LA DONNA
NEI PROVERBI CALABRESI

di Franco Aquilino


Collegato al discorso sulla famiglia nei proverbi calabresi, trattato nel precedente articolo, è quello concernente la donna e la sua famiglia.
La famiglia è infatti, e non soltanto nel costume del Sud, l'ambiente in cui si compie il destino della donna.
Il concetto è remoto, se non trova traccia nel codice giustiniano là dove, con concisione lapidaria, il giurista Ulpiano definisce la donna principio e fine della famiglia (<<Mulier familiae suae et caput et finis est>>, llp.1. 195 § 5.D.). Diciamo subito che questo ruolo è in realtà emarginante, e avremo modo in seguito di dimostrarlo ampiamente, all'occorrenza. Del resto, l'emarginazione della donna è già in atto...ancor prima che nasca. Ecco infatti che cosa dice in proposito l'<<anticu>> (cioè il proverbio, il cui corrispondente letterale non esiste nel dialetto, quasi a sottolineare l'etica immemoriale, fuori dal tempo che esso esprime):

Figghiu masculu e cucuzzunu

cioè

Anche se tontolone, un maschio è
sempre preferibile a una femmina

Il padreterno è dunque informato, e si regoli di conseguenza se lo ritiene opportuno nella sua incommensurabile misericordia: del resto, non è anche Lui rappresentato come un maschio, con tanto di barba?
Su questa predilezione per il figlio maschio a scapito della femmina ci sarebbe molto da dilungarsi: la presunzione che la trasmissione dello spirito della razza, del <<sangue>>, del <<nome>> si operi solo attraverso la discendenza maschile risale a tempi remotissimi, addirittura alle popolazioni indo-europee e si trova tuttora diffusa un pò dovunque nel mondo.
Ecco un caso in cui i proverbi rispecchiano ancora oggi una realtà presente nel costume, e non solo in quello della società calabrese ma anche in quello delle società più progredite, malgrado l'evoluzione indubbiamente verificatasi negli ultimi tempi. Un esempio nel libro di Pearl Buck: La buona terra, presentato nella Cina tradizionale, alle soglie della rivoluzione: una coppia di contadini si rivolge ai simulacri degli antenati per implorare la protezione e per ringraziarli della prosperità, anche di quella rappresentata dalla nascita di tre figli. Li ringraziano, anche se il terzo figlio purtroppo è una femmina.


Ancora: nel bel libro dello scrittore istriano Fulvio Tomizza, intitolato La miglior vita, il personaggio femminile di Palmira di fronte a quello che diventerà suo marito <<si preoccupava...di non venire scambiata per una di quelle ragazze zotiche del paese che gareggiavano coi maschi nel rendersi brutalmente utili in famiglia, guidando con la stessa severità i buoi durante l'aratura e strappando la zappa dalle mani dei fratelli, forse non del tutto ignare della delusione del padre.
L'aspetto strano di questa predilezione per l'erede maschio (l'erede per antonomasia, essendo inconcepibile l'espressione <<erede femmina>>) è che la preoccupazione che non nasca una femmina non solo si riscontra nel padre, ma in genere è comune a entrambi i genitori, nonchè alle donne del parentado, del vicinato e insomma a tutte quelle donne che hanno rapporti con la famiglia.
Le donne diventano così, paradossalmente, corresponsabili del perpetuarsi di una certa mentalità antifemminista per eccellenza, le <<vestali>> appunto del focolare domestico. Una testimonianza indiretta di quanto sia diffusa, anche al di fuori di quest'ambiente, una tale mentalità si trova nell'intervento di una congressista al convegno della donna, tenuto dalle femmniste a Cittadella (Assisi) nel 1975: <<Ho provato - dice I. - un senso particolare di potere, di fierezza quando ho saputo che avevo partorito un figlio maschio; penso che la madre sia in questo caso investita di riflesso del prestigio maschile, quando genera un maschio>> (riportato nel libro: Donna, cultura e tradizione, a cura di Pia Bruzzichelli e Maria Luisa Algini).

