Tropea. Chiesa del Purgatorio. Il Priore della Congrega delle Anime del Purgatorio, Saverio Callisto e la Campana Maggiore, rovinata dal guano dei piccioni.
La campana porta impresso il marchio delle fornaci Scalamandrè di Monteleone e l'anno di fusione, 1876. La Chiesa fu finita di costruire nel 1854, anno della sua inaugurazione.
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ALCUNI CENNI STORICI
sulla fonderia di campane
in Monteleone
 

di Federico Tarallo
(1908)


Da oltre due secoli in questa città, illustre per i ricordi istorici, esiste una fonderia di metalli, l'unica forse e la più accreditata dopo quella tenuta dal Vinacci in Napoli nello scorcio del secolo decimosettimo.
La sua origine, a quanto risulta dalle nostre ricerche, poichè nulla su ciò troviamo scritto, risale al 1671, tempo in cui un Gerardo Olitapo da Vignola, fonditore di campane girovago, qui lungamente fermossi per espletare le molte incombenze che dai paesi circonvicini aveva ricevute.
A non lungo andare un suo figlio, il cui nome non è a noi pervenuto, m'anche lui fonditore, s'imparentò con la famiglia Bruno togliendo in isposa una di questo casato.
Corsi più anni, e cioè verso il 1700, la fonderia impiantata dagli Olitapo cessò dal funzionare, o meglio, di essa non si ha notizia alcuna che chiarir potesse con precisione che cosa ne sia addivenuta.
Fatto sta che una nuova fonderia venne su verso i primi dell'ottocento gestita da un Gerardo Bruno e da questi lungamente tenuta finchè passata in potere di due suoi figliuoli Niccola e Gennaro, non fu da costoro fino al 1815 esercitata.
Grande fu il credito da questa fonderia raggiunto durante la giurisdizione del primo Bruno; basti il ricordare che non soltanto le principali Città e Comuni delle nostre Calabrie si recarono a vanto il giovarsi di essa per ottenere le campane per le loro principali chiese ma benanco da lontane Provincie facevasi a gara per procacciarsene, siccome rileviamo da un libro di memorie a Gerardo Bruno appartenuto, e dai suoi discendenti a noi cortesemente esibito.
Per la qualcosa noi, sorvolando le campane di minor rilievo che in numero elevate riscontriamo, accenneremo di poche soltanto a sol fine di avvalorare vie meglio il nostro asserto.
Nel 1758 adunque il Bruno fuse per Laurino una campana di cantaia (1) sedici; nell'anno medesimo ne fuse una seconda di cantaja venti chiestagli da Capizzi la Grosa. Due anni dopo ne fuse un'altra di cantaja sette per Ripacandida, e nel 1771 ne compì una di cantaja diciessette per Marciano. Una seconda, di cantaja otto e mezzo, detta la campana di S. Giacomo, inviò a Barletta, ed egualmente nel medesimo anno ne fuse una di cantaja quattordici per Nardò ed una terza del peso di cantaja quattordici e due terzi per Oria; anche S. Giovanni Cortleto ebbe nell'anno susseguente una campana di cantaja nove e mezzo; ed un'altra, il cui peso non è registrato, l'ebbe il Cilento.
Ma quello che maggiormente onora la memoria di questo nostro fonditore, è la esecuzione, che troviamo anche registrata nel libro di memorie su indicato, delle due grandi campane, l'una commessagli dalla città di Nola, l'altra dalla città di Capua.


Tropea. Chiesa del Purgatorio. Campana Maggiore. Il Marchio di Fedele Scalamandrè, che continuò l'attività del padre Raffaele, scomparso nel 1875.

