GIUSEPPE NASO

Pittore Tropeano Neoclassico





 


di Ines Cutellè Abenavoli



La figura di questo artista calabrese è ancora poco conosciuta. Soltanto due importante tele, poste entrambe nella Cattedrale di Mileto (VV) ed una posta nel nuovo e ben organizzato Museo sempre a Mileto riferiscono della sua attività; altrettanto poco nota è la sua biografia, e sporadici sono stati gli accenni da parte degli studiosi.
E' oggi possibile avere una più completa visione dell'attività del pittore alla luce di nuove documentazioni e grazie alla lettura di diverse sue opere finora inedite e qui pubblicate per la prima volta.
Il primo a ricordare Giuseppe Naso fu il Taccone-Gallucci (1882) nella sua Monografia dedicata alla Città di Mileto dove citò il dipinto raffigurante La Prima Comunione di S. Luigi Gonzaga e quello dell'Assunzione della Vergine; più tardi si interessò del pittore il Frangipane che nel suo Inventario (1933) inserì le due tele riguardo il patrimonio artistico della Cattedrale di Mileto.
                                                                                                                                                                                        La Prima Comunione di S. Luigi Gonzaga
In seguito, dell'attività pittorica di Naso ci veniva riferito, comunque e quasi esclusivamente, riguardo quelle sue opere lasciate a Mileto, mentre il pittore veniva menzionato non senza qualche imprecisazione.
Nell'opera citata ad esempio il Taccone-Gallucci ricordò il pittore col nome di Antonio e non Giuseppe. A sua volta il Valente (1973) indicò l'autore col nome di Luigi. Infine il Santagata (1975) nel descrivere le due opere meglio note di Naso ne datò una, L'Assunzione della Vergine, collocata sul soffitto della Cattedrale di Mileto, alla seconda metà del secolo XVIII (quando il pittore non era ancora nato) non fornendo la paternità, mentre l'altra La Comunione di S. Luigi venne datata alla metà del secolo XIX.
Da una inedita lettera manoscritta1 è oggi possibile apportare un contributo nel tracciare un profilo più completo del pittore tropeano che, similmente ad altri giovani calabresi, ma in condizioni diverse, raggiungeva con mezzi propri Napoli per entrare nell'entourage degli artisti affermati che operavano nella Capitale.
Appare utile una prima informazione sui più significativi dati biografici del pittore. Giuseppe Naso nacque a Tropea nel 1836. Dimostrata ben presto un'accentuata attitudine alla pittura venne indirizzato allo studio di questa in prima istanza da pittori locali i quali, in ambito provinciali, gli diedero le prime istruzioni. Uno di questi, a noi ignoto, che sulle prime seguì il giovinetto, si autodefinì in uno scritto "dilettante della scuola del fu G. Cammarano" e con ogni probabilità fu l'autore di una sorta di curriculum che il giovane G. Naso avrebbe in seguito presentato al De Vivo che lo accoglierà nella propria bottega a Napoli.
Il pittore calabrese dunque appena quindicenne, sordomuto dalla nascita, incoraggiato e sostenuto da uno zio materno2, si trasferì a Napoli nel 1851 dove avrebbe iniziato dall'anno successivo (1852) la sua attività d'apprendista sotto la guida del ben noto Cavalier De Vivo (1790-1884). Quest'ultimo appartenne a quella categoria di pittori storici di iniziale formazione camucciana (frequentò il suo studio dal 1821) che godette pure dal 1847 della stima di Ferdinando II di Borbone, il quale, dopo aver visitato in sua compagnia la Pinacoteca Vaticana gli concedeva il posto di ispettore generale di tutte le Pinacoteche Reali oltre che numerose commissioni.
Nel periodo in cui gli venne affidato il giovane Giuseppe Naso, il De Vivo era impegnato in pitture di iconografia religiosa in occasione del restauro di San Domenico Maggiore, nelle grandi tele di soggetto storico-celebrativo, e alle successive opere dai temi più palazziani.
                L'Assunzione di Maria
