Tropea. Cappelletta della Casa Natale di Pasquale GalluppiPRESENZA
DI PASQUALE GALLUPPI
IN TROPEA

di Francesco Pugliese


E' la comunicazione del teologo Francesco Pugliese al III Congresso di Studi Galluppiani svolto a Tropea durante i giorni 28, 29 e 30 maggio del 1987. All'epoca il teologo era Presidente del Centro Studi Galluppiani e volle quindi introdurre i lavori con questa conferenza dal contenuto non prettamente 'filosofico' ma tendente a presentare ai partecipanti un ritratto del Galluppi "nella sua dimora naturale e nella sua vita abituale".

Il mio compito, quale Presidente del Centro Studi Galluppiani e promotore di questo convegno, non è quello di inoltrarvi nei problemi di pensiero o semplicemente di introdurli, - tale compito spetta agli illustri studiosi qui convenuti, - ma più modestamente fare gli onori di casa e presentare a voi forestieri e a voi, gentili signore e signori, il personaggio, oggetto del vostro e nostro interesse, nella sua dimora naturale e nelle sua vita abituale.
 

Di Pasquale Galluppi si sa comunemente che ricoprì una cattedra universitaria prestigiosa ma si sorvola che egli adì a quella cattedra quando già era nel declino degli anni, nell'età in cui si pensa non ad aprire un'esistenza ma a richiuderla. Egli non fu un accademico ma un ricercatore, di vita quasi eremitica.
Pasquale Galluppi visse da solitario, pur in mezzo alla società comune e familiare, per la sua meditazione costante dettata da un bisogno interiore. Visse per una straordinaria avventura di pensiero che ha rare similitudini e in un contesto che di questa era l'antitesi.
Nel secondo decennio dell'Ottocento, incontrandolo per le vie di Tropea non avremmo fatto conoscenza con un maestro di filosofia ma col procuratore delle imposte.
Tropea (da trepo = volgo) si eleva alta sul mare sopra uno scoglio di forma quasi circolare. I suoi piedi sono oggi circondati da bianchi arenili, ma fino a qualche secolo fa l'onda marina batteva ai piedi dell'alto appicco, tanto che dai balconi di alcune case si pescava con l'amo. Fu interessata dalle varie civiltà preistoriche giunte nella regione.
Fu nel tardo romano che sullo scoglio sorse una comunità vera e propria quando ad aggregarla fu la fede cristiana, come ha rivelato il piccone dell'archeologo. Necessità di difesa col finire della presenza determinante di Roma spinsero i locali a chiudersi sull'alto scoglio che, inoltre, dal mare aveva possibilità di vita. E si sa che le vie del mare sono anche le vie della civiltà e del benessere.
In tempi difficili fu un baluardo strategico ambito. Subì lunghi e logoranti assedi e contrassedi quando la Calabria era contesa tra bizantini ed arabi. Fu conquistata e riconquistata. Ebbe una sua "ecclesia" col suo "episcopus". Fu bizantina nell'alto Medioevo e Normanna dopo il Mille. Seppe ottenere dai successivi regnanti onori e privilegi che furono la base della sua prosperità.
La sua singolarissima posizione fu motivo dell'insediarsi in essa di famiglie cospicue nel momento in cui sorgeva la nobiltà. Pertanto divenne bicocca di nobili, che le difesero, quando si impiantava nel sud il tardivo feudalesimo, la posizione di città demaniale. Qualifica questa che Tropea conservò per secoli stabilmente fino all'eversione della feudalità al tempo dei napoleonidi. Ed essendo città demaniale, retta nella sua vita interna dai due ceti dei Nobili e degli Onorati del popolo, attrasse sempre altre famiglie nobili, perchè i nobili preferivano risiedere in una città demaniale ov'erano liberi cittadini, anzichè in una città feudale, ov'erano sudditi. Tropea divenne la città tipica dei nobili. E per secoli questa fu la qualifica che la distingueva.
I Galluppi emersero in età molto antica. Nel Medioevo le loro ricchezze dovettero essere considerevoli, poichè fecero un grosso prestito a re Carlo I d'Angiò.
Il primo Galluppi del quale si ha notizia documentata fu Cristoforo Galluppi che nel 1340 sposò Giacoma Ruffo che gli portò in dote la baronia di Altavilla. Suo nipote, di nome anch'egli Cristoforo, in seconde nozze sposò Concetta Fazzari, un nobile casato del patriziato tropeano. Si può quindi essere certi che al principio del Quattrocento i Galluppi facevano parte della nobiltà tropeana. Parteciparono attivamente alla vita amministrativa locale tanto che i membri di questa famiglia ricoprirono molte volte le magistrature locali, in specie il sindacato.
Nella seconda metà del Cinquecento la famiglia era rappresentata da tre fratelli: Teofilo, Tantilio e Antonello. Teofilo abbracciò la vita ecclesiastica e nel 1561 divenne vescovo di Oppido Mamertina partecipando con tale titolo al concilio di Trento ove si distinse per la sua grande dottrina. Fu lui a costruire la cappella funebre Galluppi nel Duomo di Tropea. Il fratello Antonello, morto nel 1607, fu un gran signore, munifico e generoso, acquistò le baronie di Cirella, Joppolo e Coccorino, e contribuì con mille monete d'oro alla costruzione della chiesa dei Cappuccini, oggi S. Maria della Sanità. Nel 1599 nella cappella gentilizia dei Galluppi in Duomo costruì una tomba monumentale per tumulare i resti mortali di cinque figli premortigli.
