Portale del palazzo posseduto da Gaspare Toraldo a Badolato.GASPARE TORALDO
 

di Salvatore Libertino


I tabulati della genealogia ufficiale lo indicano 4° Barone di Badolato, Signore di Ischia, Sant’Andrea e Curti; Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea; nel 1574 Giustiziere della Capitanata. Nel 1571 Colonnello a Lepanto in testa a 1.200 fanti calabresi, da lui arruolati per conto della Repubblica di Venezia in quel di Tropea, dove nasce nel 1540 da Adamo 3° Barone di Badolato, Patrizio di Napoli e Tropea, e da Beatrice, figlia di Paolo Siscara 2° Conte di Aiello1. Rimasto orfano nel 1544 - a soli quattro anni - del genitore, che l'anno prima rinuncia a titoli ed averi a favore del figlio primogenito Giovanfrancesco, intraprende gli studi primari a Badolato. Prosegue quelli superiori a Napoli dove conosce Torquato Tasso con il quale allaccia intima e duratura amicizia forse quando il futuro cantore delle gesta di Orlando nel 1552 frequenta nella capitale le scuole dei Padri Gesuiti. Ed è questa amicizia che determinerà la figura del "buon Toraldo" nei versi della "Gerusalemme conquistata" data alle stampe nel 1593 quale tributo alla memoria dell'amico che non è più.
Dalla moglie Aurelia Sanseverino, unica sorella di Giovanni Giacomo, Conte della Saponara, ha, in prime nozze, tre figli: Vincenzo, Francesco e Geronimo. Succede al fratello Giovanfrancesco, nella Baronia di Badolato, ma non ne paga il relevio, tentando di salvarla, nel 1575, con una vendita simulata al suddetto cognato, il quale gliela retrocede, con atto del 3 dicembre 1578. Il feudo, dopo non poche vicende giudiziarie, sarà posto in vendita forzata e ad estinzione di candela e se lo vedrà aggiudicare il Principe di Squillace Pietro Borgia che per tale operazione sborzerà 75.100 ducati. Rimasto vedovo, ottiene, in seconde nozze, dall'altra moglie Cassandra, figlia ed erede di Clemente Issacar feudatario della Palata (divenuta proprietaria del feudo lo lascia in eredità al nipote Francesco) due figlie: Geronima ed Eleonora.
Nel 1566, ancora ventiseienne, durante una battuta di caccia nei pressi di Stilo, incontra il segno del proprio destino che gli cambierà per sempre il modo di vivere. S'imbatte in una guarnigione turca in piena azione nel catturare uomini del posto. Sono veri e propri sequestri di persona, all'ordine del giorno sui litorali calabresi, cui segue regolarmente da parte del Rais la richiesta di riscatto. Un signore scampato al sequestro, figlio di una delle persone in mano ai pirati, si rivolge al giovane Toraldo per ottenere la somma necessaria alla liberazione di suo padre. Il Baroncino dà ampie rassicurazioni al richiedente, a condizione che questi dia a intendere al loro capo, Rais Zerbinassan, che alla marina di Badolato si trova la facile occasione di far bottino di un vascello carico d'olio. Alcune ore dopo, il giovane informatore, accompagnato dal padre rilasciato, racconta che il Rais, senza mulla sospettare, crede alla storia, e che, contento della soffiata, lo aveva colmato di doni e assicurato che, alla sera seguente, la sua galeotta si sarebbe trovata, per fare il colpo, al punto indicato. All'ora stabilita, almeno quaranta figuri, vestiti da contadini, campagnoli, artigiani ed armati in modo strano con arnesi, archibugi o sole aste, arrivano al lido silenziosamente e si appostano in agguato pronti ad intervenire. Il Toraldo da il via all'assalto quando vede i turchi scendere dalla nave. La lotta è violenta ma breve e finisce con qualche ferito tra i calabresi ma con ventitrè morti e trenta prigionieri nelle file turche, tra cui lo stesso Rais2.
L'episodio per il giovane rampollo dei Toraldo è un vero e proprio battesimo del fuoco e sancisce l'inizio di una lotta senza quartiere contro le guarnigioni della Mezzaluna.


Don Juan d'Austria, comandante supremo alla
Battaglia di Lepanto della Santa Lega

Il 1571 è l'anno della battaglia di Lepanto che il 7 ottobre si consuma nelle acque delle Curzolari ed il Toraldo non vuole perdere l'occasione di esserci. Partecipa con la mente, la forza ed il cuore in tutte le varie fasi di preparazione, di avvicinamento e di azione. Una sfida molto sentita dal giovane che per la nobile causa mette a disposizione ogni risorsa familiare. Infaticabile nel reclutare soldati calabresi, si rivela abile organizzatore e non delude gli accordi stipulati con l'anziano Jeneral da mar delle Forze Veneziane, Sebastiano Veniero venuto apposta in Calabria per incontrarlo. Elegge quale posto di ingaggio Tropea dove raccoglie <<nel breve spazio di quindici giorni due mila bellicosi fanti calabresi>>3, pronti a salire a bordo e a far parte della gloriosa flotta veneta. Duecento di essi sono tropeani. Oltre alla raccolta del personale, il nobile giovane coordina le attività logistiche occupandosi del prezioso carico di vettovaglie che accompagnerà la spedizione, compresi i barili di vino, per la verità non molti per esaurimento delle scorte, provenienti dalle cantine dei palazzi nobiliari pronte ad accogliere il nuovo prodotto dell'ormai vicina vendemmia. Ma il contributo dei tropeani non finisce qui perchè sono messe a disposizione della Lega Santa tre galere, provenienti direttamente dall'Arsenale cittadino della Lumìa. Per tali prestazioni il giovane Toraldo non pretende alcun compenso personale, e di ciò gli da merito il Veniero che gli consegna solo il soldo da elargire alla ciurma reclutata.
