Tropea, chiesa di Santa Maria dell'Isola.

T R O P E A
Profilo storico insediativo
tra arte e architettura

di Antonio Preiti
('Daidalos' lug-set 2002)


Importante centro sulla costa tirrenica alle falde nord occidentali del monte Poro, il nucleo antico della città si configura arroccato su una roccia a picco sul mare ad un'altezza di 50 metri, e nel suo posizionamento risale alla colonizzazione ellenica ed alla rifondazione in epoca romana, ma ritrovamenti archeologici documentano insediamenti di età pre-ellenica nelle immediate vicinanze.
Il nome di Tropea affiora per la prima volta dalle testimonianze archeologiche del IV secolo d. C., riguardanti epigrafi funerarie paleocristiane, che documentano nella città la presenza di una importante comunità cristiana. Di essa rimane un ricchissimo patrimonio epigrafico tra i più notevoli della ragione1.
Il precoce insediamento della diocesi con una cronologia di vescovi documentata a partire dalla fine del V secolo, la presenza di una Massa Tropeiana (vasto latifondo agrario facente parte del patrimonium della chiesa di Roma) ed altre testimonianze documentarie del tempo di Gregosio Magno, attestano il particolare legame della chiesa tropeana con Roma.


Tropea, veduta della città dal colle di Sant'Angelo.

La successiva dominazione bizantina Tropea nell'orbita orientale e la città è tra i capisaldi del circuito di difesa dagli attacchi saraceni che interruppero più volte l'occupazione bizantina2.
La città si rafforza durante la dominazione normanna (1059) che segna per Tropea l'inserimento nell'ambito delle città più importanti del regno ed il ritorno sotto l'influenza romana.
Con i Normanni la città ebbe numerosissimi privilegi e nel 1062 Sichelgaita, moglie di Roberto il Guiscardo, vi si rifugia durante l'assedio di Mileto. Nel 1066 il Guiscardo conferma tutti i privilegi alla diocesi di Tropea; viene innalzata una nuova cattedrale e, nel 1094, alla sede vescovile di Tropea venne assoggettata in perpetuo quella di Amantea.


Tropea, scorcio delle mura urbiche sul lato sud orientale
con la Cattedrale ed il Palazzo Toraldo Serra.

La cattedrale subisce notevoli aggiunte ed ampliamenti nel periodo svevo e successivamente in quello angioino. L'edificio, il cui primitivo impianto era di tipo basilicale a tre navate absidate e separate da pilastri ottagonali, perde successivamente la sua austera fisionomia per far posto ai vari ampliamenti. Intorno alla fine del '400 è abbellita in forme rinascimentali, importate dal vescovo napoletano Pappacoda e dal toscano vescovo Pietro Balbo, il quale commissionò il ciborio che si ammira in fondo alla navata sinistra. Questo tabernacolo attribuito da Roberto Pane all'attività di Pietro di Martino o da Milano, artista milanese attivo a Napoli nella seconda metà del XV secolo, viene ricondotto da Francesco Abbate a Jacopo della Pila, anch'egli milanese della cerchia di Pietro di Martino. La chiesa subì ancora rifacimenti per tutto il '500, anche ad opera del vescovo Girolamo de Rusticis. Si conservano il mausoleo di Girolamo e Antonella Cazetta del 1530, la statua della Madonna del Popolo realizzata dal Montorsoli nel 1555, le statue dei santi Pietro e Paolo, attualmente collocate nel portico svevo del palazzo vescovile, ed una Vergine col Bambino collocata in cima alla facciata principale. Notevole il crocifisso del XV secolo realizzato con tecnica mista, mentre risale al 1598 il brano superstite dell'altare della Natività, di patronato della famiglia Galzerano, eseguito da Pietro Barbalonga3.
La riconfigurazione barocca comincia già dai primi del '600 sotto il presulato di mons. Caracciolo, per proseguire nel 1673 con la costruzione della torre campanaria.


Tropea, chiesa Cattedrale, Fianco settentrionale.

