Marc Chagall: Cantico dei Cantici (1958)
Marc Chagall (1887-1985): Cantico dei Cantici (1958). Olio su carta.
 

LA
SPOSA
DEL NUOVO CANTICO
DETTATO
DA
PASQUALE CAPUTO
DA TROPEA

PRINCIPE DI CALAPEZZATI E MARCHESE DI PETRELLA
(1876)


Caputo Pasquale nasce a Tropea il 3 gennaio 1825. Fratello della <<poetessa>> Felicia, studia assieme al fratello minore Luigi nella città natale e a Napoli. Muore a Tropea il 13 aprile 1885, all'età di sessanta anni. Di lui rimane un poema manoscritto di argomento religioso che si conserva dai Sigg. Cipriani di Nicotera, suoi parenti da parte della moglie.
Sono invece pubblicate, oltre "La Sposa del Nuovo Cantico", Napoli, Tipografia italiana, 1876, che qui viene ripubblicato dopo centoventisei anni, un opuscolo poetico di otto pagine in 4° dal titolo "Rime lacrimevoli - in morte - del Maresciallo Marchese - Ferdinando Nunziante", Napoli, Tipografia Rusconi, 1852, che contiene sei sonetti indirizzati alla Marchesa Giuseppa Gaetani, vedova del Nunziante.

"La Sposa del Nuovo Cantico",
di dodici pagine in 8° è un'imitazione in terza rima del
"Cantico dei Cantici",
uno dei 24 libri della Bibbia collocato nella sezione degli “Agiografi”,
più precisamente chiamati Meghillot (rotoli).



 


LA SPOSA
I.°

O de l'anima mia soave cura,
Calamita di amor, centro di affetti;
Per te mi par più bella la natura.
E del creato i più leggiadri obbietti
Mi parlano di te, mio ben sovrano,
Di te che sei il primiero infra gli eletti
Al profumo balzamico ed arcano
Che tragge da tua veste, il core mio
Beve in la fonte di un piacer non vano.
Le figlie di Sion con gran desio
Movon per rivederti, e tu ti porti
Lungi da lor se ànno elle il senno rio.
Difesa è tua magion da mille Forti
Che armi imbrandiscon formidate invitte
A rinascente duol de' regni morti.
Di Giuda, o Donne, dal mio amor trafitte
Dite il mio gran tesor dove sen giace
In quali lande scorre derelitte.
Egli è de la mia vita essenza e pace,
Egli è l'astro del giorno, e de la notte
E' diradante il tenebror gran Face.
Per questo io soffro di pensier le lotte,
Di lui m'innamorai, ch'è la più bella
De l'Eterno tra le opere più dotte,
Ed ei Colomba e sposa ognor mi appella.


LO SPOSO
II.°

O Gloria d'Israel, speglio divino,
In cui l'immago mia giace ritratta,
O rosa eterna, O Giglio peregrino.
Per me dal nulla un dì tu fosti tratta,
Ed io ti elessi a mia compagna, o cara,
E per gli amori miei sei grande fatta.
De le Donzelle tutte la più rara
Di cedar tu somigli a l'alme tende,
O a la Magion del saggio Re preclara.
Non mai canuta l'aspra età ti rende,
E vaga e fresca sempre apparirai
Del vortice degli anni in le vicende.
Sei d'Engaddi la vigna allor che fai
L'aura di odor fragrante, e sei tu l'orto
Che io con suggello eterno suggellai.
E quell'affetto che nel sen ti ò scorto
E' del mio affetto mistico la speme,
E' luce nuova che compar da l'orto.
Con quà carezze ò da mostrarti estreme
Mia amica, sposa mia, pura colomba,
L'amor che per te l'anima mi preme
E che cotanto in su la terra romba?...


