Biagio Vinci, in una vecchia foto degli anni Cinquanta, nella sua forgia, una delle prime sulla destra
lungo la discesa di via dei Forgiari a Tropea. Fu l'ultimo Mastro Forgiaro.
S A L O M O N E
E  I
F O R G I A R I  D I  T R O P E A
Una novella esplicativo - tecnica calabrese
 

di Antonino Basile


Nel numero 6 di "Folklore della Calabria" (anno II, aprile-giugno 1957) nell'articolo sulla "Sibilla e l'Aspromonte" abbiamo pubblicato una leggenduola, raccolta a Palmi, che narra la furberia cui dovette ricorrere Simone, o Salomone, il quale vi compare come fratello della maga Sibilla, per carpire il segreto del varo della nave.
Siccome non riusciva ad ottenere dalla sdegnosa sorella che gli dicesse il segreto stesso, egli ricorse alla furberia: mandò sotto le finestre di lei una schiera di ragazzi con bandierine a gridare: "Simone ha varato la nave. Simone ha varato la nave!" sicchè la scortese signora, credendo vera la notizia, si fece al balcone, gridando sdegnosamente che egli aveva dovuto usare, per ottenere il varo, impalcature e sego.
Così Simone, avuto il segreto, lo applicò ed il varo delle navi da allora in poi si svolse con facilità.
La leggenda era diffusa in Palmi tra i marinai. L'amico, valente studioso Giuseppe Chiapparo mi comunica che in Tropea, nell'ambiente dei fabbri (esisteva nell'antica cittadia calabra il borgo dei "forgiari") correva una leggenda simile in versi per ciò che riguardava la scoperta della saldatura dei metalli che un tempo sarebbe stato un segreto del potente Re Salomone. Ed i fabbri andavano a pregarlo che lo comunicasse loro.
Il re aveva chiesto tremila ducati ed i fabbri gli avevano detto che non disponevano della somma stessa, ma di una più modesta, di un migliaio di tarì. Non badiamo qui all'evidente anacronismo che attribuisce all'epoca di Re Salomone le monete correnti nel regno di Napoli1 nè all'errore di attribuirgli come dimora Tropea.
Vogliamo notare che i fabbri, tornati al loro borgo, concertano di gabbare Re Salomone ed il giorno appresso vanno in piazza, lo chiamano con grida festose al balcone e gli comunicano d'aver saldato il ferro.
Salomone crede e, non supponendo l'inganno, rivela inconsciamente il segreto: "Se il ferro si è saldato, in terra è caduto e la rena ha toccato".
I fabbri, lieti d'avere così il segreto, si mettono a ballare, a suonare, a cantare per la gioia di fronte al re pieno di stizza e, con un grande baccano ritornano al luogo di Tropea.
Pubblicando qui la novelletta in versi dialettali di Tropea, come ce l'ha inviata il nostro gentile amico, vogliamo osservare che tanto questa, quanto quella di Palmi per la scoperta dei mezzi del varo della nave appartengono al genere tutto particolare delle novelle esplicative, sono, cioè di quel genere con il quale i primitivi ed i volghi cercano di dare una spiegazione a fenomeni che li colpiscono di meraviglia, alle conquiste della tecnica, specialmente.
Queste novellette trovano la loro diffusione e la loro origine nell'ambiente delle arti e delle corporazioni, cui la tecnica da esplicare appartiene.
Così a me è occorso di raccogliere presso una discndente dell'antica corporazione dei marinai di Palmi la ricordata leggenda della Sibilla e del fratello Simone, riguardante la tecnica della navigazione, ed all'amico Chiapparo di raccogliere nell'ambiente dei fabbri di Tropea la novelletta che qui si pubblica2: egli la raccolse dalla viva voce del fabbro "maestro" Antonio Bagnato, alias Schillaro, e, trovandola assai graziosa, la volse in versi vernacolari:


     
Salomone come appare nell'antica iconografia e Biagio Vinci durante la lavorazione del ferro nella sua forgia.

SALAMUNI E I FORGIARI

Salamuni, rre putenti,
Era riccu e sapienti,
Lu segretu3 iju sapia
Chi sardari si potia
ferru e ferru 'n quantità.
Nu beju giornu li forgiari
Iru d'iju pi lu pregari:
-Maistà, Vui ndi diciti,
Lu segretu chi sapiti?
Vi lu dicu si mi dati
Tri migghiara di ducati.
-Chista summa chi cercati,
Maistà, nui non l'avimu,
Sulu dari vi potimu
Nu migghiaru di tarì.
-Pi su misuru dinaru
lu segretu non vi mparu.
Scuntentati li forgiari
Ca n'avianu cchiù dinaru
Mu soddisfanu lu rre,
A lu burgu si ndi ijru
E d'accordu cuncertaru
Pimmu u gabbanu4 daveru.
Comu 'nfatti o jorn'appressu
P'otteniri lu successu,
tutt'allegri a chiazza iru
E chiamandulu o barcuni:
-Salumuni, Salumuni!
Cu' piaciri nci cuntaru
Ca lu ferru già sardaru.
Si lu critti Salumuni,
E mu pari sapientuni,
Non pensandu ca dicia
Lu segretu chi sapia.
Chinu i boria rispundiu:
-Si stu ferru si sardau
Nterra catti o rina toccau!-
Fu cusì c'o rre, gabbatu,
Lu segretu ha rivelatu
A li poviri forgiari,
Chi, p'a grandi cuntetizza,
'Nfacci o rre, chinu di stizza,
Cuminciaru ad abballari
A cantari ed a sonari,
E facendu nu baccanu,
A li forgi ritornaru
Di lu burgu Trupianu.

La novelletta però era nota anche nella provincia di Cosenza dove la raccolse Luigi Prato, il quale la espone: "I fabbri si fan vanto che un loro capostipite sia riuscito a cavargli (... a Salomone), senza il corrispettivo compenso, l'allora segreto sul modo di saldare il ferro con l'acciaio. Ed ecco con quale stratagemma: vuolsi che costui avesse mandato a gridare un gruppetto di ragazzi e di giovani nei pressi della reggia: "Viva 'u forgiaru chi ammenta 'u ferru e l'azzaru".
Salomone volendo contestare che ciò potesse attribuirsi ad acume abbinato all'osservazione attenta, e come se avesse voluto sostenere che la cosa andava attribuita escusivamente al caso fortuito, si affacciò ad una finestra ed interloquì: - Nterra certu catti (certo per terra cadde); con che, evidentemente, voleva significare: "Dovette per certo cadergli di mano un pezzo di ferro arroventato e a questo attaccarvisi sabbia".
Il fabbro che ascoltava fingendo di stare casualmente nella folla sperimentò tosto e constatò che realmente la sabbia fosse necessaria alla bisogna e rimase norma acquisita del mestiere.

NOTE
1 Il ducato, moneta argentea del regno di Napoli, aveva il valore li l. 4,25 in confronto alla lira dell'anno 1912. Il tarì corrispondeva a due carlini ed ogni carlino valeva L. 0.425 rapportato alla stessa lira italiana del 1912.
2 Vedi la nota di Chiapparo in "Archivio per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italiane" diretto da Raffaele Corso, anno XV, pag. 42.
3 Iju = egli, come più giù beju = bello.
4 Di gabbarlo.
 
 

E n t r a
 
nella Forgia di Biagio Vinci
ultimo Mastro Forgiaro di Tropea