Per tutto il '700 la cattedrale è interessata da consistenti lavori di rifacimento delle navate laterali, della volta e del presbiterio (1735), e nel 1736 la facciata settentrionale viene dotata di un portale sormantato da un ovale di fattura napolatana nel quale è scolpita, in marmo, l'effige della Vergine di Romania (protettrice della città, venerata all'interno della chiesa in una tavola del XIV secolo). Un altro bassorilievo raffigurante la stessa Vergine, seicentesco e in tufo, sovrasta l'ingresso meridionale.

Tropea, palazzo vescovile, portico svevo.
Nella seconda metà del '700 il vescovo Felice De Paù fa realizzare una scala di collegamento con l'episcopio. Il disastroso terremoto del 1783 causa alcuni danni all'edificio e nel 1785 mons. Vincenzo Monforte riconsacra la chiesa dopo una intensa opera di riconfigurazione interna.
Purtroppo i restauri ad pristinum, intrapresi a partire dal 1927, e finalizzati a restituire all'edificio l'originaria veste normanna, hanno causato la cancellazione definitiva e disastrosa di gran parte del repertorio barocco e non solo di quello.
Rimane integra la cappella di Santa Domenica (poi del SS. Sacramento) impostata a pianta centrale su base quadrata con croce inscritta (sul modello della cappella di San Gennaro a Napoli) completata dal vescovo Gennaro Guglielmini (1731-1751), con le pareti scandite da paraste accoppiate munite di capitelli corinzi. La decorazione interamente in stucco è del 1732. L'interno ospita due interessanti altari di fattura napoletana rispettivamente intitolati a Santa Domenica e San Gennaro (poi di San Francesco di Paola). Un ciclo pittorico sulla vita della Santa eseguito da Giuseppe e Salvatore Grimaldi nel 1746. Il corredo iconografico è completato da una serie di busti reliquiario, collocati in apposite nicchie, alcuni lignei, risalenti al Seicento, altri settecenteschi in cartapesta.
Nella chiesa sono superstiti alcune interessanti sepolture. Si trovano nella cappella Galluppi quelle di Antonello Galluppi (1599) e di Caterina Scattaretica (1651). Erratici i resti del settecentesco mausoleo di Francesco Mottola Nomicisio, un tempo collocato nel vestibolo laterale della chiesa, consistenti in un ovale con una rappresentazione in altorilievo del personaggio, raffigurato in una posa che rimanda ai coevi modelli pittorici e scultorei napoletani4.
Il palazzo vescovile, attiguo alla cattedrale, forma attualmente con questa e con il settecentesco seminario vescovile un unico isolato urbano. Ingloba, al piano terra sul lato di via Roma, l'interessante cappella trecentesca, poi passata al Monte di Pietà, con affreschi del secolo XV, di cui uno recante la data del 1486. L'episcopio, rimaneggiato lungo i secoli, subì notevoli interventi per tutto il '900, prima con i lavori per mettere in luce il portico svevo nel 1937, poi con pesanti interventi negli anni '50. Della configurazione sei-settecentesca rimangono una torre campanaria su vico Scrugli (forse originariamente annessa ad una piccola cappella) e la cappella interna, posta al primo piano, fatta realizzare da mons. Felice De Paù nella metà del '700 chiusa da una porta in legno intarsiato sormontata dall'arme del vescovo, con la pavimentazione originaria in maioliche napoletane, l'altare in stucco e la pala raffigurante l'Adorazione dei Pastori, realizzata da Cosmo Sannio attorno al quinto decennio del 1700.
La chiesa di Santa Maria dell'Isola di fondazione basiliana, passò dopo il 1059, con l'avvento dei normanni, all'Abbazia di Montecassino che tutt'ora ne detiene la proprietà e la giurisdizione ecclesiastica. La costruzione, nonostante i danni subiti da invasioni e terremoti, conserva la stratificazione dei diversi interventi: resti dell'originario impianto quadrangolare, parte di una crociera costolonata trecentesca, l'iscrizione della riconsacrazione del 23 aprile 1397, l'allestimento tardo settecentesco della navata centrale e del piccolo altare. La facciata con portico nella configurazione attuale risale ai primi del '900. L'interno conserva interessanti resti di sepolture tra cui un sigillo tombale recante la figura giacente di un monaco rivestito di casula ed il frammento del sepolcro trecentesco di Annibale d'Afflitto, attribuito al maestro di Mileto5.
