In Calabria

In giro su le rovine del terremoto
 
 

di Rocco Cotroneo
 
 




L'8 settembre 1905 una immane tragedia colpiva la Calabria.
In pochi secondi interi paesi sono stati distrutti da una tremenda scossa sismica, gettando nella più cupa desolazione l'intera popolazione. E tanto più tremendo fu l'esito di quell'intensa scossa se si tiene conto che essa avvenne nel cuore della notte, alle due e quarantacinque, sorprendendo senza possibilità di scampo nel sonno la massima parte della gente!
Nei confronti del popolo calabrese così martoriato scattò spontanea in tutto il mondo una enorme manifestazione di solidarietà che, attraverso la costituzione di Comitati, contribuì in modo determinante alla ricostruzione dei paesi colpiti dalla grave sciagura.
Le maggiori testate nazionali ed estere, le industrie, i ministeri, gli enti, semplici cittadini aprirono sottoscrizioni dovunque. Il Papa dispose a sostegno dei danneggiati la ripartizione di un'ingente somma. I governi di tutto il mondo inviarono aiuti di ogni genere. I grandi dello spettacolo non si sottrassero alla grande gara di solidarietà: Caruso e la Duse che si trovavano a Parigi promossero una serata pro Calabria. La stessa Regina volle donare 50.000 lire.
Sui luoghi di un macabro scenario, nei giorni successivi al sisma, si aggirarono scienziati, scrittori, giornalisti, tecnici, politici. Lo stesso Re volle visitare i paesi più colpiti.
Tra questi vi fu anche Rocco Cotroneo, al seguito del Cardinale Gennaro Portanova, Arcivescovo di Reggio Calabria, al quale Papa Pio X aveva chiesto una relazione sulle conseguenze e sui danni prodotti dal terremoto.
Cotroneo visitò in prevalenza i paesi della provincia di Catanzaro e della parte settentrionale di quella reggina.
Il diario giornaliero di ciò che lui, testimone oculare, andava annotando, costituisce ancora oggi un importante documento storico di rilievo socioculturale su quella gravissima catastrofe.
Trascriviamo la parte del diario, dei giorni 18,19 e 20 settembre, poco più di una settimana dopo l'evento sismico, riguardante la visita del Cardinale Portanova alle città di Tropea, Parghelia, Fitili, Gasponi, Drapia e Caria.
 

18 settembre 1905, lunedì

Già cadeva la notte quando giungemmo a Tropea, la vetusta città di cui nulla appare più d’antico, tranne le vestigia di qualche porta, e sulla torre del castello ora si eleva il maestoso palazzo del nobile Signor Felice Toraldo, la cui figliola scampò per miracolo, essendo caduti i pavimenti a voltine di parecchie stanze, riparatasi sul davanzale d’una finestra, perchè chiamata nel sonno, dic’ella, a mettersi al sicuro non sa da chi.
Era ad attendere sua Eminenza il vescovo monsignor Domenico Taccone Gallucci, il Capitolo, molto clero, e le prime autorità civili e militari. Si fece sosta e si scese da carrozza prima d’entrare in paese; a fianco della via, sotto tende, era la prodigiosa imagine della Madonna di Romania, quadro così caro e prezioso pei tropeani ed ivi la cappella pei divini misteri. Si recitarono le litanie, qualc’altra breve preghiera, serrati da una moltitudine devota e piangente.
                                                                                                                                                                                Tropea: Le Baracche
Ai lati della via, che noi percorrevamo, nei giardini, lunghe file di baracche con tende e coperte caserecce, e così nelle vie o nelle piazze più ampie di Tropea. Nessuno avea coraggio dormire nelle case, perché fracassate dal terremoto.
Fummo accolti nella baracca vescovile, costruita con ogni arte e che resistette a tutti gli urti, e potrebb’essere di modello, dopo i terremoti del 1783. E posta fuori le mura dell’antica Tropea nel sobborgo che chiamano <<Le Baracche>> costruita tutta in legname, rivestita a mattoni e con un piano superiore. E’ ampia, con grande salone, ov’è la cappella, e fa capo una fuga di stanze ben divise. Molta gente attendava ivi nella piazza e nella via, vicino la scalinata poi della baracca vescovile, era una statua dell’Immacolata, sotto larga ed ampia tenda, dove sino a tarda ora i devoti cantavano il Rosario e devote armoniose canzoncine.
lvi ci si fece una descrizione dei pnesi piü danneggiati della diocesi di Tropea. Parghelia, Fitili, Zambrone distrutti; danneggiati rovinosamente S. Dornenica e Ceramiti, Daffinà, Orsigliadi, Daffinacello, Barbalacóni, Lampazzóni, S. Nicolò, Ricàdi, Panaja, Spilinga, Carciàdi, S. Giovanni, Zaccanopoli.

