PREFAZIONE
                                                                                                             di Francesco Ruffa
 
 

PERSONAGGI

TERAMENE   CRIZIA   ISOCRATE   DIRCEA   AGORATO   IPPOLOCO
Un SENATORE   Tiranni   Senatori   Guardie


La Scena è in Atene, innanzi al tempio di Pallade,
presso il soggiorno di Teramene
 

ATTO PRIMO

SCENA I

TERAMENE, DIRCEA

DIRCEA
Deh per pietà non iscostarti, o padre,
Da' lari tuoi. D'alti perigli Atene
Or per chi l'ama abbonda. I tuoi disegni
Invan procuri a me celar: lo starti
D'ogni cura domestica distolto,
Il meditar profondo, ed il frequente
Agitarti inquieto, appo la figlia
Tradir l'arcano tuo; nè mai tremante
Vissi per te quant'oggi.

TERAMENE
Ed oggi, o figlia,
Tu meno il dei.. Chi ha puro il cor non tremi.
Dimmi, Dircea, di caldo amor verace
Ami la patria?

DIRCEA
Al par di te m'è cara:
Ma dacchè la superba emula Sparta
La vinse e soggettò, spenta la credo,
Miserando suo fato io piango, io fremo...
La patria ove, ov'è più?

TERAMENE
Ne' Terameni :
(Che sol non sono) - Or se cotanto l'ami,
Cosa da me saprai, che al timor tuo
Sottentrar farà gioja. Io ben l'altezza
De' tuoi sensi conosco, e i miei disegni
Nascosi a te finor sol perchè incerti,
Sol perchè non maturi. E' tempo, è tempo
Ch'io tutto a te confidi. Io voglio, io debbo
Rassicurar l'animo tuo dubbioso,
E certo son che, da mia degna figlia,
Lungi dal farti ostacolo a' miei passi,
Nuovo spron mi sarai - Sì, questo è il giorno
Che Atene sorgerà, che fia di Sparta
Sottratta a' ceppi, che assaliti; spersi
Saranno i Lacedemoni soldati,
Che i rei cadranno cittadini infami,
I quai piegar l'altera fronte al giogo,
Per imporlo alla patria.

DIRCEA
Ah tu m' addoppi
Il timor con voler che troppo io speri.

TERAMENE
Lieve l'opra non è: Lo so, l'intendo;
E inciampi, e rischi a chi canuto ha il crine
E' vano presagir: ma la tua tema
Non approvo però. Del ben d'Atene
Trattasi, e di mia gloria: amici i Numi,
L'uno e l'altra otterrò: contrarj, solo
Potrian l'uno impedir, ma l'altra, ah l'altra,
Che all'imprese magnanime è congiunta,
Torni non potran mai. Che temi adunque?
Ch'io colga eterno onor?

DIRCEA
Temo che tanto
Non ne corrai, quanto, indugiando il colpo,
Acquistarne potresti. Or quai seguaci
Ti prometti, o Signor? Di sdegno oggetto
De' trenta alla tirannide feroce,
Tu meno in odio al popolo non sei,
Che in quel tremendo numero ti conta.

TERAMENE
Ai prodi, ai veri Ateniesi, in cui
Sta la pubblica sorte, appien son noto.
Pensin di me, come lor piace, i vili;
Uso a sprezzarli io son. Del poter loro
Me pur chiamando a parte, i rii tiranni
Han creduto attirar sovra il mio capo
L'odio d'Atene; ma non fer che darle
Una vista, un udito, ed una voce
Ne' reconditi lor congressi iniqui.
Sì, per meglio aitarla, aspetto io prendo
Di suo duro oppressor. De' miei nemici
esplorator compagno, i sensi interni
Così ne apprendo. Ah fra i tiranni istessi
V'ha chi tal non saria senza i raggiri
Dell'empio Crizia, e v'ha chi tal s'infinge
Sol per tema di lui, che ormai s'è reso
De' Tiranni tiranno.

DIRCEA
Il più tremendo
Pur troppo egli è.

TERAMENE
Ma il più esecrato: quindi
Lieve il perderlo fia - Ma poco parmi
Tanta impresa svelarti, io parte voglio
Anco affidarne a te. Discepol mio
Nell'arti malagevoli di Stato
Isocrate, e compagno in quanto imprendo
A prò d'Atene, ama la patria anch'egli,
Ma te più assai: nel petto suo non ferve
Il patrio amor con quel divin trasporto
Che solo spinge alle grand'opre. Io dunque
L'uno a ravvalorar coll'altro affetto,
Del cittadin suo zelo i tuoi sponsali
In mercè gli promisi, e con secreto
Patto fra noi fu all'imeneo prefisso
L'istesso dì, che in queste serve mura
Libertà fia risorta. Or tu seconda
Le mie mire, o Dircea: d'onor le fiamme
In lui ravviva: ei n'arde. E' per se stessa
Bella la gloria, ma è celeste incanto
Quando l'amor la impone: allor sull'alma
Ha il poter di più numi.

DIRCEA
Ogni tuo cenno....
Per me.... legge è del Ciel.

TERAMENE
Ma tu nel volto
Arrossisci? E perchè?

DIRCEA
D'eguale amore...
Il riami, lo so, nè il danno: ignoti
Mai non mi fur gli affetti vostri: è degna
Di te la nobil fiamma. Eroe fregiato
D'alta virtù, di venustà, d'ingegno,
Speme ed amor d'Atene; e qual potrei
Scerti sposo miglior?

DIRCEA
(Poco era dunque
Tremar pel padre ! )

TERAMENE
Con più lieto spirto
Or da te mi divido. In breve, o figlia,
Mi rivedrai, ma in altro aspetto, io spero.
 


SCENA II
TERAMENE, ISOCRATE, DIRCEA

ISOCRATE
Maestro... io dir... ma....

TERAMENE
Parla pur: già tutto
Seppe Dircea da me.

DIRCEA
Parla... Che fia ?
Sommo è il periglio. Il congiurar sì occulto
Già trasparì. Sorta improvvisa all'armi
La fiera guardia ostil, tutte di Atene
Le vie percorre. Scortanla i Tiranni
In sospettosa minaccevol fronte;
E in silenzio, e in terror sta dubbia
Intanto la smarrita città.

DIRCEA
Lassa ! Il previdi...
Qualche vil...

ISOCRATE
N'ha traditi. Ah troppo in guasti
Cittadini fidammo !

TERAMENE
Eh no: quai dubbj
Iniqui, indegni ! Il più fatal periglio
Di chi congiura è il paventar perigli.
Più che l'armi di Sparta il vostro io tema
Basso timor. La prima volta è forse,
Che per lievi sospetti a tali schermi
Ricorrono i tiranni? Or donde nasce
Tanto scompiglio in voi ? Ma no, ragione
Non val. Di chi ravvolge ascose trame
Questo, ah questo è l'error. Quell'opra stessa
Ch'egli, in altra stagion, nel suo nemico
Non vide, o non curò, per lui diventa
Cauto maneggio contro se: l'inganno
Fa ch'ei ne tremi intatto, e si tradisce
Per soverchio timor d'esser tradito.
Deh non vi prenda tal viltà: securo
E sol riparo al mal che ne minaccia
E' il non tentarne alcun. Di nostre mire
No, certezza i ribaldi aver non ponno.
Non degli amici il tradimento io temo,
Ma di Crizia bensì l'astuto spirto,
D'artifizj fecondo, e 'l vigil guardo
Penetrator dell'anime più cupe,
Il qual d'un delator più assai gli vale.

ISOCRATE
E tu, Signor, cosa farai ben grata
A' tuoi fidi, ed a me, se men t'abbassi
Al vil consorzio di quel mostro.

TERAMENE
E 'l bramo,
E 'l cerco io forse? A me che il fuggo ei viene;
E per più mia sventura agio glien porge
La prossimanza de' miei lari a questo
Tempio di Palla, ove il Senato ha seggio.
Maschera di amistà, mel di lusinghe
A sedurmi egli adopra: invan: conosce
Ei ch'io troppo il conosco: io le sue tante
Arti maligne e studio e noto. E' questo,
E' questo il solo vicendevol frutto
Del nostro conversar - Finger, soffrire
Io debbo ancor: possa non ho: prudenza
Al cor m'è morte. Ma non mai quant'oggi
D'uopo n'ebb'io. Su vieni; andiam: per ora
Sospender dessi, o Isocrate, ogni moto,
Ogni armamento popolar: da troppa
Difficoltà l'opra è inceppata, e vana
Tornar potria. De' nostri fidi al guardo
Mostriamci intanto, ed il coraggio nostro
Fermezza ispiri a' dubbj petti.

DIRCEA
Padre
A te lo sposo affido.... A te che mi ami,
Io raccomando il genitor.

TERAMENE
Deponi
La tema omai: pensa che andiam di Atene
A raffermar la sorte.

ISOCRATE
E che si appressa
Il dì, che mia sarai.
 


SCENA III

DIRCEA

Con qual contento
Veggio in quanto la patria ha di più illustre
Quant'io posseggo di più caro ! Ahi lassa !
De' lor disegni io tremo: eppur mi sento
A secondarli astretta. Ah la funesta
Idea, che possa a vuoto andar tant'opra,
M'è d'un tormento eguale al fier timore
Di perder padre e sposo ! Deh tu nostra
Tutelar Dea, deh tu la reggi.
(va per entrare)


ATTO PRIMO

SCENA IV

CRIZIA, DIRCEA
 

CRIZIA
Ferma.

DIRCEA
(Crizia ! ! ! )

CRIZIA
Ov'è il padre tuo?

