LETTERE
INTORNO UN SUGGELLO
che possiede
LA CHIESA CATTEDRALE
DI NICOTERA

del Cav. Vincenzo
Canonico Brancia


Al Ch. ed Egregio Sig. MATTEO CAMERA
Ispettore degli Scavi e delle Antichità della Provincia di Salerno.

Egregio ed Illustre Signore,

La dottrina e la singolare umanità, onde Ella è in onorata fama, m'inanimisce a darle noja colla preghiera, la quale concerne un fatto archeologico; chè qua appresso le manifesto, certo che si degnerà soddisfare compiacentissimo a'miei desideri conseguentemente a quello che ho mestieri conoscere.
Da tempo immemorabile l'Arcidiacono e questo Rev.mo Capitolo Cattedrale usò un antico Sigillo come proprio senza aver fatto mai osservazione veruna sullo stesso la quale per lo passato poteva essere senza dubbio causa di più felice investigamento. In fatti sino a'nostri giorni e l'uno e l'altro suggellarono con esso le loro carte alla buona, non avendo fatto alcuna volta caso nella mente a volerlo affissare almeno in di grosso nella effigie che alquanto si lasciava vedere, o ricercare, se v'era parola da leggere in giro al margine. Sol'io, anni già sono, vago di sapere le cose più recondite di questa mia patria, è per incarico ricevuto, tra le varie come che poche anticaglie accorte, vidi e distinsi questo Sigillo. E poichè lo ebbi tenuto per un cimelio di questa antica veneranda Chiesa, fui sollecito alla bella prima di esplorarlo materialmente, per rintracciare in questo primo tentativo qualche indizio, donde istituire poscia avveduta indagazione. Però diritto mirando allo scopo propostomi, adoperando industrioso cesello da rinettare, e tastando ove più parea che il piccolo arnese, adoperato senza molto intoppo ed ostacolo facile affondasse, mi dava curiosissimo ad estrarre ciò chè non era metallo, ma succidume fortemente appreso, chi sa da quanti anni!! Quinci dopo lunga e pazientissima opera, a misura che scopriva qualche lettera, o parte benchè minima di cesellamento e di effigie, dava a me medesimo varie interpetrazioni, suggerite piuttosto dalla impazienza e sollecitudine di volerlo presto affigurare, che dalla avvedutezza di giudizio archeologico. Di più, secondo gl'impulsi della curiosità, senza dar tempo al tempo, fui sollecito immediatamente di comunicarle al savio giudizio de'dotti, i quali per l'incertezza, in cui li menava, poco lume potevano darmi a vedere qualche via nella tenebrosità; in che mi ritrovava. In fine dopo più diligenti e determinate cavature del detto impiastricciamento e dopo reiterati esami e varie ricerche in questa Curia Vescovile, e fatti anche studi di agguagliamento di altri Sigilli antichi, portimi dalla Dissertazione XXXV sopra le Antichità Italiane del ch. Muratori, mi ebbi il piacere di scoprire con ogni chiarezza un Sigillo di forma ovale, scolpito intorno di un ornato bello anzichè no, di architettura semigotica, e con un alveolo diviso in due metà: superiore l'una, inferiore l'altra. Nella superiore distinsi bene una Madonna con Bambino sul braccio sinistro, e segnatamente di quelle, che in queste Calabrie si sogliono venerare sotto il titolo di Vergine della Romania; e nell'inferiore un sacerdote vestito di tunica, ginocchione colle mani commesse al cielo, sito a destra di uno scudo di arme gentilizia. Lessi poi intorno in caratteri, a quel che mi parve, angioino-durazzeschi S. G. DESIBIALDIS AVDITORIS GENERALIS CAMERE ONI PAPE +.


