Biagio Molina (21 apr. 1907 - 26 lug. 1944) e Rossana Benda (14 mag. 1914 - 27 dic. 1944)

nel giorno del matrimonio celebrato a Foligno nel 1930. In secondo piano sulla sinistra

il fratello di Biagio, Domenico Molina. Sulla destra la piccola damigella è la nipote

di Biagio, Romana Lidia Molina (la futura professoressa di matematica) figlia di Domenico.

BIAGIO MOLINA,

Martire della Resistenza

 

di Salvatore Libertino

 

All’inizio del 1944, nella provincia di Forlì, in seguito ai bandi di richiamo alle armi, si erano formati gruppi di renitenti, quasi tutti del luogo e male armati. Essi compivano azioni di disturbo e sabotaggio ai convogli tedeschi o attentati a singoli militari. Nella primavera il numero dei patrioti era talmente aumentato che i capi della lotta armata sono corsi ai ripari per meglio regolamentare comportamenti, modalità e strategie nelle molteplici attività di contrasto nei confronti dei miliziani nazifasciti.

Questi ultimi, d’altro canto, hanno dovuto incrementare ogni forma di strumento repressivo ricorrendo sovente a quello più odiato dalla popolazione: la decimazione, presa in prestito dai reparti militari in occasione di attività rivoltose, attraverso la fucilazione o impiccagione di ostaggi politici ristretti nelle galere o di cittadini inermi e senza alcuna colpa. 

L'epigrafe e la stele in Pievequinta di Forlì ricordano l'eccidio dei dieci Martiri della Resistenza, tra cui il tropeano Biagio Molina

Nel pomeriggio del 25 luglio un caporale maggiore tedesco, inciampato in un filo di ferro teso attraverso la strada di Pievequinta di Forlì, è stato ucciso dai partigiani con un colpo di pistola alla tempia.

Le autorità nazifasciste decisero per contromisura di ricorrere alla decimazione prelevando dal carcere di Forlì 10 ostaggi da destinare alla fucilazione nello stesso luogo dell’attentato.

All’imbrunire del giorno dopo, puntualmente, dieci uomini furono condotti in autofurgone sino a Campitello, fatti poi proseguire a piedi in fila per due fino al punto esatto dell’uccisione del caporale.

In quell’ordine furono fucilati. Gli infelici si sono abbattuti sul selciato della strada provinciale, nel fossato di destra e fino ai campi in un supremo sforzo di fuga. I loro nomi:

 Francesco Babini di Angelo, nato a Verghereto, parroco di Domicillo di anni 27;

Riziero Bartolini di Giuseppe, nato a S. Pietro in Bagno, residente Verghereto, colono, di anni 18;

Alfredo Cavina di Raffaele, nato a Riolo Bagni, residente in Casal Fiumanese, suonatore orchestrale di anni 41;

Antonio Lucchini di Egidio, nato a Sauris (Udine), minatore di anni 40;

Biagio Molina di Vincenzo, nato a Tropea, residente a Bologna, industriale chimico di anni 37;

William Pallanti, nato a Londra, residente a Bibbiena, di 40 anni;

Edgardo Ridolfi di Tullo detto Lignon, nato a Campiano (Ravenna), residente a Forlì, industriale di anni 40;

Mario Romeo di Raffaele, nato a Napoli, sfollato in Verghereto, meccanico di anni 32;

Antonio Zoli di Gaspare, detto Fiscì, nato a S. Martino in Strada, falegname di anni 29;

Luigi Zoli di Giuseppe, nato a Cotignola, ortolano di anni 29.

 A 2 Km dal luogo dell’eccidio, Zoli detto Fiscì, era saltato dall’autocarro, ma subito ripreso perché ferito da una scarica di mitra; altro tentativo di fuga compiva poi sul posto ed invano.

Il maresciallo G. delle SS italiane, dopo la raffica che abbatteva quei disgraziati, scaricava sullo stesso Zoli e sugli altri ancora vivi la pistola; Lignon piangeva.

 

 La familiola di Biagio Molina, nato a Tropea il 21 aprile 1907, dopo aver girovagato - per  ragioni di lavoro  - per mezza Italia, si attestò finalmente a Bologna, la città della moglie Rossana Benda, nata il 14 maggio 1914. Biagio e Rossana si erano sposati nel 1930 a Foligno, dove il 15 aprile 1931 era nato il figlio Giorgio. La figlia Rita era nata a Roma il 2 giugno 1938.

