Museo Correr di Venezia. Particolare di un olio fine del XVI secolo.
'LA MARAVIGLIOSA E GRAN VITORIA DATA DA DIO AI CRISTIANI CONTRA TURCHI ALLI SCOGLI CURZOLARI L'ANO 1571'.
 

I  Tropeani  a  Lepanto

Alla memoria del colonnello Gaspare Toraldo,
del capitano Stefano Soriano, dei signori Fazali,
Carrozza, Barone, Portogallo, Frezza, Galluppi
e dei duecento ignoti fanti tropeani i quali nella
battaglia di Lepanto cimentarono la loro vita pel
trionfo della civiltà latina.


di Giuseppe Chiapparo


La battaglia di Lepanto, combattuta dalle armi cristiane collegate contro i Turchi, è uno di quegli avvenimenti memorabili <<di poema degnissimo e di storia>>.
Diversi sono gli scrittori che trattano minutamente i vari episodi di essa e qualcuno nei suoi scritti accenna al piccolo contributo dato in questa occasione dalla città di Tropea all'armata di don Giovanni d'Austria; ma trascura dire chi furono i principali guerrieri tropeani, che cimentarono la vita pel trionfo dell'ideale cristiano, minacciato seriamente in quei giorni dai figli dell'Islam. Desiderando conoscere i nomi di quei prodi è necessario ricorrere agli scritti dei signori Colamaria Fazali e Felice Toraldo.
Il Fazali, uomo d'armi e poeta di quel tempo, in un suo libro di rime, dedicato <<al serenissimo et invittissimo D. Giovanni d'Austria per la felice et gloriosa victoria>>, cantò l'epica gesta di quella memoranda giornata. Ecco quanto dice di lui l'illustre Bartolomeo Capasso, in una lettera diretta a Luigi Conforti, parlando dei poeti, che allora cantarono la gloriosa vittoria: <<Nella spedizione contro i Turchi seguì D. Giovanni, ma colpito da febbre a Messina, dovette a malincuore ivi rimanere fino al ritorno della flotta vittoriosa. Allora scrisse le sue poesie, come affermava a Giovanni Andrea Gesualdo il figlio di lui Massimiliano; ma non le mandò a stampa se non alquanto più tardi>>.
Da questo libro, ormai raro, togliamo il seguente sonetto, dal quale risultano i nomi di alcuni nobili Tropeani, che, al ritorno della battaglia, in compagnia di don Giovanni d'Austria, <<Signor Cortese>>, andarono a fargli visita, mentre stava infermo a Messina:

Per scrivere meglio l'honorate imprese,
Del mio Signor, e 'l suo valor tremendo;
Montai su i gran navili, a ciò seguendo,
Visto avessi le cose degne e 'ntese;

Ma di gran febbre mie virtudi offese
Fur, che convenne molti dì, languendo
Starmi in Messina, al letticciuol ardendo
Tanto, che venne 'l mio Signor  Cortese

Cinto di Palme e Lauri e con lui venne
Il mio capitano Stefano Soriano
Tre Fazali, un Carrozza e tre Baroni

Francesco Portogallo dolce e umano
Cotesti mi fer chiar di quant'avvenne
Poi galee vidi insegne et artimoni.