Dopo appena due anni il maestro, che teneva una frequente corrispondenza con i familiari del tropeano, in una lettera indirizzata al padre diceva: "esso può fare cose grandi, come ella vedrà, giacchè ha talento posato, gusto nel colore, è paziente esecutore". Nel 1855 Giuseppe Naso diciannovenne dipinse un San Francesco al quale il De Vivo faceva fare una "magnifica cornice"3 con l'idea di presentarlo al Principe ereditario. Nello stesso anno il pittore, grazie anche a un favorevole intervento da parte del De Vivo che lo segnalò come valido emergente, otteneva da parte del vescovo F. Mincione l'incarico di preparare alcune tele per la Cattedrale di Mileto4. Quest'ultima durante quel vescovato (1847-1882) era in via di riedificazione e si arricchiva di nuove opere che andarono a sostituire o ad aggiungersi al corredo della chiesa che era stata distrutta dal terremoto del 1783.
Il pittore eseguì per la Cattedrale la grande pala d'altare raffigurante L'Assunzione della Vergine e la Comunione di San Luigi, oggi posta nella navata laterale destra della chiesa; infine, sempre per Mileto, la Madonna della Pace, commissionatagli forse per uno dei tre altari allora esistenti nella cappella del Sacramento della Cattedrale, quello appunto a Lei dedicato.
E' probabilmente il momento artisticamente più importante del giovane pittore che, raggiunta una certa maturità tecnica, iniziò ad estendere la sua attività ed ad affermare il proprio lavoro in un periodo storico pieno di difficoltà, nel quale la pittura arriverà ad essere utilizzata anche come mezzo di denuncia con opere nuove dai toni polemici, come nel caso della tela di Cefaly Il miglior modo di viaggiare in Calabria (1866) del Museo di Castel Nuovo di Napoli. Tuttavia è anche il periodo in cui la famiglia del pittore iniziò a premere perchè lasciasse Napoli per far ritorno a Tropea, dove morì nel 1862.
                                                                                                                       La Scarcerazione di S. Pietro
Questi sintetici dati vogliono ovviamente servire come profilo biografico di un pittore la cui personalità nella nostra regione è rimasta a lungo poco nota.
E' vero, come prima osservato, che oggetto di attenzione della pittura di Giuseppe Naso sono state finora le tele dipinte per Mileto; ciò soprattutto per una oggettiva mancanza di altre opere sul territorio calabrese  che potessero fornire un quadro più completo della sua pur vasta produzione in parte dispersa o collocata in località e collezioni diverse.
Tuttavia per una maggiore comprensione dell'attività del Naso vengono in aiuto alcuni inediti, tutti oli su tela, dei quali chi scrive ha avuto modo di occuparsi.
Di questi fanno parte alcune opere legate agli esordi ed altre al periodo di più intensa attività del pittore. Tra le prime sono diversi ritratti, come ad esempio quello di piccole dimensioni del Can Polito, e una Madonna della Romania, effige diffusa e venerata a Tropea la cui devozione trae origine dall'icona su tavola della Cattedrale della stessa città che si vuole importata dall'oriente bizantino nel 787 d.C..
Ma più che le tele maggiormente legate alla produzione iniziale di Naso, pur utili per la definizione di un'evoluzione stilistica, appaiono interessanti i dipinti eseguiti negli stessi anni del soggiorno napoletano del pittore, quando nella Capitale era discepolo del De Vivo.
Elemento comune di questi, oltre alla iconografia di carattere religioso, è un certo tipo di "luminismo" e un uso dei contrasti molto forte che danno alle opere un'atmosfera particolare. E' il caso di due opere di dimensioni diverse aventi lo stesso soggetto: San Francesco d'Assisi. In quello più ridotto (cm. 36x50, autografato), è il volto del santo che occupa per intero la tela; nell'altra invece, sempre raffigurante San Francesco d'Assisi (1855 c.a., cm. 97x75) c'è più spazio per la figura e per la sua gestualità e, nell'insieme, sembra rispondere maggiormante ai linguaggi figurativi napoletani di inizio secolo già volti verso istanze più romantiche. E' il dipinto che il De Vivo, certo del suo discepolo, aveva intenzione di mostrare al Principe ereditario. A questo gruppo di tele è comune pure il fondo molto scuro dal quale emergono i soggetti ai quali l'autore dedica un'intensa ricerca della caratterizzazione emozionale.