Grandi festeggiamenti accolgono la nascita del figlio maschio; silenzio, mugugno e incazzature salutano spesso la nascita dell'eunuco femmina. Col tempo questa specie di istintiva avversione si attenua (magari perchè a furia di provare e riprovare, finalmente il maschio sospirato, non importa se tonno, arriva!), ma certo la discriminazione tra i due sensi viene operata sin dall'inizio, con particolare convinzione, senza preoccuparsi delle conseguenze incalcolabili che si ripercuotono sulla psiche della figlia non desiderata. Ma in questo, lo si è già detto, tutto il mondo è paese e ci vorrà molto tempo ancora, prima che un costume così barbaro, così razzista scompaia per sempre e i proverbi ne riflettano solo un pallido ricordo.
Ancora è in fasce e la femmina già desta le prime preoccupazioni: bisognerà infatti provvedere subito alla dote:

Figghia fimmina nt'a fascia
E a doti nt'a cascia

Scrive in proposito la Guiducci ne La donna non è gente: <<L'obbligo della dote - un trucco escogitato dal maggiorasco per le donne dei ceti superiori, per compensarle della <<legittima>> perduta - è ricaduto sulla loro nascita povera come una sventura per il padre contadino>>.
Vero è che si dice anche:

'A bellizza è la megghiu doti

ma è meglio attenersi al concreto, perchè una casa e una vigna consentono di sposarsi persino ad una scimmia:

'A casa e la vigna
fa spusari 'a signa



Ecco in proposito quanto dichiara Rosa, una madre calabrese, nell'intervista pubblicata dalla Guiducci nel libro citato.
E' un documento importante anche per la resa linguistica, che rispetta i ritmi e le movenze del parlato originale:
<<La mamma comincia subito, dal primo giorno quando che è nata. Io, a mia figlia Rita ci ho dato diciotto, all'altra ci ho dato quindici (perchè aveva 22 anni quando si è sposata, quindi basta. "Quello che ci hai ci hai, quello che no, ti arrangi"). C'è a sedici [il corredo], A sedici a sedici, la biancheria. Porta sedici para di lenzuoli, sedici cammicie, sedici para di mutande...tutto sedici. Secondo: quando ce ne danno sedici, quando ventiquattro, a seconda. La ricchezza? No, no è la ricchezza, come dice lei, Signora. Dipende dalla mamma. Comincia dal primo giorno, quando che è nata la sua figlia femmina, fino all'ultimo quando che sposa. Costa caro ma dipende dalla mamma>>.
Ad ogni buon conto, le figlie prima si sposano e meno fastidi si hanno, perchè:

A quindici anni
'a figghia o a spusi o a scanni

Dunque, bisogna dar loro la precedenza, come si fa con le botti di vino:

Figghi fimmini e gutti 'i vinu
Danci aminu

La presenza di figlie da sposare blocca l'iniziativa del capofamiglia, che deve far fronte ad ogni impegno e tener fede alla parola data, altrimenti, le figlie rischiano di non sposarsi:

Promettiri e no dari
restanu figghi 'i maritari

Se però il paterfamilias ha sufficiente capacità di districarsi può ricavare qualche vantaggio dalla situazione, perchè chi ha una figlia nubile, ha la possibilità di giostrare tra i molti pretendenti fino a scegliere (lui, non lei) il partito (pardon, il genero) più conveniente:

Cu avi na figghia
à centu jennara

Prima del matrimonio, la donna come individuo non esiste, stando ai proverbi, nel costume molte cose sono cambiate negli ultimi anni.
A protezione, parziale, della donna nubile non c'è che...la religione:

A schetta è santa comu l'artari
(La donna nubile è santa come l'altare),

ma si sa che molti sono sempre stati...i miscredenti, a beneficio anche delle schette, evidentemente ritenute, a torto peraltro, del tutto deficienti ed incapaci di qalunque iniziativa.
Arrivata al matrimonio la donna subisce una metamorfosi, diventa padrona di casa, <<è messa all'onore del mondo>> come puntualmente sottolinea un proverbio:

'A fimmina maritata
è misa all'onuri du mundu

Onesta realizzazione della donna nel matrimonio e conseguentemente nella maternità, quale <<Angelo del focolare>> nel ruolo di sposa e di madre, così come quello precedente, sia pure larvale, di figlia e di sorella nell'ambito della famiglia d'origine (ruoli subiti e non scelti) rappresenta tattavia un'ulteriore delimitazione della sua personalità. E' un'altra mistificazione ai danni della donna, ancor più sottile perchè le viene attribuito un ruolo di responsabilizzazione e di esercizio del potere. In realtà tale ruolo è in gran parte illusorio e comunque se mai riflesso, ogni potere effettivo essendo concentrato nella figura del marito, vero protagonista di una società contadina dai connotati ancora fortemente patriarcale.
Di questa società i proverbi sottolineano a tutt'oggi la persistenza, anzichè rappresentarne i detriti ormai fuori del flusso del tempo.
Ma riprenderemo a concluderemo l'argomento la prossima volta.