Di sopra abbiamo notato che Gerardo Bruno abbe due figli, Niccola e Gennaro; noi però, per debito di esattezza, prima di venire a parlare del secondo di questi fratelli, sentiamo il dovere di ricordare parecchi altri fonditori in varie epoche dimoranti in Menteleone, i quali, sebbene a noi affatto sconosciuti per manco di notizie, e degli attuali fonditori financo ignorati, alcune loro opere, tuttora esistenti e venute in nostra cognizione, ci ammoniscono a non obliarli del tutto.
E prima d'ogni altro ricorderemo i fratelli Giovanni, Placido e Francesco Gullo, che nel 1697 fusero la campana maggiore della Chiesa di S. Michele in questa città, siccome dalla iscrizione inerente alla stessa campana si rileva; un altro a nome Geronimo Golito da Vignola, che nel 1713 fuse le due campane dell'orologio della Chiesa anzidetta, a quanto sopra di quelle troviamo segnato, e finalmente un Gennaro Avolito, pur di Vignola, che vuolsi sia stato l'immediato successore dello Olitapa.
Ma noi, affidando a più minuziose e fortunate ricerche il nome di questo ultimo fonditore, prim'ancora di passare a dir di altri a noi più noti, ricorderemo un altro Bruno o Bruni, quasi completamente ignorato e venuto in dimenticanza ai suoi stessi discendenti. E questi Saverio Bruni, il cui nome e la cui esistenza è fino a noi giunta dopo lunghe ricerche, e del quale siamo riusciti a scoprire una sua opera, la campana piccola della ripetuta Chiesa di S. Michele, che porta la data 1804, siccome attesta la seguente iscrizione che vi si legge:
<<Opus Xeverii Bruni a Vincola>> 1804.
Coordinati nel modo migliore che ci è stato possibile questi brevi cenni su la fonderia Vibonese, accenneremo com'essa, circa il 1815, sia venuta in potere degli Scalamandrè.
Non minore di quella del suo predecessore, grande fu la maestria di Gennaro Bruno nello esercizio della propria arte. Poco o nulla avvalendosi di suo fratello Nicola, poichè fin da giovane costui era affetto da mal di gotta, fin dai primordi della sua carriera Gennaro videsi astretto a far tutto da sè, e certo assai numerose furono le produzioni uscite dal suo opificio, avvegnacchè, come quelle del suo defunto genitore, di continuo gli venivano richieste dal di fuori delle nostre Provincie.
Ma pervenuto il 1815, un caso inatteso indusse questo ultimo Bruno a smettere dalle assidue sue occupazioni, facendogliene riserbare per poco altro tempo la rappresentanza soltanto.
Il Bruno, teneva presso di sè da più tempo l'adolescente Raffaele Scalamandrè, figlio di una sua congiunta, meno per educarlo nella propria arte che per servirsi di lui nella formazione delle sagome bisognevoli alla costruzione dei modelli, essendo Raffaele avviato al mestiere del falegname.
Or avvenne che dovendosi fondere una campana le cui dimensioni, superiori a quante altre mai finallora al Bruni erano state commesse, esigevano proporzioni diverse sì nelle curve, come nelle falde e nella corona. A ciò fare con tutta lena vi si accinse il nostro fonditore; ma per quanta attenzione ei vi avesse posta i risultati che ne otteneva erano ben lungi dal soddisfarlo. Ripetuto più volte un tal lavoro non ne veniva a capo, finchè, infastidito d'una simile disdetta, divisò differirlo ad altro, e così fece.

  
Tropea. Chiesa del Purgatorio.Campana Maggiore. Particolari delle incisioni del nome del committente
Domenico Braghò di Cesare e di un crocefisso.

Lasciato in custodia l'opificio al nipote, si recò ad una sua tenuta di campagna per darsi svago, e ricorrendo in quel tempo la vendemmia, vi si trattenne finchè questa non fu terminata.
Sbollitogli frattanto il malumore in cui messo l'aveva la cattiva riuscita del suo modello, ritornato in città, sua prima cura fu quella di recarsi all'opificio per riprendere l'abbandonato lavoro; ma entratovi appena, qual fu la sua meraviglia nello scorgere sul gran tornio ove si girano i modelli, quello da lui tanto desiderato ed invano più volte rifatto?
Il piccolo falegname, pur senza mai aver udita dalo zio una parola che istradar lo avesse potuto sul modo di adottare le curve richieste dalla diversa dimensione delle campane perchè la forma e la sonorità di esse rispondesse alle dovute esigenze, col solo assistere alle operazioni di lui, col tener bene a mente ciò che quello facevagli eseguire, senza però mai nulla spiegarli, tacitamente aveva intuito quanto bisognava fare per riuscire nel desiderato intento, e nei giorni di assenza del Bruni si era dato ad eseguire il modello e con tanta perfezione il condusse a termine, simmetria ed eleganza di parti, che quello, ammirato del nobile ardire del giovinetto, dopo averlo più volte abbracciato, gli chiese se, come pel modello gli dava l'animo di fonder la campana; ed avutane risposta affermativa, passò ad interrogarlo circa le varie proporzioni della lega da darsi al metallo, su la intensità necessaria ai riverberi della fornace, sul modo di costruire la camicia o madreforma del modello ed altre domande inerenti tutte alla diffficile operazione ch'è la fusione e il gitto dei metalli, ricevendone sempre soddisfacente risposta.
Lieto in cuor suo di aver senz'avvederselo trovato nell'adolescente Raffaele colui che a non lunga scadenza lo avrebbe surrogato, il Bruno tenne la sua promessa e fecegli fondere la campana, contentandosi di sorvegliarne la esecuzione, il cui esito tanto lo appagò che da quel giorno non fuvvi opera a lui commessa ch'egli non avesse interamente al nipote affidato, il quale, istradandosi sempreppiù in poco tempo sorpassò lo zio, siccome lo dimostrano le tante sue opere fino a tarda età eseguite, parti delle quali, e forse le ultime, sono a noi note, essendo Raffaele morto nel 1875 in età di ottantasei anni.
Un tale avvenimento, che a prima giunta può sembrare inverosimile a chi ignora quanto possa l'attitudine e la innata tendenza ad apprendere un'arte in qualsivoglia individuo, con ingenua frase e lagrimante di emozione, in altro tempo ci fu narrato dallo stesso figlio di Raffaele Scalamandrè, attuale detentore della fonderia, del quale, chi scrive questi appunti fu sempre amico e sincero ammiratore.
Non vecchio ancora, e tuttora dedito ai più ardui lavori, Niccolò Fedele Scalamandrè da gran tempo attiva l'opificio paterno. Questo artefice può ben dirsi il perfezionatore dell'arte di fondere le campane e perciò uno tra i primi delle nostre meridionali provincie.
Noi non ricorderemo in questo luogo le numerose sue opere in genere siffatto; diciamo solo che per l'esatto e diligente gusto col quale ei le decora e le ripulisce, non vi ha chi lo superi, poichè i suoi lavori ti paiono usciti dal cesello.