 

LA SPOSA
III.°

Del talamo giacea su molli piume
Quando in la soglia del mio ostel picchiava
L'amante mio, di mie speranze il lume.
La notte era alta, ed io per lui vegliava
E nel più dolce palpitar la stola
Per schiudere al mio bene m'indossava.
Ma ei non trattenne, e sconsolata e sola
Gli ultimi accenti suoi volvendo in mente
Restai, senza il bel fior, nuda viola.
Ti amo diceva il mio fedel, silente
E' l'ora per gli amplessi e per li baci
Di alme ad amarsi intese castamente.
L'udì, nol vidi, ma le cure edaci
Mi lacerano il grembo da quell'ora
Che al caro io dire non potei, mi piaci.
Ei tutt'i cor co' modi suoi innamora
E con note mirifiche, e sincere
I desolati, i miseri rincora.
Fugg'i covil di Pardi e di Pantere
Nel calle che farai, mio ben, mio sposo,
Fugg'i Lupi, le Tigri, e l'altre fiere.
L'obbietto a ritrovar corsi amoroso
Così nel favellar per balze e monti,
Per prati e campi ù lo credev'ascoso,
Ma nol trovai per que'sentieri conti.


LO SPOSO
IV.°

Andai per favellar con la mia bella
Nel mezzo corso de la notte, ed era
Serrata di sua stanza la portella.
L'uscio picchiai, e con voce assai leggiera
Destati, dissi, chè il tuo amor ti aspetta
O de le Donne la più pura e mera.
Ed ella non rispose paroletta,
Chè le gravava il sonno su le ciglia
Ed io partì senza vederla in fretta.
Di Gerosolma, se t'incontra, o figlia,
Dille che io fui da Lei, e che sopita
La rinvenni se teco si consiglia.
Dille che sua virtù somma infinita
Mi forza a decantare i pregi tanti
Di cui nel mondo è appieno redimita.
Dille che i sacri nostri alterni canti
Anno un potere ed un affetto in noi
E gioiscono in Ciel gli Angeli santi,
Che l'atto à un fin de' miei voler de' suoi
Che una cagione ci governa in terra
Che ad uno affetto siamo intenti poi.
Che noi fuggiamo dell'error la guerra
Che la gioia e la pace è nostra essenza,
E che d'amori l'armonia rinserra
La sovrumana nostra alta esistenza.


 

LA SPOSA
V.°

Varcai l'Egizie piagge, in Menfi, in Tiro
Mi ricordai le profezie più sante,
Piansi di Salomon sul templo miro.
Dicea a cercarlo andai per terre tante.
In Galilea in Samaria io trassi il piede,
Chè ivi credea che fosse il fido amante.
Di Solima la figlia allor mi riede
Ed avvenente in favellar mi dice
Ier parlò meco il tuo Idolo in fede.
Egli era vago, se di dir ciò lice,
Aveva gli occhi azzurri e bruno il crine
E compariva in volto ente felice.
Mi disse, se vedrai da le divine
Forme la sposa mia, dille ch'era ito
Di mezzo notte a visitarla in fine.
Ch'era il suo spirto nel sopor sopito,
E che i miei bussi e'l favellar di amore
Ella in modo nessuno à risentito.
Tacque la Solamite, e nel mio core
Si raddoppiar le affezion pel caro,
E aggiunsi il bene a rintracciar calore.
Alfin compare di mia vita il faro
Alfine agli occhi miei torna la luce
Del Siloe presso il margine preclaro.
Quivi dopo gran stenti il mio bel Duce.
L'amico mio, il tesoro al casto amplesso
De l'affannata sposa si conduce,
Ed io ghirlanda de' miei amor gl'intesso.


LO SPOSO
VI.°

Di Davide la rocca è meno bella
Di te colomba mia, soglia d'Empiro,
Di me polare Mattutina stella.
De la neve à il candore il tuo bel spiro,
Di porpora ài la guancia colorita
Ed in te me guatando io più ti ammiro.
La Sinagoga perfida invilita
Sprezzò le mie dottrine, e la tua beltade
Ed è dal mio poter forte abborrita.
Perciò del Sinai dissi in le contrade
Al conduttier del popol d'Israele
Che altra Solima fia la mia cittade.
Di mia Nave il timone e l'alme vele
Si moveran ver la città Latina
E ingoierà l'infernal Mostro il fiele.
Quivi ti siederai, somma Reina,
Ti adoreranno le universe genti,
E ascolteranno la tua gran dottrina.
Attiva fia tua forza infra i viventi
Mentre sarà passiva Idolatria
Ad onta de' favor de' re possenti
De la mina mortal, de l'Eresia.