19 settembre 1905, martedì

E’ l’onomastico dell’Eminentissimo Cardinale Arcivescovo D. Gennaro Portanova. Il vescovo monsignor Taccone con quel tratto così gentile, che cotanto lo controdistingue e rende carissimo, avrebbe voluto trattenerlo tutto il giorno in sua compagnia, anco per non fargli così sentire l’asprezza del viaggio. Ma il Cardinal Arcivescovo preferì passare quel giorno fra i pianti ed i gemiti dei superstiti e condividerne il dolore. Monsignor Vescovo, il Canonico Cantore Tranfo, il segretario Vescovile Canonico Fameli, l’Arciprete Cutuli, rettore del Seminario e parecchi altri sacerdoti e seminaristi si unirono con noi. Si partì per visitare Parghelia, uno dei più danneggiati, anzi totalmente distrutto.
Al di là dello scoglio Tropeano prima di giungere al primo scoglio o punta, onde, presso Briatico, incomincia il golfo di S. Eufemia, è una dolce e fertile pianura, popolata di vigne, ortaggi ed oliveti, e la montagna del Poro acende giù non aspra rotta bruscamente, ma con dolce pendio e ripiena anch’essa di vigne, di gelsi e d’oliveti. Ivi ai piedi, poco discosto dal mare, sorge Parghelia, ed in cima al monte il paesello di Fitili. Qua conduce una via rotabile, poco frequentata e quindi in pessima condizione.
Nell’entrare in Parghelia è un lungo viale, con ai lati bei fronzuti ombrosi alberi, ed all’estremo opposto una bella e maestosa chiesa, sacra a M. di Porto Salvo: amministrata da una procura, o congrega di pochi nomini che raccolgono le offerte ed accudiscono al culto. Sono cadenti le due torri campanarie ai lati del frontespizio: l’interno è smantellato, un cornicione e parte del tetto crollati, tanto che solo per il buco della toppa della porta d’ ingresso si riesce a vedere i massi precipitati dentro.
Dirigeva il salvataggio, operato dovunque eroicamente dai soldati, il capitano Abignente Nob. Giuseppe del 12° fanteria da Sarno (Salerno) ed accudiva a curare gl’infermi il medico chirurgo nostro Calabrese da Siderno, il capitano Romeo.
S’era su le rovine di Parghelia alle nove a tre quarti, a ci venne giusta voglia di ascendere prima sulle rovine di Fitili. Dopo un andirivieni qua a là per l’erta via, in più parti franata a ribassata dal terremoto, e dopo cinquanta minuti di cammino si giunse a Fitili. Fuori dell’abitato è una nuova casa di Massaro Grillo, la sola rimasta in piedi e senza puntelli, benché lesionata. Ci accompagnava cortesemente il capitano Romeo. Avevamo dall’alto guardato con raccapriccio le ruine di Parghelia, ed alla macabra danza che ci si presentava dentro i cristalli del binocolo avevamo provato acerbo dolore. Ma ora. qui a Fitili eravamo coi piedi sulla cruda realtà, e gli occhi ci s’inumidivano in vista dell’immane disastro!
                                                                                                                                                                                                           Fitili: Rovine
I muri, i cancelli d’una ben messa villetta, smantellati al suolo: tutte le vie ingombre di macerie: la chiesa parrocchiale disfatta totalmente: appaiono le pareti fracassate e cadenti: non una sola casa conservante la porta d’ ingresso: tutto è adequato al suolo. Anzi nella porte superiore è un avvallamento ed una maggiore ruina. Non s’ebbero a deplorare che sole nove vittime, perché come Dio volle gli abitanti, che ascendono a circa 350, dormivano all’aperto o nella campagna, accudendo alle cose agricole.
Meno male che non perì la conduttura dell’acqua, acqua buonissima, di che potemmo refrigerare l’ardente sete, cagionata dal viaggio e dal soffocante caldo.
Non lungi da quì è Daffinà, Daffinacello, danneggiati senza vittime, e Zaccanopoli che ne contò sei soltanto per le stesse ragioni dette per Fitili.
Accinti alla discesa col cuore spezzato dal dolore, visitammo sotto una tenda in un orto, le stattue dei santi protettori, fra cui bellissima e d’ antico tempo quella del patrono S. Girolamo orante nel deserto.
