Giuseppe Berto

VACANZE  IN  CALABRIA
(Le ore - 27 agosto 1964)
 

di Giuseppe Berto


I calabresi, nonostante la loro ben nota vivacità intellettuale, sono tradizionalisti, nel senso che non è facile togliergli un'idea sbagliata, quando ce l'hanno in testa. Posssiedono, tanto per dire, il mare più bello del mondo: gli voltarono le spalle al tempo in cui dal mare arrivano rapidi e violenti i saraceni a far razzia di donne, e poi continuarono a tenergli le spalle voltate anche dopo che dei saraceni non esisteva più il ricordo e nessuno più sapeva a che fossero servite le tante torri ora in rovina disseminate per il litorale. Servivano, appunto, per tenervi un corpo di guardia, in modo che le imbarcazioni pirate potessero essere avvistate in tempo, e in tempo fosse dato l'allarme, così da consentire alle calabresi, e anche ai calabresi, di cercare rifugio nei borghi sulle colline. Non da oggi la Calabria è terra avventurosa.
I calabresi hanno ricomniciato a guardare il loro mare dopo questa guerra, e non per stimolo proprio direi, ma perchè sentivano dire che i bagni marini erano salutare e dilettevole cosa, o perchè coi loro stessi occhi vedevano qualche solitario pioniere del turismo scendere dal nord con pinne, maschera e fucile. Questo precursore di solito non prendeva niente, si capisce, e infatti non tutti i forestieri che si spingono fino a Scilla o a Copanello posseggono l'abilità necessaria a centrare i pesci col fucile, e poi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in questi vergini mari pesci ce ne sono pochi: i pescatori a bomba, ossia quelli che invece di usare l'amo o la rete o la fiocina usano una scatoletta piena di tritolo, sono numerosissimi, sia in barca che appostati sugli scogli, e la loro rischiosa e assidua attività ha fatto sparire i pesci. Rimane, ai subacquei, la visione del panorama sottomarino, che è notevole.
I calabresi sono dunque tornati al mare, dopo una parentesi che durava press'a poco dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, e vi sono tornati impreparati, è logico, ma entusiasti. Anch'essi si sono comprati la maschera, le pinne e, i più progrediti, perfino il fucile, col quale prendono abbastanza difficoltosamente qualche polpo che prima con grande facilità acchiappavano con le mani. Le famiglie scendono compatte dai borghi sulle colline, sistemate demtro le seicento dell'ex miracolo economico, incredibili utilitarie dalle quali escono un pò alla volta sei o sette figli, un padre orgoglioso di tanta abbondanza, una madre grassa con in braccio l'ultimo nato, e infine la serva anziana o parente povera, con la pentola delle melanzane e il fazzolettone a ciocche contenente il pane casereccio, che va tagliato a fette col coltello. La cosa non cambia molto se, invece della seicento targata Catanzaro, è la Giulia o la Flavia targata Torino dell'emigrante che ha fatto un pò di soldi: la stessa abbondanza di figli, la stessa moglie, la stessa parente povera con la stessa pentola delle melanzane. Tutt'al più le imprecazioni del padre contro i figli che s'incantano a guardare intorno e intanto perdono le ciambelle e i cuscini e il manico dell'ombrellone, sono condite con qualche "neh" o qualche "veh", che nell'intenzione di chi li pronuncia starebbero ad indicare che lui, in quel luogo, non è più indigeno, ma turista. E' inimmaginabile il complesso d'inferiorità che hanno i calabresi: cercano di camuffarsi in tutti i modi da settentrionali, ma lo fanno con totale imperizia, e in realtà non si capisce come mai, allora, non comincino col tagliarsi i baffi.