 

LA SPOSA
VII.°

E su la Nave mi guidò lo sposo
Che portar ci dovea del Tebro al lido
Il tirreno in varcar mare famoso.
E l'aura a poppa e l'elemento infido
Obbediénti ci recàro in Roma
Dove mi disse il mi consorte fido.
Dal nostro impero tal città fia doma,
E invan ti raderanno, o mia diletta,
La d'unguenti ripiena empirea chioma.
Tacque, e al mio bene in nodo santo io stretto
Non paventai d'assidermi sul trono
E Roma d'appellar mia sede eletta.
Ma m'ebbi io presto in sen duro cordoglio
Quando i signor di Roma m'intimàro
Guerra crudel con dispietato foglio.
Allora il sangue i martiri versàro
Per la mia causa sacrosanta e giusta
E gli avidi tiranni si appagàro.
Andai d'obbrobrì e di dispregi onusta
I Dommi ed i miei riti in catacombe
A celebrare de l'età vetusta.
E contro a me romoreggiar le trombe
Di quel popolo indegno che anelava
Sacrificare agli Idoli ecatombe.
Io tersi il pianto al miser che plorava,
Poligamia distrussi, e 'l sacramento
Per me nuzial lo sposo mio recava
Ad estirpar di colpa l'elemento.


LO SPOSO
VIII.°

E la mia cara si temea sedere
De la Sionne militante in trono,
Chè le fu l'avvenir dato vedere.
Ma di qual non fu pondo il sommo dono
D'essere ella mia sposa, e creatura
A me diletta che mi son chi sono?...
Già sorger miro ne l'età futura
Lo scisma e l'Eresia contro di Lei,
Ed ella a torto non temea sventura.
De l'abisso gli spiriti più rei
Già cercan rivoltare un popol tutto
E i suoi precetti struggere più bei.
Mai io con seco sarò nel brio nel lutto
E del secolo rio fra le tempeste
Raccorrò de' redenti alfine il frutto
Già movono ver Lei spire funeste
Menandro, Simon Mago, Saturnino,
Niccolaiti, Ebion del Mondo peste.
Marciano co' principi, e Valentino
Co' tretaeoni, e 'l vantator Montano
Che asseriva essere egli il Divo trino.
Ed Ermogene rio col dir suo vano
Che io risursi nel sol giva sclamando
E ch'eterno è il creato e 'l nume arcano.
Prassea e Sabellio in secolo esacrando
Negaron de la Triade il gran Mistero
E l'Unità mi tolsero pensando.
Ed Ario e Macedonio e 'l tristo e fiero
Apollinar con lingua avvelenata
Distrugger mi volean nel Mondo intero,
E di Pelagio la continuata
Di error dottrina, e move Fozio guerra
Al procedente spiro in carta ingrata.
E ad altro scisma il varco omai disserra,
Ma non avranno no, non avran vanto
Gli emissari d'inferno in questa terra,
Con la sposa in cozzar del più che santo.


LA SPOSA
IX.°

L'Agnel di Dio, di Giuda è il gran Leone,
E' il mio sposo, il mio amor, la vita mia
Che a suo piacer degli esseri dispone.
Mi sarà scudo in la tenzon più ria
Che avrommi con l'inferno e con la terra
Fin che del ciel tutta la terra fia.
Per me ovunque il vangelo intima guerra
D'Epicuro e Maumetto a l'empia setta
E 'l vero ben ne la virtù rinserra.
Per me la società co' nodi è stretta
Di Pietà, d'amor, di caritade
E in Dio gioisce la famiglia eletta.
Si ode la voce mia per le contrade
Del nuovo continente, e nel Giappone,
Per l'Indie, per le Antille in ogni etade.
Fui, sono, e sarò da la cagione
Incontingente e necessaria amata
Che mi diè gran poteri a gran ragione.
L'omicida, l'adultero mertata
Pena si avrà, qual fia del delatare
Tra i neri spirti l'anima dannata.
Indarno contro a me l'angiol d'orrore
Move bufere ne l'Umano esiglio
Se il natural perdè prisco valore.
Di Piero solcherò nel gran Naviglio
Il Mare e l'Oceano, e de la Morte
Al suo apparir scomparirà l'artiglio
Ed io d'Israel mi eternerò nel forte.