Siamo nella primavera del 1944, in pieno periodo bellico. Per quelli che abitavano a Bologna la situazione incominciava ad essere insostenibile, i massicci e continui bombardamenti spingevano sempre più la popolazione a sfollare. Anche la famiglia Molina, terrorizzata, decise di allontanarsi dalla città durante il furioso bombardamento del 15 maggio. La direzione era quella per Imola. Il rifugio fu un casolare sulle colline di Riolo Bagni, che al momento era un importante centro di raccolta e smistamento dell’attività partigiana locale.

Biagio si diede subito da fare collaborando ed aiutando con animo, forza e competenza l’organizzazione in mano al noto C.te Franco Franchini detto "Romagna" (Medaglia d'Argento al Valore Militare alla memoria), Capo della VII GAP di Imola, sino a che un traditore denunciò alla milizia nazifascista le attività di contrasto che vi venivano svolte e i nomi degli artefici. La notte del 14 luglio i tedeschi piombarono al casolare per perquisirlo e non trovando nessuno dei responsabili chiesero chi fossero i familiari di Biagio Molina. Rossana si fece avanti dicendo che era moglie e unica parente. L’arrestarono ma i figli Rita di sei anni e Giorgio di dodici scoppiando in un pianto dirotto si spinsero nelle braccia della madre. La stessa notte, insieme, furono caricati su un camion e portati al carcere di Forlì.

Dopo qualche giorno, il 19 luglio, fu preso Biagio, condotto anche lui nello stesso carcere, dove furono tutti interrogati e picchiati. Il figlio fu percosso con un nerbo di cuoio, e per farlo parlare gli infilarono spilli sotto le unghie. Giorgio, all’età di 12 anni, veniva considerato a pieno titolo prigioniero politico per aver collaborato nelle azioni partigiane. La sera del 25 luglio fu accompagnato in infermeria perché aveva bisogno di essere medicato: era una maschera per le sferzate ricevute e anche per le cimici che pullulavano dentro il pagliericcio. Fu la solidarietà di un infermiere, un certo Fiumara di Forlì, che lo fece salvare escludendolo dalla lista dei dieci prigionieri politici, tra i quali il padre Biagio, destinati alla fucilazione per rappresaglia in seguito all’uccisone in Pievequinta di Forlì del caporale maggiore tedesco avvenuta nel pomeriggio.

La mattina del 26 luglio i familiari di Biagio Molina furono rilasciati. Suora Silvetti li accompagnò fino alla periferia della città da dove intrapresero un viaggio di due giorni e due notti per ricongiungersi con la madre di Rossana che li portò presso dei parenti a Zola Pedrosa (Bo). Tutto ciò avveniva quando il destino di Biagio Molina si era già compiuto all’imbrunire del 26 luglio.

Per i superstiti Molina i mesi passarono tristemente e nell’impossibilità di conoscere la reale situazione fino a quando, il 27 dicembre, durante un bombardamento a tappeto una bomba centrò l’edificio dove alloggiavano Rossana con sua madre, Giorgio e Rita. La casa crollò su se stessa.  Dopo ore di attesa, qualcuno tirò per un braccio Giorgio vivo, mentre Rossana e Rita perirono sul colpo. La nonna di Giorgio, ferita in una gamba, fu portata in ospedale da campo tedesco. I cadaveri furono dissepolti dalle macerie almeno dopo due giorni di scavi.

Giorgio da solo s'incamminò per Bologna, dichiarata ‘Città aperta’, e visse della carità del prossimo e con la raccolta dei bossoli di cui il rame era una fonte di guadagno. Riuscì a vedere in assoluta anteprima l’arrivo dei liberatori della città la mattina all’alba del 21 aprile 1945, a Porta Mazzini, già in piedi con il suo carriolo.

A distanza di 58 anni Giorgio Molina fu invitato a raccontare la sua esperienza di vita alla trasmissione televisiva “La mia guerra”, il conflitto visto dalla gente.  Nel 1990 fu ospite a Roma della conduttrice Enza Sampò che dirigeva e organizzava la trasmissione. Ma decise di non partecipare quando gli dissero quello che poteva dire e quello che non doveva dire.

A Pievequinta una stele ricorda la tremenda fucilazione per decimazione ad opera dei nazifascisti. L’epigrafe recita “Qui il 26 luglio 1944 al disopra delle bandiere delle razze, delle fedi, affratellati nella morte caddero perché la libertà patrimonio degli uomini e dei popoli illuminasse il volto rinnovato della Patria.”. A seguire i nomi dei dieci Martiri della Resistenza tra cui quello del tropeano Biagio Molina, protagonista di una tristissima vicenda che non si esaurì con la sua morte per fucilazione ma di lì a poco continuò con la morte di sua moglie Rossana e della loro bambina Rita di appena sei anni in un bombardamento. La guerra  e la barbarie nazista si erano crudelmente accaniti contro questa familiola di belle speranze.