Il fratello intermedio Tantilio, fu nonno di Vittoria Galluppi sposata Scattaretica che, sempre nella cappella dei Galluppi eresse una mirabile tomba per onorare la memoria della giovane figlia Caterina.
Le due tombe affrontate delimitano tuttora la cappella mortuaria ove per tre secoli furono inumati i Galluppi compresi i genitori del Filosofo. Vuota ne era rimasta la parete di fondo. Era ben giusto che in questa antica memoria dei Galluppi ritornassero i resti mortali del maggior Galluppi. E ciò avvenne nel vicino 1980 per opere del Rotary Club al quale, e specificatamente al rotariano prof. Vito Rosano, va tutto il merito di questo ritorno di Pasquale Galluppi tra i suoi.
Si attende che gli enti locali, il comune, la provincia, la regione costruiscano una degna e decorosa tomba.
Cesare Galluppi figlio di Antonello sposò una nobile messinese, si trasferì in detta città, e fu aggregato alla nobiltà di Messina. Il suo discendente Onofrio Galluppi si trasferì da Messina in S. Lucia del Mela, e ivi i suoi discendenti rimasero pur conservando l'appartenenza al sedile dei nobili di Tropea, con tutti i diritti che ciò importava, al punto che continuarono a ricoprire cariche nel detto sedile.
Ansaldo Galluppi, nato il 1728 in S. Lucia  riottenne da re Carlo III il titolo di barone di Cirella che era stato già dei suoi antenati, e sposò la cugina Paola Galluppi. Nacque Vincenzo secondo barone di Cirella.
Intanto il ramo tropeano discendente da Tantilio Galluppi, fratello di Antonello, non aveva eredi maschi. Vi fu un matrimonio tra Vincenzo e Lucrezia l'ultima erede dei Galluppi di Tropea. Fu celebrato il 26 ottobre 1765. Gli sposi posero dimora in Tropea. Vincenzo ritornò stabilmente nella terra dei suoi antenati pur conservando le sue proprietà, i suoi titoli ed i suoi privilegi in Sicilia. Cinque anni dopo il 2 aprile del 1770 Vincenzo e Lucrezia furono allietati dalla nascita del figlio Pasquale, Il 20 novembre 1772 nacque Ansaldo che morì ventunenne il 4 agosto 1793. Così Pasquale rimase in Tropea erede di un casato ricco di storia e benestante, anche se, come evidenziarono successivi eventi della sua vita, non eccessivamente ricco. Rimase anche titolare della baronia di Cirella.
Questa situazione familiare con due poli, l'uno in Tropea l'altro in S. Lucia del Mela, ebbe un'importanza decisiva sulla crescita morale e intellettuale, poichè egli adolescente abitò oltre che in Tropea anche in S. Lucia ove ebbe maestri e assimilò il clima religioso e culturale della cittadina siciliana, sommandolo con quello di Tropea. Logicamente numerosi furono anche i contatti con Messina, la città di transito. Quello di S. Lucia del Mela era un ambiente in cui, accanto a religiosi e preti di scarsa cultura ve ne erano altri ricchi di dottrina e meritevoli di ogni rispetto. Tra questi il can. Ragno ed il vescovo giansenista mons. Santacolomba. Nel campo teologico era diffuso l'agostinismo. Ma su di lui influirono specialmente due insegnanti privati di Tropea: il Ruffa ed il Barone, entrambi di estrazione leibniziana. Nell'insegnamento abbinavano filosofia e matematica. Non per nulla il Galluppi coltivò sempre lo studio delle matematiche e da adulto iniziò a scrivere una Filosofia della matematica.
Quando la formazione culturale possibile nell'ambiente tropeano fu completata, in famiglia di decise di mandarlo per gli studi universitari a Napoli, città colta e di maggiori possibilità evolutive per una giovane mente. Si scelse per lui lo studio della legge. Si voleva farne un avvocato. Ma la scelta, per i genitori, fu un autentico disastro.
Per il giovane Pasquale invece fu la scoperta di un mondo nuovo e meraviglioso. Il giovane provinciale al contatto con una città pregnante di impulsi culturali vi si gettò dentro con l'avidità di chi scopre mete nuove che sorpassano ogni desiderio sognato.
Addio lezioni di scienze giuridiche, addio Modestino e Paolo, addio sogno paterno di avere in casa un avvocato osannato, ambito e riccamente pagato. Il giovana Pasquale disertò le lezioni degli eredi di Triboniano, di Isernio, del Gravina e del card. De Luca e corse ad ascoltare quei maestri che appagavano il suo desiderio e acquisire sapere e sempre nuovo sapere.
Ricordando quegli anni così si espresse: <<ascoltai in Napoli le lezioni di Francesco Conforti, studiai la Bibbia, la storia antica, la storia ecclesiastica, ed i santi Padri dei primi secoli e mi attaccai specialmente a S. Agostino>>.
