Don Giosuè davanti al suo vecchio armonio
presso la Casa della Carità di Limbadi
Don Giosuè Macrì,
innovatore del linguaggio musicale

di Carmelo Labate



Lo ricordano in tanti, le mani legnose e le dita affusolate sulla tastiera, il volto ieratico, la disponibilità al sorriso. Don Giosuè Macrì, sacerdote e musicista era uno di noi, uno alla mano, uno che il mondo l’aveva girato e portava ai ragazzi di Limbadi l’esperienza e la saggezza ricavate. “Don Giosuè abbiamo scritto il testo per una canzone”, dicevamo con l’ingenuità degli anni giovanili. E lui, paziente, a spiegare, che il testo deve avere già una sua musicalità, un ritmo, e via a chiarire che la metrica è importante, eccetera eccetera, attento a non mortificare o frustrare la voglia che i giovani hanno di fare.
Compositore e pianista di grosso spessore artistico, viveva gli ultimi anni della sua lunga vita nella Casa di Carità di Limbadi, una stanzetta semplice, una cappella per dir messa e pregare, un armonio a disposizione, i suoi amati pentagrammi a portata di mano, quelli dove già svolazzavano chiavi e note e già l’avevano consacrato musicista di successo, di cose sacre, e quelli ancora da riempire di anima e di melodia. Il silenzio su di lui deve finire. E' un impegno dell’amministrazione comunale che ha incaricato il musicista Ettore Fioresta di organizzare un concerto. Limbadi deve valorizzare con impegno e con orgoglio i propri figli.
La sua non fu una vita facile. Figlio di un paese che la gente lasciava per cercare in Argentina migliori fortune, Giosuè Macrì era nato a Limbadi il 5 agosto 1883. Entrò in seminario, e già negli anni della sua formazione teologica la musica divenne per lui parte della sua vita. Fu secondo organista nel Duomo di Tropea, città che lo ricorda con un coro polifonico che porta il suo nome. Divenne prete e per motivi di famiglia fu costretto a emigrare in Argentina, portando con sé, nel misero bagaglio, un tesoro: la passione per la musica, oltre che la ricchezza della sua missione sacerdotale che era convinto di poter svolgere con impegno e risultati anche nella lontana America del Sud. Così fu. La musica sempre con lui. Aprì a Buenos Aires un Liceo Musicale, il “Liceo Musical Macri” (nella città portegna gli italiani perdono quasi sempre l’accento sul proprio cognome). E in quella scuola, ancora ricordata, si formarono uomini di successo nel settore musicale in Argentina. Alla sua scuola don Macrì si dedicò con passione, ottenne soddisfazioni terrene, in quella scuola musicò alcune delle sue opere (tra messe solenni o da requiem e altro) che lo hanno consacrato degno un posticino importante nella storia della musica, come asseriscono i critici.
Di salute cagionevole fu costretto a lasciare tutto e a tornare in Italia. A Tropea avevano di lui un ottimo ricordo e a Tropea venne nominato Maestro di Cappella, primo organista della Cattedrale, traendo da quel vecchio organo armonie sublimi, tanto care al popolo dei fedeli. La sua biografia è ancora tutta da ricostruire. Ma quando ancora Limbadi si leccava le ferite della seconda guerra mondiale che aveva lasciato lutti e privazioni, a don Domenico Musumeci, giovane parroco, era venuta l’idea di aprire una Casa della Carità di don Mottola per dare un pezzo di pane e una speranza di futuro a tanti ragazzi in situazione di disagio familiare. Fu un’opera meritoria, ancora oggi ammirata Erano gli anni Cinquanta, gli anni della maturità umana e artistica, quando dunque don Macrì si ritirò a Limbadi nella Casa della Carità, quella di Maria Antonia Saccomanno, delle signorine Elvira o Micuzza e altre oblate che con amore e dedizione dedicarono la loro vita ad altri che avevano bisogno. E qui, tra preghiera e attesa, don Macrì compose ancora e soprattutto curò la definita pubblicazione di molte sue composizioni.
Morì il 19 dicembre 1964, una data purtroppo passata sempre sotto silenzio, come per il resto nel silenzio era passata la sua vita terrena. Non è morto però il ricordo della sua musica. Fino a un anno prima della sua morte don Macrì aveva lavorato alla pubblicazione del “Catalogo tematico delle composizioni musicali sacre ed accademiche” che oggi rappresenta il suo testamento spirituale e la sua vera grande eredità, anche se gran parte della sua produzione musicale è rimasta ancora inedita e sarebbe ora che qualcuno vi ponesse mano per renderla fruibile ai cultori e alla gente comune. L’amministrazione la sua parte la farà, a dispetto anche di chi, per pregiudizio, non vuol capire. Don Giosuè Macrì meritava infatti, ben altri ricordi e, soprattutto, meritava bel altre attenzioni che non fossero soltanto quelle in un certo senso “riparatorie” dell’amministrazione comunale che ha deciso – sbagliando procedura, ahinoi, e dovendo rinviarne l’attuazione per l’opposizione al Tar di qualcuno che non sa nulla di Limbadi e di quel prete – di intestargli una strada. Ma si sa che è difficile essere profeta in patria, soprattutto quando il rispetto, la stima e la considerazione sono state conquistate con sacrifici lontano da casa.
C’è sempre qualche utile idiota, assertore del nulla a mettere in discussione valori conclamati per un piatto di lenticchie. Don Giosuè famoso lo era già da decenni, grazie alle sue musiche eseguite in tante parti del mondo. Ma per i limbadesi è stato a lungo solo quel prete silenzioso e riservato che era tornato a casa, nella sua Limbadi, in attesa di reincontrare il suo Dio.
 