         

DOCUMENTI

 

 

ORDINANZA

Nella notte del 26 luglio, un caporale maggiore tedesco venne proditoriamente assassinato a circa Km 1,5 est di Carpinello di Forlì. Egli fu fatto cadere con un filo di ferro teso attraverso la strada ed ucciso con un colpo di pistola nella tempia. Per contromisura il 26 luglio vennero fucilati dieci partigiani e comunisti sul luogo dell’assassinio.

In considerazione di questo delitto e di atti di sabotaggio sulle linee telefoniche tese al nord della città di Forlì, venne ordinato il fermo di un certo numero di ostaggi contro i quali, nella eventualità del ripetersi di atti di sabotaggio verrebbero prese misure di rappresaglia. La popolazione viene nuovamente richiamata nel proprio interesse, a codiuvare affinchè non abbiano a ripetersi atti contro le forze germaniche. Sulle eventuali denunzie verrà tenuto il medesimo riserbo. Inoltre, presi accordi col capo della provincia, si dispone che nella zona nord-est della linea ferroviaria Faenza-Forlimpopoli e precisamente delineata dalla strada Villanova-Villafranca e seguente il confine provincia di Ravenna e dell’ex circondario di Forlì in direzione di Cesena il coprifuoco abbia inizio alle ore 20, per la durata di quindici giorni dalla data della presente ordinanza.

 

Forlì, 28 luglio 1944                                                         Il Comandante la piazza di Forlì

 

 

Partigiani

 

 

GUERRA A MORTE AI BANDITI

Popolo di Romagna!

La già lunga lista dei nostri caduti si allunga, diviene interminabile. La belva hitleriana non è ancor sazia del sangue generoso dei nostri figli. Dopo i dieci fucilati di Forlì, altri dieci Patriotti, prelevati dal carcere ove erano stati rinchiusi dai traditori fascisti, sono stati massacrati la sera del 26 luglio sulla pubblica via a Pievequinta:

Cavina Alfredo da Riolo Bagno, Bartolini Riziero da Verghereto, Babini Don Francesco Arciprete di Verghereto, Romeo Mario da Verghereto, Lucchini Antonio da Lauris (Udine), Molina Biagio da Bologna, Zoli Antonio da S. Martino in Strada (Forlì); Ridolfi Edgardo da Forlì ed altri due che non ci è ancora stato possibile conoscere i nomi.

Il tiranno tedesco rifiuta persino di far conoscere i nomi degli assassinati.

Cittadini!Questo nuovo mostruoso delitto compiuto con inaudita ferocia dagli invasori del nostro suolo, col consenso dei traditori fascisti, non deve lasciare indifferente nessun uomo, nessuna donna, giovani e vecchi e di qualsiasi ceto sociale, purchè in petto palpiti un cuore italiano.

Il tiranno vuole terrorizzarci col massacro in massa di nostri migliori figli. Dobbiamo rispondergli con raddoppiata violenza per vendicare i nostri martiri, per costringerlo a lasciare il nostro suolo e intanarlo nella sua tana, ove sarà inesorabilmente schiacciato.

Operai, cantadini, impiegati e intellettuali, uomini e donne,

Cittadini!

Di fronte all’attuale tragedia, coloro che predicano la passività, l’”attesa” degli alleati, sono dei vili ma non italiani, gli italiani si battono e muoiono, al grido di viva la libertà, così, come son caduti i nostri dieci fratelli a Pievequinta.

Lottando con tutti i mezzi e sempre più numerosi contro la belva tedesca, noi raccorceremo il periodo delle nostre sofferenze; conquisteremo più presto la pace e la libertà.

Nessun popolo può conquistarsi la sua indipendenza con le forze dall’esterno, ma soltanto con lo sforzo eroico dei suoi figli. Ecco perché oggi di fronte al nemico che ci umilia e ci calpesta noi dobbiamo scattare come un sol uomo nella lotta a morte contro l’odioso straniero prussiano.

Avanti con le armi, nell’insurrezione popolare: Per vendicare i nostri caduti, per liberara la nostra Patria.