Il felice sogno napoletano del giovane calabrese non ebbe durata illimitata. Quando in famiglia ci si accorse che era inutile sperare nell'avvocato, gli si diede ordine di rientrare. L'estatico sogno era finito. Ma in questo melanconico rientro il giovane portava con sè una grande ricchezza, decisiva per il suo futuro: le sue mete, i suoi interessi si erano allargati su nuovi orizzonti. Ormai era in grado di continuare da sè senza bisogno di maestri. Si rinchiuse nello studio personale. Aveva scoperto se stesso e in se stesso la capacità di riflettere e ragionare, di porsi problemi e di condurli con rigorosa razionalità. Si iniziò un dialogo ideale con quanti avevano scritto su un problema di pensiero. Nacque il suo metodo personalissimo, di alternare a lunghe citazioni, lunghe discussioni.
Ci meraviglia come abbia potuto tenere i contatti, pur restando in Tropea, con la più qualificata letteratura filosofica d'Euopa. Si serviva di qualche libraio di Messina, città con la quale aveva frequenti rapporti, di Napoli e, tramite i marinai di Parghelia che facevano la spola commerciale con i grandi porti del nord, di Marsiglia.
Questa sua meditazione solitaria e silenziosa durò poco meno di trent'anni. Solo quasi cinquantenne incominciò a scrivere. L'uomo aveva ormai perso ogni contatto con tutti. Viveva in se stesso e per se stesso. La sua vita si era tremendamente interiorizzata.
Il modo di vivere del giovane barone, preoccupava papà Vincenzo e mamma Lucrezia. Preoccupazioni che aumentarono quando la morte bussò a casa Galluppi e portò via il secondogenito a soli ventun'anni. Ormai Pasquale, rimasto figlio unico, doveva uscire da questo suo vano sonno ed occuparsi di cose concrete. Si pensò che questa insania intellettuale potesse essere guarita da esigenze familiari ed economiche.
Così egli un bel giorno apprese di essere divenuto il fidanzato di una nobile damigella della patrizia famiglia cosentina dei D'Aquino, di nome Barbara.
Egli non rifiutò, anzi accettò la cosa. Ma il suo nuovo stato di fidanzato non lo rimosse per nulla dal suo modo di vivere. Non andò nemmeno a conoscere l'avvenente Barbara1.
Si fissò il giorno del matrimonio. Si sarebbe celebrato in casa D'Aquino come allora si usava tra i nobili. Ospiti della cerimonia sarebbero stati i maggiori esponenti del patriziato cosentino, amici di famiglia. Giunse l'ora del sacro rito. Gli ospiti erano già giunti. Ma lo sposo non si era ancora mai fatto vedere. L'ora concordata era già passata da un pezzo ma dello sposo ancora nessuna notizia. Gli invitati già cominciarono ad andarsene. Nell'andarsene uno di essi scorse per la strada un giovane forestiero accapigliato in una discussione teologica con il can. Mazzocca teologo del Duomo di Cosenza. Era lui! Fu necessario richiamarlo da quella imperdonabile distrazione, richiamare amici e parenti e ritornare in casa D'Aquino2. Quarant'anni dopo, Pasquale disfatto dal dolore per la morte di Barbara, così si espresse nell'elogio funebre che scrisse e pubblicò: <<Io sebbene nato a Tropea e che non l'avessi giammai veduta, fui destinato ad unirmi a lei col sacro vincolo del matrimonio. Si effettuò il sacro vincolo nuziale senza averci veduti... noi ci vedemmo quando eravamo con indissolubil nodo uniti. Nel vederci ci amammo e il nostro amore fu costante>>.
La nuova famiglia Galluppi fu molto prolifica. Giunsero ben 14 rampolli. Mamma Barbara era troppo presa e compresa nel suo compito di governare tanti figlioli vivaci e chiassosi. Ma il marito continuava nella sua assoluta astrazione, anche se poi era sensibile e affettuoso verso i figlioli.
Su questa vita familiare egli stesso ha un cenno autobiografico nel primo volume degli Elementi. Così dice: <<Io padre di numerosa figliolanza ero impedito, nello studio della filosofia e delle matematiche dallo strepito che facevano a me vicino i miei piccoli figlioli; malgrado questo ostacolo una passione viva per queste scienze mi muoveva a studiare, incominciai a farlo, e l'esercizio mi pose in stato che io meditavo tranquillamente, nonostante i giuochi strepitosi, i pianti e le grida dei ragazzi>>.
Il 1795 fu l'anno della prima pubblicazione galluppiana. E fu la Memosia Apologetica, una breve composizione con la prefazione di mons. Santacolomba. Il giovane Galluppi era stato accusato di giansenismo per aver sostenuto che le "supposte virtù dei pagani debbono dirsi peccati". La professione di questa tesi dovette aver molto risalto nell'ambiente tropeano poichè partirono denunce al Sant'Ufficio. Il giovane sentì l'obbligo di difendersi. Da una analisi minuziosa della Memoria risulta che egli non sostenne tesi giansenistiche, ma una sua idea etica che non l'abbandonerà più e che è essenziale per intendere il suo mondo morale.
Nell'anno 1800 si concluse la fase leibniziana del suo pensiero ed egli prese quale base di riflessione il Condillac.
Nel 1807 si decise a rendere pubblico il problema fondamentale della sua riflessione, ne venne un opuscolo di circa 80 pagine dal titolo "Su l'analisi e la sintesi". Ma non ebbe seguito.