DIRCEA
Da' propri alberghi
Rimosso ha il piè.

CRIZIA
Sai dove i passi ei volse?

DIRCEA
No.

CRIZIA
Sciagurato ! A sua ruina or corre.
Ancor pietà ne sento. Uopo è che altrove
Il cerchi. Addio.

DIRCEA
Deh no... t'arresta, dimmi,
Da lui che mai si vuol? Qual rischio...

CRIZIA
Estremo
Rischio imminente gli è. Già nulla ignori.
Che val ch'io il dica ?... Impallidir ti vidi
Al giunger mio. Misera ! a ragion temi.
Il suo danno non duolmi; il merta: duolmi
Che sovra te ricada. Ah per qual fato
Figlia nascesti di costui !

DIRCEA
Tu agghiacci
Ogni mio senso... al certo il parlar tuo
Funesto arcano asconde. Deh se provi
Qualche pietà d'un'infelice figlia,
Ferma l'incerto timor mio: da mille
Dubbi atroci mi togli. Or di qual danno
E minacciato il genitor?

CRIZIA
Di quello
Che attender si dovea dal dì che avverso
A Sparta si mostrò, di quel che presso
Temer dovevi tu quando apprendesti
La sua trama feral, di quel ch'io sempre
Presagito gli avea. Ma degli amici
Le voci ei cura ? Li tradisce egli anzi,
E a sterminarli avidamente aspira.
E qual da ciò stupor, se il proprio sangue
Nemmen gli è caro, e se distor nol puote
Dal maligno oprar suo l'aspro cimento
Di lasciare orba e misera una figlia
Di miglior sorte degna?

DIRCEA
Io nulla intendo....
Nulla sò... ma in Atene or contro i giusti
Tutto si può tentar. Numi ! in periglio
Forse i suoi dì...

CRIZIA
No, la tua tema, o donna,
Non ispinger tant'oltre. E' ver che i rischi
Dall'insidie ch'ei medita, misuri:
E' ver che ormai dall'amistà tradita
Niun soccorso attender si dovria:
Ma pur l'estimo ancora, ancor sospendo
Sopra il suo capo i fulmini di Sparta.
V'ha possente ragion che il giusto sdegno
In me raffrena. Ah sì, v'ha pure un mezzo
Che può non sol dar fine agli odj nostri,
Ma fra noi stringer anco eterno un laccio:
E se il tuo cor concorde al mio pur fosse,
Più che a questo mio dir dovuto avresti
Al volto... ai sguardi... intender ben qual sia.

DIRCEA
Che vuoi tu dirmi?... Avresti mai...

CRIZIA
Che ! duole
Forse a Dircea, ch'io l'ami?

DIRCEA
Oh ciel ! Che intesi !

CRIZIA
Tu m'odj, nè con te di ciò m'adiro.
Il padre tuo di amaro tosco sparse
Il tuo cor contra me: ti avrà con atri
Colori pinti i miei costumi, e l'opre:
M'ha così tolti i mezzi onde acquistarmi
Quant'io bramava con più ardore al mondo,
L'amor tuo... Ma temp'è che il fio ne paghi.
S'io son dolente, ei non godrà. Già l'ira
Mi si addoppia nel sen: già mi si stende
Nera benda sul ciglio... In breve, o donna,
A più ragion mi abborrirai.

DIRCEA
Me lassa !
Perchè la gloria tor mi vuoi d'odiarti
Per mia sola virtù ? Parte o non vanta
In questo il padre, o la sua parte è solo
L'avermi dato ateniese petto.
Lo stato del mio cor, nè vuo' nè debbo
A te spiegar, ma in qual si fosse stato,
Mai capace di amar, mai non saria
L'oppressor della patria.

CRIZIA
Ed io tal sono?
certo, se il padre, ed i suoi pari ascolti;
Ma della patria il salvator son'io,
Se la ragion consigli. Abbandonarla
Dunque io dovea di Sparta all'ira cieca,
Opponendo a sfrenato ampio torrente
Argin frale, e mal certo ? Io ben conobbi
Invincibil di Sparta la possanza,
E mi vi strinsi, e meco i primi io trassi
Cittadini veraci, onde all'intero
Esterminio sottrar l'afflitta Atene.
Già cener la cittade, e già deserta
L'attica terra or fora, ove mancate
Fusser le cure mie, che sì condanni.
Nelle fatali strette a cui ne mise
Lisandro vincitor, Crizia coll'armi,
Di che potea, che dovea far ?

DIRCEA
Perire.

CRIZIA
S'è per mostrarsi eroe d'uopo esser folle,
Rinunzio a tale onor... Ma troppo io teco
Trattenuto mi son... già fermo ho in mente
Di Teramene il fato. Hai profferita
Tu la mortal sentenza. Ah che salvarlo
Sol tu potevi... Ora a suo prò che resta ?

DIRCEA
Che ? L'innocenza, la virtù, gli Dei.

CRIZIA
De' deboli ecco le speranze estreme.
Di quai Numi favelli ? Or Crizia, e Sparta
Son della Grecia i Numi. E bada, o donna,
Che l'una brama Teramene estinto,
L'altro te sposa.

DIRCEA
E tu pensa, che un Nume
resta agli oppressi pur, che mal tuo grado
Creder ben dei, ch'esser potria tremendo
Ed a Crizia, ed a Sparta.

CRIZIA
Ed è ?

DIRCEA
Capace
Di tutto osar, d'imrender tutto.

CRIZIA
E quale?

DIRCEA
La disperazion: pensaci, e trema.


SCENA V

CRIZIA, quindi AGORATO
 

CRIZIA
Prevenni i colpi che minacci. Accerta
Ogni dubbio il suo dir... Ma folle ! Anch'io
Troppo seco trascorsi... E chi potea,
Chi mai frenar tant'ira ? Ma già viene
A raggiungermi Agorato - Su dimmi,
E' compiuto il mio cenno ?

AGORATO
Alle Spartane
Guardie il fei noto, è già s'adempie. Intanto
Tu d'armati non cinto infra i nemici,
In tal punto ne vieni ?

CRIZIA
Armato stuolo
Ho meco, e presso sta: ben mi seguia,
Ma di seguirmi gli vietai: che vista
Dircea qui sola, il primo istante offerto
All'amor mio dal caso, onde a lei tutto
Libero palesarlo, avido colsi.
Oh pur taciuto avessi !

AGORATO
E che ! Tu fremi ?

CRIZIA
Ella m'odia

AGORATO
... Signor !

CRIZIA
Tu in cor deridi
Le mie smanie, e a ragion. Sol quest'affetto
La mia gloria deturpa, e mi fa vile
Anco agli occhi miei stessi... Eppur... ma cessi,
Cessi una volta ogni viltà... Vendetta
Di lei, del padre aspra farò: l'ingrata
Mi vi sforza... il vedrà. Stolto ! Ed io quasi
L'alte per lei tradia cure di stato !
Stringer quasi volea nodo di pace
Col fellon, che desia, che può, che tenta
Atene sovvertir, che al poter nostro
Solo or fa guerra, che al comun riposo,
Che alla mia securtà fatto è pur troppo
Vittima necessaria ! Ah no, che alfine
Rientro in me, torno al dover - Mio fido,
Alla terz'ora oltre il meriggio, io bramo
Che il Senato si accolga, e seco i trenta.
Ne resti a te l'incarco.

AGORATO
Ad ubbidirti,
Il sai, non mai son tardo.

CRIZIA
No... per ora
Quanto ho imposto sospendi. Uopo è che io pria
Col traditor favelli. Oggi o fia ch'egli
A Sparta, a me si arrenda, o Crizia al mondo
Mostrerà come sappia ad un sol tempo
Rassicurar lo Stato, e se far pago.
 

Fine dell'Atto Primo
 


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

DIRCEA

E non tornano ancor ! Fra dubbia tema
Continua morte io provo. Ancor nell'alma
Di Crizia i detti suonanmi tremendi...
Fra tante mie sciagure anco aspettarmi
Dovea l'amor di questo iniquo ! Oh s'ei
Penetrasse d'Isocrate... ma troppo
Io ben fei di celargli i nostri affetti.
L'ambizion di Crizia è assai funesta
Per se stessa allo sposo: or che fia s'egli
Il geloso furor pur se ne attira ?

SCENA II

TERAMENE, ISOCRATE, DIRCEA
 

ISOCRATE
Oh eccesso !

TERAMENE
Oh patria misera !

DIRCEA
Che sento ?
Ohimè !... Che avvenne ?

TERAMENE
Il più fatal disastro
Che temer si potea.

ISOCRATE
Quel ch'ogni nostra
Speranza atterra.

TERAMENE
Di sua possa Atene
Perde ogni avanzo. Penetra per tutto
Già la Spartana violenza, e l'armi
A cittadini veri empia rapisce:
E in pugno a chi le passa ! Oh colpa ! Oh scorno !
Temistocli, Milziadi, ombre onorate,
Che vi spetta a veder ! L'armi che un tempo
Al rio furor di tutta l'Asia opposte,
Salvar la Grecia, le terribil'armi
Su cui rappreso anco rosseggia il sangue
De' barbari immolati alla comune
Libertà nostra... oh Dei ! trasmesse or sono
Di Atene al più vil gregge. Ma che dico
D'Atene ? No, di Sparta ai manigoldi,
No, di Crizia ai satelliti.

DIRCEA
Qual giorno !