Museo Diocesano di Nicotera. Stanza degli argenti.
La vetrina dove è collocato il sigillo

Ottenuta una tale illustrazione, io non ebbi ragion di dubitare di vantaggio, se il Suggello appartenesse all'Arcidiacono ed al Capitolo di Nicotera, che l'usavano, o fosse appartenuto altrui, poichè vidi bene, che in antico tempo appartenere ad un certo GIORGIO GHERARDO o ad altro individuo di cognome DESIRIALDIS (siccome allora leggeva) Uditore Generale della Camera Apostolica.
Ma pur non contento, che il nome contenuto nella lettera iniziale G rimanesse sconosciuto, con animo ansioso di voler sapere precisamente, mi presi l'erdire di rivolgermi al chiarissimo Marchese Cav. Melchiorri in Roma; avendolo pregato, che avesse avuta la degnazione di dirmi, se in qualche antico elenco degli Uditori della Camera Apostolica, che si poteva ritrovare negli archivi vaticani, vi si rinvenisse un tal nome e cognome, da me detto nel Suggello, che mi faceva lieto descrivergli; e se questo tale Giorgio, o Gherardo od altri avesse avuto mai alcun carico dalla santa Sede in queste Calabrie. Per quanta umanità mi abbia significato questo eccellentissimo Presidente del Museo Capitolino, e per quanti consigli mi abbia pur dato, pieni di sapienza e sagacità archeologica, altrettanto non potè dirmi nulla del cognome, che io desiderava sapere, anzi nell'S, G. DESIRIALDIS, lesse: Sigillum Desiderii, sive Desiderati. Infatti dopo non poca erudizione mi soggiunse: <<In quanto poi alla ricerca, che V. S. vorrebbe per me s'instituisse intorno all'aver nozioni di questo Desiderio o Desiderato, Uditore della Camera, oltre non esistere opera alcuna, che tratti specialmente di questo uffico e dia il catalogo di quelli che lo hanno esercitato, l'instituzione stessa è stata sottoposta a tante varietà e mutazioni, che difficilmente può rintracciarsi alcuna nozione in questo individuo>>.
Ma con tutto ciò, non potendomi l'animo di restarmi in tanto dubbio ed incertezza, continuai pertinace gl'incessanti miei studi. Quinci per modo di analogie, e ravvicinando alle lettere del Suggello antichi cognomi d'illustri famiglie italiane, poichè per ventura mi fui incontrato nell'Opera di Giuseppe Campanile, Notizie di Nobiltà, al cognome Sinibaldi, de'quali descrivendo lo stemma, dice: <<che questa buona stirpe, fregia l'alveolo di argento di tre pali turchini con quattro bisce del medesimo colore,>> presi tosto le lenti d'ingrandimento, ed ove aveva letto per l'addietro De Sirialdis, lessi Desinibaldis. Il chiaro rivelamento del cognome ebbe maggior rafferma dalla dichiarazione dello stemma, conciosiachè, fatta più minuta ricerca nello scudo, di cui per lo passato non ne aveva fatto molto conto; vidi manifesti i tre pali e le quattro bisce della famiglia dei Sinibaldi romani. Lieto di questa quasi decisiva illustrazione, per la quale non era più a dubitare, che il Suggello appartenne ad un individuo della nobile schiatta dei Sinibaldi romani, poichè ebbi corretti tutt'i miei primi giudizi, presomi di maggior animo, volli scrivere al Cavaliere Costantino Sinibaldi in Fermo, pregandolo che mi desse notizie del nome del Prelato De Sinibaldis, ricordato da questo Sigillo in Calabria, le quali avrebbe potuto facilmente trarre da'fasti della sua illustre famiglia. Da questo signor Sinibaldi non mi venne risposta alcuna, e non so per qual accidente, giacchè non voglio credere scortesia in un cavaliere. D'allora in qua