In una casa attigua si conservava ii SS. Quale ruina e quanto cordoglio. Eppure quale amena campagna, e quanto cara prospettiva ci si presentava allo sguardo!
Là di fronte si scorgeano in lontananza le rovine di Zambrone, che diede il tributo di sei morti, ed il parroco D. Francesco Landro, vecchio ottuagenario, venne ricoverato in una pagliaia. Lampazzoni e Panajìa di Ricadi ebbero ciascuno due morti, ed uno Spìlinga.
Scendevamo, e cupi pensieri frullavano nell’animo mio. Nell’ampia costa io vedevo ammassi ingenti di una terra biancastra, tirata fuori da vari cuniculi, praticati qua e là a  mezza costa e distendentisi per lungo invisibile tratto. Da qui si estrae la materia prima per la costruzione di eccellenti stoviglie, e la famosa casa Ginori da qui riceve nel porto di Livorno la terra, onde vanno così ricercati e celebri i suoi piatti.
Lo sfruttarnento della montagna risale a tempo antichissimo. Nel 1796 fu assegnata alla parrocchia di S. Girolamo di Fitili una di tali miniere, la quale in prosieguo di tempo fu riscattata con reddito del Debito pubblico, e dà al parroco annualmente parecchie migliaia di lire.
Quei cuniculi sotterranei si distendono per lunghissimo tratto ed un bravo giovine, figlio al sindaco di Parghelia, ch’erami compagno mi diceva che Fitili soprastava nel vuoto, ed anco Zambrone li avea assai vicini. Chi sà dicevo io tra me e me: chi sa che tanto sfruttamento della montagna non abbia efficacemente contribuito alla rovina di sì ridenti paesi !
                                                                                                                                                                                   Parghelia: Distribuzione del pane
E si tornò a Parghelia: ove una folla di popolo facea ressa all’ Eminentissimo ed a monsignor Vescovo, come già avea fatto all’arrivo del treno, chiedendo aiuto e soccorso, mostrandosi visibilmente commossa e compiaciuta della loro paterna visita.
Parghelia è totalmente distrutta. I soldati tengono lontano il popolo, e vogliono impedire anche a noi a l’ingresso, tanto ch’è mestieri l’intervento del Capitano.
Una bella ed ampia via corre a mezzo il paese e per buon tratto diritta; tutta ingombra di rottami, di massi e di calcinacci, non ostante il lungo e paziente lavoro del soldati. Tutti i vichi, più o meno stretti facenti capo alla via principale, sono coperti di macerie.
Qui è rasa al suolo una chiesetta dedicata a S. Antonio di Padova, fabbricata nel 1655 com’indica un frammento marmoreo giacente nella via. Là è la chiesa di S. Michele Arcangelo, col tetto crollato e le pareti laterali battute, e la statua dell’Arcangelo ancora nella nicchia sul’altare scoperto. Più in là è la chiesa parrocchiale, dedicata all’apostolo S. Andrea, piena di caduti massi e con 1’ abside crollato, resistito solo l’arco sopra il maggiore altare.
 Parghelia: il personale militare addetto allo sgombero delle macerie
Travolta nelle macerie fu ancora la sacra Pisside con le ostie consacrate. Un bravo soldato della nostra Cittanova, Emilio Sgambaterra, caporale del 1° Reggimento Genio, 7^ Compagnia, frugando vide sotto le macerie la sacra Pisside, e tosto non curante di se stesso si gettò dentro e con ogni industria la trasse fuori, accolto con trionfo dal Capitano Abignente e poi dalla popolazione e dal clero.
Trascorsi i vicoli più stretti, s’uscì fuori dove la gente avea presa dimora sotto tende ed in carrozzoni della ferrovia. Non è a dire lo sgomento che provava l’animo nostro: non alito di vita in quel paese già di più che 3000 abitanti: desolazione e solitudine! Le poche case rimaste in piedi -  tra cui quelle dei Calzona e del famigerato Ierocades, con nella facciata una lapide, che intenderebbe osannare alle sue virtù, alla sua nascita in Parghelia nel 1735, ed alla sua morte in Tropea nel 1805 - conviene che cadano al suolo sotto il piccone demolitore. Ben cinquanta furono le vittime in Parghelia; una povera vecchia era stata estratta proprio il giorno avanti.

