglia non può non generare l'amore alla patria, amore che rende perfetti cittadini.
L'amore alle arti belle ne fa un appassionato cultore, un critico perspicace ed elegante.
E di questi amori prove ne sono le numerose pubblicazioni ed i numerosi articoli apparsi su vari giornali e riviste; tutti apprezzati dai dotti ed alcuni anche ricercati con impazienza, degni di speciale nota: il Sedile e la Nobiltà di Tropea; Le Investiture di Casa Toraldo nel 1500 e 1600; I Calabresi a Lepanto; Il Ciborio del Vescovado.
L'amore alle belle lettere e al venerato zio Giuseppe, da poco defunto, gli fa curare nel 1900 la edizione della mirabile versione latina, da questi fatta nella tarda vecchiaia, della Gerusalemme liberata del Tasso, ch'egli poi offre in dono alle più rinomate bibblioteche del mondo, e ai più illustri cultori dell'idioma latino, dai quali tutti riceve giudizi di grande ammirazione.
L'amore alla Patria gli fa accettare tutte quelle cariche che può offrire una piccola città e che egli crede di poter assumere e ritiene compatibili con le molteplici occupazioni che le gravi cure della paternità gli procurano e l'amministrazione del suo vasto patrimonio gli permette.
Fu più volte consigliere comunale, membro della Congregazione della carità, delle Commissioni pei lavori di sistemazione del Cimitero, per l'accertamento dei fabbricati, per la distribuzione dell'acqua a domicilio; bibliotecario comunale, regio ispettore per i monumenti e scavi per i mandamenti di Nicotera e Tropea, membro della Reale Commissione Conservatrice dei Monumenti della provincia di Catanzaro.
Mai sindaco, perchè mai volle essere, sebbene più volte con viva insistenza premurato; mai deputato al Parlamento, benchè anche questa delicata mansione ricevesse preghiere e sollecitazioni. E ciò non per ignavia, ma, come sovente affermava, perchè sentivasi incapace: troppo modesto!
Ridette vita insieme con altri amici alla Congregazione dei Nobili, vecchia istituzione tropeana; trasse dall'abbandono il vecchio locale del Sedile di Tropea e fece sì che vi s'installasse un circolo tra i gentiluomi di Tropea, che tanto onora la città; e ciò volle anche con l'anticipare capitali per il restauro del fabbricato, e ultimamente, per nuovi lavori, si sottoscrisse per una generosa offerta.
Si istituì un pastificio, ed egli unicamente per incoraggiare l'opera, che tanto bene evrebbe fatto alla sua patria, firmò varie azioni e costruì a sue spese apposito locale.
Si istituì una distilleria ed egli non solo ne sostenne la fondazione con l'anticipare considerevole danaro, ma anche con l'amministrarla saggiamente per parecchi anni e gratuitamente. E lo stesso si dica del Consorzio Agrario di Tropea e di una tipografia.
E quanto era felice di dar anch'egli vita a quei graziosi giornaletti tropeani: Il Gazzettino di Tropea e prima ancora al Galluppi. Era tutto lieto di collaborare fecendovi inserire articoli, tutti densi di dottrina, sempre spiranti tenero amor patrio, tutti improntati a delicato e fine studio di eccitare questa nobile fiamma nei cuori dei suoi concittadini.
E se il porto si sta costruendo ed i lavori già volgono al fine, vorrei quasi affermare che il merito è suo, e se egli non ne fu l'artefice principale, oh, certo l'opera sua non fu seconda a quella di nessuno! Sarei ben felice di trovare negli archivi di coloro che si occuparono per un'opera sì importante un cumulo di documenti ad hoc come lo si trova in quello del Marchese Toraldo: cumulo straordinario di lettere di personaggi interessati dal Marchese Toraldo efficacemente, perchè il porto divenisse realtà. E non solo scrisse lettere, ma moltissimi e svariati articoli apparvero su più giornali a frequenti riprese. E qualche viaggio a Roma, lui privato cittadino, qualche volta non l'omise ed appositamente lo intraprese!
Era l'amore alla patria che lo spingea, non l'interesse personale. E larghissime concessioni fece egli pure per una tal opera, giacchè una sua proprietà, uno scoglio, secondo il progetto, veniva ad essere danneggiata.
Qualunque opera buona fu da lui sempre efficacemente applaudita e se talvolta l'effetto non sortiva, certo la colpa non era sua.
Ricordo che un tempo sorse a benemerite persone l'idea di costruire in Tropea un sanatorio per i tubercolotici ed egli subito offrire gratuitamente lo scoglio di san Leonardo, di sua proprietà, per due terzi lambito dal mare.
Altra volta fu la proposta di ampliare la Chiesa Cattedrale di Tropea e subito offerse un suo giardino che con cotesta confina, e nella cui area si sarebbe dovuta estendere la nuova costruzione.
Un'insigne Accademia letteraria tropeana, la cui origine pare doversi ricercare tra gli albori del 1500, detta Degli Affaticati, egli chiamò a novella vita e ne fu eletto Principe.
L'Istituto Araldico Italiano lo ebbe a suo prezioso membro, come la Società di Storia Patria Calabrese, la Società degli Amici dell'Arte di Reggio Calabria, il Circolo Numismatico Napolitano, il Comitato per i Congressi internazionali di Storia dell'Arte.
Fu, come ottimo cittadino, figlio della Chiesa, ardente di amore per quella Religione ch'egli praticava con scrupolosa osservanza. E fu proprio per questo ascritto da Leone XIII tra i suoi camerieri d'onore di cappa e spada e da Pio X confermato, e promosso a cameriere segreto di cappa e spada da Papa benedetto XV e mantenuto dal f. r. Pio XI.
Dei Frati Minori fu Sindaco Apostolico sin dal 1897, della Società della Gioventù Cattolica Italiana fu membro corrispondente dal 1900, dell'opera dei Congressi Cattolici fu delegato diocesano, membro della Società degli Avvocati di S. Pietro dal 1881 e durante l'episcopato di Mons. Taccone-Gallucci e quello di Mons. Leo fu Presidente della Giunta diocesana. Il Sovrano Militare Ordine di Malta lo ammise nel 1920 tra i suoi cavalieri di devozione.
In politica fu sempre per quella parte che mentre tendeva coi fatti al vero benessere della Patria, garantiva il pieno rispetto ai diritti della Chiesa, ed è per questo che allorquando si costituì il Partito Popolare, egli vi dette con entusiasmo il suo nome e della Sezione di Tropea accettò la Presidenza.
Iddio benedisse il Marchese Toraldo e col dargli numerosa prole, otto figliuoli, sempre largo di sapienti ammaestramenti, e coll'essere affettuoso e fedele consorte indicò loro la via da battere nel futuro e la condotta da tenere.
Dei suoi vasti possedimenti fu abile amminitratore e dell'agricoltura fu benemerito, poichè nulla trascurò per la razionale coltura dei campi.
Aumentò il patrimonio artistico della sua famiglia, acquistando numerose tele di pregiati autori, col raccogliere un grande numero di antichissime artistiche terrecotte, bronzi...
E si formò un magnifico monetiere, degno di attenta considerazione, arricchì poi la sua già ricca biblioteca con moltissime opere, delle quali alcune veramente rare.
Mentre ancora era in florida salute ed in età relativamente ancor giovane - a 63 anni - un fiero male lo abbattè, dopo averlo seviziato per 15 giorni, poco più di un mese dalla morte crudele del suo diletto primogenito Orazio, perito anche egli di quella setticemia tifosa che in quei giorni, nella ridente cittadina, molte altre vittime fece.