Dopo il 1798 quando il generale Championnet scese per conquistare l'Italia in nome della repubblica francese, il Galluppi si svegliò dal suo innato sonno filosofico e fu per i francesi della repubblica partenopea ponendosi al loro servizio, forse quale traduttore di fogli di propaganda. Scontò questa sua evasione politica quando le truppe sanfediste di Fabrizio Ruffo giunsero a Monteleone (oggi Vibo Valentia). Tropea mandò un'ambasceria per fare atto di sottomissione. Furono chiesti in ostaggio coloro che maggiormante si erano compromessi con i francesi. Tra questi il Galluppi. Fu ammanettato e rinchiuso nel castello di Pizzo. Dopo alcuni mesi fu rimesso in libertà. Ma fu l'unico momento della sua vita in cui svolse un'attività connessa alla politica.
Poi ritornò alla sua riflessione e non ebbe più manifestazioni di questo genere.
Coerentemente al suo carattere vi era in lui la convinzione che la rinascita della patria dovesse svolgersi per primo nell'interiorità della persona unana e nell'indipendenza intellettuale. Così si espresse nel Saggio: <<Saremo noi sempre ciechi ammiratori degli stranieri? No, miei concittadini, occupiamoci attentamente dell'analisi dello spirito umano; profittiamo dei lumi dei dottri stranieri; rispettiamo le loro decisioni, ma giudichiamole con una severa critica, perfezioniamo almeno ciò che essi hammo incominciato ed aggiungiamo alle loro le nostre scoperte>>3.
Nel 1799 chiese l'autorizzazione a recarsi in Sicilia, a Santa Lucia del Mela ove lo chiamavano i suoi interessi patrimoniali. Furono chiesti dal preside della provincia di Catanzaro informazioni. Il tenente colonnello De Mendoza così rispose: <<Mi sono informato dalle persone più probe e timorate di Dio di questa città... e dalle di costoro extradiziali deposizioni che presso di me si conservano rilevai che il don Pasquale Galluppi è un giovane onesto, probo e di morigerati costumi, che frequenta spesso li santi sacramenti e la chiesa, ove si fa vedere attento e pieno di devozione, e che ad altro non bada se non allo studio>>.
E' la foto precisa della sua lunga vita in Tropea.
Del 1820 è la testimonianza di un amico di don Pasquale, dell'accademico Francesco Massara (NDR: ma è Gaetano Massara).
L'antica locale accademia degli Affaticati aveva quasi cessato le sue attività nel convulso periodo napoleonico. Le aveva riprese nel 1816. Il Galluppi ne era socio. Lo era anche Francesco Massara (NDR: ma è Gaetano Massara), un estroso poeta dialettale, ricco di vivida fantasia e pronto allo scherzo. In una tornata dell'accademia egli lesse una poesia dal titolo "La Camarra".
Era il termine col quale si indicava la piccola cinghia che legava la punta della cavezza del cavallo al sottostante pettorale. Il suo servizio era di impedire all'animale di alzare troppo la testa costringendolo a tirare con fatica e pazienza senza distrarsi. In senso traslato di diceva in Tropea che la moglie aveva messo la camarra al marito quando era lei a fare e strafare e comandare a casa, mentre il marito badava solo agli aspetti economici ed esteriori della convivenza e del lavoro, e con mansuetudine tirava la carretta familiare.
Il Massara si presentò ad una seduta dell'accademia protestando di voler svelare pubblicamente lo stato di incamarrati dei soci e denunciare la loro non onorevole situazione. E non c'era da offendersi perchè il Massara iniziò il suo dire presentando se stesso quale incamarrato.
Nel corso della composizione poetica disse che non tutti soffrono il peso di portare la camarra.
Alcuni ne sono soddisfatti. Tra questi Felice Toraldo "omo di garbo e giovane sincero". Se gli si obietta di essere incamarrato

<<sapiti lestu lestu chi rispundi:
la camarra chi portu jeu no mi confundi>>.

Il poeta continua:

<<Ma sta risposta sulu la po dari
Gajjuppi cu la soi filosofia
che la mujjeri non senti gridari
astrattu sempre cu la fantasia.
Si chija parra si menti a pensari
matematiche scienze e teologia
e li vuci chi faci la mujjeri
non voticanu mai li so pensieri.

Nautru Galluppi sì ca mo lu trovi
chi non rispundi non vidi e non senti.

La sua adesione ai francesi dello Championnet fu un episodio isolato, ma lo rese amico della Francia. I suoi rapporti con La Francia rimasero ottimi per tutta la sua vita. Fu amico fraterno del Cousin. Ebbe la legione d'onore. Fu socio corrispondente estero dell'Accademia di Francia.
Con l'avvento dei napoleonidi fu ben visto. La famiglia cresceva. Giungevano altri marmocchi. Il patrimonio doveva bastare a due famiglie, a Vincenzo e Lucrezia ed a Pasquale e Barbara. D'altronde egli aveva trascurato i suoi problemi economici. Così egli spinto da strette esigenze familiari e certamente da tutti i suoi ai quali riusciva incomprensibile quel suo modo di vivere, si decise a chiedere un pubblico lavoro. Gli fu offerto, ed egli accettò, l'impiego di controllore delle contribuzioni dirette. Oggi si direbbe procuratore delle imposte4, Ufficio che egli ritenne per molti anni, certamente fino al '22, forse fino al '30. Non fu promosso, come egli desiderava, sottointendente provinciale nella stessa amministrazione. Il nuovo incarico, così lontano dalle esigenze di un uomo di pensiero, non gli impedì di continuare nella sua eterna concentrazione interiore, priva di finalità pratiche.