I Comitati di Difesa della Donna           Il Fronte della Gioventù

Forlì 7/8/1944

 

 

Particolare dell'Epigrafe della stele di Pievequinta di Forlì

 

PROCURA DEL REGNO DI FORLI’  

                                                                                            

                                                                                                     Forlì, 24 agosto 1945

 

N. 2378/44 R. G.

Risposta a nota n…. dal…

OGGETTO: Uccisione comunisti

 

A FEDERAZIONE PROVINCIALE

PARTITO COMUNISTA ITALIANO

SEGRETERIA POLITICA

FORLI’

 

In relazione alla nota richiesta n. 330/A/4 di prot. Del 10.8.45

Comunico quanto appresso:

Dagli atti di questo ufficio risulta:

Su segnalazione verbale dell’Ufficio di Stato Civile il 28.7.1944 si procedè alla constatazione di legge sugli uccisi di Pievequinta, in occasione delle quali furono riconosciute soltanto le salme di RIDOLFI  Edgardo e ZOLI Antonio.

La Questura taceva e fu sollecitata nella maniera più energica per telefono dal sottoscritto (ricordo benissimo la circostanza) per riferire l’accaduto.

Solo in data del 1° agosto la Questura si decise a inviare la nota del preciso tenore seguente:

<<Dal locale Comando Germanico Der befehishaber der Sicherheitopolizei u. des. Si in Italien Aussenkommando in Forlì, è oggi pervenuto il seguente elenco di persone fucilate in Carpitello il 26.7.1944 in seguito all’uccisione di un caporale dell’esercito tedesco avvenuta il giorno precedente nella stessa località.

1 PALLANTI William, nato il 24.5.1904 a Londra, dom.to a Forlì;

2 ZOLI Antonio, nato il 7.2.1905 a S. Martino in Strada ivi dom.to;

3 RIDOLFI Edgardo, nato l'11.12.1904 a Campiano, dom.to a Forlì;

4 LUCCHINI Antonio, nato il 24.7.1904 a Sauris (Udine) ivi dom.to;

5 BABINI don Francesco, nato il 19.11.1916 a Verghereto ivi dom.to;

6 BARTOLINI Riziero, nato il 3.4.26 a S. Piero in Bagno, dom.to a Verghereto;

7 ROMEO Mario, nato a Napoli il 16.5.1912, sfollato a Verghereto;

8 ZOLI Luigi, nato l'11.11.1914 a Cotigliola, ivi dom.to;

9 CAVINA Alfredo, nato il 28.5.1903 a Castel Fiumanese, dom.to a Riolo Bagni;

10 MOLINA Biagio, nato il 21.4.1907 a Tropea, dom.to a Bologna.

Il processo si trova ora in istruzione formale, ma si dubita di venire alla scoperta degli autori del reato.>>

IL PROCURATORE DEL REGNO

A. Vaccari

(Dalla risposta del Procuratore del Regno A. Vaccari alla richiesta di informazioni fatta dalla

Federazione provinciale del PCI di Forlì. Datata 24 agosto 1945)

 

A Bologna nel Sacrario dei Partigiani di Piazza Nettuno

 Biagio Molina è menzionato ma non c'è la sua foto.

Ancora per poco!......


http://certosa.cineca.it/2/index.php?letter=M

 

Il Sacrario dei partigiani
in Piazza Nettuno a Bologna

Bologna fu una delle città italiane più colpite dalla guerra, sia per la sua centralità nel sistema delle comunicazioni, sia per la sua posizione di retrovia della Linea Gotica.


Fra il settembre 1943 e l'aprile 1945, con l’insediamento del comando militare tedesco e della RSI, la città conobbe un duro regime di occupazione, il freddo e la fame per la popolazione civile, i bombardamenti alleati,
rappresaglie naziste come quella di Monte Sole, ma anche la coraggiosa azione dei gruppi partigiani e la resistenza degli antifascisti.


Alto fu il tributo di sangue versato dai bolognesi: il numero dei morti civili caduti sotto
i bombardamenti è stato di 2481,
i partigiani caduti sono stati 2064.


La mattina del 21 aprile 1945 Bologna fu libera.


Gruppi di donne cominciarono a deporre fiori ed affiggere foto dei loro cari in Piazza Nettuno, sul muro dove erano stati fucilati molti partigiani.

Nacque così, in maniera del tutto spontanea,
il Sacrario dei partigiani

 

Zola Pedrosa. Effetti del bombardamento del 27 dic 1945

 in cui perirono Rossana Benda e la figlia Rita Molina.