Questa moda del mare, per quanto arrivata in ritardo, ha contagiato subito tutti, non solo le classi alte e medie, ma anche le popolazioni rurali che nei giorni intorno a Ferragosto si muovono in massa dai grossi paesi intorno alla piana di Sant'Eufemia, le donne anziane ancora vestite col tradizionale costume della gonna rossa, e vanno al mare sugli alti carretti, o su motofurgongini che a mano a mano sostituiscono gli alti carretti. Arrivati alla spiaggia si costruiscono una capanna di frasche, o pagliaia come localmente si chiama, e mentre i giovani si arrischiano tra le onde, gli anziani rimangono a guardare con una loro sacra fissità, si direbbe stupiti di star lì a guardare senza far niente una cosa del tutto inutile, com'è in fondo il mare per uno che fatica sulla terra. Siamo, come ognuno può ben capire, in un'epoca di transizione, con le nuove usanze mescolate alle antiche, talvolta non senza stridore. Capita ad esempio che i contadini delle alture sopra Capo Vaticano, scendendo alla spiaggia come oggi si usa per fare il bagno, portino ancora la vacca o il maiale, come si usava un tempo, per dare un pò di sollievo agli animali tormentati dal caldo e dai parassiti. Le vacche sono più remissive dei maiali in queste faccende: una volta immerse fino al collo nel mare più bello del mondo, se ne stanno lì pacifiche, attaccate ad uno scoglio, apparentemente contente di quel refrigerio insospettato, e per niente sorprese se, appena una ventina di metri al largo, come a Riccione o a Cap d'Antibes, passa veloce un fuoribordo con dentro Raf Vallone, l'ultimo dei tanti illustri figli dell'assolata Tropea, Saint Tropea, la chiamano i turisti in vena di facezie. Appena qualche anno fa, quand'era preannunciata una visita dell'illustre figlio, la cittadina veniva tappezzata di manifesti con scritto "Evviva Raf", come se si fosse trattato di San Rocco. Ora si sono un pò abituati, sembra, anche perchè Raf non dà confidenza. Le rare volte che appare nelle vie della città natale, già fortemente abbronzato da un sole non calabrese, è tutto un gioco di gente che finge di non vederlo, e di lui che finge di non vedere che lo guardano. Nel processo identificativo dei giovani tropeani che sognano di far fortuna con poca spesa, Raf Vallone ha sostituito il gangster Anastasia, anch'egli figlio dei paraggi, e non c'è chi non veda quale grande progresso sia stato fatto, sebbene non sia tanto dovuto a conversione a migliori sentimenti e costumi, quanto alla persuasione che il lavoro di Raf Vallone consista soprattutto nell'abbracciare donne bellissime.
Ora tutto questo improvviso interesse per il mare si accompagna, com'è ben naturale, al desiderio di far quattrini. Non che i calabresi siano venali, tutt'altro, e in verità molte altre cose essi antepongono ai soldi, però è un fatto che da quando l'Aga Kahn s'è messo a fare speculazioni turistiche con un pezzo della Sardegna, i meridionali si sono sentiti punti sul vivo: e che, noi che abbiamo il mare e le coste più belle ci lasceremo soffiare i flusso di danarosi turisti da uno che, in fin dei conti, è un saraceno? Si sono messi fervidamente al lavoro e, bisogna riconoscerlo, hanno sbagliato quasi tutto. E' sorprendente come siano riusciti, in un tempo tutto sommato neanche tanto lungo, a rovinare bellissimi paesaggi con brutte costruzioni, a trasformare siti fino a poco fa compestri in luoghi pieni di cartacce e di persone ciascuna delle quali esibisce un transistor al massimo volume. I calabresi, si direbbe, vanno matti per la musica, e non solo canzonette, ma anche musica così e così, basta che faccia rumore. Giorni fa, a Soverato sullo Jonio, è accaduto un episodio che potrebbe essere illuminante al proposito. Soverato, messa sul fondo d'una baia piuttosto bella, e sospinta da un sindaco ch'è tra i più dinamici d'Italia, è diventata in cinque o sei anni una specie di piccola Senigallia: stabilimenti balneari con rotonda per le danze, motoscafi che vanno su e giù davanti alla costa, un fiammante lungomare dove la gioventù locale celebra la sua libera estate prima di tornare, con l'autunno, alla segregazione e alla tetraggine di sempre. A tutto questo s'è aggiunto, quest'anno, un premio letterario, ciò che non deve affatto sorprendere se si pensa che Leonida Repaci, l'inventore del Viareggio e di svariati altri premi letterari, è proprio calabrese, di Palmi.