               Ecce Homo
Così pure nell'Ecce Homo (cm. 52x65), autografato sul retro della tela, che si potrebbe porre come punto fondamentale per la traduzione stilistica in chiave neoclassica del pittore.
Quest'ultimo elemento è più ancora sentito nella Scarcerazione di S. Pietro operata dall'Arcangelo (cm. 60x110 c.a.), forse un bozzetto, nel quale sono più evidenti gli elementi della pittura neoclassica. Nella tela della Scarcerazione i dettagli si fanno più importanti. La figura del santo, del quale si può notare una piccola sproporzione nella testa, pur occupando la parte centrale della tela è messa in minor risalto rispetto alla figura dell'angelo; è quest'ultimo, luminosissimo, che diffonde quei pochi bagliori di luce che si riflettono sulle armature dei soldati romani, tutti dormienti tranne uno. L'opera si può datare alla fine degli anni cinquanta del secolo XIX, e forse fu contemporanea all'opera più impegnativa per la Cattedrale di Mileto, l'Assunzione della Vergine, eseguita nel secondo semestre del 18595.
Commissionatagli dal vescovo Mincione come pala per l'altare maggiore fu posta, all'indomani della ricostruzione della Cattedrale e con disapprovazione da parte dei parenti del pittore6, sul soffitto del presbiterio dove alla inaugurazione del nuovo e attuale tempio dedicato a San Nicola, avvenuta nel 1930, a tutt'oggi si può ammirare.

