Tropea. Affaccio del Cannone. Quello che oggi rimane del forno "du Zu' Carminu"

 

'U FURNARU

(Il fornaio)

 

di Antonio Cotroneo

 

Che profumo di pane caldo appena sfornato si sentiva nelle botteghe alimentari di mattina presto, quando entravo per comprare qualcosa a mio nonno o a mia madre!  A quell’ora entravano anche gli operai, i  mastri dei cantieri e i lavoratori giornalieri, addetti a raccogliere arance, mandarini, tirare  cipolle (scippari cipuji) per acquistare il pane (panetti e curui) che poi mangiavano, insieme al companatico, durante la pausa lavorativa. Di sera, nella bella stagione, quando l’aria diveniva più fresca e più piacevole, le anziane donne del borgo erano solite uscire fuori dai portoni delle loro case tenendo in mano grossi  pezzi di pane raffermo (addimuratu) con dentro peperoni arrostiti, pomodori secchi o qualche cipolla, che poi mangiavano lentamente mentre chiacchieravano e discutevano fra di loro. Noi ragazzi riuscivamo a divorare mezzi chili di pane, avendo spesso come companatico solo un filino d’olio d’oliva e qualche alice salata. Quando invece recuperavamo qualche spicciolo, correvamo immediatamente da Girillu a comprare due fette di pane  con  mortadella  (allora  era  un  lusso), che l’alimentarista  incredibilmente riusciva a tagliare finissima con un grande coltello. Nella nostra cittadina, agli inizi degli anni sessanta operavano ancora artigianalmente tre forni, che producevano quotidianamente  pane per il fabbisogno di una popolazione di circa sette mila persone. La loro ubicazione non era molto distante l´una dall´altra. Infatti i tre forni si trovavano nelle viuzze laterali alla via dei barbieri (vinea di varveri), in cui era ubicata anche la pescheria. Il forno du Zu´ Carminu non era molto lontano dalla latrina  e  gebbiolu, già citati. Ancora oggi si può vedere la lunga canna fumaria che si erge, come una colonna, di fronte al santuario della Madonna dell´Isola. Il forno, attualmente  chiuso perchè diroccato e pericolante, era stato costruito  sulla bellissima rupe. All’epoca aveva una mole di lavoro non indifferente: tutte le fasi del lavoro erano manuali; bisognava seguire l’approvigionamento e l’accatastamento della legna, curare la consegna dei prodotti da forno. La signora Lo Scalzo (nipote di Rogia, all´epoca oste di una delle cantine più rinomate di Tropea) mentre era intenta a cucinare nella sua rinomata trattoria casereccia del centro storico, mi ha raccontato:“O furnu du Zu´ Carminu arrivavanu du paisi i Carea chi carretti e chi ciucci, e portavanu i fascini di ligna. Dopu chi l´aveanu scaricati a villetta du Burgu, vicin´ a latrina, nui figghiolei, scavuzi, ´ndi sciarriavamu a cu avea u ci porta intra. U furnaru no ´ndi dava sordi u carriamu i fascini, pero’ ´ndi facea  mangiari i “cucumbara”, chi c´ eranu ´nte ligna, picchi’ tandu a fami parrava cull´angiulu. U furnu ´mpurnava i notti sulu pani pi putich´i Trupea e di jornu pigghiava i commissioni di genti: testi, fica, pittei, nucii, pii ( ca mustarda e ciocculata). U furnu  du zu´ Carminu chiusi ´nto 1965”.

Tropea. Affaccio del Cannone. Gli attuali interni e le mura con la ciminiera del forno 'du Zu' Carminu'

Poco più avanti, in via Caivano, viuzza del rione San Giuseppe, si trova il bellissimo forno du zu’´Ncheu, attualmente  ancora operante, ma trasformato dai figli in una pizzeria rustica, dove i tropeani e i turisti possono gustare la pizza con le famose cipolle rosse e dolci di Tropea. Dentro la sala sono ancora appesi ai muri i vecchi arnesi ed alcune vecchie foto, che ritraggono il fornaio  insieme ai garzoni ed altri aiutanti, tutti anneriti ma sorridenti. U furnaru, signor Annunziato De Vita, abbronzatissimo sotto l’ombrellone, dopo la solita partita pomeridiana a scopa col professor Lorenzo e un bagno rinfrescante nel bellissimo mare, mi racconta quanto segue:

L'attuale pizzeria 'Vecchio Forno' di Largo Caivano continua a impiegare i locali e la bocca dell'antico forno "du Zu' Ncheu"

L'antico forno "du Zu' Ncheu" in una foto di famiglia del 1958

Sin da piccolo ho iniziato ad essere presente nel forno di mio padre. Pian piano ho appreso questo faticoso mestiere che ci tramandiamo da generazioni. Tutti i lavori avvenivano manualmente ed io ero addetto principalmente ad infornare e sfornare il pane, mentre altri due o tre garzoni si adoperavano agli altri lavori. Il forno e’ stato attivo fino alla fine degli anni settanta. L’installazione di un nuovo forno elettrico dietro l’orto (arredu l´ortu), l’introduzione graduale in tutte le case delle cucine elettriche, un turismo sempre più crescente (nei mesi estivi con il nostro lavoro dovevamo sopperire ad un fabbisogno di altri 1500 kg di pane) e l’età avanzata, mi inducevano a trasformarlo in pizzeria. Fino a che visse mio padre il lavoro  iniziava verso mezzanotte e si protraeva fino al mattino. Si infornavano: curui, filuni, e panetti *. Sfornato il pane, noi stessi lo facevamo pervenire ai vari rivenditori del paese. Il mio forno, provvisto di due chiudende, aveva una capacità di cottura di 240 kg di pane. Prima di procedere ad infornare, col tirabraci raccoglievo la carbonella (che veniva venduta alle vecchiette) e poi ripulivo il forno col fruciandolo. Dopo le nove eravamo pronti ad accettare ‘le commissioni’: da ogni angolo di Tropea spuntavano donne, bambini, vecchiette, con tutto ciò che in casa avevano accuratamente preparato, per farlo prontamente infornare (´mpurnari). Portavano di tutto: alimenti contenuti dentro cocci, fichi, noccioline, pignolata,  pan di Spagna e altri dolci tradizionali  in occasione delle festività solenni. Spesso mettevo a cottura il pane casereccio che poteva essere consumato anche dopo sei o sette giorni .Talvolta infornavo il pane fatto con farina gialla di granturco (u pani paniculu) per qualche  donna gravida che ne aveva desiderio. Dopo l´estenuante lavoro della notte e ‘le commissioni’ dei privati, non ci rimanevano  più di due o tre ore per riposare e dormire. Poi aspettavamo che arrivasse la legna, con i carri, dai paesi vicinori e noi stessi la scaricavamo e la accatastavamo nei vari magazzeni, non distanti dal forno.

Ininterrottamente, per più di cinquant’anni, ho faticatu dentro questa forno tradizionale, privo di supporti e tecnologie moderne. Al giorno d’oggi, invece, con l’introduzione dei forni compiuterizzati, basta programmare il tempo dell’impasto e della cottura ed automaticamente viene sfornato il pane. Allora non si conoscevano pause, le ore di lavoro erano tantissime e non si era assicurati contro malattie e infortuni. Le notti erano più bianche che nere ( i notti eranu cchiù gghianchi ca nighiri) e d’estate il calore, che il forno emanava, induceva ad una sofferenza ai limiti della sopportabilità. Motivo di soddisfazione per me è la consapevolezza che per anni e anni ho provveduto a non far mancare sulle tavole dell’intero paese il pane, che costava poco ( all’epoca il prezzo era politicamente controllato) ed era il basilare  nutrimento, in particolare della povera gente. Qualche volta mi è capitato di commuovermi, quando sono stato invitato a cena. Infatti le persone presenti iniziavano a mangiare solo dopo aver fatto il segno di croce sul pane, frutto del mio lavoro, della mia fatica quotidiana. Era un gesto di fede, di ringraziamento al Signore, che aveva fatto trovare sulla loro tavola qualcosa  di  buono da mangiare  per  continuare a vivere.

