GIROLAMO RUFFA
da Tropea

musicista del XVIII secolo
 
 
 

di Luigi Carlucci
 



La terra di Calabria non si spiega, compiutamente, senza tener conto dei suoi numerosi istituti di vita religiosa, disseminati nei grandi come nei piccoli centri che la punteggiano. Siamo convinti, che se venisse affrontato un lavoro cartografico scientifico ed esteso a tutto il territorio della regione, avremmo di che stupirci. Di questa storia si hanno numerose testimonianze raccolte da diaristi e cultori d'arte; non tutti, però, hanno svolto indagini approfondite e con rigore scientifico; spesso in questi scritti sono evidenti toni campanilistici e gratuite affermazioni che nascondono certamente la verità storico-ambientale, in cui nacquero, vissero e sparirono molte corporazioni religiose. La terra di calabria ha visto nascere ed operare intere comunità religiose il cui apporto alla crescita storica e culturale della regione va evidenziato. Ci riferiamo ai nuclei bizantini del secolo X gli <<SCRIPTORIA>>, alle abbazie dei Florenzi e dei Cistercensi, a cui va il grande merito di avere sottratto alle incursioni dei Saraceni un immenso patrimonio artistico-liturgico-linguistico, agli <<ASCETERIA>> dei Basiliani di rito greco, ai conventi dei Mendicanti. Ricordiamo i Francescani delle diverse famiglie, i Domenicani, che cominciarono ad operare in Calabria con metodi propri, immediatamente dopo la scomparsa dei loro rispettivi fondatori. Fermeremo la nostra attenzione sull'ordine dei Francescani: intendiamo offrire, così a quanti interessati, uno fra i più significativi nuclei religiosi sorti ed affermatosi nella nostra regione agli inizi del Rinascimento.
Base di questo studio sono state le ricerche d'archivio, svolte tra difficoltà non lievi, che conoscono bene quanti battono questa strada, segnata com'è da dispersioni ed occultamenti, scarsezza di fonti letterarie e bibliografiche a carattere locale.

                                                                                                                                              Tropea: Ex Convento dei Conventuali Francescani

Siamo confortati dalla coscienza di avere ricercato e di avere recuperato alla storia, soprattutto locale, notizie interessanti, alcune inedite.
Dando per scontato il rilevante contributo che l'ordine dei Francescani ha dato alla crescita culturale della nostra regione, il nostro intento sarà, ora, di evidenziare come accanto all'impulso culturale-politico-sociale, fosse presente nell'attività dei monaci francescani un notevolissimo interesse musicale. Ci è sembrato giusto e doveroso, proprio per richiamare l'attenzione su questa attività a torto scarsamente evidenziata nelle ricerche e negli studi di quanti si sono interessati dei fatti di Calabria.
Già col fiorire del madrigale cinquecentesco, la Calabria presenta un vuoto; infatti tale genere è in voga da Napoli in su e in Sicilia, ma è del tutto sconosciuto nella nostra regione. Ci sentiamo in dovere di dubitare della fondatezza di tale affermazione, dal momento che siamo convinti che la mancanza di documenti-testimonianze non equivale alla reale assenza di musicisti.
Se a qualcuno saltasse in mente di scrivere una storia della musica locale, si troverebbe assai andiccappato per l'assoluta mancanza di documenti.
E' spontaneo chiederci: la Calabria non ha avuto musicisti, oppure essi sono ignorati o poco conosciuti per la mancanza di testimonianze? La risposta a questo interrogativo, trova giustificazioni negli eventi della storia locale. Le vicissitudini storiche certamente hanno giocato contro.
I Borboni dimostrarono scarsa sensibilità per i fenomeni culturali, essendo i loro interessi volti essenzialmente a dominare la colonia, e in conseguenza di ciò poco inclini a favorirne una eventuale crescita culturale e politica.