 


il frontespizio del catalogo
tematico delle opere

Nel tentativo di un primo abbozzo critico della figura artistica del Macrì va fatta innanzitutto la premessa che Don Giosuè si è così umilmente proposto da correre il rischio (già per troppo tempo corso) di passare sotto silenzio. Eppure egli fa parte di quella schiera di compositori italiani che - nati intorno al 1880 - furono artefici dell’aggiornamento del linguaggio musicale del nostro secolo. Il Macrì non si schierò né per una posizione conservatrice, né per una d’avanguardia. La sua composizione sgorga spontanea perché rivissuta con personale schiettezza di sentire.
Fu artista di formazione isolata e quindi indipendente da ogni influsso che può esercitare la scuola. Purtroppo - senza scuola - gli mancò il normale trampolino di lancio. Per questo motivo i suoi inizi furono abbastanza grigi, e, trovandosi in Argentina, si dovette dare all’insegnamento. La fortuna che ebbe là come maestro di pianoforte e di composizione non lo stimolò a curare subito la pubblicazione della sua produzione. Le opere accademiche, composte con molta probabilità in Argentina, sono opere di meditazione sociale (cfr. La Barcarola): opere il cui canto effonde il profumo inconfondibile di melodie paesane. Questo stesso tesorizzare il patrimonio etnofonico è stato indicato per Stravinski come un <<bagno di naturalezza, di spontaneità e di forza elementare>>, come un voler <<uscire dal vicolo cieco della imitazione>> per <<rinnovare il proprio linguaggio in armonia alle esigenze della sensibilità moderna>> (Mila).
Macrì non ebbe la risonanza di Stravinski, ma l’uso della espressività musicale popolare rigenerata da una personale meditazione è lo stesso elemento artistico che caratterizza anche l’originale linguaggio del nostro Artista. Non c’è nelle sue composizioni un fiume che travolge con una sola ‘aria’ impetuosa. Da esse il discorso musicale traspare frammentario, come un pullulare di idee melodiche, come un seguito di canzoni. La sua originalità si rivela anche nel costante utilizzo della voce. E benché il Macrì non si fosse mai provato in opere teatrali le sue composizioni corali sono impregnate del dramma sociale e spirituale dell’uomo: sociale perché vive il problema della disuguaglianza economica, della emigrazione, del guadagnarsi con stenti di vita; spirituale nel senso di quotidiana lotta tra le tumultuose passioni umane e un intenso amore capace di valicare i confini dello spazio e del tempo.
Le sue liriche da camera sono ricche di aperture verso il paesaggio, quasi un tutto col pensiero in quel calmo mare verde smeraldo di Tropea o nel mesto mormorio dei castagni del Poro o nella festosa policronia dei fiori della campagna che lo vide bambino o nell’allegro trepido andirivieni di una rondinella appena arrivata che prepara il suo nido sotto la grondaia di casa.