In tale contesto il Barone viene nominato colonnello. E il comandante delle Forze Veneziane scriverà nella relazione ufficiale sulla battaglia <<... un Signor Gasparo Toralta lì in Calavria me ne dava mille dugento, ma bisognava chel facessi Colonnello... Io ancorchè mi pareva non havere autorità di far colonnelli pur lo feci, et a lui, et al S.r Prospero Colonna, che venne dopoi,...>>4. La nomina a Colonnello da parte del Veniero sia di Gaspare Toraldo sia di Prospero Colonna è dettata da esigenze di comando delle truppe di fanteria. Nelle forze della Lega il colonnellato, in tempo di guerra, è una carica indispensabile per il governo e il comando dei militi di terra, combattenti sui ponti delle navi, raggruppati in battaglioni da duemila a cinquemila uomini. Acquisita la nomina, il Toraldo sarà il terzo colonnello comandante dell'armata veneta, dopo Prospero Colonna e Pompeo Giustino detto da Castello. Nello schieramento di battaglia don Gaspare andrà ad occupare, al comando dei suoi uomini di Calabria, un posto di riguardo alle dirette dipendenze dei Provveditori della flotta veneziana5.
All'interno dell'armata cristiana, il cui punto di raccolta è il porto di Messina, si sono alleate tre flotte: quella veneta, guidata dal Capitano Generale Sebastiano Venier; quella del Papa, agli ordini di Marcantonio Colonna, e quella di Filippo II, diretta dal fratello ventiseienne Don Giovanni d’Austria. Conta circa 210 galee, per metà venete, 6 galeazze, tutte venete, e oltre 60 fregate. In totale circa 280 bastimenti, sui quali trovano posto 1800 pezzi d’artiglieria, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 43.000 vogatori, per metà schiavi turchi e criminali comuni. All'età di soli ventiquattro anni, Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell'Imperatore Carlo V e fratello di Filippo II re di Spagna, è Comandante Supremo dell’armata.
Dall’altra parte, riunita nel Golfo di Corinto ad aspettare il nemico, c'è la grand'armata musulmana, pure divisa in quattro squadre. Conta circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori. In totale circa 280 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 mariani e 41.000 rematori, in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci. Il Supremo Comandante è Mehmet Alì Pascià, fedele ammiraglio del sultano Solimano.
Avvicinandosi la data fatidica della battaglia, il fermento in città delle attività di preparazione cresce di ora in ora. Il 19 luglio nella rada sostano ventuno galere. E' la flotta del Papa guidata da Marcantonio Colonna, sei galere napoletane e tre dell'Ordine di Malta. Il Colonna apprende la notizia che centocinquanta galere turche sono in navigazione nell'Jonio verso la Calabria, invia una staffetta a Monteleone per informarsi presso la sorella Geronima, moglie di Camillo Pignatelli duca di quella città. Verso sera si saprà dall'arrivo di una fregata proveniente da Messina che l'artefice del movimento navale nel mare Jonio e del conseguente allarme è la flotta veneziana in navigazione verso il porto di Messina, punto d'incontro di tutte le forze della Santa Lega6.
Il 7 agosto la squadra navale comandata dal Veniero, composta da trenta galere, è in viaggio verso Tropea ma in rada incappa in una grandissima burrasca con vento gagliardo di ponente e libeccio. Il generale veneziano non è molto pratico della riviera tropeana piena di infidi anfratti e scogli pericolosi. A tale difficoltà ben presto si aggiungono il mare grosso e l'impossibilità di manovrare verso il largo le navi, ormai alla fonda con i relativi timonieri e la maggior parte delle ciurme dei forzati a terra.  Il risultato per i veneziani è disastroso: sette galere si fracassano contro gli scogli con la conseguente perdita del carico e la fuga di gran parte dei forzati7. La tempesta coinvolge direttamente lo sfortunato Jeneral da mar la cui nave viene scaraventata in un ricetto di mare di piccola bocca chiamato dalla gente del luogo "la grotta di Tropea" e rimane seriamente danneggiata8. Gianni Granzotto ci descrive con tocco pittoresco ma in modo efficace l'impeto e l'ira del vecchio generale, furibondo e di malissimo umore, che se la prende non con il mare, di cui è espertissimo, nè contro i suoi marinai, e nemmeno contro la burrasca ma con la terra, con queste rive meridionali malfatte, che hanno scogli invece di spiaggia, e venti che non si capisce dove vanno9.