Tropea: Ex Convento dei Conventuali Francescani
I documenti che certamente sarebbero giunti a noi, o hanno preso vie diverse o giacciono ignorati ammassati in qualche archivio, in seguito all'incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato. Da quanto detto, non è un caso, se le poche notizie che è facile trovare sfogliando i dizionari musicali, si riferiscano a musicisti ecclesiastici. Il clero era meno temuto dal Borbone, dato il suo rispetto per la religione e gli ordini religiosi.
Essi hanno avuto un ruolo importante non solo nella produzione musicale, ma anche e soprattutto nella conversazione. L'ordine dei Francescani ha dato contributi immensi alla storia della musica nei settori del canto gregoriano, della musica polifonica, della musica sacra e profana. Dei tre rami dell'ordine: i Padri Cappuccini, i Frati Minori, i Frati Minori Conventuali furono quelli che da noi maggiormente operarono e si distinsero in campo musicale. Passiamo a dare un cenno sull'orientamento musicale nel secolo diciottesimo in Calabria onde poter meglio cogliere il pensiero e l'orientamento musicale del Ruffa che in questa sede ci interessa da vicino. La produzione musicale sacra di questo periodo, da noi, come del resto in tutta la penisola e in Europa, è asservito al gusto profano. Al popolo piacevano molto queste composizioni, educato al gusto concertato della musica profana, e riuscivano a far dimenticare la polifonia di austera fattura dei secoli precedenti.
Moltissimi sono i musicisti francescani, tutti Minori Conventuali, che sono fioriti in questo secolo, sebbene pochi vanno esenti dai difetti del loro tempo. Essi cominciarono per gradi a servire al gusto profano. Più nessun accenno in loro, nè melodico e nè ritmico alle melodie gregoriane.
Francescano dei Minori Conventuali era, infatti, il Ruffa. Di Lui non sappiamo nè la data di nascita, nè quella della morte. Secondo Carlo Schmild (Dizionario universale dei musicisti) nacque a Tropea (VV) nella seconda metà del seicento e fu allievo di Domenico Scorpione da Rossano (CS).
Fu uomo di vasta e profonda cultura e fu dotato di una personalità di rilievo nel campo musicale, come dimostra l'attuale ubicazione delle sue opere, e non di meno nel campo delle relazioni sociali, come desumiamo dalle dediche delle opere a personalità non solo ecclesiastiche ma anche laiche. Egli stesso afferma di <<reggere la musica>> nella cattedrale di Mileto per <<l'autorità>> del Mendoza, al tempo governatore e vicario generale degli stati di Mileto e Francavilla. Dal frontespizio dell'Introduttorio Musicale si desume che era un Minore Conventuale nel chiostro di S. Francesco di Tropea (VV).
Dal frontespizio del <<Graduali per tutte le domeniche>> pubblicato nel 1700, si deduce che in questo periodo era maestro di cappella nella cattedrale di Mileto (VV). Prima di enunciare l'orientamento musicale che abbiamo dedotto dall'analisi delle opere del Ruffa, riteniamo utile fornire le opere rispettando la successione cronologica che l'autore stesso si è premurato di fornire. Elencheremo per esteso il titolo e le relative dediche, che stimiamo utili a quanti volessero studiare più approfonditamente il nostro autore.