Del periodo svevo resta l'elegante portico che collega la cattedrale al palazzo vescovile. La dominazione angioina coincide per la città con l'inizio dell'installazione degli ordini mendicanti all'interno delle mura urbiche o appena fuori nelle immediate vicinanze. I fancescani giunsero nel 1295 ed edificarono il loro convento nel sito dell'orto donato in quell'anno dal vescovo Giordano. A picco sulla rupe della città verso est appare con la fisionomia assunta con gli ampliamenti successivi. Conserva quasi intatta, al piano seminterrato, una vasta sala (forse aula capitolare o refettorio) che presenta notevoli analogie con l'apparato decorativo dell'attigua chiesa realizzato dal Solano. Alle pareti della sala le cornici in stucco originariamente ospitavano un ciclo pittorico.
L'attigua chiesa, detta anche dell'Immacolata (per una pregevole statua cinquecentesca in essa conservata), sorge sul luogo della primitiva chiesa di San Pietro ad Ripas donata nel 1295 dal vescovo ai frati insieme all'orto annesso. Ampliata più volte, pur mantenendo l'impianto planimetrico ad aula, fu dotata nel 1759 di un apparato decorativo in stucco, ad opera di Santo Solano da Nicotera6. L'interno mostra la veste decorativa conferitale da questo intervento: paraste binate corinzie e quattro altari laterali che ospitano altrettante pale raffiguranti santi della devozione francescana; una volta a vela che sovrasta il coro sorretta da quattro figure antropomorfe in forma di cariatidi realizzate anch'esse in stucco. In sagrestia è collocato un pregevole lavatoio seicentesco in pietra locale, sormontato dall'emblema francescano.
Fra le testimonianze del fervore costruttivo caratterizzante il periodo angioino emerge la cappella gentilizia affiancata alla chiesa. L'interessante costruzione, riconducibile agli ultimi decenni del trecento, è insignita dell'emblema reale degli Angiò Durazzo7. Con impianto rettangolare e copertura a volta costolonata, conserva all'interno tracce di affreschi di scuola giottesca, ancora in attesa di restauro, ed il frammento del mausoleo di Andrea de Rogerio8, del quale ricorre l'arme anche in facciata.
                                                                                                                                                       Tropea, chiesa della SS. Annunziata, interno.
                                                                                                                                                                  Altare Maggiore (sec. XVI-XVIII).
La chiesa della SS. Annunziata, fuori dalla cinta muraria, un tempo unita all'attiguo convento francescano degli Osservanti del quale oggi rimangono pochi ruderi. Di fondazione angioina, fu arricchita da una donazione di Carlo V nel 1535. Si presenta ad aula preceduta da un portico, con paraste ribattute, realizzato verso i primi del '6009. L'interno, coperto da un soffitto ligneo notevole, restaurato dal napoletano Antonio Gigante nel 168910, ospita, sotto l'arco santo trecentesco un altare in marmo verde di Calabria del 1597, realizzato da Pietro Barbalonga, ricomposto nel 1686, arricchito da parti in pietra locale e decorazioni lignee11 che contiene il gruppo scultoreo dell'Annunciazione opera di Giovan Battista Mazzolo. Sul retroaltare un affresco di Didacus Neapolitanus del 1644 raffigurante la Flagellazione di Cristo. Sulla parete sinistra il monumento sepolcrale di Alfonso Toraldo di Calimera del 1719, autografato da Andrea Pagano12. Vi è inoltre custodita un'interessante statua lignea di Sant'Antonio, opera di Fra' Diego da Careri attivo tra il 1606 ed il 166113.