Occasionalmente, sempre per penuria di danaro, svolgeva anche attività di contabile presso famiglie facoltose del posto o dei dintorni.
In momenti difficili dovette ricorrere a prestiti. Ne sapeva qualche cosa il conte Vito Capialbi di Monteleone suo amico e suo benefattore.
Nell'ambito ristretto e paesano in cui trascorse la sua esistenza non vi erano istituzioni a cui aderire o che potessero rappresentare per un uomo tormentato da problemi intellettuali motivo di arricchimento culturale o di elevazione intellettuale. Le piccole cose che il mondo paesano gli offriva furono per primo la confraternita dei Nobili o dei Bianchi di S. Nicola5, alla quale egli aderì per tradizioni di famiglia fin dal 1794 e alla quale rimase legato per tutto il tempo trascorso in Tropea. Fu un confratello fedele ed attivo, ricoprendo anche incarichi annuali. Preferiva quello di avvocato dei poveri e di paciere. Ma era un'istituzione di carattere solo religioso. Egli ne frequentava la chiesa che era poi vicinissima alla sua casa. Oggi la confraternita dei Nobili non esiste più. Si è estinta da sola da circa 30 anni6.
Vi era poi l'Accademia degli Affatigati, un'antica istituzione paesana che ebbe i suoi inizi nel Quattrocento e che si protrasse con alti e bassi fino agli ultimi anni dell'Ottocento. Ma era cosa molto modesta. Raccoglieva i soci nelle varie solennità per leggere poesie che essi componevano sul soggetto del giorno. Le poesie facevano da cornice alla composizione centrale, il discorso.
Anche il seminario diocesano fu oggetto del suo interessamento negli anni giovanili. Da una testimonianza del can. Scrugli si deduce che il Galluppi vi insegnò teologia. Come la insegnava quel canonico Fazzari al quale egli dedicò le Lettere Filosofiche e che non era un prete, anche se canonico.
Era usanza dei nobili tropeani del Sei-Settecento di risiedere per il periodo invernale nella confortevole abitazione di Tropea e nel periodo delle messi in quella di campagna o in uno dei casali. Le loro ferie si protraevano dall'inizio della primavera alla stagione della semina del grano. E ciò sia per usufruire di una lunga villeggiatura, sia per controllare i raccolti dei campi.
Il Galluppi possedeva la sua modesta casetta estiva in Caria, un villaggio soprastante Tropea, sulle pendici del Poro, limitante una sua proprietà terriera, Ivi egli trascorreva con la famiglia il periodo estivo nel clima della dolce collina. Trasferita in proprietà dei Toraldo alla fine dell'Ottocento, nel '20, subito dopo la prima guerra mondiale, fu dal Marchese Felice Toraldo ingrandita con l'aggiunta di una nuova ala e trasformata in pseudo castello medioevale con l'aggiunta di torri e nerlature. Ciò portò a favoleggiare sull'antico avito castello dei baroni Galluppi e sulle loro immense proprietà terriere. La cosa ha talmente acceso la fantasia che, ricollegando il castello col ricordo di Antonello Galluppi che nel Cinquecento aveva conquistato le baronie di Joppolo e Coccorino, si parla del barone Pasquale Galluppi, insediato nell'antico castello dei Galluppi, intento a dominare col suo sguardo dalle alture di Caria gl'immensi suoi possedimenti che si spingevano, attraverso la fiumara di Spilinga ed il ricadese fino a Coccorino e Joppolo.
Tutt'oggi nel periodo estivo numerosi sono i forestieri che domandano notizie sulla storia di questo antico castello e dei signori che in esso hanno esercitato autorità e predominio.
Niente di tutto questo, Pasquale Galluppi in Caria aveva solo una modesta abitazione estiva, e per giunta piccola per la sua numerosa famiglia.
Ma egli ne era soddisfatto, perchè la vita estiva in Caria gli dava frescura e approvvigionamenti dal suo podere, per la famiglia.
Gli consentiva lunghe passeggiate mattutine e pomeridiane.
Con un libro sotto il braccio usciva di casa da solo e si dilungava verso Torre Gallo ed oltre, assorto nella sua eterna meditazione; qualche volta si dilungava molto lontano perchè il piacere di meditare passeggiando non trovava a controllarlo una mente vigile ed attenta.
Quest'uomo singolarissimo era già vicino ai cinquant'anni senza una qualche storia alle spalle. Nell'età in cui un uomo ha costruito la sua vita e la sua fortuna egli era ricco solo di una ininterrotta riflessione con la quale aveva affinato il suo spirito. Non aveva realizzato nulla, nè per la società, nè per se stesso, nè per la famiglia. Malgrado la sua rara intelligenza non aveva saputo migliorare la sua posizione economica e benchè fosse barone viveva da modesto impiegato. Egli, uomo di studio, non aveva al suo attivo alcuna pubblicazione, eccetto due modesti opuscoli.