Il drammatico incidente, che riduce di molto le forze veneziane, farà maturare nell'animo del Toraldo la decisione di mettere a disposizione dell'Armata le tre navi tropeane. A tale proposito, Pasquale Toraldo, suo discendente, annota <<Un tropeano, Gaspare Toraldo, sacrificando alla causa santa tutto il suo avere per approntare a sue spese tre galere, ottenne da Dio la grazia d'essere il primo a mettere piede su una nave turca e piantarvi la bandiera della Chiesa.>>10. Ed eccole le tre galere tropeane in quest'immagine grandiosa scattata dallo storico Girolamo Marafioti (1595-1626) durante la marcia d'avvicinamento alla zona di guerra: <<... i soldati avventurieri Tropeani precedano con le loro galere tutte le altre dell'armata... >>11.
Intanto i canonici della Cattedrale e i notai hanno un bel dafare per coloro che stanno per imbarcarsi nell'avvincente e imprevedibile avventura. Il livello del numero dei voti, delle elargizioni, delle messe cantate e degli atti testamentari si alza notevolmente facendo registrare impennate senza precedenti. E così il 6 settembre il gentiluomo Leonardo Galluppi va a trovare notar Francesco Scrugli per dettargli il proprio testamento12. S'imbarca anche Colamaria Fazali ma a Messina è colto da febbre alta che gli impedisce di proseguire il viaggio e vi rimane fino al ritorno dei compagni trionfatori, che, appena sbarcati, gli fanno visita con in testa don Giovanni d'Austria. Riconoscente, pubblicherà poi, nel 1577, un volume di rime sulla battaglia vittoriosa, dedicandolo al <<Signor Cortese>>, comandante supremo della Santa Lega, del quale in quelle pagine tiene a ricordare l'esaltante particolare di tale visita, menzionando gli eroi tropeani partecipanti alla battaglia13.
Dagli eventi patriottici del momento si lascia influenzare anche il tropeano Cesare Tomeo, che esercita a Messina la professione di medico (ci piace immaginare che sia proprio lui ad aver cura del compaesano Colamaria Fazali, febbricitante) e a tempo perso fa con discreto successo il musicista e il tragediografo. Pubblicherà nel 1575 la rappresentazione Il Trionfo della santa Lega contro il Turco, dedicata a Don Giovanni d'Austria14.
E siamo finalmente arrivati all'alba del 7 ottobre, nelle acque delle Curzolari, quando lo scoppio d'artiglieria senza palla, proveniente dalla galera di Ulucci-Alì, da inizio allo spettacolare scontro tra cristiani e musulmani. La Calabria c'è e non può essere altrimenti dopo secoli di angherie e scorribande nelle proprie coste da parte degli ottomani. In particolare si distingue la nobile Tropea. Con tre proprie galere e duecento uomini. Oltre Gaspare Toraldo, sono presenti tre componenti la famiglia Fazali, Giuseppe Carrozza, Stefano Suriano, Andrea Frezza, Leonardo e Cesare Galluppi, Ferdinando Barone, Francesco Portogallo, Giovanni Tommaso di Francia15. Di questi Ferdinando Barone è l'unico a non far ritorno alla sua amata Tropea.
Lo storico napoletano Tommaso Costo (1560-1630), contemporaneo del Toraldo, così ce lo descrive in piena azione della mischia: <<Ma notabile fu la fazzione di Don Gasparro Toraldo napolitano, il quale trovandosi poco discosto dalla Reale in sù la galea Pasqualiga, veneziana, ch'egli  haveva molto ben presidiata de' suoi soldati Calavresi, ed azzuffatasi quella con una delle Turchesche, fu egli il primo, che saltato su la galea nimica vi piantò lo stendardo di S. Marco, rimanendovi ferito d'una piccata di fuoco nel braccio destro; del qual fatto poi, vinta quella galea, fu dal Pasqualigo in presenza di molti altri nobili Veneziani pubblicamente lodato>>16.
Ma in quale punto dello schieramento cristiano si trova il Toraldo? Innanzitutto c'è da precisare che negli elenchi ufficiali17 non esiste alcuna nave chiamata "Pasqualiga". Il Costo vuole in questo modo chiamare la nave, su cui opera il Toraldo, dal nome del suo comandante. Però i Pasqualigo sono due: Alvise (Luigi) e Antonio. Il primo è al centro dello schieramento ed il secondo, perito nella mischia, nel corno destro, dove è maggiormente concentrata la gente siciliana e calabrese. Per questo motivo non pochi storici, come Guido Antonio Quarti, Antonio De Lorenzo, Felice e Pasquale Toraldo, Gustavo Valente, ecc., danno il Toraldo proprio nella parte destra, tra le navi al comando dell'ammiraglio genovese Andrea Doria e contrassegnate con il pennoncello verde (le navi sul lato sinistro sono contraddistinte con il colore giallo dorato, quelle nella parte centrale con l'azzurro e le trenta galee di riserva, nelle retrovie ed in soccorso della battaglia, con il bianco). Ma la logica non è favorevole a tale conclusione dal momento che Antonio Pasqualigo ben presto muore in battaglia e quindi non ha il tempo di compiacersi solennemente e pubblicamente, a detta del Costo, dell'eroismo del Toraldo. D'altro canto lo stesso Costo dice espressamente che il Toraldo è <<poco discosto dalla Reale>>. Ne consegue che don Gaspare si trovi nella parte centrale dello schieramento, nella zona così detta "Battaglia Reale", sulla nave "Il Passaro di Venezia" di Luigi Pasqualigo, sotto il comando di don Juan d'Austria e accanto alle Ammiraglie dello stesso don Juan, di Marcantonio Colonna e di Sebastiano Veniero che, 75 anni suonati,  combatte a capo scoperto imbracciando la balestra, aiutato dal suo attendente nel caricare l'arma, in pantofole per la gotta e perchè esse fanno miglior presa sulla coperta, soccorso alla fine dalle galee di Giovanni Loredan e Caterino Malipiero che trovano la morte nella lotta.