Quella significativa preghiera mi consolava  della mia difficile e necessaria attività, che io ho svolto volontariamente e diligentemente per la comunita’ del mio paese: Tropea”.

 

NOTA *: i filuni sono pani di forma molto oblunga; i panetti erano tondi con dentro molta mollica e venivano comprati principalmente dalle vecchiette che non potevano masticare; i curui erano più piatte, rotonde e con poca mollica.

 

Chi gghir´e veniri, du furnaru,

quantu cosi boni portaru,

venean´i tutt´ i vandi1, di vinei,

e mani tegghi, ´ntesta landicei.

 

Du furnu, vicin´i festi,

quandu passavanu, chi jiavur´i testi2,

priparati cu pacenz´e cori,

cu patati, cipui, ariganu, pummadori.

 

Puru cosi duci e pan´i Spagna,

pi stomachi semp´a diunu, na  cuccagna,

i genti fujunu, amman´ammanu,

m´arrivanu lesti a  via caivanu.

 

Dinta, genti nu pujiu, landi tanti,

o su ´mpurnati, tutti quanti,

´nterra sacch´e sacch´i nucii,

sudat´u zu´ Nunziatu, ficca inta pii3.

 

O furnu du ´Ncheu, menz´ammucciatu,

i tuttu veni cottu, ´mpurnatu,

panetti, curui, filuni, a mundea,

pi chii du paisi: Trupea,

 

U furnu, pi diu e’ casa, lavuru, amuri,

cca’ inta ci volan´i jornati, l´uri,

i nott´i lena, o matinu assunnatu,

aiutand´u patri, i figghiolu ´nzignatu.

 

U misteri, non e’ sulu ´mpurnari,

occhiu e sentimentu, n´av´i mancari,

attentu, da chiudenda guard´ e lati,

nomm´i testi su gia’ nighiri, vrusciati.

 

O ´mbernu, u furnu, chin´i cristiani,

trasunu, parranu, si quaddean4 ´i mani.

A stati, u ´mpernu, tantu du caluri,

da frunti ´nci  cula, sempi  suduri.

 

Dop´a fatica, da nighira notti,

u furnu profuma, i panetti cotti,

spurna pilenti5: curui6, filuni,

pi panetteri da chiazza, e avutri puntuni.

 

Semp´allorditta, menz´addurmentatu,

ment´a cottura u commissionatu.

I ´nziani: “Nunziatu! Cotti puliti!

Cu chist´e rosoliu o nesci a festa di ziti”.

 

Nu spasulatu trasi dinta, spia,

s´u furnaru ´nci´ allonga na pia,

si fa´ vidiri, nu povir´affamatu,

u m´rrancia, nu morz´i pani addimuratu7.

 

Tant´anni, ´nto furnu passati,

milion´i  cosi boni, spurnati,

pani  prontu friscu, o matinu,

pi putichi e  populinu.

 

Subb´o pani, du zu Nunziatu,

prim´u mu tagghia, ´ncunu havi pregatu,

l´occhi´o celu, ringraziand´u Signuri,

pi l´opira, a bonta’, u splenduri.

 

Pregari, davant´o pani soi, e’ cunsolazioni,

pa fatica misa, amuri, abnegazioni,

nomm´e figghioli, vecchi, malati, fa´ mancari,

“u pani”, beni c´ognunu sap´apprezzari.

 

U furnaru:  cu st´arti umili, ma divina,

jinchiu i tavuli: sira, jorn´e matina,

sazio’ d´ogni categoria sociali, genti,

poviri, altulucati e nenti tenenti.

 

U lavuru soi, fu’ na vera devozioni,

pi l´opira chi rendiu, eppi gratificazioni?

Jornu du pani benedittu: Sant´Antoni,

tutti si levan´u pani, fattu cu umilta’, dedizioni.

 

NOTE

1Vandi= Da ogni parte

2Testi= Preparati con pomodori, melenzane, cipolle, origano, prezzemolo, basilico, patate.

3 Piji = Dolci tradizionali tropeani

4Quaddeano = Riscaldano

5Pilenti = Ancora caldo

6Curui = Forme di pane circolari di un Kg.

7Addimuratu = Pane raffermo, un pò duro.