Pasquale Galluppi

La Filosofia dell'Esperienza
 

di Giuseppe Locane



Pasquale Galluppi definisce il proprio sistema di pensiero "filosofia dell'esperienza". Così pure egli afferma ripetutamente che nelle conoscenze umane l'analisi precede la sintesi. Siamo perciò in presenza d'una filosofia che adotta il metodo dell'osservazione e dell'analisi. Questo metodo "era stato delineato dalla tradizione lockiana e sensista" (S. Moravaia, IL TRAMONTO DELL'ILLUMINISMO, Laterza, Bari, 986, p.18). Il filosofo Condillac, che come lo stesso Galluppi dice, impresse una svolta ai suoi studi, aveva perfezionato la metodologia analitica. La filosofia intellettuale deve proporsi la conoscenza delle leggi e dei mezzi che regolano l'esercizio della nostra conoscenza. Ma tale filosofia, lungi dall'esercitarsi sul conoscere puro, separato dalla realtà, come si verifica nel kantismo, nell'atto stesso che verifica i mezzi della conoscenza - afferma il Galluppi - conosce insieme il nostro spirito e la natura esterna a noi e in se stessa esistente.
La realtà non può essere ridotta al solo mondo materiale. Se così fosse esso non potrebbe essere conosciuto. Se esistesse solo la materia, sarebbe inspiegabile il pensiero della materia stessa. L'esperienza del mondo esterno riposa tutta su quella del mondo interno: "il mondo materiale non conosce se stesso" (P.G. LEZIONI DI LOGICA E DI METAFISICA, V. I, Napoli, Tramater, 1837, p.XIII).
Tutto il sapere umano poggia sui fatti dell'esperienza, ma essi sono di due specie: alcuni sono esterni a noi, altri interni a noi medesimi.
A coloro che volessero ridurre il sapere umano ai soli fatti dell'esperienza esterna, il Galluppi osserva: "Il mondo intellettuale non è forse ugualmente reale come il mondo materiale? Anzi la realtà del secondo forse non suppone essa la realtà del primo? Se l'esistenza de' corpi e quella del moto, sono de' fatti, che osserviamo fuor di noi, l'esistenza del ME e del pensiere, che lo modifica, non sono egualmente de' fatti incontrastabili, che osserviamo fuor di noi stessi? (...), l'esistenza delle idee, de' giudizj, dei raziocinj, de' piaceri, de' dolori, de' desiderj, delle passioni, de' voleri, non sono forse de' fatti di una irrefragabile certezza?" Allo stesso modo in cui siamo certi dell'esistenza del sole, perchè ne abbiamo la percezione, siamo certi di questa percezione, perchè ne abbiamo coscienza. "I Filosofi Metafisici ammettono (...), il metodo sperimentale, ma non lo mutilano affatto; eglino lo prendono tutto intero nelle sue specie, e ne' suoi risultamenti...(...).
La Filosofia intellettuale non confonde mica il metodo sperimentale coll'empirismo" (P. G. Op. cit., pp. XX-XXI).
Il Galluppi oltre a porre l'esperienza intesa in maniera completa a fondamento del proprio sistema di pensiero, afferma che l'analisi precede le sintesi: "l'analisi è il metodo che deve seguire lo spirito per ritrovare la verità che ignora". Con espressione suggestiva nel SAGGIO FILOSOFICO riafferma che "quello analitico è il metodo degli inventori". L'analisi "non ammassa nè definizioni, nè assiomi, nè postulati. Ella passa gradatamente dal noto all'ignoto (...) seguendo il progresso naturale dello spirito umano". L'analisi spiega l'origine delle nostre idee. Le definizioni e la sintesi costituiscono soltanto il punto di arrivo dell'analisi.
Il dato primitivo dell'esperienza interna è costituito dall'esistenza dell'io e delle sue modificazioni ed opere di qualcosa che è fuori di lui, cioè, come Galluppi si esprime con espressione francesizzante, dall'esistenza del ME o del FUORI DI ME. Pertanto, diversamente da quanto avviene nel criticismo e nell'idealismo, Galluppi non fa dell'autocoscienza qualcosa di chiuso in se stesso. Essa è fin del suo primo momento aperta alla realtà esterna.
Se mediante l'analisi abbiamo distinto un ME modificato da un FUORI DI ME, mediante la sintesi veniamo a conoscere la relazione che collega l'uno all'altro.
Bisogna anche precisare che la coscienza per il Tropeano è diversa dal giudizio. Con la coscienza si ha la percezione del ME e le sue modificazioni, col giudizio se ne fa l'analisi. Galluppi distingue un ordine cronologico delle conoscenze, da un loro ordine scientifico: la coscienza delle operazioni del proprio spirito viene prima della coscienza di riflessione che cerca di rendersi conto di queste operazioni. Una cosa è avere la percezione della propria esistenza, un'altra formulare su di essa il giudizio IO ESISTO, per la cui formulazione bisogna avere già acquistata l'idea univeralissima di esistenza. "Questa verità" io esisto, "non è dunque primitiva nell'ordine cronologico delle nostre conoscenze; si può passar lungo tempo senza pensarvi (...). Si ha quasi ad ogni momento la coscienza delle proprie operazioni, ed in