il settantacinquenne Sebastiano Veniero
nel pieno della battaglia a capo scoperto
e con le pianelle ai piedi per la gotta.

Al termine della battaglia la Lega conta più di 7.000 uomini morti uccisi o annegati, di cui 4.800 veneziani, 2.000 spagnoli, 800 pontifici, e circa 20.000 feriti; i turchi più di 25.000 morti, 3.000 prigionieri, 15.000 schiavi cristiani fuggiti, 100 navi bruciati o affondate e 130 catturate. E' la vittoria sull'Islam dell'Occidente cristiano. Al di là delle innumerevoli strategie da manuale perseguite durante la battaglia e immortalate sui libri della marineria militare, quella determinante che decide il prevalere sul campo della Lega santa è l'intuizione del giovanissimo condottiero don Juan d'Austria che ordina di liberare i galeotti di tutte le navi. Questa turba, pazza di gioia e di riconoscenza piomba sui turchi, il cui capo Ali Pascià, prima di essere decapitato in combattimento, non trova altra risorsa se non sciogliere le catene anche dei prigionieri delle proprie navi. Ma la decisione non si rivela atrettanto saggia perchè, essendo le galee turche per lo più armate da rematori cristiani, tratti in prigionia, questi vanno a ingrossare le fila degli alleati, facendo pagare ai loro oppressori le sevizie patite in schiavitù18.
Il nome di Lepanto entra quindi nella storia. Per la prima volta dopo un secolo il Mediterraneo torna libero. A partire da questo giorno inizia il declino dell'impero ottomano. E questo grazie anche all'eroico contributo dei calabresi, dei tropeani, di Gaspare Toraldo.
Ma l'azione guerresca di don Gaspare non vede mai sosta. Nel giugno del 1574 <<l'armata (turca) lanciatas' in Calavria s'accostò a Monasteraci presso al capo di Stilo, per pigliar acqua, ove dalle genti del luogo furon morti parecchi Turchi, presine trenta, e vi s'acquistò molta lode D. Gasparo Toraldo Baron di Badolato, il quale con alcuni suoi valorosamente s'oppose a' nimici, uccidendone uno di man propria, che fattosi con troppo ardire innanzi era corso ad assaltarlo>>19.
Lo storico aquilano Cesare Campana (1504-1606) rievoca l'episodio del 1574, quando Gaspare Toraldo <<ributtò valorosamente coi suoi vassalli molta gente che dall'Armata Barbaresca era scesa a terra>>, citandolo ancora una volta quando nel 1582 divide con Lucio Boccapianola il comando di quattromilaquattrocento soldati nel Milanese20.
Nel maggio del 1585, il Vicerè D. Pietro Tellez y Giron, Duca d'Ossuna, durante la sommossa di Napoli a seguito della diminuzione del pane, ricorre a Gaspare Toraldo per calmare l'animo acceso della folla. Durante i tumulti trova la morte l'Eletto del Popolo, Giovan Vincenzo Starace, che per sottrarsi alla furia popolare, si nasconde in una tomba, ma fa una brutta fine anche da morto poichè egli rimane insepolto per le strade, lungo le quali il cadavere viene trascinato e disperso in minutissimi pezzi. Si deve all'intervento energico e di belle maniere del Toraldo se la casa con all'interno i familiari di Starace non viene bruciata dai più facinorosi21.
Questo è l'ultimo tra gli episodi di fulgida storia ricordati da svariati autori non certamente di parte e viventi nello stesso periodo del Toraldo o poco vicino a questi ovvero diretti testimoni delle meravigliose gesta dell'illustre tropeano, che già da qualche anno si dedica agli studi umanistici componendo i Discorsi cavallereschi dell'illustre Gaspare Toraldo in un dialogo compresi ne' quali copiosamente si ragiona di tutti quegli esercitii così del corpo come dell'animo, che necessariamente a compito cavaliere si ricercano, et lo fanno riguardevole et chiaro, Napoli, Horatio Salvioni, 1573. Al dialogo partecipano il Duca d'Amalfi, il Marchese di Torremaggiore, il Conte di Simeri, D. Michele Ajerba d'Aragona e Bernardino Rota, poeta petrarchesco non solo in versi italiani, ma anche latini. Ne esce fuori un manuale sulle virtù nobili e cavalleresche, un compendio di ciò che di eroismo, di amore, di lealtà, di valore, di ideale patriottico seppe esprimere la nobile ed elegante figura di don Gaspare Toraldo, gentiluomo tropeano, nel corso di mezzo secolo di storia nelle Armi e nelle Belle Lettere. Ma il cimento nel campo letterario e della poesia da parte del Nostro non può finire quì. Abbiamo scoperto, durante questa ricerca, che in due distinte raccolte di rime dedicate a due gentile Signore del tempo esistono due sonetti del Toraldo che siamo lieti di rendere noti per la prima volta, tenuto conto che tali operette non sono mai state citate o annotate da alcun bibliografo o da alcun testo in genere. Le due Signore sono Donna Giovanna Castriota, duchessa di Nocera22 e l'irragiungibile Mirzia, pseudonimo scelto petrarchescamente dall'autore della raccolta, Lodovico Paterno, noto poeta petrarchista, in relazione alla pianta del mirto sacra ad Afrodite23.