Tra il 1470 ed il 1616 si insediarono attorno alla città altri ordini mendicanti (Agostiniani, Carmelitani, Minimi, Cappuccini) e nel 1600 i Gesuiti giunsero a Tropea e all'interno della città costruirono un loro collegio.
La chiesa del Gesù, contigua al Collegio, attualmente è in uso dai Padri Redentoristi, fu edificata sul luogo della precedente San Nicola (detta la Cattolica) antica chiesa che fu, secondo la tradizione, cattedrale fino all'arrivo dei normanni. A pianta centrale su base quadrata con croce inscritta, disegnata da Carlo Quercia ed iniziata nel 1655. Ospita un altare maggiore tardo settecentesco, munito di eleganti colonne tornite, con la pala raffigurante la Circoncisione; due altari laterali dedicati rispettivamente a Sant'Ignazio ed a San Francesco Saverio, in stucco della metà del '700. Questi ultimi sono ricondotti all'attività di Onofrio Buscemi14, mentre le tele sono del Pascaletti. Vi sono inoltre un altare messinese, seicentesco in commesso marmoreo, collocato nella prima cappella di sinistra, ed un altro altare con parti seicentesche di fattura siciliana.
Notevoli alcuni arredi lignei come il settecentesco pulpito e le piccole cantorie che affiancano, contrapposte, l'altare maggiore. La chiesa è arricchita dal ciclo pittorico realizzato da Giuseppe Grimaldi nella prima metà del settecento raffigurante scene della vita di San Francesco Saverio e Sant'Ignazio, in due lunette le scene con i sacrifici di Abramo e di Abele. Una grande tela di controfacciata (1731), sempre del Grimaldi, raffigura l'Adorazione dei pastori15.
All'interno della chiesa anche i resti del monumento funerario di Carlo Scattaretica, commissionato nel 1689 ai messinesi Antonio De Amato e Domenico Biondo16, consistenti nel busto marmoreo e nella lapide commemorativa. L'attiguo Collegio fu fondato tra la fine del '500 ed i primi del '600 grazie al lascito dei patrizi tropeani Marcello e Claudio Tavuli del 1597. Quarta istituzione della Compagnia in Calabria, il Collegio si presenta ancora sostanzialmente con l'impianto planimetrico originario organizzato attorno ad una grande corte rettangolare17. Manomesso nel 1928 per dividere la proprietà dei padri Redentoristi (che nel frattempo erano subentrati dopo l'espulsione dei Gesuiti avvenuta nel 1773) con la proprietà municipale sul lato nord-est. Conserva ancora le strutture voltate nei diversi piani, gli ampi corridoi, alcune balaustre seicentesche in corrispondenza delle aperture verso il mare e parte delle decorazioni in stucco sulla parete nord est del cortile.
Inglobata nel perimetro del Collegio è la cappella della congrega dei Bianchi di san Nicola, detta dei Nobili, edificata nella seconda metà del '600 grazie al lascito di Paolo Braccio che obbligava i suoi eredi a provvvedere ai lavori18. La piccola cappella, destinata ad ospitare le funzioni della congrega istituita dai Gesuiti stessi per i membri del patriziato cittadino, è di forma rettangolare coperta con volta incannucciata a padiglione. Conserva la decorazione parietale sei-settecentesca, dipinta e dorata, a grandi motivi fogliacei con testine di angeli e putti che circoscrivono dei riquadri e dei medaglioni dipinti; il monumentale altare ligneo dipinto e dorato; gli scranni in legno intagliato; la cantoria con un pregevole organo dell'epoca. Sulle pareti, in apposite cornici, trova posto una serie di tele della metà del Settecento con scene sulla vita di Maria.
Nel 1552 viene fondata, nei pressi della città la chiesa di san Francesco di Paola con l'annesso convento. Esso fu trasformato successivamente in dimora privata, la chiesa custodisce un interessante ciclo pittorico del settecento con scene dalla vita del Santo ed un altro raffigurante gli apostoli. Il portale in granito locale reca la data del 1745.