                                                                                                                                                                                                        L'Assunzione (bozzetto)
Nella grande tela, la Vergine è posta centralmente assisa in cielo sulle nuvole; ai suoi lati sono una schiera di angeli che portano fiori e ghirlande e che sostengono essi stessi le figure di Gesù e del Padreterno; in alto il simbolo dello Spirito Santo con un fascio di luce illumina la corona in direzione del suo capo. Degli apostoli, occupanti tutto il registro inferiore della tela, alcuni sono attoniti davanti al sepolcro vuoto, mentre altri già si accorgono dell'evento. Dell'Assunzione della Vergine esiste un bozzetto (cm. 60x110 c.a.) finora mai pubblicato nel quale emergono alcune differenze ravvisabili in particolar modo nell'esposizione degli apostoli, e in altro elementi quali le chiavi, le rose e i calzari delle figure in primo piano.
Un'altra tela di grandi dimensioni, posta sempre nella Cattedrale di Mileto nella navata destra della chiesa. è la Comunione di S. Luigi nella quale con colori caldi e un'esposizione dettagliata, viene raffigurato S. Carlo Borromeo mentre dà la prima comunione a Luigi Gonzaga, in uno spazio definito architettonicamente adoperato per accogliere sullo sfondo la moltitudine di spettatori.
Un'ultima opera di Naso si conserva pure a Mileto nel nuovo Museo7. E' il dipinto raffigurante la Madonna della Pace, e come già supposto, fu forse anche questa eseguita per la Cattedrale considerando che, come ci riesce il Taccone Gallucci, uno dei tre altari della Cappella del Sacramento era dedicato proprio alla Madonna della Pace. In questo dipinto si può forse notare da un lato l'estremizzazione da parte di Naso del linguaggio figurativo neoclassico; dall'altro il bel volto della Madonna, circondato da un ricchissimo panneggio ricorda in qualche modo un'altra tela con ogni probabilità dello stesso pittore raffigurante la Madonna col Bambino e S. Giovannino, che si può ritenere comunque precedente. Come per le tele di Mileto compresa la Madonna della Pace, il linguaggio formale adoperato dal pittore può dirsi in prevalenza neoclassico.
       Madonna col Bambino e S. Giovannino
Tuttavia un'ultima tela rivela come Giuseppe Naso fosse pronto e capace nel distaccarsi da quei confini stilistici entro i quali si mosse forse a causa di esplicite richieste da parte della committenza per le iconografie da trattare. Nell'Autoritratto il dato emozionale, la ricerca espressiva quasi un'indagine introspettiva, già presenti peraltro in altre opere di G. Naso e frutto probabilmente di un intento personale e non programmatico, sono ora la risultanza di una "visione franca"; quest'ultima, se si rivela teoricamente consona alla prima rivalutazione neoclassica del genere del ritratto, tova nel dipinto, unico nel suo genere rispetto alle altre opere di Naso, l'unica tela lontana da quel linguaggio tenacemente ancorato alla tradizione voluta dalla commitenza della Restaurazione, che soprattutto dalle iconografie religiose traeva motivi unificanti di identificazione culturale e di appartenenza.
L'Autoritratto pone dunque una battuta d'arresto alle opere finora conosciute di Naso. Questi rimasto a Napoli in piena epoca risorgimentale, quando a causa dei disordini dei moti liberali molti altri giovani meridionali, tra i quali pure A. Cefaly, venivano richiamati dai familiari per far ritorno nella terra d'origine, volle continuare il suo soggiorno napoletano forse fino alla fine degli anni cinquanta. Al rientro, la sua produzione subì una brusca interruzione, per la sua morte precoce avvenuta a soli venticinque anni.
Già il Frangipane nel suo Inventario (1933) ebbe modo di definire Giuseppe Naso "pittore neoclassico" e osservando le sue opere di carattere religioso, espresse nella maggior parte in una traduzione dell'accezione figurativa neoclassica più tradizionale, non si può che essere concordi. Tuttavia il fatto che l'attività del pittore si svolse quasi tutta, a causa della sua prematura scomparsa (1862), entro la prima metà dell'Ottocento, quando cioè i motivi ispiratori del Neoclassicismo erano già stati soppiantati da altri, pone di conseguenza la riflessione sulla possibilità o meno dell'effettiva sua classificazione in ambito neoclassico.
Viene subito in mente allora il dato del ritardo culturale causato sovente dalla condizione di isolamento delle aree periferiche. Della Penisola, che già di per sè aveva accolto soltanto qualche anno prima dell'arrivo delle armate napoleoniche le innovazioni che arrivavano dalla Francia, innovazioni che già erano presenti nel periodo  immediatamente successivo alla Rivoluzione; e del Mezzogiorno dove sovente si utilizzarono le sole tecniche di espressione della nuova corrente svuotata dell'iniziale  proprio senso intrinseco, e dove a volte si preferì chi mantenne vivo il legame con la tradizione locale.
Al di là dei vincoli spesso indotti da rigide periodizzazioni di movimenti culturali e in particolare alla luce di una maggiore conoscenza dell'opera del pittore Naso, si potrebbe così affermare che egli si servì (soprattutto per quelle opere meglio note che gli vennero commissionate) del linguaggio neoclassico, il quale di fatto già si era configurato come stile.
                                                                                                                                                                                                La Madonna della Pace
Rifiuto degli eccessi, equilibrio formale, chiarezza espositiva, scelta di composizioni frontali, sono elementi che si possono facilmente riscontrare nelle opere di Mileto e che nel contempo possono riferirsi alla pittura neoclassica, che mentre intese dare alle opere un valore "educativo" come affermò Honour per il suo carattere internazionale si rivolgeva non al singolo del suo tempo ma a tutti gli uomini di tutti i tempi. Il neoclassicismo "controllato" più che "accademico" di G. Naso va inteso pure comprendendo le indicazioni fissate dalle tendenze regionali settecentesche che influenzarono, se pur in modo non determinante, gli avvii del nuovo secolo.
Indicazioni queste che probabilmente durante il periodo della restaurazione godettero di maggior favore nel Regno se la committenza borbonica, nella persona di Francesco I, negli anni '30 preferiva affidare al De Vivo e non al Camuccini il rifacimento del dipinto dell'Immacolata Concezione per la Chiesa di S. Francesco di Paola eseguito in prima istanza dal Landi e non ritenuto "idoneo" dal Re e dalla commissione8. Non bisogna infine dimenticare che la formazione del pittore tropeano fu legata almeno agli esordi all'eco dell'opera di Giuseppe Cammarano e all'eredità della scuola romana.
Nulla si sa se Giuseppe Naso fu sensibile della pittura di paesaggio, il cui interesse fu vivo  in particolar modo nella provincia reggina, o se conobbe il realismo dei Palizzi punto di riferimento per i napoletani decisi nella prima parte del secolo ad avviarsi su strade nuove e da cui si profilarono in seguito le distanze per la costituzione di nuovi linguaggi figurativi. Nè si può supporre in quale chiave si sarebbe evoluta la sua pittura. Tuttavia la sua breve ma intensa attività va ad essere ascritta nella storia dell'arte calabrese alla quale Giuseppe Naso diede il suo contributo; storia della nostra regione alla quale molti studi devono ancora afferire.
 