Nell'arte letteraria lo seguirà il figlio Vincenzo, patrizio di Tropea, che ci lascia il saggio poetico La Veronica o del sonetto. Dialogo di don Vincenzo Toralto d'Aragona: interlocutori Partenopeo e Genovino, Genova, presso Girolamo Bartoli, 1589 e il canzoniere L'Ortolano, Lione, 1603.
Il nostro Gaspare ci lascia nel 1591, a soli 50 anni, dopo aver vissuto, sia pure nella sua brevità, una vita intensa ed illuminata che ci piace sintetizzare con le parole dello storico napoletano Niccolò Toppi (1603-1681) <<Cavaliere del Seggio di Nido di Napoli, tra soldati è soldato, tra poeti è poeta, tra filosofi è filosofo, tra signori è signore e tratta ogni cosa con molta destrezza e molta sottilità d'ingegno...>>24. Gli storici dicono che muore ai limiti della povertà, dopo essersi venduto nel 1578 la terra di Badolato per potersi pagare la mole dei debiti contratti durante la preparazione della battaglia. Scrive Luigi Conforti: <<Senza sua colpa, per vari inopinati accidenti, dopo lunghe e strepitose liti agitate in S. Consiglio ed in S. Camera, fu costretto a vendere la terra di Badolato a Pietro Borgia Principe di Squillace per ducati 75.000 ad estinzione di candela>>25.
Concludiamo questa piccola ma dovuta memoria dedicata a Gaspare Toraldo con le parole di Gian Lorenzo Anania: <<E' poi Santa Caterina, e Vadulato, e di questo castello antico Signore Don Gasparo Toraldo, la cui illustre famiglia, come che la sua origine da Germania, venendo con casa di Svevia grande nel Regno non si vede punto degenerata dalla grandezza dei suoi, splendendovi in questi tempi questo cavaliere così nelle belle lettere, come anco nel valore delle armi quasi aurora nelle tenebre, mostrando al mondo quanto si acquista con l'arte. e con l'esercito nella virtù eterna e vera gloria>>26.
La figura di don Gaspare con le sue eroiche imprese, oltre a vivere e per sempre nelle pagine scritte dalla storia, palpita ancora nei cuori della gente di Calabria che di lui custodirà sempre il valore del guerriero, la nobiltà del cavaliere, l'animo del poeta. A Badolato gli viene reso il giusto tributo della rievocazione storica del rientro trionfale dalle acque di Lepanto. Sottaciamo quì sulla sensibilità patria di Tropea nei confronti di questo valorosissimo personaggio, associandoci alle considerazioni che Giuseppe Chiapparo sconsolato annota a tal proposito alla fine del saggio del 1932.
Oltre gli autori quì citati nel testo e nelle note, su Gaspare Toraldo si possono consultare: Scipione Mazzella, Descrittione del Regno di Napoli, Cappello, Napoli, 1601, che scrive di lui "hanno parlato a bocca piena il Duca d'Airola nei suoi <<Commentari  delle guerre di Levante>>, il poeta G.B. Arcuccio, ed il celebre  Gio. Batta Attendolo, nell'orazione ch'ei fece in lode di d. Giovanni d'Austria, Cesare Campana e Ferrante Caracciolo Conte di Biccari, nelle <<Guerre di Levante>>". A quest'ultimo è dedicato il volume di Gaspare Toraldo Discorsi Cavallereschi.., Salvioli, Napoli, 1573; i poeti della fine del Cinquecento, Giambattista Arcucci e Giambattista Attendolo, Orazio in lode di D. Giovanni d'Austria; Cesare Campana, Istoria del Mondo, dal 1570 al 1596, in due volumi, 1601, e Vita di re Filippo II, 1602; Paolo Gualtieri, Topografia antiqua et nova Calabriae, manoscritta, 1630;  Alberto Guglielmotti, Marcantonio Colonna alla Battaglia di Lepanto, Le Monnier, Firenze, 1862; Luigi Conforti, I napoletani a Lepanto: ricerche storiche, Napoli, 1886; Giacomo Frangipane, Notizie storiche intorno la nobile Arciconfraternita del SS. Rosario in Catanzaro e norme pratiche per lo eseguimento dei suoi Statuti, Catanzaro, Tip. del Calabro, 1886; Antonio De Lorenzo, Un secondo manipolo di monografie e memorie reggine e calabresi, S. Bernardino, Siena, 1895, ristampato da La Ruffa Editore, Reggio C., 2000;  Capialbi, in "Calabro" del 29 nav. 1894; Domenico Taccone Gallucci, Monografie di Storia Calabra Ecclesiastica, Reggio Calabria, F. Morelli, 1900; Francesco Pometti, I Calabresi a Lepanto, in "Cosmo Illustrato", 1904, pag.133; Felice Toraldo, Le investiture di Casa Toraldo, Buongiovanni e Coccia, Tropea, 1906; Nicola Misasi, in "Giornale d'Italia" del 3 ott. 1909; Felice Toraldo, I Calabresi a Lepanto, estr. dal "Corriere d'Italia" numero 304, 3 novembre 1911, Roma, Bongiovanni e Coccia, Tropea, 1911; G. Chiapparo, I tropeani a Lepanto, in "La Coltura Regionale", 1932; Luigi Aliquò Lenzi-Filippo Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, Reggio Calabria 1935, vol. III; Gustavo Valente, Il barone di Badolato Gasparo Toraldo, in "Il Popolo di Roma", 20 settembre 1935; Francesco Russo, La Calabria e Lepanto, in "Historica", Reggio C.,1973; Gustavo Valente, Calabria Calabresi e Turcheschi nei secoli della pirateria (1400 - 1800), Edizioni Frama's, Chiaravalle Centrale, 1973; Gustavo Valente, I Calabresi a Lepanto, estr. da "Almanacco Calabrese", 1962, Fasano, Cosenza, 1984.
