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INTERVISTA CON
CHRIS HUSTON

DEGLI
UNDERTAKERS
A cura di Dominic Turner & Salvatore Libertino

Orrel Park Balllroom (From Chris Huston Collection)










Lonnie DoneganTi ricordi perché ti sentivi attratto dalla musica da piccolo? I tuoi genitori avevano una predisposizione per la musica?

CHRIS: I miei genitori non erano affatto portati per la musica; anzi, mio padre era sia cieco che sordo. Malgrado tutto ciò, adorava andare a ballare con mia madre…la quale, per forza di cose, doveva guidare nei balli di coppia. Io cominciai a suonare negli scout, dove formammo un gruppo skiffle di nome i Casuals. Eravamo piuttosto negati musicalmente, eppure riuscimmo a tirare giù qualche pezzo di Lonnie Donegan.
 
 

Cliff RichardCon quale tipo di musica sei cresciuto? Era facile procurarsi dischi a Liverpool?

CHRIS: Prima della nascita del rock’n’roll, non esisteva un genere musicale con il quale i giovani potevano identificarsi. Certo, di tanto in tanto saltava fuori qualche cretinata infantile, ma non c'era musica che potevamo considerare la nostra. All'improvviso, alla metà degli anni '50, è esploso il rock’n’roll. Io avevo circa 13 anni quando comprai il mio primo disco: “Hound Dog”. Roba da non credere! In tempo brevissimo, alcuni artisti inglesi incisero delle cover dei brani di successo nelle classifiche americane, e ci trovavamo con dei "teen idol" fatti in casa. In mezzo a tutti questi imitatori, c'era anche qualche artista originale. Per esempio, Cliff Richard, il quale adottò un'immagine molto simile a quello di Elvis, incise alcuni ottimi brani originali, discorso che vale anche per il suo gruppo, gli Shadows. Ma tutto sommato, non c'era nulla che poteva avvicinarsi all'emozione e alle sonorità dei dischi americani. Eppure non era un grosso problema: finalmente noi giovani avevamo una musica che potevamo considerare la nostra a tutti gli effetti.

Bob EvansQuali ricordi nutri di Bob Evans, fondatore della band?

CHRIS: Vediamo un po'…all'inizio Bob Evans fronteggiava una delle prime e migliori band di rock’n’roll nella zona di Merseyside.Apollo Roller  Rink  Advert. Adorava i Del Vikings e Gene Vincent. Indossava sempre un chiodo nero e pettinava i capelli all'indietro in puro stile D.A. – cioè Ducks Arse ("culo di papera" – ndr.)! Io mi sono aggregato al gruppo nel 1960. Suonavamo in gran parte dei club frequentati dai marinai e da uomini della classe operaia a Merseyside. Per quanto mi posso ricordare, il gruppo era un'entità ad hoc. Cioè, se uno di noi non era disponibile, c'erano sempre un paio di musicisti pronti a sostituirlo. Talvolta la metà della formazione era fatta di "rincalzi". Non sembrava dare fastidio a nessuno, i clienti per primi. Effettivamente, è così che nacquero gli Undertakers – un insieme di due gruppi: gli Shillings di Bob Evans e Dee and the Dynamites, i quali divennero i Bob’s Vegas Five e successivamente, gli Undertakers.
 

The Joe Brown Concert  Advert. -  With the Undertakers - The Pete Best's last performance.Negli Undertakers ti hanno dato il soprannome "Shine". Possiamo sapere perché?

CHRIS: Usavamo tutti soprannomi – solo Dio sa perché! Advertisement from the 'Mersey Beat' PaperAll'epoca, io ero un fan accanito di Joe Brown. Era un grande chitarrista londinese, presente in tutti gli spettacoli TV di quei tempi. Cantava anche, ma era solo per fare accompagnamento ai suoi virtuosismi alla chitarra. Insomma, non era questo grande cantante. Ma era in possesso di una presenza notevole sul palco e alla TV, applicando alla sua musica le sue maniere sfacciate londinesi. Una delle sue canzoni si chiamava “Shine”. Perciò era logico che io diventassi Shine.
 
 

The Undertakers (Photo taken by Astrid Kirchherr): Chris, Bugs Pemberton, Brian Jones, Jackie Lomax and Geoff NugentFu molto sofferta la scelta di tentare la carriera da professionista?