Parghelia: Salvataggio della bambina Antonia Maria Colace
Quivi fu presentata all’Eminentissimo Cardinale Arcivescovo una fanciulla di sei anni, stata ben quattro giorni sepolta dalle rovine. Tratta fuori incolume ed interrogata come stesse li sotto, con ingenuità infantile la Maria Antonia Colàci, come chiamasi, rispondeva che una donna gentile ora sola, ora con un bambino fra le braccia, le portava da mangiare!
Era quasi mezzogiorno ed il treno portava sensibile ritardo. Stando ad aspettare alla stazione un fotografo di  Nicotera, volle ritrarre su quelle rovine il Cardinale, il Vescovo e quanti eravamo presenti. Vennero a rendere omaggio ai degnissimi Prelati, oltre il clero di Parghehia, D. Tommaso Ruffa, parroco di Fitili, D. Lorenzo Vallone, parroco di Daffinà, D. Giuseppe Lentini parroco di Daffinacello - Il rev. D. Antonio Caprile ebbe i genitori travolti e feriti nelle macerie - In tanto come Dio volle venne a passare un treno-merci e per il cortese consenso del Capo stazione si potè tornare poc’oltre ’una pomeridiana a Tropea, che dista meno d’un quarto d’ora da Parghelia, dal cui territorio la divide il fiume-torrente la Grazia, dove il treno rallentò il passo perchè il ponte pericolava.
Nelle ore pomeridiane si uscì dall’ospitale baracca con monsignor Vescovo e con numeroso seguito a rivedere i danni del terremoto nella città di Tropea.
Nella città di Tropea di ben sette mila abitanti, non una casa senza più o meno gravi lesioni: qualche casetta caduta, e ciò giustificava il panico di tutti ed il desiderio di dormire alla meglio sotto tende all’ aperto.
               Tropea: Ospedale Civile
Si andò all’ospedale, assai danneggiato ed all’esterno sorretto da puntelli di grosse travi. I piani superiori sono resi inabitabili, e nel pianterreno, in assai cattivo stato, sono ricoverati ventidue feriti di Parghelia e di Zarnbrone. Quella visita del Cardinale e del Vescovo solleva lo spirito dei poveri sofferenti, che ci narrano pietosi episodi di quella orrenda notte dell’otto settembre! Si passò alla Cattedrale, dalla forma basilicale, a tre navate, sorrette da pilastri a volta, con belle dipinture alle pareti, al tetto, e lavoro di stucco con rosoni aurei nei capitelli e nel cornicione. Essa é tutta fracassata, nella volta e nelle cupole ai lati in fondo delle navate, e più ancora rovinata la bella cupola e maestosa cappella, a destra entrando, dedicata. alla concittadina S. Domenica. Sono tali le rovjne che se ne inibì il culto e si dichiarò minacciante rovina la cappella sopradetta.
Da una porta laterale si riuscì nell’Episcopio, fabbricato maestoso, ampio e a due piani, pur ora rinnovato dalla munificenza di monsignor Taccone-Gallucci, il quale avea in animo di prendervi dimora col novello anno scolastico. E qui lesioni nelle pareti, muri spiombati, fenditure nei muri maestri, rendono inabitabile il detto palazzo.
                                                                                                                                                                                     Tropea: Messa sulla strada
E non minor danno é nello spazioso Seminario Vescovile: lo stesso spiombo dei muri esterni, le stesse spaccature alle pareti, gli stessi pericoli di crollamento, si ché riesce un problema, come si potrà rimediare nel prossimo novembre a ricollocare nel sacro efebeo i giovani dedicati al santuario.
Veniva la sera, oscura e tetra, minacciante pioggia, e si ebbe 1’ indovinato pensiero di trasportare il Quadro della Madonna di Romania dalla improvvisata cappella campestre in Cattedrale. L’Eminentissimo, il Vescovo, tutti noi ed una enorme devota folla accompagnó la sacra effigie, che venne collocata sotto l’arco di una porta della Cattedrale. E la pioggia venne, con forti tuoni e continui lampi, e venne copiosa talchè la gente fu costretta abbandonare le tende e ricovrarsi nei pericolanti abituri. E questa notte, fra le raffle del vento  della procella non mancò verso le ore tre dopo mezzanotte una leggera scossa di terremoto, come non era mancata la sera precedente, verso le otto e mezzo!