 
 

NOTE
1 Viene riportato di seguito il ramo dell'albero genealogico dei Toraldo Baroni di Badolato e Principi di Massalubrense, tratto dal sito www.sardimpex.com, che include la famiglia e gli immediati discendenti dei genitori di Gaspare Toraldo, Adamo Toraldo e Beatrice Siscara:
A1. Adamo (+ 16-2-1544), 3° Barone di Badolato, Signore di Ischia, Sant’Andrea e Curti (investito il 22-7-1483 e il 10-1-1507), rinuncia a favore del figlio primogenito nel 1543; Patrizio Napoletano ascritto al Seggio di Nido e Patrizio di Tropea.
= Beatrice, figlia di Paolo Siscara 2° Conte di Aiello e di Giulia Carafa
B1. Giovan Francesco (+ post 1560), 3° Barone di Badolato, Signore di Ischia, Sant’Andrea e Curti dal 1544, Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea.
= Eleonora, figlia di Marcantonio Caracciolo 1° Conte di Nicastro e di Giovanna Todeschini Piccolomini d’Aragona dei Duchi di Amalfi (* 1509 ca. + ?) (v.)
B2. Gaspare (+ 1591), 4° Barone di Badolato (feudo venduto per debiti il 24-7-1578 ai Sanseverino), Signore di Ischia, Sant’Andrea e Curti; Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea; Giustiziere della Capitanata ca. 1574, Colonnello di 1.200 fanti veneziani e partecipò alla battaglia di Lepanto.
a)= Aurelia, figlia di Ferdinando Sanseverino Conte di Saponara e di Violante Sanseverino.
b)= Cassandra, figlia ed erede di Clemente Issacar feudatario della Palata (divenuta proprietaria del feudo lo lasciò in eredità al nipote Francesco).
C1. (ex 1°) Vincenzo Toraldo d’Aragona (+ post 1591), Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea.
a)= 11-12-1584 Diana, figlia di Ascanio Filomarino, Patrizio Napoletano, e di Donna Diana de Bernardo dei Duchi di Bernalda
b)= Luisa Bragamonte dei Conti di Pelfloranda
D1. (ex 1°) Don Francesco (+ decapitato, Napoli 22-10-1647), Signore di Palata per concessione dell’ava, Patrizio Napoletano, Patrizio di Tropea, Sergente Maggiore dell’esercito spagnolo in Fiandra nel 1637, Comandante di un terzo e poi Maestro di Campo nel 1638, Generale d’artiglieria in Spagna nel 1640, Cavaliere dell’Ordine di San Jago, Consigliere e Collaterale del Re di Spagna, 2° Marchese di Tollo dal 1641, 1° Principe di Massalubrense investito il 26-9-1644, 1° Duca di Palata investito il 20-5-1646; fu eletto Capitano del Popolo dalla plebe rivoltosa di Napoli nel 1647 per trattare con il governo spagnolo ma, accusato di tradimento, venne giustiziato dopo un processo sommario.
= 4-1647 Donna Alina Frezza Duchessa di Castro, figlia di Don Marino Frezza e di Ippolita Orsini dei Conti di Pacentro e Oppido (+ post 1647), già vedova di Alessandro Pallavicini e di Fabio Frezza.
E1. Donna Francesca (* postuma, Napoli 12-12-1647 + Madrid 6-3-1724), Principessa di Massalubrense e Duchessa di Palata confermata con Privilegio datato : Madrid 26-12-1671 (esecutivo a Napoli 31-1-1672), vende il feudo di Tollo il 1-4-1704.
= 26-2-1662 don Melchiorre Navarro de Roccaful  Visconte di Torricella e Cavaliere del’Ordine d’Alcantara
D2. (ex 1°) Aurelia
= Francesco di Palma Signore di San Giuliano (v.)