distratto per altri studi, non ci ho potuto pensare di vantaggio. Ora sendomi stato concesso un pò di ozio, ho voluto ripigliare gli studi tralasciati, ed ho dato principio da questo del Suggello. Però mi son dato tutta l'opera a rovistare di nuovo e con maggior cura d'investigazione le carte della Curia Vescovile, le quali nulla mi hanno offerto da poter trarre, se non certi argomenti, almeno più vicine congetture da fissare primamente l'epoca, spiegando insieme il come abbia potuto ritrovarsi nelle Calabrie un Suggello di Uditori della Camera Apostolica, e secondamente le ragioni, onde l'abbiamo potute usare come proprio questo Arcidiacono e Rev.mo Capitolo: solo ho riveduto dal detto Sigillo bollata una carta antica, che porta la data del 1646. Quinci senza alcuno ulteriore profitto son rimasto nella prima congettura, cioè, che da tempo, che non puossi accennare, un qualche illustre Ecclesiastico di casa Sinibaldi abbia potuto governare questa Chiesa o da Vicario Apostolico; ovvero che sia venuto a questa Chiesa da Collettore, o per altra qualsiasi Delegazione Pontificia.
Ma poichè ancor mi sa male, che io resti in questa indeterminazione, intorno ciò che ho ritratto dalle mie poverissime fatiche, mi rivolgo a Lei, pregandola che mi dica, se ne'suoi dotti studi archeologici, fatti nel Grande Archivio del Regno, si fosse mai incontrato ad un qualche ecclesiastico di cognome Sinibaldi. Le fo questa preghiera sul pensiero, chè talvolta avviene ritrovarsi per ventura nelle ricerche di carte antiche delle cose reconditissime, che possono spiegare fatti remoti e strani.
Intanto mi par bene che le dica qualche altra cosa, da me accorta, e che avendo relazione al mio scopo, onde le scrivo, mi giova, che io la manifesti a Lei. E da prima è un certo, che nel Suggello sta scolpito il cognome Sinibaldi. E ciò reputo sia da considerare, perchè non abbia a credersi che l'Uditore ricordato dal Suggello in esame, abbia potuto appartenere alla famiglia dei Siniboldi di Pistoja ricordata nelle Istorie Pistoiesi. I tre pali poi e le quattro bisce, che si lasciano ben distinguere nello scudo dell'impresa, sita a manca del chierico ginocchione, danno certo segno di dover giudicare che l'Uditore ignoto fu della famiglia Sinibaldi romana, non già di quella di Genova, perchè l'impresa dei Sinibaldi Genovesi, descritta da Monsignor Giovio, porta tutt'altro di quello che si vede nello scudo descritto. Sebbene sia ancor da notare, che questo stemma prende suo principio dal tempo del Giovio istesso, che lo compose a dimanda di un Sinibaldo per averlo come proprio; per la qual cosa non voglio entrare in quistione se la famiglia Sinibaldi di Genova sia la stessa di quella di Roma.
Comechè poi mi abbia una certa peritanza di discorrere con Lei sul precisare l'epoca, in cui si potrebbe affissare l'Uditore, a cui si apparteneva il Suggello pure vincendo la mia timidezza, lo manifesto essere mio avviso, che questo Suggello sia di quelli, che da verso il 1370 in poi ho veduto usati da molti prelati romani in questo nostro reame, quando venivano nunzi o collettori per la santa Sede Apostolica. Infatti molti sigilli simili nella forma elittica, nel cesellamento ed in tutto il resto dell'incisione ne ho veduto in carte pecore della epoca citata, e precisamente in ricevi, in rescritti ed in cedole, che questi tali collettori rilasciavano a'Vescovi per vari stipendi alla santa Sede dovuti.