CHRIS: Vuoi scherzare? Se ci rifletto, penso che nulla avrebbe potuto impedirci di mollare i nostri rispettivi impieghi per andare a suonare allo Star Club a Amburgo. Prima di noi, soltanto i Beatles e Gerry & the Pacemakers erano stati in Germania. Al ritorno in patria, entrambi le formazioni erano migliorate decisamente; avevano diversi brani nuovi in repertorio e tenevano molto meglio il palco. Inoltre, o forse per via di queste cose, c'era un certo mistero intorno ad Amburgo. Adesso vi illuminerò a proposito dei lavori che facevamo; così sarà chiaro perché non fu difficile prendere la decisione di tentare la carriera professionista: Brian Jones faceva il macellaio, Jackie Lomax lavorava come impiegato presso il Mersey Docks & Harbour Board (commissione portuale a Merseyside – ndr.), Geoff Nugent si occupava del disegno di membri artificiali presso un ospedale, “Bugs” Pemberton era in procinto di terminare gli studi a scuola, e io lavoravo come  artista commerciale. A dir la verità, guadagnavo 3 o 4 volte di più suonando la sera di quanto prendevo nel mio lavoro da artista. E tutto questo prima di diventare professionista! Manfred Weissleder, il proprietario del locale, e il suo manager, Horst Fascher, vennero a Liverpool per scegliere alcune band da far suonare nel loro club. Ci hanno informati per telefono che sarebbero venuti a vedere il nostro show presso il Litherland Town Hall. Quando siamo arrivati, c'era un Chevrolet convertibile color bianco del 1969 parcheggiato fuori. Naturalmente, le macchine americane le avevamo viste soltanto in TV oppure al cinema. Era chiaro che avevano voluto presentarsi in grande stile! Dopo lo show, Horst ci chiese se potessimo venire ad Amburgo entro quindici giorni. Dio mio, che fretta! In verità, impiegammo circa due mesi per sistemare il tutto perché nessuno di noi disponeva di passaporti e in più ognuno di noi doveva dare preavviso per lasciare il proprio lavoro. Quindi in agosto 1962, andammo ad Amburgo per la prima volta. Avevo da poco compiuto 19 anni.

Across the way from the Star ClubQual è il tuo giudizio generale del periodo passato in Germania? Si è detto che voi musicisti siete arrivati ad Amburgo come "ragazzi" e siete ripartiti come "uomini"...e non si riferisce soltanto al lato musicale. E' stato così anche per te?

CHRIS: “Siamo arrivati ad Amburgo come ragazzi e siamo ripartiti come uomini"...questo mi piace! E, per certi versi, è vero. Amburgo era decadente e selvaggio, e lo è tuttora. Se vieni da una città operaia come Liverpool, e all'improvviso ti trovi circondato dalla decadenza morale più completa, può succedere di tutto. Inizialmente, ci fu lo shock culturale, seguito dalla consapevolezza che eravamo lontani dagli sguardi dei nostri genitori. Il pubblico era sempre incredibilmente entusiasta, e le ragazze.....figuriamoci! E' chiaro che imparammo parecchie cose su vari aspetti della vita durante quel primo viaggio. Quelle esperienze ebbero effetti molto duraturi su di me, e me le ricordo con grande nostalgia. Senz'ombra di dubbio mi mise sulla strada che mi ha portato al punto dove sono giunto oggi....sono un po' più saggio, e faccio sempre parte del mondo della musica.

Ci puoi dare qualche indicazione del materiale che gli Undertakers avevano in scaletta nei concerti ad Amburgo?

Jackie Lomax  (Photo taken by Astrid Kirchherr)CHRIS: Quando siamo giunti ad Amburgo, avevamo solo le canzoni del repertorio che ci siamo portati dietro. Jackie Lomax stabilì un amicizia molto intima con Astrid Kircherr, la ex-fidanzata di Stuart Sutcliffe, il bassista originale dei Beatles, morto tragicamente solo qualche anno prima. Stuart  Sutcliffe (Photo taken by Astrid Kirchherr)Lei era stata fondamentale nel creare il look dei Beatles – le acconciature, le giacche senza colletto, e così via. Aiutò anche noi moltissimo. Ci fece conoscere la musica di Smokey Robinson and the Miracles e numerosi altri artisti americani. Lei e Klaus Voorman frequentavano spesso lo Star Club. Dopo le serate, Astrid ci portava a casa sua, ci dava da mangiare e ci faceva ascoltare i suoi dischi. Inoltre scattava alcune ottime foto del gruppo. Fu un fotografo formidabile, con una capacità impressionante di "cogliere l'attimo”.
Astrid Kirchherr (Photo taken by Astrid Kirchherr)Certo, imparammo canzoni nuove anche da altri gruppi con i quali ci toccava suonare. Siamo rimasti notevolmente impressionati dall'alto livello di professionalità dimostrato dagli artisti americani. E soprattutto ci stupirono con la loro disponibilità; erano disposti a passare del tempo con noi per farci vedere delle cose. Ci sembrava difficile da credere che potevamo avere l'occasione di imparare un riff dal chitarrista di Bill Haley o una frase vocale dal cantante di Joey Dee & the Starliters, Davey Brigati, eppure ci capitò spesso e volentieri.
 
 
 
 

Gene Vincent , Chris and Friends at Star Club - 1962 (From Chris Huston Collection) La tua collezione privata comprende una foto stupenda di te, Jackie Lomax, Brian Jones e altri musicisti britannici assieme al grande Gene Vincent allo Star Club. Ci vuoi parlare di quel momento?