Tropea. Chiesa del Purgatorio. Campana Minore. Particolari del Marchio di Felice Raffaele Scalamandrè
e dell'anno di fusione 1877.

Egualmente superfluo stimiamo il far parole della perfetta sonorità ch'egli, mercè la studiata ripartizione dei metalli e la elezione della forma, imprima a ciascuna campana; ciò nulla meno, aggiungeremo che per queste qualità essenzialissime, l'attuale Scalamandrè sempremai riesce perfetto, e che il numero delle sue fusioni supera le quattrocento, tra le quali ve ne ha registrate parecchie eccedenti il peso di quintali dieci, essendo quella fatta per Maida di q. tredici, di Monteleone, pel Duomo, q. diciannove, per la Cattedrale di Mileto, una di venti l'altra di tretasette quintali, per tacere di alcune altre pur di grossa portata, quali son le campane fisse per Palmi, Cosenza e per altri siti.
Pochi anni or sono, dal Cav. Antonio dei Marchesi di Francia, venne proposto al Sindaco di Messina per la rifusione della vecchia grandiosa campana, il cui peso sorpassa i settantanove quintali, da molto tempo tolta al campanile del Duomo di quella città perchè in parti spezzata; e già l'opera sarebbe stata recata a compimento, se, per una irragionevole pretenzione di quel Sindaco, l'amor proprio dello Scalamandrè, e assai più la sua intemerità, non fosse stato costretto a ribellarsi.
Tuttavolta, questa grande campana giace inerte e polverosa al sito ove l'avevano deposta. senza mai averla rifatta, segno evidente questo che la Sicilia non seppe, o forse non volle, offrire gli opportuni mezzi per rimetterla in vita.


Tropea. Chiesa del Purgatorio. Campana Minore. Particolare del nome del committente Monsignore Vaccari e di un bassorilievo
raffigurante le Anime del Purgatorio.

Lo Scalamandrè fonde anco in argento; non è gran tempo e noi abbiamo ammirato un suo getto di questo metallo, dal peso di diciotto Kg., rappresentante un bambino in alto rilievo statogli commesso dalla Signora Mazzapica nei Francica.
Nel 1902, questo nostro valoroso fonditore, pressato dai suoi amici, e più dallo scrittore di queste poche righe, inviò alla Esposizione Internazionale campionaria di Marsiglia una campana del peso di cinque quintali, riportandone il gran premio, con medaglia d'oro e diploma di onore, <<pour la specialitè de lours cloches de bronze>> (2) ed ugual premio conseguendo alla Esposizione Campionaria Internazionale di Roma, ove pure nello stesso anno inviolla.
Monteleone, Aprile 1908
F. TARALLO
 

NOTE
(1) Il cantajo cprrisponde ad 89 Kg. e 30 grammi.
(2) Lo Scalamandrè, nella rappresentanza della Ditta, al proprio nome aggiunge quello dell'unico suo figlio, Raffaele, anch'esso fonditore e promettente una sicura quanto splendida riuscita.