Il Toraldo, nel suo opuscolo: I Calabresi a Lepanto, oltre a dimostrare che i guerrieri menzionati nel su riportato sonetto erano cittadini tropeani, in quanto che le loro rispettive famiglie si trovano enumerate nelle capitolazioni della città di Tropea, fatte nel 1567, afferma che assieme a loro c'erano pure <<Andrea Frezza e Leonardo e Cesare Galluppi>> e che uno solo perdè la vita in quella memorabile battaglia delle Curzolari, <<Ferdinando Barone, che pur lottò coraggiosamente contro le orde
nemiche ! >>.
I Tropeani decisero di prendere parte alla spedizione di don Giovanni d'Austria in seguito all'andata della flotta Veneta nella loro rada. Ciò lo rileviamo dalla <<Relatione del clarissimo Meser Sebastian Venier del suo Capitaneato del mar, la quale fu presentata a 29 decembre 1572, pubblicata per la prima volta dal senatore Molmenti, e precisamente dal seguente brano:
<< Essendomi detto che a Tropea haverei soldati, et vini et delli marinari, et peotti che se ben lì non era porto, era di està, andai; de vino ne trovassimo un poco, de soldati ne venne uno, che si faceva capitanio, et mi offerse dugento fanti ma chel voleva la puppa et il pizzuol delle galee et che un signor Gasparo Toraldo lì in Calavria me ne dava mille dugento, ma bisognava chel facessi Colonnello...>>.
Colui il quale si faceva Capitanio ed offrì i dugento fanti a patto d'aver <<la puppa et il pizzuol delle galee>>, ossia il comando delle navi, su cui dovevano combattere i fanti Tropeani, non poteva essere altro se non Stefano Soriano, nominato pel primo dal Fazali nel suo sonetto. Il Veniero accettò la proposta sia del Toraldo, del quale dirò più avanti, che del Soriano e così tre galere Tropeane, con gli equipaggi e con duecento fanti pure Tropeani, seguirono l'armata Veneta e nel giorno del combattimento si coprirono di gloria.
Non c'è da meravigliarsi se la piccola Tropea potè offrire un simile aiuto al Veniero, poichè in quell'epoca le città rivierasche erano munite del necessario per potersi difendere dalle frequenti incursioni barbaresche. Infatti, parlando di Tropea, il Marafioti, nelle sue <<Croniche et antichità di Calabria>>, dice: <<... ha sempre posseduto questa città galere per corseggiare le riviere dei Turchi; e nell'armata di D. Giovanni d'Austria si ritrovano tre galere dei Signori particolari Tropeani>>.
Allora Tropea possedeva pure un arsenale a tre archi, di cui ancora si conserva qualche rudero vicino un mulino nel luogo detto Lumia, il quale serviva all'armamento navale e per la costruzione e la riparazione delle triremi e il P. Sergio, nelle sue Cronache, testimonia delle tartane che ivi andavano in alaggio per la riparazione. Il Fiore ed altri scrittori attestano che questa città aveva la facoltà di armare galere proprie, le quali godevano il privilegio di marciare avanti a tutte le altre del regno.