ISOCRATE
Non ha più freno lo Spartan crudel;
Distruggere brama, e conculcar di Atene
Ogni usanza, ogni pregio. Il crederesti ?
Il teatro, il teatro ove si udiro
Di Sofocle, di Euripide i divini
Carmi echeggiar, rintrona or di nitriti.
E' di Spartani armenti albergo or fatta
La più proficua scuola, e la più bella
Che la Grecia onori e il mondo.

DIRCEA
Oh Dei ! Quali onte !
Quai ferità !

TERAMENE
Son queste le minori,
Che soffrir debbe conquistata gente
Dal suo conquistator

ISOCRATE
Che Sparta voglia
Deprimerne, avvilirne, a me non reca
Stupore alcun, ma che le prestin braccio
Gli Ateniesi stessi...

TERAMENE
Ah figlio ! Il vile,
Che a Sparta serve, benchè nato in grembo
D'Atene, ognor vi fu straniero.

ISOCRATE
Ah certo,
Certo era tal chi ne tradì.

TERAMENE
Niuno
Sicale ne fu, e se nol fosti.

ISOCRATE
Ed osi ?...

TERAMENE
Il tuo dubbio imitar. Perchè più irriti
Le piaghe del mio cor? Lascia ai tiranni
Il sognar sempre tradimenti. Credi,
Credi al bianco mio crin: troppo conosco
I cittadini, e quei che amici io scelgo,
Son Terameni. Il replico; temuta,
Non discoverta è la congiura. Il colpo
Da Crizia vien.

DIRCEA
L'audace or sì che intendo.
Di ben altr'ira io vi darò cagione.
Poc'anzi quì, te ricercando, o padre,
Venuto egli era, ma il mio duro fato
Fe' che in me s'imbattesse. Oh ciel ! che oltraggio !
Che ardì svelarmi ! Ah sposo ! Ah padre ! Ai mali
della Città, privati mali aggiunti
Si son per noi. Questo comun nemico,
Questo re de' tiranni, quest'ingrato
Perfido cittadin, questo vil mostro,
E per dir più, questo Spartan, mi offende
Sino al segno d'amarmi.

ISOCRATE
Oh nuova rabbia !

TERAMENE
Oh che mai sento !... Dì, le mire nostre
Nel tuo timor traviste avesse mai ?

DIRCEA
Nol credo io, no; ma nel tuo rischio assorta
Era in quel punto io tutta, e in tal favella
Parlava Crizia a me, che conscio appieno
Del congiurar parea.

TERAMENE
Qual dubbio crudo !
Di me non duolmi, ma de' fidi amici,
De' Cittadini eroi, che al mortal fero
Sdegno persecutor ne andrian soggeti
Degli atroci tiranni.

ISOCRATE
Ah tu, Dircea,
Pur troppo amor traditi n'hai.

DIRCEA
Che parli !
Nulla il mio dir gli appalesò... ma... oh Cielo !
Crizia in furor minacce fea di morte.
Ohimè ! Neri nell'alma insorger sento
Orribili presagi. Amato padre,
Fuggi da questo suol. Nulla di avverso
Per Isocrate io temo; ei può frenarsi;
In eminente periglioso posto
Come te non isplende; a Crizia noto
Quanto il sei tu, non è. Deh tu, se m'ami,
Salvati, fuggi, credimi, io ti perdo,
Se quì rimani: il cor mel dice, e il core
D'un'amorosa figlia è oracol certo
Sul paterno destin

ISOCRATE
Sì, Teramene,
Anch'io ten prego. Più di giusti albergo
Quest'empio suol non è. Tu ben tel vedi:
L'alto nostro pensier fallito or torna.

TERAMENE
E per ciò cessa il mio timor: non d'altro
Temuto ho mai che di non compier l'opra.
Or non avanza a me che morte, e questa
Ai Terameni, che affrontar la sanno,
Terror non porge. E' tempo ormai ch'io sciolga
Alla mia lingua il fren; ch'io le faville
Di patrio amore avvivi ancor non spente
In tutti i senatori, ed i Tiranni;
Ch'io fra lor porti la discordia, e lasci
Pria della mia caduta, i semi certi
Del loro eccidio, e della mia vendetta.
Ma... da lontan Crizia s'innoltra.

ISOCRATE
Oh vista !
D'ira mi scoppia il cor.

TERAMENE
Rientra o figlia.
Tu Isocrate, ti scosta. In tempo ei giunge.

DIRCEA
Deh i danni tuoi non affrettar.

ISOCRATE
L'usata
Tua prudenza deh serba. Ah se tu cadi,
Cade la patria in te.


SCENA III

TERAMENE

Se Ateniese
Crizia rifar potessi, ogni mio voto
pago saria; ma sperar posso io tanto ?

SCENA IV

TERAMENE, CRIZIA, Guardie

CRIZIA
L'ultima volta ecco a parlarti io vengo
Linguaggio d'amistà. Tutto a salvarti
Crizia imprender desia, benchè a tuo danno
Tutto tu imprenda.

TERAMENE
Quai che siano i sensi
Che brami a me spiegar, questi Spartani
Allontana da quì. L'anima al solo
Aspetto lor mi si scompiglia: io d'ira
Fremo in vederli, la ragion mi manca,
E in questo punto assai n'ho d'uopo.

CRIZIA
Grave
Non siavi, o prodi, il discostarvi alquanto.
(Le guardie ubbidiscono.)
Troppo tu Sparta abborri.

TERAMENE
Adoro Atene.

CRIZIA
Eppur farò che men tu l'odi.

TERAMENE
E il puoi.
Sparta non regni su di Atene, ed io
Men la detesterò. Tu a me t'accoppia,
E sarà franto il giogo.

CRIZIA
Intempestivo
E', credimi, il tuo zelo. Or pria che d'altro
Io parli, prendi questo foglio, il leggi,
E conosci il mio cor.

TERAMENE
" Gli Efori a Crizia:
" A chi n'è avverso morte ". Incarco degno
Di chi l'impone, e più di chi l'indossa.
Ebben, con ciò forse atterrirmi or tenti ?
Qual alma io m'abbia oblii ?

CRIZIA
Nel duro cenno
Meno il tuo, che il nio rischio esporti intendo.
Gran tempo è già che io l'ebbi; eppur tu vivi,
Benchè a Sparta nemico. A tanto scorgi
S'io curi l'amistà.

TERAMENE
Conosco a tanto
Il perverso tuo fin; trarmi speravi
Alla tua parte iniqua. In me tu dunque
Cosa offendesti più che il viver cara.
Ma no: che parlo io mai ? Di me finora
Temuto hai tu... Svanita oggi è la tema:
La città spoglia è d'armi: il rio comando
Si eseguirà di Sparta. A te non deggio
Ch'odio maggior per la tardata morte.
Pur mista all'odio, mio malgrado, io nutro
Ancor stima ver te. Nol nego, i mezzi
Onde la patria abbatti, arguir fanno
Quanti, e quali impiegar tu ne potresti
La patria abbatti, arguir fanno
Quanti, e quali impiegar tu ne potresti
La patria a sollevar. Deh per qual fato,
Deh per qual cecità sdegni l'impresa
Più illustre, ed ardua men ? Compagno all'una.
Nemico all'altra mi hai... Tu ben intendi
Quanto ciò valga - Ah se un istante cessa
Della tua stolta ambizion l'ebbrezza,
Puoi tu mirar senz'avvampar di sdegno
Lo stato nostro ? La Città più chiara,
Dove l'alte virtù, perchè comuni,
Quasi scemato avean di pregio; dove
Fra trofei mille il cittadin muovendo,
D'esser nato in Atene il sacro orgoglio
Destar sentiasi; la città che ad una
Minaccia sua l'oriental monarca
Tremar già fea dell'Asia infin sul trono,
E lo stesso Spartan fin dentro a Sparta,
Or qual ci si offre ? Ohimè ! poss'io ritrarla ?
Atterrate le mura; arse le navi;
Della sua gloria i monumenti egregi
Rovesciati; rapiti i suoi tesori;
Contaminati i suoi teatri; muti
Il Portico, e il Liceo; scacciati i saggi;
Sforzati tutti ad immolarci in campo
Alle mire di Sparta, onde far pingui
Di acquisti nuovi i nostri aspri tiranni,
E render più tenaci i propri lacci;
Il cittadin, dagli alti posti escluso,
Ridotto a mendicar, mentre superbo
Lo stranier che vi siede, il preme, e insulta
Alla miseria sua; spento chi ardisce
Sentir suoi mali, e muoverne querele;
E' questa Atene ? E' vita questa ? E ch'altro
Soffrir si dee, ch'altro involar ei ponno ?
D'Ateniese il nome sol lasciato
Ci han per più sfregio: glorioso nome
Nelle nostre onte ne lasciar per farne
Viepiù arrossir delle miserie nostre.
Oh tempi ! Oh patria ! Oh fato ! Oh tirannia !

CRIZIA
Tu piangi !

TERAMENE
E tu tranquillo m'odi !

CRIZIA
Un raro
Eroe compiango vittima di basso
Volgare error. Del suol natio l'affetto
Virtù saria ? Facile a tutti, a tutti
Comun, virtude ? E' un'abitudin cieca,
E' debol senso.

TERAMENE
Anzi è virtù più sacra,
Poichè vien da natura.

CRIZIA
Ove grandezza
E gloria io trovo, ivi è la patria mia.

TERAMENE
L'esser su i trenta a presieder tu scelto,
L'esser tu scelto esecutor primiero
Dell'atroce tirannide Spartana
Spartan ti fa ?
Queste le glorie sono
Che Crizia cittadin sperar potea ?
Simulacri, e trofei Sparta non erge
Ad un suo schiavo, e Atene ergerli suole
Solo agli Armodj.