NOTE:

Si ringrazia il dott. G. Agosteo per la cortesia e la disponibilità dimostrata.

1E' esistito un carteggio, purtroppo per la maggior parte disperso, tra il De Vivo e i familiari di Naso. La lettera manoscritta cui si fa riferimento fu scritta di pugno dal nipote del pittore.

2Lo zio materno del quale si  fa cenno fu l'Ammiraglio Napoleone Scrugli, tramite principale nelle epistole tra Naso e la sua famiglia, e tra quest'ultima e il Cav. De Vivo.

3Cit. dalla lettera ms. Cfr. n.1.

4Idem. Così si legge nella lett. ms.: <<E quando il Vescovo di Mileto si rivolse a Tommaso De Vivo per la composizione di una grande tela per l'altare maggiore di quella Cattedrale, il De Vivo prescelse Giuseppe Naso a tale bisogna che in quella circostanza dipinse l'Assunzione della Vergine tela che tuttora ammiriamo nella suddetta Cattedrale, ma purtroppo, non più all'altare maggiore o ad altra parete ma appiccicata al soffitto, quando conseguentemente alla riparazione della chiesa venne ricostruita con l'abside rotonda>>.

5La data dell'esecuzione del dipinto è avvalorata da una lettera (prot. 597/61 del 14/04/1861) di Giovanni Naso, nipote del pittore, in risposta a M. A. Sorrentino e depositata presso l'Archivio Corrente della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, il quale oltre a confermare la paternità dell'opera, coglie l'occasione per fornire alcune notizie sul pittore; dalla stessa infatti sappiamo che la tela fu acquistata a Napoli per 72 ducati mentre ne occorsero 41,7 per issarla, e che fu in seguito restaurata da M. Albera. (A proposito di tale documento si ringrazia il Prof. N. Pagano, direttore del Museo Diocesano di Arte Sacra di Nicotera e attento studioso della storia della nostra regione, per l'interessamento nel reperire tale fonte).

6Di tale disapprovazione, che fu forse esternata in una nota indirizzata all'Arcivescovato da parte del nipote del pittore, dovrebbe esservi traccia in Archivio Storico Diocesano di Mileto.

7Val la pena di ricordare come la nuova struttura museale di Mileto, situata alla vicina Cattedrale, comprenda un'interessante sezione archeologica con reperti dell'antica Mileto, sarcofagi trecenteschi, paramenti sacri, il busto argenteo di S. Nicola di Bari (al quale è dedicata la Cattedrale) nonchè il bel crocefisso in avorio attribuito all'Algardi.

8L'informazione dello scontento del Re si rileva da una lettera indirizzata al Bianchi e scritta dal Camuccini in data 17 novembre 1830. Cfr. F. C. GRECO, M. A. PICONE PETRUSA, I. VALENTE, La Pittura napoletana dell'Ottocento, a cura di Franco Carmelo Greco, Napoli, 1966, pag. 44.