Son desideroso adunque di avere dalla bontà e dottrina di Lei quegli sciarimenti che Ella vede necessari alla bisogna, e che le ho fin qui significato; ed in tanto desiderio, mi creda come mi pregio segnarmi - Di Lei - Nicotera li 10 settembre 1856 . Devot.mo Obbli.mo servitore Oss.mo - Cav. Vincenzo Canonico Brancia - Al Ch.mo ed Egregio Signore - Sig. Matteo Camera, Ispettore degli Scavi delle Antichità della Provincia di Salerno.
 
 



Alcuni aspetti delle incisioni prodotte sulla superficie del sigillo.
Si può agevolmente constatare nella parte superiore
la effigie della Madonna di Romania.
 
 

LETTERA DI RISPOSTA
del chiarissimo MATTEO CAMERA

Onorev.mo e Rispettabile Sig. Canonico,

Di riscontro al grato e pregevole di Lei foglio pervenutomi attrassato per la posta (non sapendone il perchè) ecco quanto posso debolmente dirle relativamente al Sigillo in cera. Col soccorso delle lenti d'ingrandimento vi leggo chiaramente: S. G. DESINIBALDIS AVDITORIS GENERALIS CAMERE DNI PAPE; siccome Ella valentemente ha interpetrato. Le due prime lettere iniziali possono non altrimenti spiegare: Signum vel Sigillum G. (Gotofridi, Georgi, Gregorii ec. ec.) Il Campanile (Giuseppe) com'Ella ha ben consultato, parla per transeundum dei Sinibaldi di Osimo, e del loro stemma. E però di sicuro che nei Registri del Real Archivio Generale del Regno del secolo XIII a tutto il secolo XV non trovasi affatto notato il casato de'Sinibaldi. Del resto, moltissimi sigilli o impressioni in cera rossa (di materia resinosa), e di colori verdastri e neri, trovo usati ed apposti in moltissime certe bambagine del secolo XIV e XV spedite nel nostro Regno da'Delegti e Nunzi Apostolici, relative alla riscossione del censo o ghinea, e da Nunzi Apostolici speciali, quali collettori di sovvenzioni per mantenimento e difesa de'luoghi di Terra Santa, e dei corsari barbareschi ec. Carte bambagine anteriori al secolo XIV non abbiamo negli archivi, e le scritture precedenti che ne rimangono sono scritte sulla pergamena; e nelle bolle, editti, patenti e concessioni regie o chiesastiche vi si apponeva il Suggello pendente.
Or il succennato Sigillo del Sinibaldo s'appartiene alla metà del secolo XV e non prima. Il disegno, lo stile, e la forma de'caratteri, che vi si osservano non lasciano dubitarne; perciocchè presentano un impasto o fusione di caratteri dell'epoca de'regi Durazzeschi ed Aragonesi di Napoli. In compruova della mia debole opinione le acchiudo un altro consimile sigillo in confronto colla leggenda: Sigillum Andreas De Fusco De Ravello Episcopus Ravellensis. In esso evvi il Vescovo Fusco inginocchiato con mitra; e d'ambi i lati duplice suo stemma; cioè una branca di leone (che stringe un cuore, ma che non apparisce). Questo Andrea De Fusco fu eletto Vescovo di Ravello nel 1397 e nel 1400 fu traslocato alla Sede di Venosa, ove morì nel 1419.
Confrontando Ella i due Sigilli scorgerà che in quello di Ravello v'è più d'antichità e più serbatezza ne'caratteri angioino-durazzeschi; non così in quello di Sinibaldo, che offre più correzione nelle lettere e nel disegno semigotico (a). Nel sottometterle intanto questa mia debole opinione, la prego a non volermi trascurare di pregevoli e sempre grati di Lei comandi. - Nel presentare infine i miei sinceri ossequi al degnissimo di Lei cugino Cav. D. Francesco, le riprotesto i sentimenti di mia gratitudine e di alta considerazione, dichiarandomi per sempre
Amalfi, 7 ottobre 1856 - Obblig.mo e Devot.mo servo vero ed amico - Matteo Camera - A. S. E. Rever.mo - Il Cav. D. Vincenzo Canonico Brancia in Nicotera.

NOTE
(a) Ciò puossi attribuire alla maestria dell'artefice di questo Sigillo.