CRIZIA
Io schiavo a Sparta ?... Oh fossi
Men duro in tuo pensier ! Se gli alti arcani
In fra gli Efori, e me tu appien sapessi,
Conosceresti ch'Eforo io qui sono...
E tu il saresti ancor. Nati in Atene,
O nati in Lacedemone, siam greci,
Greci alfin siamo.

TERRAMENE
Ma diversi troppo -
I Greci che su gli altri ambiscon regno
Son Persiani per me.

CRIZIA
Pur qualche sommo
Ateniese eroe bramò più volte
D'esser nato Spartan.

TERAMENE
Ma di Cimone,
E di Pericle ai tempi ancor corrotta
Sparta non era: alle rapine stesa
L'empia man non avea: nè l'oro, e il lusso
Vi avean pregio, e cultori: ma quei grandi
Se a Sparta invidiavano virtudi
Era perchè bramavanle in Atene:
Ma s'oggi rivivessero fra noi,
Tu miei compagni li vedresti,

CRIZIA
Anch'io
Forse un tempo il sarei... cediamo, amico,
Alla forza cediam per meglio un giorno
Deluderla, annientarla. A me ti arrendi,
Stringiamci in modo eterno. Io finor tacqui...

TERAMENE
Son ben, so quest'altr'onta onde mi aggravi,
Ami Dircea: conciliarti meco
Per ottenerla vuoi: ma troppo noto
A me sei tu. Dal tuo linguaggio intendo,
Che il ravvederti è un'impossibil cosa.
Ma no, mi avanza un'altra speme ancora.
Ami davver Dircea ? Sposa la brami ?

CRIZIA
Io l'amo quanto adori tu la larva,
Che patria appelli.

TERAMENE
Or sappi adunque, ch'io
La serbo a chi dà corpo a questa larva,
A chi risorger fa l'estinta Atene.

CRIZIA
Rimanti ormai co' tuoi sublimi affetti,
Co' tuoi vasti disegni. In breve forse
Sensi e favella cangerai... finora
Sulla tua sleatlà silenzio io tenni...
Ma non tutti il terranno, e tu mi hai chiusa
Ogni via di salvarti.

TERAMENE
Io le tue trame,
Le tue calunnie, i voti tuoi non curo
Di penetrar; ma quai che sien, mai vili
Nè Teramene, nè Dircea vedrai.
 

SCENA V

CRIZIA
 

Sdegnate entrambi i miti mezzi ? Entrambi
Ai violenti cederete adunque.
 

Fine dell'Atto Secondo
 


ATTO TERZO

SCENA I
 

CRIZIA, AGORATO
 

AGORATO
Signor disgombra ogni dubbiezza: hai tuo
Quasi intero il Senato.

CRIZIA
Io l'alta fama
Di Teramene, e la facondia temo,
Ma più la causa ch'ei sostien ! l'indegno
Anco nei Senatori, anco ne' trenta
I suoi destar potria spirti rubelli.
D'armi siam cinti, ma gli armati stessi,
Sacra estimando per costume antico
La senatoria potestà, capaci
Sarian di secondarla anco a nostr'onta;
E se lieve è sterpar da giovin petto
de' patrii sensi il fanatismo insano,
Il culto reso da' canuti a questo
Idol di patria, è tanto or più tremendo,
Quanto più fremon nel veder per forza
Quest'idolo atterrar. Credi, v'è d'uopo
Di tutto Crizia in tale accusa, in tanto
Periglioso consesso.

AGORATO
Il tuo consiglio
Sempre finor prevalse. Io l'antiveggo:
Certo è il trionfo tuo. Dimante, Aristo,
Cleobulo, Cinia fur dalle larghe
Tue promesse già vinti, e a me dier fede,
Che fia lor cura il trarre alle tue mire
Del Senato gran parte.

CRIZIA
Ormai, s'io fido,
Nell'eloquenza di ben mille brandi
Fido soltanto.

AGORATO
A questo loco intorno
Disposte ho in guisa le più fide genti,
Che in venirne in congresso i magistrati
Vegganle in armi; e tremino.

CRIZIA
Ah potessi
Rassicurarmi alfin ! Scintilla estrema
Della mania di patria è Terramene,
Atta l'incendio a ridestarne sempre,
Ove estinta non sia.

AGORATO
Ma colla forza
Mentre annullar senza periglio il puoi,
Perchè in giudizio il chiami ?

CRIZIA
Ah ! quanto presto
A secondarli sei, tanto i miei fini
Sei tardo a penetrar. Se aperta seco
Violenza adoprassi, offenderei
Quei stessi ancor, che ne sarian ministri.
Libera Atene fu: Questo a me stesso,
Questo ripeto ognor, qualora assumo,
Pubblici incarchi. Della plebe il guardo
Ma delle cose l'ombre lor distingue;
Anzi all'ombre si attien: gelosa quindi
D'un vuoto nome ell'è più che d'un dritto,
Nè si tien serva mai, se non le vieti
Di libera vantarsi. Io perciò voglio
Su' magistrati, e non su' miei nemici
Usar la forza, onde sien questi oppressi
Sol per opra de' primi. E' ben che ascritta,
Non a me, ma al senato, ed alle leggi
Sia di quest'empio traditor la pena -
Solo a un'alma superba esser dee chiaro,
Che Teramene io perdo, affin che apprenda
Che salvo il posso io far... Basta; Dircea
Troppo ama il padre: ella mi sprezzi: io pronta
Ne avrò vendetta. Ah da quel punto in cui
La sua man mi negò, l'onta ch'io n'ebbi
Parmi che cresca cogl'istanti. Spento
Questo di non sarà, che un tanto orgoglio
Umiliato avrò, che l'avrò fatta
Dagl'insulti alle preci, e da' rifiuti
Scender meco all'offerte.

AGORATO
E della figlia
Tu daresti all'amor del padre i giorni ?

CRIZIA
Privato affetto alla ragion di Stato
Cede in me sempre, il sai: pur questa volta
Ardua men che tu pensi opra a me fia
L'accordarli fra lor. vedrai fra poco
Il padre spento, e mia la figlia. Oscuro
T'è questo dir, ma il chiarirà l'evento.

AGORATO
Ma (se pur lice ne' disegni arcani
Di Crizia e Sparta approfondar la mente)
Teramene abbattuto, a lui qual mai
Successor si destina ?... I miei servigi...

CRIZIA
Quanto dir vuoi comprendo. Io ben previdi
Questo tuo voto, e fei...

AGORATO
Deh taci, ei giunge.


SCENA II

TERAMENE, CRIZIA, AGORATO
 

TERAMENE
Nè raccolto è il Senato ?

CRIZIA
Io qui l'attendo,
Ed imminente è il suo venir - Qual novo,
Qual duro stato è il mio ! Nè odiar ti posso,
Nè accertarti che t'amo. Ah se la troppa
Tenacità di affetti in te mi adira
Sì, che in minacce anco talor prorompo,
Pentimento sollecito men prende.
Quest'adunanza a te fatal...

TERAMENE
Osserva
Il Senato, i colleghi: a lor dirigi
I cupi inganni tuoi: senz'altro insulto
Di fallace amistà, di pietà cruda,
Le ordite trame proseguir ti basti.
 


SCENA III

TERAMENE, CRIZIA, AGORATO, il SENATO, IPPOLOCO,

i Tiranni, le guardie. Queste da Agorato son distribuite in diversi luoghi,
e messe in custodia de' varj ingressi del recinto. I Senatori si assidono
a destra, ed a sinistra del Teatro, ed i Tiranni nel fondo, parte fuori
e parte dentro l'atrio del tempio di Pallade. Teramene avrà il suo posto
accanto alla statua di questa Dea.

CRIZIA
Alti colleghi, Senatori augusti,
Sdegno e stupor dovrà spirarvi al certo
L'oprar di Crizia in questo giorno. In vece
Di accorvi a giudicar se debban l'armi
Ai cittadini torbidi strapparsi,
Ad annunziarvi sol che in vostro nome
Io ne gli ho di già spogli, oggi vi assembro.
Ma per quanto a voi strano, e fuor di legge
Questo tenor parrà, saravvi forza
Pur confessarlo e necessario e giusto
Vigile ognor su le mal fide genti,
Io ne ho visto avanzar co' dì l'ardire
Accusator di fiera trama occulta:
E ben sapendo che frenar lo sdegno
Sul punto di sfogarlo, è dura troppo,
Anzi impossibil cosa, ad arte spesso
Le punsi, le irritai. L'ira istigata
Si tradì, si svelò, ruppe in minaccie,
Che tutto antiveder lo scoppio orrendo
Per questo dì men fero. Io stimai dunque
Ogni indugio al riparo enorme fallo,
E assicurar credei lo stato, d'armi
Spogliando i suoi nemici, e a' suoi fautori
Dandole in man. Se non oprava io tanto,
In questa sacra ragunanza or salvi
Non sederemmo noi, ma trascinati
I cadaveri nostri, alla vil plebe
Sarian di scherno, e di spavento ai saggi.
A così atroce idea fremer vi miro.
Ciò però non mi escusa. Avrei dovuto
Riunir tutti i vostri voti a tanta
Impreteribil opra. Ma da banda
Poniam pur le dimore in tai perigli
Dannose ognor: trattarne in pien consiglie
Non era un darne avviso ai ribellanti ?
Con mia doglia, e rossor convien che il dica;
Avvi partito mai nel più ristretto
Secreto preso, che da' torbi spirti
Risaputo non sia, come se parte
Formasser del consesso ? E' a voi ben nota
Quante finor proscritte inique teste
Siensi involate alla dovuta morte
Per pronto annunzio de' decreti nostri.
No, gli aperti nemici invan tentiamo
Di stradicar, mentre i peggiori forse
Ne allignan fra noi stessi. Ond'io vi esorto
Per lo pubblico ben, pel proprio vostro,
Se alcun di tanta tradigion la traccia
Sappia, o sospetti, libero l'additi.
Diasi a riguardi bando: ai delinquenti
Morte pronunziar mi udrete il primo.