Tropea, chiesa della Sanità, interno, Altare maggiore.

Nel 1595 viene edificata la chiesa di Santa Maria della Sanità con il convento dei Cappuccini. La chiesa custodisce un pregevole altare ligneo degli inizi del '700 che ospita una pala della fine del '500 di Giovanni Angelo d'Amato raffigurante la Madonna della Sanità, commissionata dalla famiglia Tranfo. In sagrestia e nella navata sono conservati dipinti del '700.
Cinquecentesca è anche la chiesa Michelizia, che prende il nome dal culto per l'arcangelo san Michele, da cui Micaelis Militie, che sorge poco fuori dalla città verso est. A navata unica con coro quadrato, sormontato da cupola impostata su tamburo, che ospita un altare ligneo dei primi del settecento abbellito da due interessanti statue, in legno dipinto e dorato, raffiguranti i santi Gioacchino e Anna, opera del napoletano Aniello Stellato, eseguite nel 1643 su commissione del vescovo Benedetto Mandina19.

   
Tropea, palazzo Toraldo (già Scattaretica). Ingresso su largo Di Netta.
Tropea, palazzo Mottola Braccio (già di Francia) in via Aragona. Portale, particolare.

Per tutto il Sei e Settecento la città è interessata da un intenso programma di riconfigurazione architettonica, anche se conserva sempre il suo legame con l'impianto planimetrico medioevale e la riconfigurazione è più di carattere decorativo e distributivo interno dei palazzi, che non dell'aspetto dell'articolazione spaziale urbana, ed interessa tutte le dimore patrizie, gran parte delle chiese, dei monasteri e dei conventi.
Nel 1645 viene edificato il monastero de santa Maria della Pietà con l'annessa chiesa. Del monastero si conserva la struttura, la chiesa custodisce due altari marmorei siciliani della fine del '600, di cui quello laterale datato al 1698 e quello maggiore contrassegnato dall'arme della famiglia di Francia sul paliotto in commesso marmoreo con pietre dure e lapislazzuli20. Sul soffitto è collocata una tela seicentesca, già pala d'altare, raffigurante Maria col Bambino tra san francesco e santa Chiara.


Tropea, palazzo Tocco in largo Guglielmini, sec. XVII, Portale.

Nel '700 viene costruito al centro della città il Sedile Portercole per le assemblee del patriziato cittadino. La costruzione, di forma rettangolare, consta di due livelli con un'ampia sala al primo piano munita di volta dipinta con motivi architettonici (notevolmente manomessa negli interventi successivi). La facciata su piazza Ercole è caratterizzata da un rivestimento in granito, fino al primo livello, articolato da tre nicchie con conchiglia, che originariamente ospitavano altrettante fontane con putti a cavallo di pesci; un cornicione aggettante fa posto alla soprastante balconata continua, con inferriate a petto d'oca, su tutta la facciata21.

   

Tropea, largo Rota.
Tropea, scorcio di via Lauro.
Tropea, veduta di largo Galzerano con il palazzo Toraldo D'Amore.

Particolare rilievo assume la strutturazione degli ingressi e dei cortili dei palazzi (ripresi dalle più complesse tipologie napoletane) caratterizzati da portali sempre più ampi, ai quali veniva demandata la funzione di massima rappresentativa, e da impianti scala con sviluppo perimetrale attorno alla corte interna, con diverse varianti a seconda della disponibilità spaziale per la realizzazione. Tra questi, quelli degni di nota sono il quattrocentesco palazzo Zinnato, il palazzo Fazzari in Largo Galluppi, e il settecentesco palazzo Tocco in Largo Guglielmini. Il palazzo Toraldo D'Amore, il palazzo d'Aquino in largo Duomo, il palazzo Braghò in via Boiano, il palazzo Cesareo, il palazzo Gabrielli Mottola, il palazzo Barone su corso Vittorio.

   
Tropea, palazzo Naso in largo Toraldo Grimaldi, Portale.
Tropea, palazzo Braghò, particolare.