Tropea: Rovine sulla Chiesa dell'Isola
20 Settembre 1905, mercoledì

Stante la pioggia della notte ed il tempo minaccioso parea non potersi per quel giorno continuare il viaggio. Ma verso le nove il cielo si rasserenò, e così alle 9 e mezza si partì da Tropea. Era una carrozza patronale del nobile cav. Felice Toraldo e correa rapida su per l’erta del monte. La via che da Tropea va a Monteleone è la via regia; sale per l’alto monte Poro per l’intiera costa con ritorte qua e là, ma sale sino alla cima ed al piano della montagna, presentando ad ogni momento un panorama sempre nuovo e sempre stupendo di ville, giardini vigneti, oliveti seminati di case coloniche e di borgate, scorgendosi ad ogni svoltata maestoso e bello il Tirreno, dalla punta del Faro, alle isole Eolie, torreggiante lo Stromboli creduto causa dell’immane flagello! Sì che la piacevole prospettiva, finchè non s’entra nella pineta, rende grato il viaggiare. Eppure quale contrasto nell’animo nostro rimirando quelle bellezze di natura e ripensando agli immani disastri del terremoto!
                                                                                                                                                                                         Caria: Campo di terremotati
E già a fuga di ruota eravamo giunti ove il monte forma un’ampia insenatura, dal terreno fertile e fecondo d’ogni sorta d’alberi fruttiferi, e delizioso era riguardare gli ulivi carichi e le viti colme di bei e già maturi grappoli.
In men d’un’ora siamo giunti a Gasponi, paesello di circa 600 abitanti, tutti dedicati all’agricoltura. Sua Eminenza discende da carrozza e visitiamo questo villaggio. Il nostro arrivo era ignorato, ma dopo pochi minuti accorre il parroco, i preti, uno stuolo d’uomini e donne, che rendono all’Eminentissimo il dovuto omaggio e si rallegrano della sua venuta.  V’è sempre in questi paeselli una via più spaziosa delle altre, che corre dall’un capo all’altro, e vi mettono capo vicoli e viuzze assai strette. Già nella via principale, qua e là casette cadute, quelle rimaste in piedi, perché più solide, sostenute da travi, rnessi orizzontalmente tra l’uno e l’altro muro di rimpetto. In alcuni vicoli non si può entrare, giacchè ingombri dalle macerie: in altri penetrando doveasi affrettare il passo per il pericolo imminente della caduta di qualche muro.
V’era una compagnia di soldati, che continuavano a demolire le case pericolanti. Si ebbero a deplorare solamente tre vittime: dormendo molti alla campagna. E facea pena al cuore vedere ora, con la pioggia della precedente notte, com’erano ridotte quelle improvvisate tende e udire i lamenti di quei villici, che neppur una sola tavola per baracche aveano ricevuto sino a quel giorno. Sopra ogni altro fu rovinata la chiesa parrocchiale, la cui volta precipitò sul pavimento, e le mura intorno col campanile minacciano presto di cadere.
Gàsponi è sottocomune di Dràpia, ch’è posto di rincontro a venti minuti di distanza, anch’esso in amena e deliziosa postura, tra i fichi, i gelsi e gli ulivi, quasi una terrazza prospiciente sul Tirreno e le ridenti marine dal Capo Vaticano a S. Eufemia. Con Drapia vanno pure le borgate di Brattirò e Caria.
Drapia: Autorità politiche in visita