IPPOLOCO
Sdegno non già; riconoscenza e plauso
Da tutti, o Crizia, l'oprar tuo riscuote.
E' ver; traditi siam: convego io teco.
Ma chi mai sospettar ? Viltà cotanta,
Cotanta pravità suppon la colpa,
Che per quanto io rivolgo intorno il ciglio
Alcun non veggo in questo angusto loco,
Ch'esserne possa autor. Pur se al costume
Di ciascun ben riguardo, a mio malgrado,
D'altri non sono a dubitar costretto
Che del sol Teramene. Ei dubbio sempre,
Ne ingenuo mai nel parteggiar s'è mostro.
Or con i pochi acre oppressor del volgo,
Or difensor dei popolari dritti
Contro l'aristocratica possanza,
Ove questa vacilli, appien fa chiaro,
Che partegiano è sol de la fortuna.
Il primo rischio de' compagni è sempre
Del tradimento suo, della sua fuga
Il securo segnal. Ragion mi astringe
A creder quindi, ch'ei, com'è suo stile,
Or visto il volgo contro noi rivolto,
Contro noi s'armi pur, che i nostri arcani
Ei sol sia stato di svelar capace.

UN SENATORE
Ben ho stupor, che Ippoloco favelli
Quasi motor di dubbj, ove in sì pieno
Lume di verità la nera fronde
Di Teramene appar. Ven sta sugli occhi
Non incerta ragion: ma poi che cieco
Più d'un quì siede, o tal s'infinge, vano
L'additarla non fia - Certo gli stati
Chi rovescia od innova, uopo è che tenga
Sempre snudato il brando, e che col sangue
Verghi le leggi sue, frenar dovendo
Con il terror di chi si oppon l'ardire:
Ben certo è pur che il dominar di pochi
Ai molti spiace, e più in Atene avvezza
Per lunga etade a popolar licenza,
Che dagli stolti libertà s'appella.
O dunque era mestier quest'alto impero
Rifiutar quando a noi Sparta l'offerse,
O, accettandolo, porne all'aspre strette
Di abbatterne i nemici. Or chi pertanto
Tale necessità ne appone a colpa ?
Sol Teramene: ei ne rampogna acerbo,
Di Atene i danni esagera; ove spento
Si voglia alcun ribelle, ei più ch'ogni altro
Contrasta al voler nostro. Al par che infido,
Malaccorto costui, de' suoi compagni
La condanna non tollera, ben conscio
Di mertarla ei medesimo. E v'è chi brami
Della sua reità pruove più certe ?
Se in consiglio il guardate, ogni opra sua
E' un delitto, di cui ciascun di noi
Giudice a un tempo, e testimon qui siede.

CRIZIA
Mal mossi dubbj, accuse vane. Amico
A Teramene, a viver seco avvezzo,
Io più ch'ogni altro, ov'ei sleal pur fosse,
Potuto avrei segni raccorne, e allora
(Scusimi l'amistà) quì non verrei
Dubbioso indagator, ma franco e fiero
Accusator del reo. Gli stessi modi
Liberi troppo, ond'ei fra noi fa pompa,
D'insospettir capaci, e di cui tanto
Rumor si mena, fede a voi far denno
Della sua lealtà. Chi tradimenti
Cova nel petto, chi in occulto appresta
Procelle a' suoi nemici è mai sì stolto
Da prevenirli con sì spessi lampi ?
Come in privato, in pubblico ei favella
Pur contro Sparta: ognor co' più rubelli
Pratiche nutre: angol non v'ha di Atene
Che nol vegga con lor: parla in consiglio
Qual se all'antico popolar consesso
Si stesse in mezzo. E portamento questo
Fia di cospirator ? Vero è che tale
Comun grido l'appella, è ver che il volgo
Capo sel vanta; ma che tanto ecceda
Creder mai posso ? Credo anzi, che avverso
In nulla ei fora a noi, se noi di Sparta
Non vedesse fautori. A fin malvagio,
A rie trame non già, ma all'astio solo,
Che ognor pe' Lacedemoni lo strugge,
Ogn'opra sua dover recarsi io stimo.

TERAMENE
V'è chi d'altro m'incolpi ? (Silenzio universale) Ognun si tace !
Tempo è ch'io parli. Ma il silenzio stesso,
Ch'io serbato ho finor, deh mi si renda.
Io pria m'opporrò dunque alle di colpe,
Ch'ha di me fatte questo mio verace
Caldo amico leal (Additando Crizia). Così schiudendo
Mi andrò buon varco ad impugnar le accuse
Che mi vengon da Crizia (Additando Ippoloco, e il Senatore). E' falso in prima
Che un odio singolar Sparta m'ispiri.
A ognun che covi il mal di Atene io 'l serbo,
Ad ogni estraneo giogo. Amore immenso.
Per la mia patria m'arde. Or v'ha chi ardisca
Tacciar di criminoso amor sì sacro ?
Gli stessi Lacedemoni ammirati,
Adorati da voi, per questo affetto
Distinta gloria ebbero ognor, per questo
Trionfar delle genti, e sol per questo
Giunser leggi ad imporvi. E come poscia,
E come mai quel ch'è virtù per loro
Divien colpa per noi ? Questa la colpa,
Questo fu sempre, o Ippoloco, il partito
Cui Teramene amò. Compagni, spesso,
Causa cangiata io non ho mai. Mi strinsi
Con voi da prima, che non servi a Sparta,
Ma intercessori a prò di nostra gente
Appo quella credeavi, e di sue piaghe
Lenitori pietosi. Allor ben tali
Creder vi feste. Ma tradiste quindi
Atene e me. Quai crudeltà ! qual' ire !
Quali rapine ! quale error ! Ben presto
Più che schiavi, carnefici di Sparta
Vi riconobbi, e ne fremei. Rimasi
E' ver fra voi, ma da censor nemico,
Non da complice no, socio di sangue,
Che più ? Son traditor, l'eccidio vostro
Tramando sto. Ma per se stessi i buoni
Non attendeanlo al certo, ed i malvagi
Che san d'esserne degni, e 'l temon sempre,
Fia stupor, che il sospettino ? S'io noto
Era a voi da gran tempo, ond'è che pria
Me non avete da' consigli esplulso ?
Morte, di cui sì prodighi pur siete,
Perchè a me pria non dar ? Perchè indugiarla
Fino a tal giorno ? Accorto è Crizia: forza
Più il popolo non ha: spegnermi adesso
Impunemente è lieve. Or che si tarda ?
Su, pronunziate la mortal sentenza:
E in quella, o giusti, che minor del mio
L'ardir nutrite, ma non già l'affetto
Del patrio suol, sentite insiem la vostra.
E' giunto il tempo che non han più freno
Queste tigri feroci: il tempo è giunto,
Se inoperosi rimarrete, e vili,
Della vostra ruina, e dell'intero
Annientamento della nostra Atene

IPPOLOCO
Udite, amici, Senatori udite
Chi i tradimenti nega, un che allo stesso
Cospetto vostro ribellarne tenta
Anco i compagni. Ei ligj ha fra noi dunque
Ma in punto siam di ravvisarli ormai -
Vedrem, vedremo or sì chi opporsi ardisca
Alla sua giusta pena.

UN SENATORE
Ad ogni moto
I ribellanti uccidansi. Stien pronti,
Agorato, gli armati - A me per giusto,
O Senatori, ed a ragion di legge,
Che da' nomi de' trenta or si cancelli
Di Teramene il nome, e i tanti falli
Con morte ei sconti - Or via, se alcun quì siede,
Cui spiaccia sì legittima sentenza,
S'alzi, parli, il difenda (Tutti tacciono, e dopo alcuni momenti il senatore soggiunge.). Ognuno vi assente.

CRIZIA
(A voce alta.) Misero !... E' cancellato.

UN SENATORE
Or ben si dia (Ad Agorato che si muove colle guardie per eseguire il comando.)
Degli undici in custodia, e al carcer tratto
Il velen sorba.

TERAMENE
Esser ingiusti è poco.
Via, sacrileghi or fatevi. A te, Diva,
Io mi rifugio (Stende la mano sulla statua di Minerva.).

GRIDO UNIVERSALE
Che mai veggio (I tiranni e i senatori s'alzano tutti.) !

IPPOLOCO
Indarno
Vuoi far de' falli tuoi complici i numi.

UN SENATORE
Tardar la morte sol potrai.

CRIZIA
Che giova
Ormai l'incrudelir ? Fra le nostr'armi
Tengasi e basta. - A voi, guardie, il Consiglio
Affida il reo; di tal custodia è pegno
La nostra vita - Agorato, mi segui (Cala il Sipario.).
 

Fine dell'Atto Terzo
 
 


ATTO QUARTO
 

SCENA I

TERAMENE, DIRCEA, ISOCRATE,
Guardie.
(All'alzarsi del Sipario si vedrà Teramene appoggiato alla Statua di Minerva, e le guardie che gli
stanno intorno in atto d'allontanare dall'atrio Isocrate e Dircea.)

DIRCEA
Perchè impedir che il padre abbracci ?