 

 

Il BOMBARDAMENTO DEL 27.12.1945
A ZOLA PEDROSA

Secondo la testimonianza di Suor Brigida Bevilacqua, vennero impiegati 24 bombardieri e sganciate più di 200 bombe. «Il bombardamento di Zola l’ho visto dalla collina di Zola Vecchia. Eravamo sfollati a San Lorenzo e poco dopo mezzogiorno stavo tornando a casa quando gli aerei hanno iniziato a sganciare le bombe sul paese. Quando sono arrivato giù era tutto finito. La nostra casa all’angolo fra via Resistenza e la via Provinciale era completamente distrutta. Era stata colpita da un grappolo di quattro bombe. In cantina si erano rifugiate 13 persone. Ne morirono undici fra le quali papà Bruno, la mamma Edmea, che era incinta, e nonna Gaetana. Si salvarono Francesco Cavara, che rimase col busto sollevato sulle macerie dallo spostamento d’aria, e mio fratello minore Adriano, di quattro anni, estratto vivo dopo quattro ore, soccorso da un tedesco che fece scavare le macerie, lo prese in braccio fra l’ostilità generale, e lo salvò liberandogli la bocca e il naso dai detriti. I feriti li portarono all’ospedale da campo a Palazzo Albergati e a villa Codecà di Ponte Ronca».

Questo è il racconto di Silvano Gallerani, che allora aveva dieci anni e in pochi minuti rimase orfano di entrambi i genitori e di una nonna per essere poi affidato alle cure del nonno Giuseppe, salvo perché rifugiatosi nella Fornace Andina. Quel giorno fra i civili furono ventisei le vittime delle bombe, quasi tutte donne, vecchi e bambini. Questi i loro nomi: Anita Melloni, Pia Melloni, Pietro Pedretti, Rita Molina, Rossana Benda, Cleonice Franceschelli, Irene Baroni, Aldo Bonfiglioli, Bruno Gallerani, Edmea Zini, Gaetana Masi, Zama Vignoli, Argia Ghermandi, Franca Cavara, Luisa Pulga, Augusta Magni, Cesarina Gatti, Viola Merighi, Laura Lenzarini, Anna Gnudi, Carlo Legnani, Paolo Pizzoli, Valente Sabattini, Umberto Zani, Teresa Legnani e Luciana Legnani.

Il giorno successivo Giuseppe Grandi solo nei campi a fianco del viale della chiesa contò 27 buche così grandi «Che ci stava dentro una casa». Erano rifugiati in una grande buca coperta d’assi e da uno strato di terra, in un rifugio antiaereo fatto appositamente per i bambini dell’asilo parrocchiale e per le suore, i circa dieci tedeschi vittime dello stesso bombardamento. Il rifugio scavato nel giardino dell’asilo fu colpito in pieno da una bomba e nessuno degli occupanti si salvò. Le religiose e i pochi bambini che ancora partecipavano alle lezioni, dalla fine di agosto erano ospitati nella canonica dell’Abbazia. Dei militari tedeschi morti in questa occasione conosciamo solo il nome del maresciallo Kurt Neumann, trentaduenne nato in Slesia. Venne anche lui seppellito, insieme agli altri tre militari tedeschi dei quali è nota l’identità, in altrettante fosse scavate dietro l’oratorio di Sant’Antonio da Padova. Queste tombe segnate da una croce in legno, nel 1962 vennero traslate al cimitero militare alla Futa insieme ai poveri resti degli altri militari riuniti in un campo del cimitero comunale. Oltre ai morti e ai feriti le bombe fecero anche tanti danni materiali: case,strade, ferrovia, campi, fabbriche….Zola Chiesa era un cumulo di macerie cui si cominciò a metter mano solo con la fine della guerra e il ritorno degli uomini dal fronte o dalla clandestinità.

 Da  Zola sotto le bombe - I bombardamenti del 26 e 27 dicembre 1945  di Gabriele Mignardi in I Quaderni di Zol@info, Supplemento al n. 5/2005

 zolapredosa.pdf
 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Sergio Flamigni e Luciano Marzocchi, Resistenza in Romagna, antifascismo, partigiani e popolo in provincia di Forlì, La Pietra, Milano 1969

Elio Cicchetti, Il campo giusto, La Pietra, Milano 1976

Antonio Mambelli, Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945, Licaita, Manduria 2003

Mino Martelli, Una guerra e due resistenze, 1940-1946, opere e sangue del clero italiano nelle guerra e nella resistenza su due fronti, Edizioni Paoline, Bari 1977

Resistenza in Emilia Romagna, Regione Emilia-Romagna, a cura di Roberto Fregna, 1975

Gabriele Mignardi, Zola sotto le bombe - I bombardamenti del 26 e 27 dicembre 1945  in I Quaderni di Zol@info, Supplemento al n. 5/2005, Comune di Zola Pedrosa (Bo)

Archivio della Famiglia Molina

 

 

PIEVEQUINTA