CHRIS: Gene Vincent è venuto a cantare ad Amburgo per un paio di settimane durante la nostra seconda o terza residenza al club. Eravamo emozionatissimi al fatto di suonare nello stesso programma di lui. Gene si dimostrò una persona stupenda e il suo spettacolo dal vivo era tutto ciò che avevamo immaginato. Diventammo ottimi amici e lo incontrammo anche a Londra in un paio di occasioni negli anni successivi. La foto di cui parli fu scattata negli spogliatoi dello Star Club. Oltre a Jackie Lomax, le altre persone presenti erano componenti dei Sounds Incorporated; raggiunsero una certa notorietà come sezione fiati su alcuni brani di “Sergeant Pepper” dei Beatles.
 

George Harrison and John LennonDomanda d'obbligo: che rapporto avevate con a) i Beatles e b) le altre formazioni Merseybeat dell'epoca?

CHRIS: Ci conoscevamo tutti fino ad un certo punto, almeno per quanto riguarda i gruppi di spicco; del resto, Liverpool è da considerare una "piccola grande" città. Conobbi John (Lennon) al Liverpool College of Art. Talvolta John e George si facevano prestare il mio amplificatore quando suonavamo nello stesso programma. Mi ricordo un concerto a Crosby Hall quando mi toccò salire sul palco tra una canzone e l'altra per riprendere l'amplificatore, in quanto noi dovemmo andare a fare un altro concerto altrove! Non mi vengono in mente molti casi di gelosia o problemi tra gruppi. Certo, la rivalità esisteva, per forza di cose; c'erano tante formazioni in concorrenza per aggiudicarsi poche serate. Al massimo, succedeva che un gruppo "rubava" una canzone da un altro gruppo. Magari una band faceva un brano che nessuno conosceva, e si correva a trovare una copia del disco per poter imparare il testo e gli accordi. E' sorprendente che non si verificava di peggio perché Liverpool è una città molto dura e rissosa.

Conoscevamo abbastanza bene Gerry Marsden dal momento che il suo pianista, Les McGuire, era stato il nostro sassofonista prima dell'arrivo di Brian Jones. Les ci lasciò e si aggregò ai Pacemakers quando Gerry ricevette l'offerta per andare in Germania. Per quanto riguarda gli altri complessi, o prima o poi li conoscevamo se suonavano nei nostri stessi locali; come minimo, li incontravamo ripetutamente. Detto ciò, quando riguardo gli elenchi dei gruppi che suonavano all'epoca, mi rendo conto che esistevano diversi “strati” di gruppi. C'erano formazioni, per intenderci, che non suonavano mai nei locali prestigiosi. Riuscirono a sopravvivere in qualche modo malgrado suonavano soltanto in una zona relativamente limitata, per esempio nei bar o nei club di una cittadina. Non giunsero mai ad esibirsi nei club o nelle balere più importanti di Liverpool. Il Tower Ballroom a New Brighton veniva considerato uno dei locali più prestigiosi in assoluto, ma di solito ci suonarono solo formazioni americane.
 

The First Copy of  'The Mersey Beat' Paper E’ riconosciuto universalmente che il termine "Merseybeat" ha i suoi origini nell’omonimo giornale di Bill Harry. Ma all’epoca eravate consapevoli di una “scena Merseybeat", oppure ritieni che si trattava più che altro di un tentativo da parte della mass media di far credere che le numerose formazioni di Merseyside avevano davvero qualcosa in comune?

CHRIS: Sì, fu il mio vecchio amico Bill Harry a coniare per primo l'espressione “Merseybeat”. Mi ricordo quando la rivista si stava appena decollando. Bill, ex-studente del Liverpool College of Art, aprì un ufficio sopra un negozio di motocicli in una traversa di Renshaw Street. Io lavoravo in fondo alla stessa strada in qualità di disegnatore commerciale. Salivo spesso a trovare Bill, e passavo l'intervallo di pranzo a chiacchierare con lui. Il primo numero di "Mersey Beat" non era ancora stato pubblicato. E' interessante segnalare che Bill, malgrado non fosse un musicista, se ne intendeva molto e, con il senno di poi, è giusto riconoscere che probabilmente aveva intuito ben prima di noi le tendenze e la direzione che prendeva il fenomeno generale. Da parte nostra, avevamo capito soltanto che qualcosa di importante stava per succedere. Eravamo consapevoli della crescita di interesse a livello locale nei confronti della musica e dei gruppi, ma non era nemmeno lecito sognare che le cose prendessero una piega simile. Mi ricordo una volta che passeggiavo per il centro della città; rimasi colpito dal fatto che tutta la gente correva per recarsi a lavoro. Capii subito che, almeno per il momento, ero riuscito a fuggire da quella condizione sociale – il "tran-tran" quotidiano. Personalmente, ero deciso di sfruttare al massimo, finché potevo, il fatto di essere un musicista ‘professionale’. Non firmammo un contratto discografico fino a un anno più in là. Mi divertivo un mondo suonare nella band, ma non avevo la più pallida idea come sarebbero andate le cose. Del resto, chi poteva prevedere il futuro?
Bill HarryNon ebbi mai l'impressione che Bill Harry volesse fingere che la scena Merseybeat fosse più grande di quanto era veramente. Avevo sempre pensato che stesse contribuendo a modo suo, diffondendo il verbo e rendendo legittima la nostra causa. Oggi si può dire effettivamente che Bill è diventato lo studioso più autorevole di quell'epoca, e ha firmato numerosi libri sui Beatles e sul fenomeno Merseybeat. Quando i Beatles ricevettero il loro contratto discografico e fu pubblicato “Love Me Do”, tutto Merseyside venne messo sotto assedio dalla stampa. Ci pensò il mass-media a commercializzare tutto, ma non mi sembra il caso di lamentarsi; lo showbusiness è anche questo. In breve tempo, arrivarono funzionari da tutte le case discografiche, grandi e piccole, alla ricerca di qualsiasi gruppo con un briciolo di talento.
 

