IN MEMORIA DI
PEPPINO LOCANE

(Gasponi+ 15/16/12/2003)

di Mons. Domenico Pantano


A distanza di pochi giorni, ci ritroviamo in questa Casa di Dio, per accogliere e presentare al Signore il carissimo fratello in Cristo e nell’oblazione, il Professore Giuseppe Locane.
La cugina Maria Iannello, anche lei anima oblata, l’ha preceduto nella Casa del Padre.
E’ questa nostra storia, che ci accomuna nel momento finale dell’itinerario terreno, ci ricorda la nostra finitudine umana, con la nostra fragilità e i nostri limiti.
Di fronte a questa bara svetta una Croce, è la Croce di Cristo che ci ricorda, come Lui, il figlio di Dio, non si sottrasse alla sofferenza, anzi subì la più ignominiosa delle passioni e la più crudele delle morti.
E noi, guardando questa Croce, troviamo la risposta ai nostri interrogativi:
"Perché soffrire? Perché morire?" Tutte le risposte, che l’uomo con la sua speculazione, ha cercato di dare, non hanno chiarito questa esperienza drammatica, alla quale nessuno sfugge.
Il professore Locane, studioso e docente di filosofia, sa meglio di noi il travaglio dei grandi pensatori, che hanno tentato di dare una spiegazione razionale al dolore e alla morte, le quali non saziano il nostro cuore, assetato di Infinito
Ci troviamo nella situazione di S. Agostino il quale, dopo tanto pellegrinare, si salva dallo smarrimento e dalla disperazione, solo quando approda dinanzi alla Croce, che da S. Ambrogio, gli è indicata come risposta ai suoi interrogativi.
Siamo, quindi, qui, come credenti e facciamo la nostra professione di fede, che Peppino tante volte ha ripetuto. "Aspetto la risurrezione di morti e la vita del mondo che verrà"
Peppino fu cristiano convinto, non di semplice adesione alla fede, ma logico nelle sue conseguenze.
Fu "uomo di fede" nella vita privata, nella vita pubblica, politica e sociale.
Il suo cammino, a un cero punto, come per molti di noi, s’incrociò con quello del Servo di Dio D. Mottola e di D. Michele Loiacono.
Era ancora adolescente, quando conobbe in Seminario il giovane prete tropeano, il quale usava spesso una parola:

"Oblazione"

e che con parole, che facevano vibrare le corde più intime del cuore, ripeteva:

"Giovani, amate la vita, donate la vita, godete la vita"

Non era un proclama come quelli che andavano di moda e seducevano i giovani, additando un ideale di eroismo guerrafondaio e violento, residuo dello slogan

"La guerra igiene del mondo"

che D. Mottola, così aveva stigmatizzato, quando parla dell’Eroismo:
"E’ la parola che più accende lo spirito, specialmente in questa nostra età, in questa tormentata aurora del novecento… L’eroismo è "DONO SUPREMO", ma senza l’illuminazione di un’idea, che vale il dono?... La vita non si può dare, se non per ciò che supera la vita, altrimenti è delirio, o pazzia… E’ dono integrale di vita alla Verità….il cristiano ripete ogni istante il suo dono, il dono di tutta la vita… Non un gesto da palcoscenico, non la stupida vanità, talvolta nascosta da aspetti di filantropia, non l’esplosione cieca di un sentimento è l’eroismo, non un punto, ma una linea, una linea di sangue" (Faville della Lampada,109).
Peppino fu presto "sedotto". Non mise "punto" alla sua ricerca, ma seguì la "linea", si fece

VIANDANTE DELL’ASSOLUTO

a fianco di don Mottola e dell'altro compagno di cordata, D. Michele Loiacono, seguendoli nel momento oscuro della Croce e condividendo oggi

l’estasiante dolcezza dell’approdo nel porto dell’Eternità

Peppino fece parte del primo nucleo degli Oblati laici, che D. Mottola definì inizialmente i "religiosi" dell’A.C. che collaborano con i vescovi ed i sacerdoti per l’affermazione del Regno di Dio.
Possiamo dire che, dagli anni Quaranta ad oggi, Peppino fu sempre in prima linea, nell'A.C. nei Comitati Civici, nell’attività politica, con impegni anche specifici nell'Amministrazione di questo Comune, nell’attività sociale e professionale. Promosse iniziative di grande rilievo sociale e culturale con il GEC, il Gruppo Ecclesiale Calabrese e gli Studi Galluppiani.
Nelle piazze, nelle sedi di partito e nelle sedi delle organizzazioni del lavoro, come le ACLI, la sua presenza portava quella luce cristiana, che faceva vedere i problemi, non semplicemente dall’ottica sociale e politica, ma del Vangelo, che unisce e armonizza umano e divino e dà luce e speranza nella lotta per un mondo migliore.
Io ti ringrazio, in particolare, Peppino carissimo, per quanto hai dato all’istituzione oblata e alla scuola..
In tutto hai portato competenza, professionalità, passione, con quella dote che ti caratterizzava, che si può riassumere in un trinomio: Problematicità-Operatività-Scrupolosità
Problematicità: svisceravi i problemi e ne mettevi in luce aspetti che spesso sfuggono all’occhio poco attento e superficiale.
Scrupolosità, che poteva sembrare, a volte, eccessiva preoccupazione, che ritardava la soluzione del problema, ma era esigenza di chiarezza con la tua coscienza e responsabilità verso l’istituzione e le persone che rappresentavi.
Capacità operativa prudente e non improvvisata, quando tutto era chiaro alla tua coscienza di uomo e di credente.
Il gruppo degli Oblati laici, anche se piccolo per numero, diede l’avvio ad importanti iniziative, che si andarono adattando alla mutevole situazione, fedele al principio del Padre:

Fare apostolato "secondo i tempi e secondo i luoghi"

E, nell’ambito del Consiglio dei tre rami degli oblati, fosti sempre stimolo propulsivo e creativo, per scoprire forme nuove di iniziative culturali e sociali, a servizio della società in cui operiamo.
Grazie anche per quanto nel tuo lungo magistero

hai operato nella scuola.

Io ti ebbi docente di storia e filosofia per molti anni nel Liceo Classico, presso il quale sei stato punto di riferimento per i nostri giovani,

non solo culturale, ma anche umano, educativo e formativo.

Abbiamo trascorso momenti difficili e drammatici, come il periodo della contestazione, che tutto sembrava sovvertire, sotto lo slogan:

"Né padri, né maestri, né Dio, né padroni"

Scritta che, per molto tempo, ha imbrattato di nero anche i muri del vostro cimitero.
A distanza di anni, tanti di questi alunni, diventati adulti e padri e madri di famiglia, hanno sentito il richiamo della loro scuola e, riandando a quei tempi tumultuosi e confusi, venendomi a trovare, qualcuno mi ha detto: " Mi voglio confessare!  " , Altri hanno affermato:
"Preside, ciò che allora contestavamo, sono ora i valori fondanti, che danno senso alla nostra vita, alla famiglia, al lavoro".
Tu ora dal mondo della Verità, nel mistero della Visione di Dio, contempli la

"Luce intellettual piena di Amore"

Dio "Verità e Amore", miraggio delle nostre faticanti ricerche.
Insieme a don Mottola e all’amatissimo Don Michele, che ti ebbe come figlio carissimo, guarda dal cielo a questo "atomo opaco del male", e consegna agli oblati laici, di cui fosti Fratello Maggiore, ed a tutti noi, la Lampada accesa e intercedi, affinché ad essa non manchi mai l’olio della preghiera, del sacrificio e dell’Amore, che l’alimenti per la Vita Eterna

Amen