1) Graduali per tutte le domeniche minori dell'anno, non solo per le cappelle, ma utili per solfeggiare,composti da P. Girolamo Ruffa da Tropea de'
   Minori Conventuali di S. Francesco e maestro di cappella della cattedrale di Mileto.
   Opera prima dedicata all'Illustr.mo Sig. D. Pietro Hurtado de Mendoza Cavaliero dell'Ordine di Calatrava, Governatore, e Vicario Generale degli
   Stati di Mileto e Francavilla,e Capitano a' Guerra della Città di Pizzo e sua Paranza. In Napoli per la De Bonis stampatore arcivescovile 1700 - in
   4.- Canto 1. e 2., e organo in tutto opuscoli tre.
   Non spaventi la lunghezza del titolo, del resto utilissimo dal punto di vista storico data la scarsezza di notizie e di documenti. Di questa opera si
   conservano un esemplare nella biblioteca del Conservatorio di musica di Bologna, ed uno nella cappella Giulia di Roma.
2) Salve a solo et a due con violini e senza e Litanie della B.V. a tre concertate, op. tre, Napoli, 1701, De Bonis.
   Anche di quest'opera esiste un esemplare nella suddetta cappella Giulia. La presenza delle sue opere in tale Cappella è indice di quanto il musicista
   fosse conosciuto e studiato. Il salto dall'opera prima alla 3, fa capire che il nostro compose certamente un'opera n. 2 a noi ignota.
3) Introduttorio Musicale per ben approfittarsi nel canto figurato; con Regole utili a' Principianti: comodo, e dilettevole a' Professori che insegnano.
   Quarta Opera composta dal Padre Fra Girolamo Ruffa da Tropea De' Minori Conventuali di S.Francesco dedicata al molto Rever. Padre Maestro Fra
   Bonaventura di Candidone, Ministr  Provinciale e Commissario Generale dell'Ordine de' Minori Conventuali di S. Francesco nella provincia di Calabria
   Citra ultra, in Napoli, 1701, presso il De Bonis, stampatore arcivescovile, con licenza dei superiori.
   Esemplare di questa opera si trova presso il Conservatorio di Musica di Bologna. Riguardo alla stessa nell'enciclopedia della musica, vol. 4, pag. 75
   ediz. Ricordi, alla voce Girolamo Ruffa, si legge:...Forse ne è autore lo Scorpione, che preferì pubblicarla sotto il nome dell'allievo; nel dizionario
   la musica, vol. 2 della Utet, alla voce Girolamo Ruffa a pag. 914 leggiamo addirittura:...<<è stata avanzata l'ipotesi che G. R. sia uno pseudonimo
   o prestanome di D. Scorpione>>.
Noi riteniamo di poter sciogliere questo equivoco in quanto, proprio lo stesso Ruffa nell'Introduttorio e precisamente al Capo 13, quando tratta le proporzioni, a pag. 33 dice: <<però chi vuole intendere bene il trattato delle proporzioni, legga il primo libro delle Riflessioni Armoniche del mio Padre Maestro Scorpione, che haverà l'intento>>.
Dall'analisi dell'Introduttorio abbiamo individuato gli elementi più importanti da esso emersi, che ci permettono di fissare i dati più rilevanti delle idee e della dottrina del musicista. Musicista pratico e teorico insieme, fu considerato come uno dei maggiori maestri della regione. Le sue opere sono ordinate sistematicamente, e possono essere considerate un <<corpus>> di teoria musicale in quanto rivelano le sue idee sulla musica, e delineano la sua posizione rispetto ai problemi e alle diverse teorie musicali del suo tempo. Importantissima la sua posizione, relativa alle due <<pratiche>> (prima e seconda pratica), in cui si era scissa la musica in seguito alle innovazioni e ai cambiamenti apportati da quei musicisti e da quei teorici che avevano rotto i vincoli del polifonismo tradizionale nel tentativo di creare una nuova poetica musicale ed un nuovo linguaggio.
Non molto tempo prima, Claudio Monteverdi, distinguendo la musica tradizionale da quella moderna, aveva dato a quest'ultima il nome di <<seconda pratica>>; ma nonostante ciò, e quantunque il nuovo stile fosse ormai un dato di fatto, essendo ormai divenuto di uso comune, ancora dubbi e confusioni, persistevano, tanto che il Ruffa, all'inizio del secolo successivo, era inreressato ancora a questo problema. Il suo atteggiamento a questo riguardo è critico e prudente. Bisogna premettere anzitutto che egli appartiene ai portatori della prima pratica cioè ai sostenitori dello stile tradizionale che ha il suo maggior rappresentante in Palestrina; egli stesso afferma più volte di essere ammiratore della scuola palestriniana. Più volte ricorda che messe, salmi e mottetti <<more vetere>> vanno composti secondo il modo di Josquin des Pres, Willaert e Palestrina, anche le regole di composizione e di contrappunto da lui esposte sono quelle della scuola polifonica tradizionale.
Il Ruffa, non rifiuta, tuttavia, le innovazioni apportate in campo di teoria e di pratica musicale dai teorici fiorentini, da Monteverdi e dai suoi seguaci, anzi le accetta, purchè riferite a stili e a generi di composizioni nuovi e distinti da quelli tradizionali. Per Ruffa la differenza non è tra due tipi distinti di musica, ma tra due diversi modi di adoperare medesimi elementi (tempi, accordi, consonanze, ecc.), che sono uguali sia nella prima che nella seconda pratica. Questo è quanto egli afferma nel proemio dello indroduttorio musicale, dove si legge che non possono esistere due <<scuole>> (antica e moderna), dal momento che i fondamenti armonici sono medesimi in tutta la scienza musicale, ma esistono solo due diverse modalità d'applicazione degli stessi elementi.
Specificamente, per il Ruffa, ciò che varia da una pratica all'altra è l'uso delle dissonanze, impiegate in modo differente dai compositori moderni. Si legge, inoltre, che i nostri antecessori nelle loro modulazioni non si sono mai serviti di alcuni intervalli dissonanti, come la quinta diminuita, tritono, e altri oggetti nuovamente usati dalla seconda pratica, che rendono nuova armonia, e sono necessari per esprimere l'azione.