Mick Jagger at Cavern Club in 1963Gruppi come gli Undertakers, i Mojos e i Big Three erano molto radicati nel R&B. Pensavate che ciò che stavate facendo si differenziasse di molto dalla musica delle band di R&B provenienti da Londra e dintorni (gli Stones, gli Yardbirds, i Pretty Things, i Downliner's Sect, ecc.)?

CHRIS: All'epoca, i Rolling Stones e gli Yardbirds erano sconosciuti, almeno per quanto ci riguardava. E' evidente oggi che la musica che stavamo facendo, il blues, era la stessa, e i nostri percorsi erano quasi paralleli. La scena londinese era assai diversa da quella di Liverpool. La maggior parte delle formazioni di Londra si ispiravano ad un “pop” più tradizionale, imitando le band e gli artisti americani in tutto e per tutto, compreso l'abbigliamento sfarzoso e la loro coreografia sul palco. Avevamo sentito parlare dei gruppi più prestigiosi a Londra, ad esempio i Cyril Davis Allstars. Dei musicisti londinesi che diventarono stelle del rock suonando per qualche tempo con Cyril Davis oppure con altri grandi cantanti blues, quale Long John Baldry.
Brian Jones of the Rolling Stones at Cavern Club in 1963Oppure con John Mayall. Quando, dopo tanto tempo, approdammo ai club londinesi, fummo colpiti dall'alto livello tecnico dei musicisti. Perfino i Who, i quali si chiamarono all'epoca gli High Numbers e aprirono un nostro concerto quando eravamo all'apice della nostra popolarità, erano davvero formidabili. Intorno al 1963, suonammo una sera a Richmond, presso un locale della British Legion, e i Rolling Stones suonarono in un piccolo pub dall'altra parte della strada. Erano di casa nella zona di Richmond e non erano ancora riusciti a sconfinare. Ci andammo sul tardi e sentimmo le ultime due canzoni di un loro set. Se ci fu qualche legame tra le scene musicali del Nord e Sud dell'Inghilterra, si trattò appunto del blues. Per rispondere alla tua domanda in maniera più diretta, non eravamo poi così diversi in quanto ci ispiravamo alla musica americana, per la precisione il blues e l'R & B, senza metterci nulla di nostro. Bisognava aspettare ancora un paio di anni per trovare gruppi che scrivevano le proprie canzoni, anche se molte bands avevano già cominciato a muoversi timidamente in questa direzione.

The Undertakers in Picadilly Circus, London (From Chris Huston Collection)E' sufficiente sfogliare "Let's Go Down The Cavern" di Spencer Leigh per capire che il posto degli Undertakers nella storia di Merseybeat è cosa sicura. Ma con il senno di poi, c'è qualcosa che faresti diversamente se potessi tornare indietro?

CHRIS: No! Sono contentissimo di come sono andate le cose. Certo, potrei brontolare in continuazione del fatto che la casa discografica (Pye) non aveva la minima idea di ciò che stavamo cercando di fare, e non capiva in quale modo alcune modifiche avrebbero potuto fare una differenza apprezzabile. Ma che me ne frega: le cose andarono così, ed eccomi oggi, una persona molto più saggia. La vita stessa è esattamente così: se sapessi già tutte le risposte, che senso avrebbe dare l'esame? E' stato grazie ad una fortuna enorme che sono riuscito a realizzare così tanto in vari campi. Se non avessi imparato tre accordi essenziali di chitarra tanti anni fa, non mi sarebbero capitate nessuna di queste opportunità. Ho potuto partecipare a numerosi dischi di successo, e ho fatto diverse amicizie durature sia nel mondo della musica che fuori. Certo, a volte non sono riuscito a raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato e non c'è dubbio che ho dovuto sopportare anche una buona dose di malasorte. Ma i momenti negativi e sfortunati sono in netta inferiorità rispetto ai momenti positivi e i successi. La musica è un linguaggio universale che non conosce confini. Lavoro tuttora nel mondo della musica in qualità di produttore e tecnico del suono, e pianifico anche studi di incisione in giro per il mondo...di che cosa mi potrei lamentare?