conseguenza il sentimento del proprio essere, ma non si ha ad ogni momento la coscienza riflessa della propria esistenza, e si può aver passato l'intiera vita senz'aver giammai detto: IO SONO, con coscienza riflessa; perciò le operazioni del nostro spirito incominciano dal sentimento della propria esistenza, ma non già dalla riflessione su la propria esistenza: incominciano dalla percezione del ME, ma non dal giudizio sul ME" (SAGGIO, v. I, pp.48-50). Galluppi afferma: "Antica è la dottrina la quale insegna esser tre le operazioni dell'intelletto, cioè la SEMPLICE PERCEZIONE, IL GIUDIZIO, ed IL RAZIOCINIO. Con la prima operazione l'intelletto non giudica, cioè nulla afferma e nulla nega. Ho trovato esatta e luminosa questa antica dottrina e mi sono impegnato di svilupparla. La sensibilità esterna, e la interna costituiscono il senso; ma pare che gli antichi non abbiano molto diretto la loro attenzione alla sensibilità interna, che chiamasi eziandio coscienza" (LEZIONI DI LOGICA E METAFISICA, vol. IV, Napoli, 1848, p.99).
Lo sspirito nella percezione o coscienza del ME e delle sue modificazioni, è passivo. Esso esplica invece la propria attività sui dati primitivi della coscienza dividendoli prima mediante l'analisi e combinandoli poi mediante la sintesi.
La sintesi dicesi reale, quando gli elementi da essa unificati sono reali ed il loro rapporto è esistente in natura. Ciò si verifica ad esempio nell'affernazione: Io sono sensitivo, dal momento che sia l'Io che le sue notificazioni e gli oggetti che lo modificano sono cose reali, realmente unite.
Questa sintesi copia la realtà. La sintesi dicesi ideale oggettiva quando i termini unificati sono reali, ma la loro relazione è ideale. Ad esempio, quando confrontiamo tra di loro due oggetti, i termini della relazione sono reali, ma la loro relazione è soltanto ideale. La sintesi dicesi ideale soggettiva, quando sia i termini che la relazione sono ideali, come si verifica sommando tra di loro due numeri.
A motivo dei rapporti di identità e di diversità che intervengono nella sintesi ideale oggettiva, Galluppi è stato ritenuto da Spaventa "kantista suo malgrado". La valutazione spaventiana non possiede giustificazione, i termini della sintesi ideale oggettiva essendo reali sussistenti, là dove nel giudizio sintetico a priori kantiano gli oggetti unificati sono fenomenici, cioè appresi non come sono in sè, ma come appaiono al nostro intelletto il cui modo di conoscere è regolato da categorie da non potersi - secondo Kant - riferire alle cose come fossero loro attributi. La relazione d'identità e di diversità di cui lo spirito si serve per compiere la sintesi ideale oggettiva, secondo Galluppi, non è posta dall'intelletto, come invece avviene per le categorie kantiane, ma è da esso estratta dall'idea di unità, a sua volta sorta in seguito alla percezione e riflessione sulla realtà particolare. Per ciò che attiene al giudizio sintetico a priori kantiano, Galluppi fa osservare due cose. Prima: in questo giudizio la sintesi si limita ad aggregare le unità, come nel celebre esempio 7+5=12, mentre appartiene solamente al giudizio vedere l'uguaglianza dei termini rapportati. Secondo: la nozione di giudizio sintetico A PRIORI contiene in se stessa un'assurdità; il giudizio è sintetico quando togliendo la nozione del predicato non si toglie quella del soggetto: in tal caso il giudizio non è analitico, "ma esso è insieme contingente, poichè io posso ammettere il soggetto senza essere necessitato di ammettere il predicato. Un giudizio sintetico necessario è dunque un assurdo". Soltanto se togliendo la nozione del predicato si toglie la nozione del soggetto, la prima nozione può essere identica con la seconda: "in questo caso il giudizio è necessario" (SAGGIO FILOSOFICO, vol. 3° cit., par. 41, p.143).
Esiste anche una particolare forza di sintesi che il Filosofo tropeano chiama sintesi immaginativa, la quale è detta sintesi immaginativa civile se, formata da parti singolarmenti esistenti in natura, costituisce un tutto non esistente nella realtà, ma soltanto riproducibile. Per esempio il progetto d'un edificio presuppone l'esistenza in natura dei singoli materiali che servono alla sua costruzione, mentre il tutto immaginato, pur non avendo un'esistenza naturale, è riproducibile artificialmente. La sintesi immaginatica poetica si ha quando vengono uniti elementi che singolarmente presi esistono in natura, ma non esiste nè è riproducibile la sintesi a cui danno luogo. Così se uniamo alla testa e al petto di donna, il corpo di cane, le zampe di leone, la coda di serpente e le ali di uccello e al mostro in tal modo costruito diamo il nome di Sfinge, non possiamo dire che in natura un tal mostro esiste o sia riproducibile: esso esiste solo nell'immaginazione del poeta.