ISOCRATE
Ahi duri !
Perchè vietar che a lui m'appressi ?

TERAMENE
Figlia,
Isocrate, scostatevi, cedete.
L'esporvi de' satelliti agl'insulti
Raddoppia il mio dolor.

DIRCEA
Deh questi oltraggi
Ai custodi risparmia: essi spietati
Ne sembran, sol perchè spietati cenni
Sono astretti a seguir.

ISOCRATE
(A Dircea) Pur se a pietade
Piegasser l'alme !...

DIRCEA
Ah che la nostra sorte
Tutta posta è in lor pugno ! Ah sì, guerrieri,
Non a caso il destino in poter vostro
Del maggior de' mortale il viver pone.
A voi dar vuol di liberando il vanto.
In questa solitudine osservati
Non siam: già manca il dì: notte sovrasta.
Quanto in magion di prezioso io serbo
Volo a raccorre, e a voi per pronto scampo
Tutto il darò: presti a lasciar la riva
Molti legni ha il pireo. Di Teramene
Salvate i giorni, e abbiate pur certezza,
Che scorte avrete al fuggir vostro i Numi.
Per quanto avete di più caro in terra,
Pe' vostri figli deh, pei padri vostri,
Pietà di me, pietà di lui: mirate,
Dircea mirate a' vostri piè

TERAMENE
Che fai ?
Qual viltade ! Che ascolto !

ISOCRATE
In te rientra:
Sorgi: non vedi innanti a chi t'abbassi ?

DIRCEA
E' per me Giove chi mi salva il padre.

TERAMENE
Sorgi, Dircea: l'impongo - E che ! Sei folle ?
Che Spartani son questi, in Teramene,
E tu mia figlia oblii ? Ch'io libertade
Da lor accetti ? Ch'io men fugga ? E 'l pensi ?
E lo speri ? Ed il tenti ? Esci, esci, o figlia,
Da grave error: non per sortrarmi a morte,
Ma per far più esecrabili e più rei
Gli empj nostri oppressori, io questo scelsi
Sacrato asilo - Io certo son che tosto
Men strapperanno, e che sì nero evvesso
Sul capo loro affretterà del Cielo
La terribil vendetta. Ah no, l'affanno
Non ti abbatta così, ch'anco la stessa
Sublimità de' sensi tuoi t'involi.

DIRCEA
Mio genitor, che vuoi ? Più non discerno
Nè che fo, nè che dico; io sento solo
Che soffrir la tua perdita non posso

ISOCRATE
Scusa, deh, l'infelice: orba di madre,
Di germani, di suore; afflitta, oppressa,
Qual resta al morir tuo ! Tutto per lei
Eri tu solo, e tutto ella in te perde.

TERAMENE
Tutto non perde no, se tu le avanzi.
Figli, in tutt'altra sorte io mi augurava
Di coronar la vostra fe: ma il nodo
Che stato allor saria, giovane illustre,
D'un tuo libero voto il compimento,
Oggi il sia d'un dover. Non so, non posso
Affidar fuor che a te la mia Dircea.
Deh prendi dunque tu pietosa cura
Di quest'oggetto sventurato, e caro
Della mia tenerezza, e come sposa
Abbila, e come figlia: e tu. Dircea,
Da questo istante in lui rispetta, ed ama
Il tuo sposo... il tuo padre... Duolmi, ah duolmi
Senza patria lasciarvi in fra gl'iniqui:
Ma questo suol tosto fuggite. Altrove
Dell'esule Trasibulo sull'orme
Ricercate un asil. Quì, spero, un giorno
Fra l'ira, il sangue, la vendetta e l'armi
Ei vi ricondurrà. Verrete allora
Co' canti del trionfo i sonni miei
A romper nella tomba, a rallegrarvi
Colla già vendicata ombra paterna
Della risorta libertà di Atene,
Per cui son lieto di morir. Sì, figli,
Vel ripeto, fuggite. Io colla morte,
Voi coll'esilio esacerbiam lo sdegno
D'ogni libero cor contro i tiranni.
Voi non potrete i funerali, o figli,
Meglio a me celebrar, che suscitando
Nemici per la Grecia a' rei nemici
della patria comun. Questi, sien cenni,
Sien consigli, sien preghi, i sacri sono
Del vostro genitor voleri estremi.

DIRCEA
Me desolata !... Ch'io ti sopravviva !...

ISOCRATE
Non si disperi ancor... Chi sa ! .. Gli amici,
La plebe... può...

TERAMENE
Guarda chi giunge, e spera.


SCENA II

TERAMENE, ISOCRATE, DIRCEA, AGORATO, Guardie

DIRCEA
Che veggio !. Ohimè !.

AGORATO
Guardie v'impon lo Stato
Di trar costui da questo tempio (Additando Teramene). Udiste ?
Obbedite
(Le guardie al comando restano sorprese ed immobili).

TERAMENE
Avanzatevi Spartani.
Che vi rattien ?

DIRCEA
Sacrileghi a tal segno...
Ma obbedir non osate !..

ISOCRATE
Empio, a contanta
Iniquità non troverai compagni.

AGORATO
Chi allo Stato è nemico oltraggia i Numi,
Quando ricovra a lor. Guardie, si svelga
Da quel marmo.

ISOCRATE
Arrestatevi, già piomba
Se voi la Dea.

DIRCEA
Tremate. In su le fronti
Vi stan sospesi i fulmini.

AGORATO
Imminenti,
Non que' del Ciel, ma que' di Sparta sono,
Traditori, su voi (Alle guardie)

TERAMENE
Deh fate, o Numi,
Che compian l'attentato.

AGORATO
Il timor vostro
Io sgombrar voglio, io il primo.
(Va per iscagliarsi su Teramene)

ISOCRATE
Ferma, arresta
Il temerario piè, scudo io gli sono.
(Si frappone fra Agorato, e la statua di Minerva)

AGORATO
Qual nuovo ardir !

DIRCEA
Popol di Atene accorri,
Vieni, vieni a veder come la santa
Religion quì si calpesta... Ahi lassa !
Niun mi ascolta !... Oh istante !...

AGORATO
Almen, custodi,
Quest'audace s'affreni.
(Additando Isocrate. Le guardie eseguono, ed Agorato si avventa su di Teramene)

ISOCRATE
Oh rabbia !

DIRCEA

Oh stato !

TERAMENE
(Al primo atto che fa Agorata per distaccarlo dal Simulacro, grida)
Compiuto è il sagrilegio: eccomi, io cedo.

AGORATO
Eccol, soldati, dal suo Nume
Eccol disvelto.. Or temerete ancora
Del Ciel gli strali ?
(I soldati accorrono e secondano Agorata ad avvincere Teramene, e liberano Isocrate)

ISOCRATE
Ah l'empietà trionfa !

DIRCEA

Ah dispietati... Ah padre... io manco.
(Vien meno)

ISOCRATE
Oh Dei !
Che miro !

TERAMENE
Oh figlia ! Oh colpo !

AGORATO
Al carcer tosto
Trascinisi.

ISOCRATE
Ahi ! Che far ?
(Quasi in atto di seguir Teramene)

TERAMENE
Dircea soccorri...
Siate ambo forti, e cittadini... Addio...
(Via fra le guardie)
 


SCENA III

ISOCRATE, AGORATO, DIRCEA

ISOCRATE
Ahi Teramene !... Ahi misera Dircea !
Ma che vegg'io ? Mostro, tu qui ? rimasto
Ad insultarne sei ?

AGORATO

Rimasi a dirti,
Che sul fellon morte imminente pende,
Che sta in Dircea tutto il suo fato, e ch'ella
Dee ben saper come dar vita al padre.

SCENA IV

ISOCRATE, DIRCEA

ISOCRATE
Ferma, senti, sparì... troppo io l'intendo.
Sposa, oh Ciel ! mia Dircea... l'estrema doglia
Ogni senso le ha tolto... Oh qual mortale
Pallor le sta sul viso ! Ohimè ! qual freddo
Sudor le sgorga !... E se riprende i sensi,
Qual diverrà nel non trovar... Ma parmi
Ch'ella in se torni.

DIRCEA
Padre...

ISOCRATE
Apri le luci,
Coraggio.

DIRCEA
Ove son io ?

ISOCRATE
Me non ravvisi ?
A me sei presso.

DIRCEA
E il padre ?
(S'alza e gira intorno lo sguardo)
Ah che mai veggio !
Ah per sempre mel tolsero quei crudi...
Io più padre non ho.

ISOCRATE
Credimi, ancora
In vita egli è.

DIRCEA
Vive ? Ed ov'è ? Corriamo,
Corriamo a lui

ISOCRATE
Deh tal trasporto affrena,
Il rivedrai: v'è tempo: ricomponi
L'alma sconvolta dall'affanno. Io molto
A te dir debbo. Ah sì: v'è forse ancora
Via di salvarlo.

DIRCEA
No, ludinga è questa;
T'intendo: a forza tu reprimi il pianto:
Tu fremi di dolor. Perchè ingannarmi ?
Indarno il neghi. Estinto è Teramene,
Ed io misera ! imprimer non potei
Su la paterna man gli ultimi baci ?
E fra le braccia sue spirar d'affanno
Ei non mi vide ? Ah tu peristi, o padre,
Tra i carnefici tuoi: tu chiesta invano
Avrai la figlia. E lo soffriste, o Dei ?
E tu Palla... Ma tu sver dal tuo tempio
Pur lo lasciasti. E sei di Atene il nume ?
No, no: di Atene il vero Nume è spento.