The Undertakers in TV (From Chris Huston Collection)Quali strumenti usavano gli Undertakers? Fu facile trovare strumenti musicali nella zona di Merseyside?

CHRIS: Gli Undertakers erano un quintetto: due chitarre, basso, batteria e sassofono. L'aggiunta del sassofono si dimostrò una mossa importante. Ci consentì di riprodurre il suono di una "big band". Io suonavo i riff dei fiati assieme a Brian Jones, il nostro sassofonista. Nel 1962 mi procurai uno dei primi distorsori “Maestro” della Gibson. L'insieme della mia chitarra col distorsore e il sassofono ci permise di imitare una sezione fiati, impresa che suscitò parecchia attenzione. Per quanto riguarda i singoli strumenti che usavamo: Jackie Lomax suonava un basso Gibson EB-O; “Bugs” Pemberton usava soprattutto batterie Trixon e Premier; Geoff Nugent suonava una Les Paul Special (come me inizialmente), e successivamente, una bellissima Gibson 330 con pickup P-90, e io scambiai la mia Les Paul Special del 1962 per una Gibson 335 (stereo), una decisione che rimpiango tuttora. Sia Geoff che io usavamo anche chitarre modello Gibson SG’s nel corso degli anni. Advertisement from the 'Mersey Beat' PaperCome amplificazione, cominciammo ad usare amplificatori Selmer dopo esser diventati famosi. Mi capitò perfino l'occasione di partecipare nella progettazione di alcuni amplificatori, dopo aver sperimentato così tanto. Ero particolarmente attratto dall'idea di migliorare i cabinet del basso. Avevo letto alcuni libri sulle formule “Thiel-Small” per il disegno dei cabinet e ne costruì alcuni nel mio soggiorno di casa.
Quanto alla disponibilità di strumenti musicali a Liverpool, era difficile inizialmente ottenere strumenti americani. Era necessario ordinarli a parte e sembravano impiegare un tempo interminabile per arrivare. Successivamente diventò tutto più facile, quando la Selmer a Londra cominciò ad importare tutte le principali marche americane.
 

Chris and Geoff Nugent in action (From Chris Huston Collection)I locali disponevano normalmente di impianto voce o toccava agli stessi gruppi potarli in giro?

CHRIS: Inizialmente, erano pochi i club muniti del proprio impianto voce. E i pochi impianti disponibili nei locali si dimostrarono del tutto insufficienti per la musica amplificata che stava diventando sempre più popolare. Brian Kelly, l'organizzatore delle popolarissime serate di ballo a Litherland Town Hall, si rese conto subito del problema – e trovò subito la soluzione. Cominciò a noleggiare impianti, e a darli in leasing a numerosi club e sale da ballo. Rispetto agli impianti odierni, i sistemi di allora erano piuttosto ridicoli. Un impianto tipico, ad esempio il primo impianto utilizzato al Cavern, consisteva in un amplificatore a potenza da 35-50 watt, due altoparlanti da 12 pollici in cabinet "aperti" dietro, e quattro microfoni Reslo a nastro. Brian non prese la decisione di installare altoparlanti più potenti fino alla fine del 1963, quando mise a disposizione alcuni cabinet con due altoparlanti da 12 pollici. Naturalmente, il Cavern era uno dei locali che seguì questo miglioramento tecnologico. Poiché stavamo cominciando a passare più tempo in tournée, ci procurammo un impianto assai completo. Consisteva in due altoparlanti Wharfdale tridirezionali da 15 pollici, rinchiusi in cabinet robusti. L'amplificatore era un grosso ampli Selmer, il quale ci fu regalato dalla Selmer come parte del contratto di sponsorizzazione che firmammo con loro. Usavamo microfoni Shure SM-57. Io stesso disegnai dei supporti tubolari alti 6 piedi (circa 1,80m – ndr) per sostenere i cabinet degli altoparlanti. Durante i viaggi, gli altoparlanti risedevano comodamente all'interno dei supporti, i quali offrivano ottima protezione.

Liverpool 1997: In front of the John Lennon Statue, Lee Curtis, Johnny Guitar, Gerry Marsden, Ralph Ellis, Billy J. Kramer L’attività concertistica senza tregua dei gruppi a Merseyside e in Germania è stata ben documentata; spesso e volentieri si chiedeva ai musicisti di suonare in 2 o 3 locali nel corso della stessa serata! Questa vita frenetica sembra appartenere ad un'altra epoca; eppure dovevate fare i conti anche voi con pratiche che richiedevano molto tempo, quali le prove del suono oppure i moduli SIAE?