C'era dunque questo premio da assegnare sulla rotonda a mare, dopo i discorsi ufficiali del Sottosegretario di turno e del Sindaco, un componente la giuria, per la precisione lo scrittore e barone Giuseppe Gironda, s'era messo a leggere la relazione quando, da uno stabilimento vicino un altoparlante salta fuori a gridare: "I Bagni Garibaldi salutano le autorità, i giornalisti, gli scrittori convenuti a Soverato per il Primo Premio Letterario!". La lettura viene interrotta, tutti sorridono compiuciuti e quasi commossi per il delicato pensierino dei Bagni Garibaldi, poi il barona Gironda riprende a leggere la relazione. Subito i Bagni Garibaldi ripetono il loro saluto. Nuova interruzione, pausa un pò meno compiaciuta di prima, quindi il barone ricomincia da capo. Ma non arriva alla terza riga, che i Bagni Garibaldi attaccano, più forte che possono, lo "Schiaccianoci", di Ciaikovskj. Fu necessario l'intervento delle guardie comunali per ridurli al silenzio. Ora, pensare che i Bagni Garibaldi intendessero boicottare a suon di musica il Primo Premio Letterario Soverato sarebbe insensato. Intendevano solo far festa, e per i calabresi l'idea della festa è ancora indissolubilmente legata all'idea di frastuono: più frastuono c'è e più ci si diverte, e tutte le volte che riescono a piazarvi un altoparlante nelle orecchie si sentono a posto. Il parroco di San Nicolò, un paesello di poche anime in provincia di Catanzaro, ne ha collocato uno potentissimo addirittura sul campanile, e nei giorni di vento favorevole riesce a far arrivare preghiere, prediche e musica sacra fin sulle spiagge di Santa Maria o delle Grotticelle, che pur distano un paio di chilometri.
A parer mio, tutto questo è sbagliato. E' sbagliato che Soverato, Praia a Mare, Crotone, Tropea, Palmi facciano di tutto per somigliare, senza peraltro riuscirci a causa della impreparazione e della infelice dislocazione geografica, a Milano Marittima. Potessero costruirci un bel grattacielo ve lo costruirebbero subito, magari arieggiante alla pensilina tranviaria, che è motivo architettonico prediletto da queste parti. Invece i calabresi, se vogliono attirare turisti dal nord o dall'estero, dovrebbero preoccuparsi di offrire cose che altrove non si trovano più, e cioè, oltre al loro mare, quiete, solitudine, paesaggi integri, cose semplici. Gli slogans per un buon lancio turistico della Calabria dovrebbero essere: "Cinquanta chilometri di spiaggia deserta a vostra disposizione!" "Vacanze selvagge senza juke box!" "Vi garantiamo che qui i giornali arrivano vecchi di tre giorni" Nessuna paura che le vacanze selvagge riescano monotone. A chi ama la vita varia e le emozioni, la Calabria offre possibilità singolari e ormai rarissime, come la caccia ai ladri.
Ci sono certe zone della regione dove i turisti, sia italiani che stranieri, vengono immancabilmente derubati, in genere di alcune cose e oggetti ben definiti, che pertanto chi ha intenzione di venire a passare le vacanze qui farebbe bene a non portare con sè. Ne faccio un elenco, per comodità: denaro, orologi, macchine fotografiche e accessori, rasoi elettrici, radioline, registratori e in genere apparecchi meccanici trasportabili, ad eccezione delle macchine da scrivere che, forse a causa dell'ancora alta percentuale di analfabetismo, non interessano. Si possono portare a volontà rasoi a mano, vestiti e scarpe anche di pregio, cosmetici, stoviglie, eccetera. Rivoltelle si possono portare solo se si ha il porto d'armi, ossia se si ha la possibilità di tenerle sempre con sè, anche al bagno per così dire. Lasciandole in casa, nella tenda o nella roulotte, vengono asportate. Questa dei ladri, a quanto mi si dice, non è una caratteristica di tutta la Calabria, ma semplicemente di alcune zone di forte movimento turistico. Del resto bisogna tener presente che si ruba anche altrove, in Italia e perfino all'estero, e non è da dire che qui i ladri siano più numerosi che altrove. Diciamo che su mille calabresi ce n'è uno solo di delinquente e tutti gli altri sono onestissimi, però succede che quell'uno conti molto di più di tutti gli altri messi assieme. Prendiamo quindi una zona con ventimila abitanti brava gente: i venti delinquenti che la abitano spradoneggiano fin che gli pare.