D3. (ex 2°) Gaspare (* Napoli 5-6-1587 + Badajoz, assassinato 1641), Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea, compra il feudo di Ceppo il 1-2-1616, Sindaco dei Nobili di Tropea nel 1635, Maestro di campo spagnolo in Lombardia nel 1637, Cavaliere dell’Ordine di San Jago dall’8-5-1637, combatte per l’esercito spagnolo in Spagna, Portogallo e Germania, 1° Marchese di Tollo con Privilegio del 12-10-1637, Maestro di Campo Generale in Estremadura nel 1641.
= in Fiandra ……… Francisca de Azziaran y Gamboa
D4. (ex 2°) Caterina (* 10-9-1598 + ?)
= Nobile Giuseppe di Palo
D5. (ex 2°) Ippolita (* 29-11-1602 + ?)
= ……. Tursi
D6. (ex 2°) Cesare (* 1-12-1603 + ?), Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea.
C2. (ex 1°) Geronimo, Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea, Chierico Regolare Teatino.
C3. (ex 1°) Francesco, Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea.
C4. (ex 2°) Geronima (* Napoli 25-9-1580 + 13-6-1658), possedeva ½ di Tacena, di la Palata e San Giusto.
a)      = 15-8-1597 Prospero Suardo, Patrizio Napoletano
b)      = 26-1-1602 Nobile Guglielmo di Giovan Vincenzo Monaco
C5. (ex 2°) Eleonora
= Mario Galeota, Signore di Monasterace e Patrizio Napoletano
B3. Giovan Decio (noto come Giovan Luigi) (+ 1605), Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea.
= Bernardina Barletta
C1. Pietro (+ 1661), Patrizio Napoletano e Patrizio di Tropea, la sua discendenza si stabilì in Calabria e venne aggregata alla nobiltà di Stilo.
= Ippolita Consiglio
D1. Giuseppe (+ post 5-5-1670), Dottore in entrambe le leggi, Consultore ordinario della Regia Udienza, Provinciale di Calabria.
E1. Pietro Paolo (* 1652 + post 2-11-1724), fu Sindaco di Stilo per molti anni (eletto anche l’11-6-1718 e nel 1723).
F1. Eleonora
= Marcello Bono
E2. Casimiro, forse fu Cavaliere dell’Ordine di Malta.
E3. Antonio (+ post 1670).
E4. Giovan Battista (+ post 1670).
E5. Anna (+ post 1670).
C2. Maria (+ post 1580).
C3. Laura (vivente nel 1580 ma premorta al padre).
B4. Giovanni Alfonso, Patrizio Napoletano.
B5. Giovan Paolo detto “l’Abate”, Patrizio Napoletano, era Abate.
B6. Federico, Patrizio Napoletano.
B7. Eleonora
= Francesco d’Alitto Signore di Papasidero
B8. Lucrezia
a)= Prospero di Tarsia dei Baroni di Belmonte, Patrizio di Cosenza
b)= Tiberio di Tarsia 7° Barone di Belmonte e Patrizio di Cosenza (+ 1570) (nipote del primo marito)
B9. Laura
= Giovanni Battista Campitelli Signore di Melissa
B10. Isabella
A2. Gilberto (+ Napoli 18-11-1541), monaco certosino “frà Martino”, Vicario del monastero di Santo Stefano e Brunone 27-2-1514/1519 e dal 1520, Rettore del medesimo nel 1519.
A3. Alfonso, capostipite della linea patrizia di Tropea.
A4. Ippolita, visse nubile a Tropea.

2 Tommaso Costo, Giunta, ouero Terza parte del Compendio dell'istoria del regno di Napoli, Orazio Salviani, Napoli; nell'Edizione di Venezia, 1613, pag. 17.
3 Tommaso Costo, ibidem; nell'Edizione di Venezia, 1613, pag. 24.
4 Sebastian Veniero, Relatione del Clarissimo meser Sebastian Venier, 1572, Archivio di Stato di Venezia, Relazioni, busta 64. Pubblicata per la prima volta integralmente  da Pompeo Molmenti su Rivista Marittima, 1897, pagg. 481 - 525.
5 Bartolomeo Sereno, I Commentari della Guerra di Cipro e della Lega de' Principi Cristiani contro il Turco, in cinque libri lasciati manoscritti dall'autore che dopo aver partecipato alla battaglia di Lepanto si fece monaco a Montecassino. Le opere furono pubblicate nel 1845 dai padri del monastero. Per le fanterie ispane e venete, comandano immediatamente come colonnelli Paolo Sforza fratello del Conte di Santafiora, il Conte di Sarno, e Sigismondo Gonzaga alle genti italiane del Re; agli spagnoli delle guarnigioni di Sicilia, di Napoli, di Sardegna e agli imbarcati da Barcellona, Pietro Enriquez, Pier di Padiglia; Michel de Moncarda e Lopez de Finguria; ai tedeschi, i Conti Alberico di Lodron e Vinciguerra d'Arco; ai fanti infine dei Veneti, Prospero Colonna e Pompeo Giustini da Castello; e va ora terzo sulla loro armata, al comando principalmente dei Calabresi, Gaspare Toraldo. Il Cav. Bartolomeo Sereno era reduce della battaglia di Lepanto. Imbarcato sulla "Grifona", seconda galera del Papa, che abbordò e vinse la nave di Ali Pascià, fu testimone della barbara uccisione con la decapitazione dell'ammiraglio turco, già ferito a morte da un'archibugiata.