CHRIS: Proviamo ad affrontare l'ultima parte della domanda per primo. Moduli SIAE? All'epoca non esisteva niente del genere. Non c'era nulla da compilare....punto e basta! Per quanto riguarda il discorso di suonare in 3 locali diversi nel corso di una serata, era normale che suonavamo in tre club diversi ogni giovedì, venerdì, sabato e domenica quando eravamo a casa, a Merseyside. Questa situazione continuò per circa un anno e mezzo. Lasciando da parte l'enorme fatica, era una vita incredibilmente divertente. Il nostro spettacolo sul palcoscenico giovò enormemente fin dai soggiorni ad Amburgo. Certo, il mio uso della parola "spettacolo" non vuol dire che adottavamo sofisticati routine coreografici oppure luci spettacolari. Avevamo stabilito alcune scalette capaci di presentare la nostra musica nel modo migliore. Eseguivamo "Shout" degli Isley Brothers, ma lo facevamo nello stile di Joey Dee & the Starliters, dai quali l'avevamo copiato allo Star Club. Agitavamo le nostre giacche sopra la testa e pestavamo sul palco con i nostri piedi durante l'inciso del brano; tutto ciò eccitava immancabilmente il pubblico. Ma tolta questa piccola concessione, c'era la nostra musica. A parte questo, la nostra musica era il rock & roll e il rhythm & blues molto diretto.

Brian JonesGeoff NugentSei rimasto in contatto con gli altri elementi degli Undertakers? Qualcuno di loro continua a suonare ancora con una certa frequenza?

CHRIS: Attualmente, non sono in contatto Jackie LomaxBugs Pembertoncon nessuno, purtroppo. Cerco sempre di fare una rimpatriata con Brian Jones e Geoff Nugent ogni volta che torno a Liverpool. Jackie e Bugs risiedono in America invece. Jackie continua a suonare e Bugs si è guadagnato la fama quale uno dei migliori falegnami da studio in tutto Los Angeles. Vuoi sapere se suono ancora? Sì, per il mio divertimento, e quando mi ritrovo con gli amici. Sono trent'anni ormai che la mia passione per la musica trova sfogo nel mio lavoro da produttore/tecnico del suono, e nei miei progetti per sale di incisione. Mi diverto molto a tenere seminari sul ruolo del produttore/tecnico del suono e lo considero il mio dovere diffondere ciò che sono riuscito ad imparare, know-how che io ricevetti gratuitamente durante il corso degli anni.
 
 

Colin ManleyEcco una domanda che probabilmente odierai! Vorremmo chiederti di stendere una classifica di merito dei seguenti chitarristi della scena Merseybeat: Chris Huston (!), George Harrison, Brian Griffiths, Tony Crane, Nicky Crouch, Paddy Chambers, Colin Manley, Johnny Guitar (d'accordo, non è una domanda del tutto seria!)

CHRIS: Che domanda tremenda! In un qualsiasi elenco del genere, il mio nome non dovrebbe comparire. A mio avviso, stando ai livelli di oggi, non sarebbe possibile scegliere dieci grandi chitarristi da quell'epoca...perché non c'erano dieci grandi chitarristi in tutto la scena Merseybeat! Comunque, vediamo che cosa riesco a tirare fuori. Innanzitutto, il migliore chitarrista di Merseyside, dal punto di vista tecnico, era Colin Manley dei Remo Four. Era capace di suonare o imitare qualsiasi frase ed era davvero un piacere vederlo all'opera. Brian GriffithsPoi c'era un chitarrista di nome “Griff” (Brian Griffiths) il quale possedeva un dote che è difficile mettere in parole. Era dotato di uno straordinario e naturale senso di feeling; sarei stato capace di uccidere per aver un talento simile. Il suo stile si avvicina di più a quello di alcuni dei grandi di oggi. Fu molto sottovalutato, forse perché veniva giudicato in base ai traguardi relativamente modesti raggiunti dal gruppo in cui militava, i Big Three. Con un termine di valutazione diverso, anche lui può essere considerato il migliore chitarrista di Merseyside. George Harrison non è mai stato un virtuoso dello strumento. Era comunque un chitarrista intelligente e creativo, all'altezza di qualsiasi cosa che gli fu chiesto. Johnny (Guitar) Byrne era più un personaggio che un chitarrista, anche se rappresentava il dorsale ritmico di Rory Storm and the Hurricanes. Vedi i problemi che ho per stilare una graduatoria? E a quei tempi c'erano anche altri chitarristi bravissimi in giro, musicisti capaci di tirare fuori ottimi assoli oppure copiare qualsiasi assolo da un disco: mi vengono in mente Gerry Marsden e Richie Prescott. Ma non ritengo che quello sia un buon criterio di giudizio, vero? Quindi la mia graduatoria è molto breve, e a dir la verità, incompleta, premiando Colin Manley per la sua capacità tecnica e “Griff” per la sua naturale magia. Indubbiamente, c'erano diversi chitarristi bravi che successivamente diventarono dei grandi. Ma all'epoca, erano in pochi a spiccare.