ISOCRATE
Che parli ? Ove trascorri ? Invoca i Numi,
Non irritarli. Credimi, io non mento:
Vive ancor teramene, e tu sottrarlo
Potrai da morte.

DIRCEA
Io !... Che dicesti ? Io posso
Liberarlo ? Favella: a me ti spiega:
Presta a far tutto io son.

ISOCRATE
Tu sai chi il perde.

DIRCEA
Crizia, pur troppo, è quei che il perde.

ISOCRATE
E Crizia,
Sol può Crizia salvarlo. (Oh pena ! ) Ei t'ama -
Ei (che martir !) Sposa ti anela...

DIRCEA
E deggio
A prezzo della mia dar vita al padre ?...

ISOCRATE
... Tu intendesti...

DIRCEA
Che ascolto ! E tu puoi darmi
Un tal consiglio ?

ISOCRATE
E tu puoi non accordo ?

DIRCEA
E' questo dunque il solo mezzo ?

ISOCRATE
Il solo.

DIRCEA
Nè a risolver ne resta...

ISOCRATE
Che un istante.

DIRCEA
Oh mio stato terribile ! Ma dimmi,
Credi che il padre vi acconsenta ? Ah troppo
La sua sublime ferità m'è nota.

ISOCRATE
Sen dovrà, fremerà, ma è a noi pur forza,
Suo malgrado, salvarlo. Acquistiam tempo,
E tutto io spero: accolti eransi appena
In consesso i Tiranni, che inviato
Da me volava agli esuli un messaggio
De' rischi nostri. Armi per Grecia tutta
Stan quei prodi adunando, onde improvvisi
Su i tiranni piombar. Fra breve, aspetto
Lo Stato cangerà... Laudata fia
Da Teramene allor l'alta nostr'opra,
Allor che si vedrà per noi serbato
La patria a liberar.

DIRCEA
Sì, ma consorte
Di Crizia allor srò; sì, ma un crudele
Dover vorrà che le sue parti io prenda.
Poss'io recargli il tradimento in dote ?

ISOCRATE
Tu non dovresti che tacer, lasciando
L'oprare a noi.

DIRCEA
Destino, a che mi astringi !
E perder dunque Isocrate degg'io ?
E tanto amore, e tanta speme ... tutto
Svanir dovrà ?... Fra poco anco delitto
La memoria ne fia !

ISOCRATE
Morir mi sento
A tal pensier, ma necessario troppo
E' pur lo sforzo. A me da questo istante
Tu pensar più non devi. Io godo almeno
D'anco aver parte, d'ogni affanno a costo,
Alla salvezza del tuo padre amato,
Del mio maestro, dell'onor del mondo,
del sostegno di Atene...

DIRCEA
Ohimè, ne stringe
Il tempo. A Crizia dunque andiam.

ISOCRATE
T'arresta;
Risparmiati ogni atto io vup', che possa
Umiliarti appo il tiranno. Io voglio,
Sì, la tua scelta annunziargli io stesso.

DIRCEA
No, l'amor può tradirti, e guai se amante
Di me ti scopre !

ISOCRATE
Nol temer. Coraggio
Più che umano in me sento. Altro non sei
Or tu Dircea, per me, che dell'oppresso
Teramene la figlia.

DIRCEA
Alma sublime,
Alma rara, alma bella, e perchè debbo,
Quando ti lascio, de' tuoi pregi il colmo
Conoscer tutto !

ISOCRATE
Attendimi: ritorno
Tosto io farò con liete nuove.

DIRCEA
E al padre ?

ISOCRATE
Insieme, a lui poscia ne andrem.

DIRCEA
Deh pensa,
Pensa qual resto.

ISOCRATE
A te sarò di volo.

SCENA V

DIRCEA

O troppo amato Isocrate, o verace
Generoso amator, credi tu dunque
Che chi ti perde sopravviver possa ?
Non avrà Crizia che la destra. Il padre
Salverò, sì, ma qual sua figlia il debbe:
L'amante io lascerò, ma in un co' giorni.

Fine dell'atto Quarto
 


 

ATTO QUINTO

SCENA I

DIRCEA

Dei ! Che fia mai ? Già di spavento m'empie
D'Isocrate il tardar... lassa ! del padre
Sul fato io tremo... e inorridisco. A questo
Cupo silenzio, a queste ombre di notte,
Oh come il mio gelido orror s'addoppia !
Ma parmi... Sì, qualcun s'appressa... forse...
Ei giunge... Ah no... fu inganno... ogni più lieve
Rumor che ascolto, calpestio mi sembra...
Stanca ormai son di aspettar... si corra...
Ma dove ? A Crizia ? Al Padre ? Ahi ! che far deggio ?
Qual guida ?... ma chi viene ? Or non m'inganno,
Suon di passi è pur questo, e più si avanza.
Ohimè ! ... Chi sa !... tornasse... E' già deciso
Il destin nostro ?... Isocrate...

SCENA II

ISOCRATE, DIRCEA

ISOCRATE

Dircea....

DIRCEA

Ah vieni. Ah dimmi... Crizia...

ISOCRATE

Egli dà scampo
Al padre tuo.

DIRCEA

Respiro... E come ?... Ah parla.

ISOCRATE

(Lasso ! E 'l degg'io narrar ?) L'offerta udita,
In fier contegno il crudo ""Appien (mi disse)
Assolver Teramene a me non lice.
Aspro nemico a Sparta, e dal consiglio
Dannato a morte, da castigo immune
Ir non dee. Quel poter, che a me dà Sparta,
Solo le pene a trasmutar si estende,
E a lui cangiarla io vuo'; l'esilio s'abbia;
Ma fuor di Atene pria che notte sgombri,
Vuo' che ne vada, onde ogni van tumulto
Si eviti, e inciampo il suo partir non trovi.
L'imene intanto... (oh Ciel !) l'imene accetto""
Dice, il decreto verga: io il prendo: ottengo
Che pria d'andarne in bando ai proprj lari
Rieda il maestro, e alla prigion m'invio.

DIRCEA

Narrasti al padre forse...

ISOCRATE

Ah ch'ei comprese
Più di quel ch'io narrai. Di Crizia il nodo
Sospettò, men fe' inchiesta, e con sì viva
Forza di verità prevenne il mio
Preparato negar, che a confermargli
Il ver mi astrinse. Si turbò da prima,
E muto stiè gran tempo, in su la faccia
De' suoi pensieri il tempestar mostrando.
Poi, com'uom che da' dubbj si disnoda,
E corre all'opre risoluto ""andiamo
(Grida) alla figlia, indi al gastigo"" e in questo
Dir s'incammina: io seco vo, ma scorto
Che la guardia il traca per disusate
Vie tortuose, onde celarlo al volgo,
Mi spiccai dal suo fianco, un più spedito
Sentier presi, e volai per far più brevi
Le ambascie tue, che immaginando, io tutte
In cor provava, e sproni eranmi al corso.

DIRCEA

E' salvo il padre ? Io rivedrollo ?... Oh quanto,
Quanto a te debbo, o Isocrate ! a quai prove
Vuole il destin ch'io l'amor tuo conosca !

ISOCRATE

Vedilo; ei giunge.

SCENA III

ISOCRATE, DIRCEA, TERAMENE

DIRCEA

Ah Padre mio...

TERAMENE

T'accheta:
Da te quel nome io più non soffro.

ISOCRATE

Oh Cielo !

DIRCEA

Ohimè ! Che ascolto ! meco irato sei ?

TERAMENE

Hai stupor del mio sdegno ? Io grazie in vero
Render dovrei di Crizia alla consorte
Per la cangiata pena - Ingrata, è questa
L'obbedienza tua ? Così rammenti
I cenni miei, che io gli ultimi credea,
Ch'esser perciò doveano a te più sacri ?
L'onor mio. l'onor tuo così tu serbi ?
Ami tu il padre, e mostri amar sì poco
La patria intanto, ch'è il suo primo affetto,
Ch'ei di se stesso ama più assai ? Tu sposa
Ti fai di chi l'annichila e calpesta ?
Ed a prezzo di un'onta, altra maggiore
ne compri al genitor, di Crizia dono,
Spregevol vita ? E ch'accettata io mai
Non l'avrei, dì, pensasti ? Ah tu nè figlia,
Nè cittadina fosti: hai tu tradite
Le cure mie nell'educarti spese:
Obbrobrio de' miei dì, tu morte vera
Tentato hai darmi: ma cotanto eccesso
In tempo io giungo ad impedir: tremenda
Può ancor tuonarti la paterna voce,
E dal sentier della viltà sviarti.

DIRCEA

Mi uccidi, o padre, ma di tanto sdegno
Non t'armar contro me.

ISOCRATE

Se colpa credi
Il volerti salvar, ben mille volte
Di lei più reo son'io. L'ira a me volgi...
Io più la merto. Io l'abborrito nodo
Le consigliai; della tua figlia io vinsi
Le repugnanze.

TERAMENE

E ne ottenesti alfine
L'alto trionfo. E a te di lei men forte
Affidata io l'avrea ! Di sua virtude
Un reggitor credeami in te lasciarle,
Non un vil seduttor, di me, di lei
Del pari indegno. Eco di mie parole
Non ti estimava, ma dell'opre mie
Discepol vero. Ah m'ingannai !

ISOCRATE

No., questa
Taccia non darmi.

DIRCEA

In te salvar la patria
Ambo credemmo.