La struttura urbana ebbe notevoli cambiamenti dopo il terremoto del 1783 in seguito al quale fu interessata dai lavori di demolizione e di sventramento voluti da Ermenegildo Sintes in attuazione dei criteri antisismici di quel periodo. Così la città si configura con nuovi spazi aperto, soprattutto slarghi e piazzette (piazza Ercole, largo galluppi, largo Migliarese, largo Mercato, largo Di Netta, largo Gesuiti) risultanti dalla demolizione di numerosi edifici22. Allo stesso Sintes ed ai suoi collaboratori si devono molte fabbriche della ristrutturazione post terremoto. Si vedano i progetti per la chiesa di S. Caterina, per la riconversione dell'ex convento domenicano in casa di civile abitazione per gli Adesi e quello per la chiesa del SS. Rosario23. Per stile e connotazione spaziale sono pure ascrivibili al suo ambito (ed a quello del monteleonese Giovan Battista Vinci) alcuni riallestimenti di palazzi, come ad esempio il palazzo Toraldo d'Amore, palazzo Gabrielli Mottola, la facciata del palazzo Caputo in largo Mercato, nonchè la costruzione dell'episcopio sub urbano e le "baracche" costruite per ospitare temporaneamente le famiglie tropeane. Nel XIX secolo si ebbero gli ultimi sventramenti, l'abbattimento dei ruderi del castello posto su un'altura a ridosso delle mura verso sud, e delle mura urbiche. E' degli inizi del novecento la riconfigurazione in forme liberty dell'ex convento degli Agostiniani fuori le mura, divenuto residenza della famiglia Toraldo. Il palazzo conserva intatti tutti gli interni con le decorazioni dell'epoca.

NOTE

1  Cfr. M. C. Preta, Il Municipium di Vibo Valentia, Vibo Valentia 1992
2  Presa dai saraceni per tre volte, divenne tra l'840 e l'882 sede di un emirato. Successivamente di nuovo occupata nell'884, dal 946 fino al 952 e nel 985
3  Cfr. F. Paolino 1996
4  Cfr. A. Preiti, Distruzioni e riassemblaggi di manufatti barocchi a Tropea, in "Atlante del Barocco in Italia: Calabria", a cura di R. M. Cagliostro, Roma 2002.
5  Cfr. F. Negri Arnoldi 1984
6  Cfr. A. Tripodi 1994
7  L'emblema era usato da Carlo III che ai simboli di Angiò e di Gerusalemme unì, dopo l'elezione a Re di Ungheria nel 1385, anche le insegne dell'Ungheria antica, e poi dai figli Ladislao e Giovanna II.
8  Per la trascrizione del testo, cfr. A. Lotorto, 1999
9  Sul fianco destro una serie di arcate leggibili sia dell'interno che dall'esterno, fa supporre l'esistenza originaria di cappelle laterali o di una navata vera e propria.
10 Cfr. A. Tripodi 1992
11 Cfr. Francesca Paolino 1996
12 Cfr. Mario Panarello in "Atlante del Barocco in Italia: Calabria", a cura di R. M. Cagliostro
13 Cfr. R. M. Cagliostro in Sacre Visioni
14 Cfr. M. Panarello in "Atlante del Barocco in Italia: Calabria", a cura di R. M. Cagliostro, pp. 131-158
15 Cfr. A. Preiti, M. Panarello, 2001
16 Cfr. A. Tripodi 1994
17 All'idea del progetto originario di realizzare una loggia porticata sul lato della rupe, subentrò la scelta obbligata di realizzare una serie di ambienti chiusi, per garantire la difesa da eventuali incursioni esterne. Cfr. E. Zinzi 1993
18 Come si evince dall'iscrizione epigrafica collocata in facciata: "D. O. M. / HANC SEDEM MAGNA BRACCIUS DE GENTE LOCAVIT / PAULUS ET HIC SUPEROS FIGERE TECTA JUBET / BRACHIA NE POST HAC ARMORUM PONDERA JACTENT / AERE GRAVEM SANTIS EST EXONERASTE MANUM"
19 Cfr. G. B. D'Addosio 1920
20 Gli altari sono attribuiti da Mario Panarello al messinese Antonio De Amato che, insieme a Domenico Biondo realizzava nel 1689 due acquasantiere per la chiesa e nello stesso periodo lavorava al monumento Scattaretica presso la chiesa del Gesù
21 Cfr. A. Preiti in "Atlante del Barocco in Italia: Calabria" a cura di R. M. Cagliostro, Roma 2002, p. 284
22 Un piano di ampliamento della città fuori dalle mura, immediatamente oltre il borgo, disegnato dal Sintes stesso e comprendente una interessantissima soluzione planimetrica con una piazza ellitticaa, non fu mai attuato
23 Cfr. R. M. Cagliostro 2000

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