Purtroppo il testo letterario offertogli spegne spesso l’invenzione melodica. La nota, infine, che fa del Macrì un artista originale e precursore è il costante attingere al gregoriano. Lui, organista di grido e prete, sapeva bene che il ritorno alle origini poteva significare sia omaggio alla tradizione, sia apertura di una strada sicura al futuro linguaggio musicale.
Così in ogni compiacimento gregoriano della sua produzione - soprattutto di quella sacra - traspare la volontà di trasformare il semplice vocalizzo in una plastica espressione di autentica emozione religiosa. Con l’uso del gregoriano il Macrì sembra temporaneamente non più soggetto alla lotta tra la <<distanza di volar senz’ali>> e l’espressione tiranna del <<guadagnarsi il pane con il sudore della fronte>>; anzi con una contabilità ampiamente distesa si eleva come in uno stato di rapimento spirituale.
Come ogni musicista anche il Macrì appartiene ad una precisa situazione storica: nel primo Novecento la tendenza era di allontanarsi dal sinfonismo romantico e del melodramma senza indulgere a volgarità di bassa lega, ma creando premesse valide per gli ulteriori sviluppi cui sarebbe andato incontro il linguaggio musicale. Del travaglio artistico che questa epoca vive, Don Giosuè ci pare il musicista più rappresentativo.
 

Le opere musicali pubblicate
- La Messa letta, a una voce, con Organo (7 canti per la Messa; Adoro Te devote; O salutaris Hostia; 2 Tantum ergo; Dio sia benedetto; Ninna Nanna; Ave Maria; 3
   Litanie Lauretane; o dolce nome).
- Salve sancta parens, Messa popolare ad una voce media, con o senza accompagnamento.
- Messa in onore di S. Francesco di Paola, a due voci uguali con accompagnamento d’organo.
- Messa da requiem, per coro ad una voce media con accompagnamento d’organo.
- Marcia funebre per organo.
- Ave Maria, per soli e coro a due voci pari con organo.
- XVI Litaneie lauretane, a due voci pari con accompagnamento d’organo.
- La Via Crucis, per coro a due voci pari virili o femminili; con l’aggiunta di tre canti popolari a una voce media ed un Canto polifonico a tre voci pari.
- L’Agonia di Gesù, otto canti per soli e coro a due voci pari con accompagnamento d’organo.
- Tantum ergo e genitori, per coro a due voci pari con accompagnamento d’organo.
- Inno, preghiera a S. Antonio di Padova, canto popolare ad una voce.
- Canto di Giubilo, per soli e coro a due voci pari con accompagnamento di pianoforte.
- Ad una rondinella, canto lirico per soprano o tenore con accompagnamento di pianoforte.
- Baciami in fronte, o dolce primavera, canto lirico per mezzo-soprano o baritono con accompagnamento di pianoforte.
- O mamma torna !..., melodia nostalgica per canto o accompagnamento di pianoforte.
- Il pescatore, barcarola per coro a due voci pari con accompagnamento di pianoforte.
- Serenata augurale per coro a due voci pari con accompagnamento di pianoforte.
 
 
 
 

 
 
DON GIOSUE' MACRI'
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