6 Lettere di Onorato Caetani, a cura di G. B. Carinci, Salviucci, Roma, 1870. p. 42; Onorato Caetani e Gerolamo Diedo, La battaglia di Lepanto, con nota di Salvatore Mazzarella, Sellerio, Palermo, 1995, che contiene la narrazione della battaglia per la penna di Gerolamo Diedola e la raccolta di lettere di Onorato Caetani Capitan generale delle fanterie pontificie nella battaglia di Lepanto e di suoi dipendenti. L'episodio è riportato a pag.102 nella lettera del segretario di Caetani "Da Muzio Manfredi a Gianfrancesco Perada". Il Caetani, duca di Sermoneta, aveva sposato Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio.
7 Ibidem., pag. 41; l'episodio è riportato in Onorato Caetani e Gerolamo Diedo, Op.cit., a pag. 119, nella lettera "Da Onorato Caetani al cardinale di Sermoneta".
8 Guido Antonio Quarti, La guerra contro il Turco in Cipro e a Lepanto, Venezia, Bellini, 1935.
9 Gianni Granzotto, La battaglia di Lepanto, Mondadori, 1975, pag. 134. L'autore immagina di aver ritrovato le memorie manoscritte di Antonello Antonelli, reduce della battaglia, che pubblica in questo libro.
10 Pasquale Toraldo, Orme francescane nella diocesi di Tropea, La Nuova Tropea, Tropea 1930, pag.21.
11 Marafioti, Croniche et Antichità di Calabria, Padova, 1601, pag.126
12 Antonio Tripodi, In Calabria tra Cinquecento e Ottocento (Ricerche d'archivio), Jason Editrice, Reggio Calabria, 1994, pag. 403.
13 Colamaria Fazali, Rime, Giuseppe Cacchio, Napoli, 1577.
14 Il trionfo della lega contro il Turco, Cacchi, Napoli, 1575. E' una rappresentazione drammaturgica in cinque atti destinata ad essere inscenata in Messina, alla presenza di Don Giovanni d'Austria, a cui è dedicata.
15 Felice Toraldo, Il sedile e la nobiltà di Tropea, Pitigliano, 1898. Ristampato da Forni, Bologna, 1968. A pag. 53: <<Alla memoranda battaglia di Lepanto un Giov. Tommaso di Francia combattè valorosamente e D. Giovanni d'Austria  a 30 ottobre 1572 (forse 1571) da Messina gli spedì solenne elogio scritto.>>.
16 Tommaso Costo, Op. cit., pag.26.
17 Sebastiano Veniero, Op. cit..
18 Cosimo Basile, Lepanto: ultima gloria dell'Occidente cristiano in "Rivista Marittima", Roma, 1971
19 Tommaso Costo, Op. cit..
20 Cesare Campana, Arbori delle famiglie le quali hanno signoreggiato con diuersi titoli in Mantoua, fino a' tempi nostri, e principalmente della Gonzaga, ... Con gli arbori delle tre famiglie Aledrama, Paleologa, e Gonzaga lequali fin hora han ritenuta la signoria nel Monferrato, prima con titolo di marchese, indi di duca. ... Il tutto da uarie historie raccolto da Cesare Campana, Osanna, Mantova, 1590. Ristampato da A. Forni, Sala Bolognese, 1980.
21 Mambrino Roseo, Del compendio dell'istoria del regno di Napoli, Venezia, Giunti, 1613.
22 Rime et versi in lode della ill.ma et ecc.ma d.na Giovanna Castriota Carr. Duchessa di Nocera, et marchesa di Civita S. Angelo scritti in lingua toscana, latina, et spagnuola da diversi huomini illust. in varij, & diversi tempi, et raccolti da don Scipione de Monti, Giuseppe Cacchi, 1585, pag. 68.
23 Lodovico Paterno, In Morte di Madonna Mirtia, Gio Maria Scotto, Napoli, 1564. Raccolta di sonetti indirizzati per la maggior parte a Lodovico Paterno da autori diversi, e sue risposte.
24 Niccolò Toppi, Biblioteca Napoletana, Napoli, 1678. In verità, identica definizione la troviamo in un testo precedente (vedi nota 22) Rime et versi in lode della ill.ma et ecc.ma d.na Giovanna Castriota Carr. Duchessa di Nocera, et marchesa di Civita S. Angelo scritti in lingua toscana, latina, et spagnuola da diversi huomini illust. in varij, & diversi tempi, et raccolti da don Scipione de Monti, Giuseppe Cacchi, 1585, che contiene un sonetto del Toraldo al cui nome, nell'indice del volume, essa viene associata.
25 Luigi Conforti, I Napoletani a Lepanto, Napoli 1886, XXIV.
26 Gian Lorenzo Anania, Universale Fabrica del Mondo divisa in quattro Trattati, Napoli 1573, e Venezia, A. Muschio, 1596.
 
 
 

 
 
LEPANTO E DINTORNI
 di  Salvatore Libertino
INDICE:
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