Stuart Sutcliffe NewspaperNel suo libro "The Man Who Gave the Beatles Away", Allan Williams, il primo manager dei Beatles, firmò la seguente dedica: "Per Stuart e Rory, i quali per poco non ce la fecero. Ma se la mettiamo così, chi ce la fece?". Quale impatto ebbero per te le morti di Stuart Sutcliffe e Rory Storm? Malgrado fossero ben distanziati in termini cronologici, esiste una certa somiglianza tra i due avvenimenti, fosse soltanto per le circostanze misteriose.

CHRIS: Fu davvero bizzarro sentire della morte di Stuart Sutcliffe tanti anni fa. Rory Storm (Photo taken by Astrid Kirchherr)Figuriamoci, la morte di un mio contemporaneo era un'esperienza nuova per me. E quello che è successo ad Amburgo rese il tutto ancora più surreale. Quando sei così giovane, ti consideri blindato, pronto per affrontare il mondo. Non vedo somiglianze tra la morte di Stuart e quella di Rory Storm, tranne lo stupore generale che suscitarono le due tragedie. Rory era una persona stupenda e mostrava una certa intensità quando ti parlava. Balbettava quando parlava, ma questo problema scompariva quasi per magia quando cantava. Che potesse deprimersi fino al punto di sopprimere la propria vita solleva alcune domande alle quali non ho i titoli giusti per rispondere. Insomma, il legame tra i due avvenimenti si limita alle circostanze misteriose e ai quesiti che sono rimasti senza risposta.
 

George HarrisonRimanendo in tema (e chiedo scusa per il tono un po' deprimente delle ultime due domande!), come hai reagito di fronte al recente tentativo alla vita di George Harrison?

CHRIS: Quando sentii la notizia, la mia mente tornò alla morte di John Lennon. Ecco, ci risiamo! Quanto deve essere malato di mente e fuori contatto con la realtà una persona che contempla un atto simile. Per voler uccidere una persona, è implicito che ti manca qualche rotella. Il solo pensarci mi fa venire dei brividi!
 
 

Gold and Platinum Awards plus a Grammy (War - 'The World Is A Ghetto' Top Selling Album 1973) (From Chris Huston Collection)Adesso spostiamoci dall'altra parte del banco del mixer. Sei riuscito a costruire una carriera di grande successo quale produttore e ingegner del suono, costellata da dischi d'oro e di platino, e perfino un Grammy. Hai potuto lavorare inoltre con artisti del calibro dei Led Zeppelin, i Who, i Rascals, Van Morrison, Ben E. King, Wilson Pickett, James Brown, Eric Burdon.  Hai provato soddisfazione a lavorare di più con quali artisti e con quali registrazioni? E quale artista ti ha causato più problemi?

CHRIS: Quando la prima volta mi sono trovato dietro la console, capii subito che fu questo lo strumento giusto per me. Me la cavavo come chitarrista; riuscivo a suonare ciò che mi veniva chiesto, ma ero ben lontano da potermi considerare un virtuoso. Esiste un legame invisibile tra ciò che si desidera esprimere musicalmente e ciò che fanno le dita sullo strumento. Io avevo le idee in testa, ma non ero capace di suonarle.

Fu incredibilmente emozionante lavorare con James Brown e Ben E. King, due artisti i cui dischi avevo acquistato a Liverpool poche anni prima. Ho un ricordo molto vivido delle session di "Groovin"....some se fosse stato ieri. I Rascals erano dei tipi normalissimi provenienti da Lodi, New Jersey.....e avevano un talento straordinario. Scrivevano le proprie canzoni, erano dotati di voci ricchissime italiane, e diventarono amici. Senz'ombra dubbio il gruppo che mi ha dato più soddisfazione sono i War. E' tanto che lavoro con loro, e ho potuto vederli crescere in senso sia musicale che umano. E' stato un piacere indescrivibile partecipare ai loro primi 4 o 5 LP. E' difficile descrivere il livello di creatività spontanea presente in studio. E il fatto che riuscimmo a centrare numerosi hit, quali “Spill The Wine”, “Slippin’ Into Darkness”, “The World Is A Ghetto”, “Cisco Kid”, “Why Can’t We Be Friends” e “Low Rider”, rende ancora più piacevole il ricordo. Artisti che mi causarono problemi? Capitano spesso momenti quando un artista possa perdere le staffe e ho dovuto fare i conti con molti episodi simili. Esistono diversi motivi perché possa succedere.

Talentmaster 1965 (From Chris Huston Collection)A dir la verità, mi viene in mente un solo episodio quando interruppi una session e rifiutai di continuare con il progetto. La mia decisione fu motivata dal fatto che il gruppo interessato non mantenne una promessa riguardante il proprio comportamento. E mi fermo lì!