Fu intorno al 1818 che maturò una decisione che egli fece cambiare tutto il suo tenore di vita.
Gli sorse una travolgente voglia di scrivere e di comunicare. Lo afferrò talmente che per il resto dei suoi giorni la programmazione di nuove opere incalzava il suo diuturno lavoro. Ed erano opere non di poco conto, ma poderose e ponderose. E malgrado la sua intensa attività di scrittore non potette portarle a termine tutte. Non si trattava infatti di scritti da segnare sulle carte di getto, ma di quelle opere di pensiero in cui ogni parola ha il suo posto, il suo peso, il suo valore. Il periodo della stretta riflessione era durato circa 28 anni, dal 1790 al 1818, così quasi altrettanto durò il periodo fecondo, dal 1818 al 1846.
Le opere da lui ideate nell'ordine furono:

1 - Saggio Filosofico sulla critica della conoscenza
2 - Elementi di Filosofia
3 - Lettere Filosofiche
4 - Filosofia della Matematica
5 - Lezioni di Logica e Metafisica
6 - Filosofia della Volontà
7 - Storia della Filosofia7

Bisogna aggiungere gli scritti minori.
Volendo pubblicare tutti questi scritti includendo anche gli opuscoli, gli articoli su riviste e vari scritti minori, si avrebbe un corpus tra 16 e 18 volumi di 500 pagine di media in sedicesimo.
Il complesso di tutte queste opere era arduo a realizzarsi ed egli non potette portarlo a compimento, malgrado la sua lunga preparazione e la passione con cui si immerse in questo suo nuovo tenore di vita.
Allo stato attuale delle cose non ci è dato sapere se precedentemente avesse, e come e fino a quanto, preparato appunti o schemi. Il fatto che i primi volumi sono distanziati di anni dai secondi ci fa pensare che non vi era stata una precedente stesura.
I manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, anche se numerosi, riguardano tutti o capitoli di opere già edite, oppure capitoli di opere in preparazione, e non completate, in specie della storia della filosofia antica o della filosofia della matematica.
Gli Elementi sono una esposizione limpida e concisa del suo pensiero e sono diretti a "giovanetti". Il primo volume uscì a Messina nel 1820 e l'opera fu completata nel 1827.
Per avere un'idea dell'accoglienza che fu loro riservata e, quindi, dell'influsso che essi ebbero nella educazione della gioventù italiana tra il '20 ed il '60 basta guardare al numero delle edizioni: Messina 1820-27; Messina 1830; Napoli 1832; Napoli 1834; Firenze 1835; 1837, 1843; Bologna 1839; Napoli 1838, 1839, 1846; Livorno 1852; Napoli 1853; Ancona 1847.
Numerose furono anche le edizioni delle Lettere Filosofiche e delle Lezioni di Logica e Metafisica.
Quando gli acciacchi dell'età e più ancora i dispiaceri familiari furono motivo per cui la sua attività di pensiero, dopo tutta una lunga vita sempre così vigile ed intensa, venne meno, il vecchio filosofo lasciò incompiuta la Filosofia della Volontà, lasciò solo iniziata la Storia della Filosofia ed in fase di preparazione la Filosofia della Matematica.
Si giunse al 1831. Il Filosofo era nato nel 1770 cioè 61 anni prima.
Egli aveva trascorsa la sua esistenza nel silenzio, nell'astrattezza della riflessione e nella umiltà della contemplazione. L'accoglienza che le sue tre opere il Saggio, gli Elementi e le Lettere ebbero in Italia e fuori Italia, raggiunse dimensioni altissime. L'ammirazione per quanto egli aveva scritto giungeva al di là di quanto anche il più ambizioso autore avrebbe potuto desiderare.
Quest'uomo aveva meditato e contemplato per tant'anni in silenzio e modestia. Nella sua prima gioventù aveva assunto come norma della sua vita le parole che egli scrisse negli Elementi:
<<Quando si dice ad uno studioso di filosofia: a che fine fate voi tanti travagli che non vi recano alcun guadagno? Applicatevi alla giurisprudenza, alla medicina, se volete essere ricchi... Finchè l'uomo non dirà nel suo cuore: il sapere mi è più caro della vita. Questa mi diviene odiosa con l'ignoranza, egli non diverrà grande giammai>>.
Davanti all'evidenza della superlativa accoglienza delle sue opere, rotto ogni indugio, superata ogni residua titubanza, andò a Napoli, si presentò al ministro degli interni, marchese di Pietracatella e gli chiese, per averne diritto, la cattedra di logica e metafisica.
E' noto l'incontro col Pietacatella. Il Galluppi ebbe partita vinta. La cattedra gli fu concessa al di fuori del concorso e con decreto reale per dimostrare ai suoi sudditi che il re premia il merito ovunque esso si trovi, anche "au fond de la Calabre".
Con questo decreto reale si chiuse la presenza del Galluppi in Tropea. Lo attendeva la Napoli filosofica del primo Ottocento.
L'accoglienza degli scritti del Galluppi fu quanto mai lusinghiera e l'influsso che egli, soprattutto con gli Elementi e con le Lezioni, ebbe sulla gioventù studiosa italiana negli anni che vanno dal 1820 al 1860, fu anch'esso enorme. Diversa e contrastata fu invece l'interpretazione che si diede al suo pensiero e che ancora si dà.