Sono le ore undici quando a piedi per la via rotabile, braccio della regia, giungiamo a Drapia, comune di circa tremila abitanti. Anche qui corre una via comoda internamente, bene selciata e avente ai lati buoni fabbricati. Ma tutto ci si presenta sconquassato: case cadute, cadenti, pericolanti; dovunque in quei vicoli si ferma lo sguardo macerie, rottami, massi caduti. Grazie a Dio non si ebbero che due sole vittime. Ci accompagnano l’arciprete, il clero, alcuni seminaristi del Seminario di Tropea, e vari cittadini, fra i più conspicui. Anche a Drapia più danneggiata è la chiesa madre. E’ una chiesa ad una sola navata, ampia e bella, con grazioso altare e bella statua dell’Immacolata.
Il muro della prospettiva parte crollato, parte cadente. Il cielo è a volta, tutta fracassata e spaccata, e molto danneggiato il muro a destra e la torre campanaria. Avea bei lavori a stucco, ma ormai tutto è perduto!
Tornati a Gàsponi trovammo piü numerosa gente che attendeva l’Eminentissimo tanto per ossequiarlo, quanto per implorare il suo soccorso. Ed il Cardinale rincorò tutti, e quindi scrisse lettera a persona influente di Tropea perché sollecitasse l’invio colà di pane, pasta e tavole. Si gradì una tazza di caffé, che quel buon pievano ci offrì, seduti sotto un gelso e da lui fatto bollire con poca paglia!  E si riprese la via regia.
                                                                                                                                                                       Caria: Si demoliscono i muri pericolanti della Chiesa
Alle 12 e 10 m. si giunse a Caria, paese posto in vasta pianura, dove il Poro, sempre digradando ed innalzandosi va per toccare il suo massimo. E’ corso da una larga e comoda via, ripiena di macerie delle case cadute:  è una rovina dovunque si guarda. L’Eminentissimo, col buon parroco, con devota gente subito raccoltasi, visita la chiesa parrocchiale, ad una nave, con volta, bello altare e degnamente decorata. Ma il muro frontale è fracassato e caduto, i cornicioni abbattuti, la volta lesionata. La torre campanaria minaccia cadere, e quella brava gente vorrebbe trovar modo di salvar le campane. Non potevasi, diss’io, costruire un ponte di legname, senza toccare i muri, e tirar fuori le campane? Ma tosto m’accorsi del cattivo suggerimento; perché chi assicurerebbe che nel mentre si dà opera a toglier di posto le campane, non crolli il campanile? Una chiesetta all’inizio del paese, meno danneggiata, conserva il SS.° e giova allo esercizio del culto. Come a Gàsponi, a Dràpia, anche in Carla non v’è anima viva nel paese; sì che dovunque ci si accresce l’orrore delle rovine dalla solitudine e dallo sconforto che vi regna. Eppure quella gente è rassegnata, e istantemente chiede la riedificazione della chiesa! Non si ebbe che una sola vittima, sopra una popolazione di circa mille abitanti, che ora trovansi tutti attendati nella campagna.
La meta del nostro viaggio era Mileto, al cui vescovo s’era partecipata, con telegramma da Tropea, l’andata dell’Eminentissimo. Con Caria uscivasi dalla diocesi di Tropea. Ed i focosi cavalli divoravano la via, sempre girante pel Poro fino a raggiungere la cima. E per buon tratto non incontriamo più nessun paese. Volevamo visitare Zungri, distrutto, senza vittime, ma troppo fuori mano ed impervio, non potemmo. E mentre per una vasta pianura si correva e non altro udivasi che lo scricchiolio delle foglie di secolari pioppi piantati lungo la via regia, oh come dolorosamente tornavano al pensiero le immagini dei luoghi visitati: e parea di udire i lamenti e i pianti orrendi dell’infausta notte del terremoto.

NOTE:
Le immagini riferite a Caria, Drapia e Fitili sono tratte da "Il terremoto dell'8 settembre 1905 in Calabria" di Francesco Pugliese, Arti Grafiche BMB, Firenze,1996.