Il progetto con gli Sweetwater era molto arduo, ma anche molto soddisfacente. Nancy Nevins era reduce da un incidente automobilistico che le aveva danneggiato le corde vocali. Il mio compito, in qualità di produttore, fu di aiutarli a superare un momento molto difficile, e realizzare un disco. Poco tempo fa, Nancy mi mandò una nuova raccolta su CD che comprende quattro brani dal disco. Risentire quelle canzoni è stata un'esperienza molto nostalgica per me. Per poter comprendere meglio le loro difficoltà, accompagnavo Nancy dal suo istruttore vocale, Seth Riggs. Rimanevo lì mentre Seth la faceva cantare scale e acrobazie vocali, il tutto con lo scopo di restituire e rinforzare la sua bellissima voce. Le sarà parsa un'impresa impossibile ma si impegnò lo stesso. Si trattò di un progetto molto logorante, per colpa sia delle condizioni fisiche di Nancy che le diverse interazioni personali che tormentarono il gruppo e la loro musica. Ma malgrado le difficoltà, fu un'esperienza gioiosa, il poter collaborare con musicisti di talento per ricavare le loro idee e le loro esecuzioni migliori, nonostante tutte le avversità.

Lavorare con i Who e con i Led Zeppelin furono esperienze fantastiche! Due tra i gruppi più grandi del rock. Ma mi sono rimasti troppi aneddoti e troppi ricordi per un'intervista così breve.
 
 

Advertisement from the 'Mersey Beat' Paper E' un fatto indiscutibile che la sala di registrazione ha subito dei cambiamenti enormi negli ultimi quarant'anni. Quali sono state, secondo te, le innovazioni più importanti per il musicista in sala?

CHRIS: Dunque, senz'ombra di dubbio la innovazione più importante riguarda la disponibilità al musicista, a prezzi abbordabili, di attrezzatura per la registrazione. Questo fattore da sé spiega l'enorme aumento nella produzione di dischi e nella creatività. Ma è soltanto il punto dell'iceberg. In sostanza, è successo che un numero sempre più alto di musicisti ha cominciato a contribuire all'esito della propria musica. A questo punto, occorre fare delle considerazioni storiche. I Beatles erano sicuramente la prima formazione ad entrare nella sala di controllo e cercare di determinare il risultato finale della loro musica. Ma molta gente è ignara del peso che ha avuto Les Paul (colui che inventò la Gibson Les Paul) sull'arte della registrazione. Assieme a sua moglie, Mary Ford, registrò alcuni dischi straordinari con il solo aiuto di due registratori mono. Registravano su una macchina e poi trasferivano la registrazione all'altra macchina mentre aggiungevano, in contemporanea, nuove parti vocali o di chitarra. Questa procedura consentì a loro di realizzare musica di una complessità impressionante. Al lungo andare, si vede che Les si stufò di questa tecnica, perché tirò fuori un'altra idea geniale. Inventò e perfezionò il Sel-Sync, ovvero "Selective Synchronization", il quale rese possibile la registrazione multi-pista che usiamo oggi.

Quando gli Undertakers entrarono per la prima volta nelle sale di registrazione della Pye, ci accolsero dei tecnici in camice bianco. Ci spiegarono dove dovevamo posizionarci e furono loro ad impostare il volume e il tono sul banco. Nel corso di 30 minuti, questi signori riuscirono ad eliminare tutta l'emozione dalla nostra musica. Per fortuna, sono cose che appartengono ad altri tempi. Ormai disponiamo di  un numero quasi illimitato di piste per la registrazione; lo stesso discorso vale anche per la potenzialità di un'artista che gode della giusta ispirazione. Va sottolineato comunque che la mancanza di vincoli può significare altri problemi. Una volta, si usava documentare un'esecuzione. E' questo il motivo perché i vecchi dischi sono così belli; tutto succedeva lì in sala. Oggi creiamo l'esecuzione. Ciò significa che è possibile registrare la batteria a Londra; il basso a Los Angeles, e tutto il resto a Timbuktu. La trappola, a mio avviso, è che si rischia di sovraprodurre. Ma è un argomento troppo grosso da affrontare qui.

Tornando agli inizi, che cosa ti manca di più della scena Merseybeat?

CHRIS: Sbaglio, o mi stai chiedendo se vorrei tornare giovane? La mia risposta deve essere sì e no! Certo, mi manca sotto certi punti di vista. Negli occhi di un ragazzo in tenera età, c'era un senso incredibile di libertà, il quale fu, in realtà, la mancanza di responsabilità. In quest'ottica, ci mancherebbe che non volessi tornare indietro! Ma è chiaro che questa possibilità, in assenza di un intervento divino, non esiste più, e quindi posso soltanto rispondere al negativo. Avrai intuito dalle mie risposte precedenti, che sono soddisfatto dell'andamento successivo della mia vita. Vivo altrettanto felicemente con i ricordi stupendi che conservo dei giorni incredibili dell'epoca del Merseybeat. A proposito, grazie a siti web come il vostro, sono riuscito ultimamente a ristabilire i ponti con diversi amici di quei tempi.
 
 

  With Best Regards,

              Chris Huston, the Undertakers