Già fin dalla pubblicazione dei primi volumi del Saggio e degli Elementi, molto risalto ebbe in Messina ed in Sicilia il pensiero nuovo che giungeva dalla vicina Tropea, da parte di un oscuro personaggio già cinquantenne e che, pur essendo un tantino siciliano, mai era apparso come meritevole dell'interesse che i suoi scritti avevano improvvisamante suscitato.
E le prime espressioni valutative non furono concordi.
Lo si poneva già in rapporto con le nuove correnti di pensiero diversamente giudicandolo. E vi furono polemiche.
Così come in un secolo e mezzo dalla pubblicazione del primo volume del Saggio vive contrapposizioni valutative hanno accompagnato e accompagnano ancora e contrassegnano la letteratura galluppiana che si articola su due correnti delle quali una, dopo Spaventa, si avvale di Francesco Fiorentino, l'altra di Francesco Acri, i due filosofi calabresi che si scontrarono in pesanti polemiche proprio sul senso da dare al pensiero di Pasquale Galluppi.
E le contrapposizioni durano ancora8.
Pur non entrando nel merito di questa polemica, non posso non osservare che troppo a lungo si guardò al Galluppi, e si guarda ancora, in funzione di Kant cercando di stabilire se egli è stato con Kant, malgré lui, oppure contro Kant. Il problema così è stato falsato perchè al Galluppi bisogna guardare nella sua autonoma indipendenza. Nel valutare l'espressione galluppiana "giudizio sintetico a priori pratico", troppo affrettatamente si è assunta l'espressione nei suoi crudi termini senza prendersi la briga di scrutare le pagine galluppiane per intendere che significato abbia questa espressione nella mente di chi l'ha scritta.
Quest'uomo ha inseguito per tutta una vita, in una assidua e silenziosa meditazione, una sua ricerca, con un continuo colloquio con quanti vissero una vita di pensiero da Cartesio in poi.
E questo colloquio egli lo visse prima celandolo nel suo animo in una meditazione diuturna e mai stanca, e poi lo epresse con una metodologia che è colloquio in atto, e come tale sempre passibile di nuovi aspetti, di nuove manifestazioni, precisazioni ed integrazioni.
Si illude di aver inteso il Galluppi chi si ferma alle prime letture o alle posizioni che vengono offerte da una improvvisa ricerca. Il Galluppi va visto nella totalità del suo mondo interiore, va visto nella sua solitudine di pensiero, confrontando ogni sua espressione con le altre che ne sono il contesto. Si scopre così che in lui la coerenza è grande. Ma a ciò fare è necessario poter disporre di tutto il patrimonio che egli ci ha trasmesso, patrimonio non sempre accessibile, spesso celato in avite biblioteche, eredità di famiglia. Anche le pubbliche raccolte librarie non ci offrono tutti gli scritti galluppiani.
La conoscenza del pensiero del Galluppi richiede la disponibilità di tutti i suoi scritti, che solo ce la potrà dare un corpus completo delle sue 8000 e più pagine.
Se oggi la Calabria ha inteso darsi l'edizione completa degli scritti di Gioacchino da Fiore, di Francesco Saverio Salfi, e di Tommaso Campanella, perchè non dovrebbe darsi l'edizione completa delle opere di Pasquale Galluppi e porre così in evidenza il pensiero di questo suo grande figlio?
Nel ringraziare voi, illustri studiosi che avete risposto all'invito di venire in questa terra che fu spettatrice della lunga e solitaria meditazione di Pasquale Galluppi per onorarne il pensiero, non posso terminare il mio dire senza ricordare gli incontri galluppiani che han preceduto il presente in questo dopoguerra, e non rivolgere un mesto pensiero a coloro che furono ad essi assidui e che oggi più non sono, ma se fossero ancora in vita sarebbero oggi qui presenti.
E per primo ad un ricercatore sagace e costante delle vicende connesse con la figura del Galluppi, quale fu Eugenio Di Carlo.
E poi a quel fine indagatore ed espositore che risponde al nome di Santino Caramella e a quello studioso sistematico che fu il calabrese Giovanni Di Napoli. A tutti questi il nostro mesto ricordo.
Ma altro studioso è stato ed è sempre fedele alle manifestazioni tropeane che riguardano Galluppi. A lui i nostri auguri di lunga vita e di averlo ancora tra noi in altre occasioni.
Intendo parlare del prof. Giulio Bonafede qui presente.

NOTE

1 "Cenni sulla vita e sulle opere del barone Pasquale Galluppi recitati da Luigi Maria Greco" in: Atti dell'Accademia Cosentina, vol. IV, Cosenza 1848, pag. 302 ss..
2 Elementi - Psicologia, § 63.
3 Saggio, vol. I, paragraf, 165.
4 Erano gli anni in cui si tentava un riordino dell'amministrazione finanziaria del regno ed una trasformazione radicale del sistema tributario, cosa che agli uffici pose una complessità nuova di problemi e richiese un lavoro intenso ed eccezionale (U. Caldora - Calabria Napoleonica, Napoli, Fiuorentino, 1960, p. 241 ss..