ISOCRATE

Ah sì: morendo lasci
Sublime esempio, è ver, ma che ammirato,
Non imitato fia. Più assai che acceso
Dagli alti sensi tuoi, da' tuoi disegni,
Dall'infelice evento lor ciascuno
Avvilito sarà. Ma tu vivendo
Per le greche cittadi esule illustre,
Tutta l'oppressa maestà di Atene
Mostrando in te, nell'alme generose
Di vendicarla accenderesti brama.
Troveresti di Atene a cento, a cento
Gli espulsi cittadini a te compagni,
Che stan... (1) Tu intendi quanto oprar potresti,
Non terror, non viltà, ma questa speme
Ne indusse al duro sacrifizio, o padre.

(1) Risovvenendosi della presenza delle guardie
tronca il discorso, e soggiunge a voce bassa.

DIRCEA

E questa speme, ah tu non dei far vana.
Serba ad Atene i giorni tuoi.

TERAMENE

La vostra
Scuso inesperta etade, e ben mi avveggio
Ch'oltre il vostro fallir scorse il mio sdegno.
Della patria, di me tenero affetto,
Vi tradì, vi abbagliò. Credeste adunque
Verace Crizia in sue promesse ? Ah quanta
E' speme in voi, come possibil parvi
Che in lui timor non sia ? Secura morte
Fuor di Atene ei mi serba. ei tanto solo
Tardarla vuol, quanto gli basti, o figlia,
Teco a stringersi sposo. E quando ancora
Da se discorde, de' miei dì l'avanzo
Lasciasse a me, qual rimarrei ? Di sprezzo
Reso oggetto a me stesso, e divenuto
Suocero a Crizia per terror di morte,
Chi più spronar potrei contro i perigli
Di ardita impresa ? Uom che vendè la figlia,
E la sua fama della vita a prezzo,
Diriasi, al prezzo stesso anco i compagni,
Anco la patria vender può, se rischio
Gli sovrasti di morte. Ah no, ch'io fremo
Di cotanta ignominia al sol pensiero;
E voi fremete pur, nè procurata
L'avreste mai, se in tutto il proprio orrore
Vi fosse apparsa, e se tant'oltre spinto
Il vostro corto antiveder si fosse.
Voi ven pentite ormai. Dite, m'inganno ?
O il mio parlar l'illusion vi ha tolta
De' vostri affetti ? (1). del silenzio vostro
Che pensar deggio ? Grazie, o Ciel; risorge
Nell'alme lor della ragione il giorno.

(1) Un momento di silenzio.

DIRCEA

Oh funesta ragion ! L'alma vi piega,
Ma il cor ne freme.

ISOCRATE

Numi, e perir deve
Tanta virtù ?

TERAMENE

Ma così fiera pena
Il mio morir, figli, non diavi. Alfine
D'anni io son carco, e la natura in breve
Saria Crizia per me. Frenate il pianto;
Ov'è la virtù, non è disastro: quello
Ch'è tal pe' bassi spirti, è pe' sublimi
Occasion di divenir più grandi.
Mostratel voi: su via, con migliori opre
Le già fatte emendate. Alla prigione
Io torno: tu, Dircea, fa che pentita
Crizia ti sappia, e sappia insiem ch'oggetto
D'eterno orror ti fia: tu a lui ten corri,
O Isocrate, e col cenno di mia morte
A rivedermi affrettati. Più padre
In questo punto a te non sono: amico
Non son più a te: tutti i privati affetti
Tacciano omai: fratelli siam, fratelli;
Figli di Atene tutti. Ah degni figli
Tutti mostriamci di tal madre: Ah fate
Che ovunque, e in ogni tempo in cui si narri
La storia mia, resti indeciso il mondo,
Nè sappia dir chi diè fra noi più prove
D'altra costanza in sì fatal cimento,
Io lo spero, io l'attendo. - Ove il possiate,
Seguite quindi i miei consigli primi:
Ove Crizia vel tolga, il dover vostro
Nel glorioso mio morir leggete.

DIRCEA

Chi resister ti può ? Chi udir ti puote,
E degli affetti tuoi non arder teco ?

ISOCRATE

Linguaggio umano il tuo non è. Tu Nume,
Nume tu sei: ti riconosco al foco,
Che m'ispiri e mi avvampa.

DIRCEA

Io di me stessa
Già divenni maggior.

ISOCRATE

Quai tu ne brami
Siam noi

DIRCEA

Tutto farem - D'un ferro, o padre,
Io mi provvidi fin dal punto in cui
M'era a Crizia promessa. Avrei saputo
All'ignominia tosto anco sottrarmi...
E sottrarmen saprò. Ma oh Ciel ! Che veggo !

TERAMENE

Crizia ! opportuno ei vien: si finga. Or, figli,
Il mio dir secondate, e l'oprar mio.
 


 

SCENA IV

CRIZIA, AGORATO, TERAMENE, ISOCRATE,
DIRCEA, Guardie

CRIZIA

Quant'io bramava incontro, Amico, duolmi
Che sì tardi fra noi pace si stringa,
E dell'amistà mia darti io non possa
Che infauste prove. Pur quant'io potea
In tuo prò tutto impresi, e a questo nodo,
Meno di amor, che di amistà la forza
Mi piegò, mi costrinse. Appo il Senato,
Appo Sparta, appo il Mondo, a mia clemenza,
L'esser fatto tuo genero, fia scusa.

TERAMENE

Ed io di Crizia divenendo padre,
Sol poteala accettar. Sempre di figlio
Meno oltraggiosa al padre è la pietade,
Che non di magistrato al cittadino.

CRIZIA

Compier pria che tu parta i miei sponsali
Piacemi quindi. A ciò ne vengo.

TERAMENE

E 'l bramo
Anch'io non men: paghi saremo entrambi.

ISOCRATE

(che far disegna ? Io tremo.)

DIRCEA

Io nulla intendo.

CRIZIA

(1) Ai Sacerdoti or vanne. All'atto augusto
Fa che vengano omai, che su quest'ara
Di Palla accendan d'Imeneo la fiamma.

(1) Ad Agorato.
 


 

SCENA V

TERAMENE, DIRCEA, CRIZIA,
ISOCRATE, Guardie

CRIZIA

E Dircea tace !... Allor ch'ogni odio cessa
Fra il padre e me, quando di pace tanta
Il legame ella forma, e in me di amico,
E in un di amante i sensi a certa prova
Pur conoscendo sta, l'antico sdegno
Mi serba ancor ?.. Necessitade è sola
Or sua scorta all'imen ?

DIRCEA

Dal padre io pendo.

CRIZIA

Ei vi t'indusse adunque ?

ISOCRATE

Io ve la spinsi,
Tutta l'onta n'è mia; ma a farne ammenda...

TERAMENE

Taci.

DIRCEA

Perder ti vuoi ?

CRIZIA

Che dirmi intende
Colui ? Parli.

TERAMENE

Non più. Quel che il trasporto
Io spiegherò. Di mia presenza indegno
L'alto Imeneo, ch'or si prepara, ei stima.
Ma troppo in ciò s'inganna - Ecco si appresta
La sacra pompa.
 


 

SCENA VI

AGORATO, i Sacerdoti, e gli anzidetti

TERAMENE

Dei di Atene, a voi
L'eccelsa coppia raccomando. S'io
Vi porsi incensi, se ne' templi vostri
De' barbari profani in voto appesi
Le trionfate insegne, e al par di voi
La vostra Atene amai, per me non prego.
Da questo punto sia la nobil coppia
Teramene per voi. Discepol, figlia,
Eterna fe giuratevi (1)

(1) Prende subitamente con una mano la destra d'Isocrate,
coll'altra quella di Dircea, e li trasporta con impeto
innanzi all'ara.

GRIDO UNIVERSALE

Che miro !

CRIZIA

Qual tradimento !

ISOCRATE

Eterno amor ti giuro.

DIRCEA

E a te costanza io giuro, ed odio eterno
Ai nemici di Atene.

CRIZIA

Oh rabbia !

TERAMENE

O vera
Mia figlia (1).

(1) L'abbraccia col più vivo entusiasmo.

CRIZIA

Un altro amava ?... Io son deluso ?
Ma la vendetta avanzerà l'offesa.
Su, trascinisi a morte (2).

(2) Alle guardie additando Teramene.

TERAMENE

Altro or non bramo
Isocrate, Dircea, quali or vi lascio,
Forti ognor siate.

ISOCRATE

Tai sarem.

DIRCEA

Tel giuro.

CRIZIA

A morte.

TERAMENE

Più felice d'ogni vita
E' il morir per la patria (1)

(1) E' condotto fuori della Scena.

SCENA VII

CRIZIA, ISOCRATE, DIRCEA,
AGORATO, Guardie

DIRCEA

Ch'io lo segua...,

CRIZIA

Si arresti; a forza esser dee mia (1).

(1) Le guardie vanno per avventarsi a Dircea.

DIRCEA

Tua ?... Mira
Qual mi avrai (2)

(2) Cava un pugnale e si ferisce.

GRIDO UNIVERSALE

Ferma.

DIRCEA

Sposo, io moro (3)

(3) Cade estinta.

ISOCRATE

Oh colpo !

CRIZIA

Oh inaspettato fulmine ! E tu iniquo
Dinanzi ancora...

ISOCRATE

Empio, a punirti io resto;
Mori (4).

(4) Va per ferirla con un pugnale.

AGORATO

Che fai ? (1)

(1) Il trattiene e disarma.

CRIZIA

Cotanto ardisci ?

ISOCRATE

Temi
In più d'un l'ardir mio.

CRIZIA

Trema fellone.

ISOCRATE

Asoettar dee sotto straniero giogo,
Ogni onta e danno chi alla patria è fido.
 

Fine della Tragedia
 
 


 
 
FRANCESCO RUFFA
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