Ora, il turista che viene derubato può seguire tre strade. La prima, che è quella che i locali consigliano e che noi stessi consigliamo alle persone poco avventurose, è di starsene zitti come se niente fosse accaduto, o di sporgere denuncia contro ignoti, ciò che è esattamente la stessa cosa poichè pare che non sia mai accaduto che gli ignoti, che tuttavia tutti conoscono, siano diventati ufficialmente noti. La seconda strada è di venire a contatto con la malavita e offrire una ragionevole quantità di denaro per la restituzione degli oggetti rubati, e questo si può fare solo nel caso in cui non si sia stati derubati anche del denaro. La terza strada, ossia la strada dell'avventura, è di scoprire noi stessi i ladri e di perseguirli col buon proposito di diventare collaboratori della giustizia. La cosa non è per niente difficile, dato che i ladri agiscono anche di pieno giorno, con assoluta sfrontatezza, e stando un pò attenti non è difficile sorprenderli mentre tentano di forzare una porta o di aprire una tenda. In questo caso noi ci mettiamo a gridare per attirare l'attenzione altrui e intanto quelli scappano a bordo di una macchina così e così, di cui facciamo in tempo a segnare il numero della targa. Allora corriamo trionfanti dai carabinieri, e ci troviamo nei guai. In questo caso i carabinieri, per quanto siano poco numerosi e per di più rassegnati, devono far qualcosa, ma sono tante e tali le garanzie costituzionali di cui godono i ladri, che pare non sia possibile tenerli dentro. Non ci sono prove, e noi non possiamo dire di riconoscere con sicurezza i due malfattori, anche perchè per noi i calabresi sono piuttosto simili, difficilmente distinguinbili l'uno dall'altro: in un confronto all'americana rischieremmo di sbagliare di grosso. C'è, va bene, il numero della targa della macchina il cui proprietario è magari un pregiudicato, ma costui giurerà che aveva lasciato la macchina incustodita in qualche posto, e che lui non è responsabile se ignoti l'hanno presa per qualche impresa ladresca di poco conto. "Macchè ignoti!" diciamo noi. "Decine di persone locali li hanno visti mentre fuggivano, o mentre si aggiravano intorno alla nostra casa!" Bene, di quelle decine di persone nessuno testimonierà ai carabinieri di aver visto i malviventi e di averli riconosciuti: chi s'era dimenticato di mettersi gli occhiali, chi ha visto sì qualcuno ma non è certo in grado di riconoscerlo, chi addirittura non ha visto nessuno. I carabinieri così dimettono i ladri e noi ci troviamo nella condizione di uno che è andato a sfruculiare il leone nella sua tana. Quando e come azzannerà il leone? Può per sfregio rubarvi i vestiti, oppure bucarvi le gomme dell'automobile mentre siamo dal barbiere, e se è proprio irritato può dar fuoco alla tenda in cui dormiamo o buttarci una saponetta al plastico sulla porta di casa. Attualmente siamo una quindicina di forestieri sulla gobba di Capo Vaticano, e tutti più o meno abbiamo partecipato alla caccia a certi ladri tropeani che ci hanno ripetutamente derubati. Ora giriamo portando in mano chi un'accetta, chi una roncola, chi una mazza di ferro. Di notte, dopo aver messo a dormire le donne e i bambini nel punto più protetto, facciamo turni di guardia, attenti al vasto abbaiare di cani nella campagna. Un divertimento simile, che ricorda un pò la conquista del West, oggi non c'è posto al mondo che lo possa offrire se si esclude il Vietnam, che però è paese assai più scomodo e presumibilmente più brutto della Calabria.