4bis [NDR] Dall'Archivio della Congrega dei Nobili in Tropea, detta dei Bianchi di S. Nicola, risulta che la partecipazione attiva del Galluppi alla vita di detta Congrega fu la seguente:
31 marzo 1794  ammesso a far parte della Congrega
26 aprile 1794  nominato razionale
11 aprile 1795  riconfermato
 2 aprile 1796  primo assistente
22 aprile 1796  avvocato dei poveri
14 aprile 1798  segretario
24 aprile 1802  di nuovo primo assistente
 1 aprile 1815  avvocato dei poveri
20 aprile 1816  paciere
12 aprile 1817  primo assistente
12 aprile 1818  avvocato dei poveri
27 aprile 1819  riconfermato
 8 aprile 1820  esattore
13 aprile 1822  avvocato dei poveri per la quinta volta
 5 aprile 1823  riconfermato
10 aprile 1825  di nuovo riconfermato
 1 aprile 1826  ancora riconfermato
 1 aprile 1828  consultore
25 aprile 1829  avvocato dei poveri per la nona volta.
( da Teologia rivelata nell'opera del Galluppi di Francesco Pugliese in AA.VV., Studi Galluppiani - Atti dei convegni tropeani per il centenario della morte ed il bicentenario della nascita di Pasquale Galluppi, Centro Studi Galluppiani di Tropea e Rotary International, Villa San Giovanni, 1979, Nota n. 4).
5 F. Pugliese, Teologia rivelata nell'opera del Galluppi in AA.VV. Studi Galluppiani, 1979, p. 73 ss.
6 Dalla semplice lettura dei titoli delle sue opere già si può constatare come egli fosse attratto dai problemi di puro pensiero e come non avesse interesse per i fatti di attualità sociale. Era egli dell'idea che i problemi si risolvono alle radici e che il resto non fosse altro che trarne le conseguenze. La stessa storia della filosofia come da lui concepita avrebbe dovuto essere una riflessione ragionata su quanto detto dai filosofi. Non ha senso affermare che se egli avesse scorso la sua vita in Napoli, città ov'era intenso il fermento di rinnovamento sociale, avrebbe dato altro indirizzo alla sua riflessione e nuovi problemi più aderenti allo sviluppo umano lo avrebbero interessato. Quello che gli è mancato è stata la piena disponibilità del tempo, anchilosato com'era dalle incombenze di controllore delle contribuzioni dirette.
La permanenza in una grande città, dato il suo carattere, forse avrebbe allentato la sua tensione interiore, e, di conseguenza, l'impegno di pensiero. L'uomo egli lo intendeva nella interiorità del suo essere.
La ricerca che egli inseguì per tutta la vita e che formò la sua passione, fu l'analisi dell'intelletto umano. Problema che egli ereditò dalla comune tendenza del pensiero di tutto il Settecento.
7 Il rapporto tra il pensiero del Galluppi con quello di Kant fu oggetto d'interesse, per primo a quanto si sappia, del canonico Carlo Rodriguez di Lipari, che sostenne nell'opuscolo "Su la filosofia soggettiva ed oggettiva del barone Pasquale Galluppi, Messina, Pappalardo, 1883" la tesi del Kantismo del pensiero galluppiano; ne sorse una polemica col canonico O. Simonetti (Analisi critica della "Lettera su la Filosofia soggettiva ed oggettiva del barone Pasquale Galluppi, Napoli, Fernandes, 1834" - Cfr. E. Di Carlo - La filosofia di Pasquale Galluppi in Sicilia in Annali dell'università di Camerino, vol. II, Roma, Garrone, 1927). La tesi del kantismo del Galluppi ritornò in auge con B. Spaventa che sostenne il valore kantiano del pensiero del Galluppi, malgrado l'autore intendesse il contrario. La tesi dello Spaventa fu seguita da tutti gli studiosi a lui ideologicamente vicini. In specie dal Calabrese Francesco Fiorentino che, in argomento, ebbe aspra polemica col correggionale Francesco Acri (F. Acri - Critica di alcune critiche, Bologna, 1875). Le stesse posizioni mantenne Carlo Toraldo-Tranfo (Saggio su la filosofia e le sue relazioni col kantismo, Napoli, Morano, 1902).
In tempi più recenti la controversia fu ripresa dal Gentile schieratosi con lo Spaventa (Giovanni Gentile - Dal Genovese al Galluppi, Firenze, Sansoni, 1937). Sulla sua scia si posero il Dozin (Carlo Dozin - La Filosofia della Volontà di Pasquale Galluppi, Napoli, Perrella, 1934) e M. A. Rocchi (Pasquale Galluppi storico della filosofia, Palermo, Trimarchi, 1934). Sulla sponda opposta si sono attestati tutti gli studiosi di altre correnti. Citiamo i più noti: Luigi Tomeucci (La Filosofia della Volontà in Pasquale Galluppi, in Atti della XXVII riunione della società per il progresso delle scienze, Bologna, 1938); Giovanni Di Napoli, (La Filosofia di Pasquale Galluppi, Padova Cedam, 1947); Eugenio Di Carlo (La dottrina giuridica e morale di Pasquale Galluppi, in AA.VV. Studi Galluppiani, Tropea, 1979; p. 17 ss.).
Per l'aspetto morale del Galluppi e il giudizio a priori v. Francesco Pugliese La memoria Apologetica nella formazione del pensiero morale galluppiano, in AA.VV. cit. p. 167 ss.