                                                                                                                                                                   Mileto: interno della Cattedrale
Egli dice che i musicisti moderni cercano di allontanarsi dallo stile antico per ritrovare una singolare espressione della parola, per maggiormente muovere affetti e passioni dell'animo, il che non hanno fatto i nostri antecessori, nei quali egli non sa scorgere che un medesimo stile e una scuola comune nell'adoperare consonanze e dissonanze. Da ciò si vede che i nostri antichi hanno un solo utile e una pratica. I moderni hanno, invece, tre stili: da chiesa, da camera e da teatro. E' evidente, dunque, che per il Ruffa l'esistenza delle due pratiche è legata all'esistenza di due diversi stili, entrambi validi e ciascuno con un preciso e appropriato uso. Da quanto detto emerge un altro fattore importante, cioè il rapporto tra musica e parole, sorto in concomitanza con la rinascita della monodia, che venne instaurata in contrapposizione alla polifonia, proprio per dare maggiore rilievo al testo, per poter maggiormente esprimere nelle composizioni tutti i significati affettivi, psicologici e intimi della parola. Tali propositi erano legati al tentativo di costruire la musica contemporanea sulle basi di quella greca, che, secondo quanto avevano affermato gli antichi, aveva come fondamento il linguaggio parlato, e derivava dalla natura stessa della parola. Il Ruffa a questo proposito, in coerenza del suo atteggiamento pacato e prudente, si limita a ripetere semplicemente che: nella prima pratica, fondata sulla dottrina platonica, l'armonia deve essere signora dell'orazione, nella seconda, la parola assume un ruolo e una importanza preminente rispetto alla musica. Affermiamo certamente che il Ruffa fautore della prima pratica e quello che simpatizza per la seconda pratica non sono in antitesi, dal momento che ciascuna pratica viene da lui riferita a uno stile particolare e diverso. Il Ruffa sostenitore della prima pratica, abbiamo detto che non rigetta aprioristicamente, anzi è aperto alle innovazioni della seconda pratica, e questo trova giustificazione nel fatto che nuove teorie musicali e il nuovo stile si erano affermati da più di un secolo; era, pertanto, inevitabile che facessero sentire la loro influenza anche sugli ambienti e sui compositori che come lui erano rimasti fedeli allo stile tradizionale.
Le regole convenzionali di composizione e le vecchie norme di contrappunto, erano state sorpassate nella vita pratica musicale, come il nostro stesso osserva, ad esempio, dall'impiego delle dissonanze.
Il Ruffa dà l'impressione di essersi reso conto di questa realtà, e nell'esporre le regole della composizione, pur restando, da una parte sempre fermo sulle posizioni teorico-musicali tradizionali, cerca dall'altra di prendere in considerazione le nuove istanze recate dalle teorie più moderne.
Si capisce, quindi, perchè nel trattare di contrappunto e di composizione, non si limiti ad un noioso se pur scientifico elenco di rigide norme e di procedimenti tecnici, ma allarga il discorso e approfondisce le sue teorie. Ogni regola è ampliata da motivazioni che tengono conto dell'oggetto espressivo della musica, l'utilità: cioè colpire i sensi e l'immaginazione dell'ascoltatore, a muovere i suoi affetti e sentimenti. E' proprio in questo suo atteggiamento che trova conferma la sua posizione ecletica nell'accostamento di elementi e idee nuove nello stile tradizionale.
Scopriamo ancora a questo proposito il suo sforzo costante nell'intento di dare una visione completa della musica, chiarimenti storici ed estetici oltre a quelli formali e tecnici. In questo ci è dato cogliere l'aspetto nuovo dell'autore, cioè il tentativo di allontanarsi dagli schemi tradizionali, secondo cui erano scritti i trattati di composizione dell'epoca, che, molto spesso, si limitavano ad una fredda ed arida esposizione di precetti e teorie musicali. Per tutti questi spunti, gli scritti teorici del Ruffa occupano un posto di rilievo nella teoria musicale non solo regionale, ma nazionale. Rilevante perchè essi sono da giudicarsi come un anello tra i due diversi modi di considerare la musica; tra due <<pratiche>>, appunto, che non sono più viste da lui in opposizione, ma interdipendenti tra loro, in quanto per comprendere ed applicare le nuove tecniche elaborate dai compositori e dai teorici moderni, occorre conoscere i principi e le teorie degli antichi.
E' certamente un suo merito l'aver evidenziato che l'uso della nuova pratica compositiva non annulla nè mette da parte i contributi della tradizionale dottrina sul contrappunto, contribuendo in tal modo alla rinascita di questo ultimo. Un cenno conclusivo è d'obbligo sulla cultura dell'autore. Essa, sebbene non andasse oltre i limiti evidenti del tardo seicento e i primi decenni del settecento, si rivela vasta ed enciclopedica: le citazioni di scrittori e di musicisti antichi e moderni, l'esposizione degli stili (da chiesa, camera e teatro) dimostrano la sua cultura profondamente vasta e diretta.
La diversità degli stili era la base del contrasto, dal Ruffa ampiamente delineato, fra i vecchi compositori rinascimentali, che adoperavano il tradizionale stile a cappella, e i moderni maestri a lui contemporanei, i quali, influenzati dal nuovo gusto, si erano rivolti alla policoralità e allo stile concertato, introducendo nelle composizioni sacre l'uso di strumenti che accompagnavano o si alternavano alle voci. Un ultimo appunto va alla considerazione del simbolismo sfruttato dal Ruffa e che affiora ripetutamente negli scritti: la musica è una esposizione allegorica intesa come una meravigliosa e sublime consonanza, tra l'ordine divino e quello naturale ed umano esistente nel mondo.
 

 
 
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