*  *  *

Mentre la flotta Veneta se ne stava ancorata nella rada di Tropea, si sollevò improvvisamente una tempesta, che fece naufragare alcune galere ed Onorato Gaetani, generale delle fanterie pontificie, in una delle lettere che dirigeva a suo zio, Cardinale di Sermoneta, ne fa il seguente racconto particolareggiato dell'accaduto:
<<Alli sette, alle diciannove ore (del 7-8-1571), cominciò una grandissima burrasca, e sebbene da principio non cominciò mar grosso, come fu finita la pioggia, la quale fu grandissima con infiniti tuoni, cominciò a venir mare, e il vento gagliardo al segno di ponente e libeccio, e poi restò a ponente e maestro. Questi signori Veneziani non molto pratici di queste riviere, poichè mai a' tempi nostri ci è memoria abbiano passato il Faro, nè meno avendo i piloti pratici, ed avendo ancora buona parte delle ciurme in terra, non si tirarono fuora in mare quando nel principio cominciò ad entrare la maretta, sebbene il generale lo volesse fare, ma non lo potè, per avere le altre galere, come ho detto, le ciurme in terra; e così dentro quel ridotto investirono e si fracassarono in spiaggia sette galere, delle quali una s'è ricuperata, delle altre si ricuperarono le artiglierie, arbori, antenne e vele, ferri e sartie, ma le ciurme (di forzati) se ne sono fuggite buona parte, e il generale sta afflittissimo.
Il Barbarico al cominciar della burrasca si tirò fuore in mare e si salvò a Milazzo, ma una delle galere che erano con lui, avendo anche le ciurme in terra, fu forzata a tardare a levarsi, e così sopraggiungendoli la notte, vedendo lume ad una torre che sta sotto il Capo della Mortella, si pensò fosse la torre del Faro e accostandosi in terra, tutta si è fracassata. Tanto il generale, come il Barbarico sono tornati con le altre galere con molti remi e speroni rotti, si attendono a rassettare e con le ciurme che hanno ricuperato rinforzeranno le altre fusta di queste del Re, che sono qua in arsenale>>.
E che dire poi del valoroso campione tropeano Gaspare Toraldo, barone di badolato ? Cavaliere chiaro a quei dì per cultura d'ingegno e per militare bravura, egli in seguito all'andata del Veniero a Tropea, riuscì ad arruolare <<nel breve spazio di 15 giorni, duemila bellicosi fanti calabresi>>.
Già cinque anni prima era riuscito a trarre in agguato e vincere una galeotta musulmana di 18 banchi, la quale pirateggiava lungo le riviere calabro-joniche. Il Costo così narra l'accaduto: <<Mentre l'apparecchio dell'armata turchesca insospettiva le nostre riviere, i corsali si studiavano d'andarle infestando in molti luoghi; ma ciò costò ben caro a una galeotta di diciotto banchi, la quale accostatasi al Capo Stilo in Calavria e presevi due barche di pescatori, il figliolo di uno di essi scampato dalle mani de' Turchi, mentre andava cercando di poter riscattare il padre, si avvenne in D. Gasparro Toraldo Signor di Badolato, ch'andava a caccia per quei luoghi; dalla cortesia del quale, perch'era suo conoscente, fu accomodato del denaio da fare riscatto. Ma venne in pensiero a D. Gasparro di tentar con questa occasione un bel fatto, perchè promesse a costui di donargli tutto quel danaro, se faceva opera, che quella galeotta venisse di notte presso Badolato, per predare un vascello, che v'era sorto, dando a credere al Rais che fusse carico d'olio. Seppe sì ben fare il pescatore, che oltre alla libertà del padre, hebbe anche molte cose dal Rais per mancia del finto, ma da lui creduto vero avviso dell'olio, e fu subito a dar del tutto ragguaglio al Toraldo, dicendogli, che la notte seguente sarebbe la galeotta venuta al lito di Badolato. D. Gasparro si messe in agguato con fino a quarant'huomini armati chi d'archibuso, chi di spada, o d'arme in asta, e venuta la galeotta, ch'era buona pezza di notte, la lasciarono accostare al lito, e poi le furono sopra con tanto valore, che combattutala più d'un'hora la vinsero, dove l'ardire e 'l valore del Toraldo, giovine allora di non più che ventisei anni, fu in vero maraviglioso, perchè appressatosi prima di tutti al vascello nimico, malgrado de' Turchi vi salì sopra, uccidendovene alcuni, che si gli erano opposti, conchè diede adito a' suoi di fare il medesimo. In somma da una squadra d'huomini (cosa strana a udire) senza l'aiuto d'alcun vascello fu presa quella galeotta in acqua con morte di ventitrè turchi, presivene più di trenta vivi, e fra essi il rais dimandato Zerbinassan, rimanendovi ferito D. Gasparro, ed alquanti de' suoi>>.
Il giorno della famosa battaglia di Lepanto lo troviamo al comando della galea Veneziana <<Pasqualiga>> <<ch'egli haveva molto ben presidiata de' suoi soldati calavresi, ed azzuffatasi quella con una delle turchesche, fu egli il primo, che saltato sulla galea nimica vi piantò lo stendardo di S. Marco, rimanendovi ferito d'una piccata di fuoco nel braccio destro; del qual fatto poi, vinta la galea, fu dal Pasqualigo in presenza di molti altri nobili Veneziani pubblicamente lodato>>.
Tre anni dopo quest'ultimo fatto, l'armata Turca, che moveva all'espugnazione di Tunisi e Goletta, essendosi accostata a Monasterace, presso il Capo di Stilo, per rifar l'acqua, sostenne con le genti del luogo una scaramuccia. L'anzidetto autore, riferisce che in quest'occasione <<furono morti parecchi turchi, presine trenta, e si acquistò molta lode D. Gaspare Toraldo, baron di Badolato, il quale con alcuni suoi valorosamente si oppose ai nemici, uccidendone uno di mano propria, che fattosi con ardore innanzi, era corso ad assaltarlo>>.
Nel 1585, durante una sommossa di popolo, in Napoli, causa il rincaro del pane, quando fu messo a brani l'infelice eletto Gian Vincenzo Starace, ricomparisce il Toraldo, il quale, mentre i governanti erano sgomentati, ha cuore di spingersi col cavallo, seguito dai Signori napoletani, nel fitto dei tumultuanti e riuscire a calmarli e spegnere le fascine, colle quali già stavano dando fuoco alla casa dell'ucciso, dove trovavasi la sventurata famiglia.
Non è mia intenzione tessere un panegirico al barone D. Gaspare Toraldo, poichè, se volessi far ciò, non troverei parole atte a magnificare le sue preclare virtù ed il suo valore militare; quindi mi basta aver citato quanto di lui dissero scrittori accreditati, come il Costo.
Debbo dire che mi riesce difficile spiegare come mai la nobile Tropea abbia completamente dimenticato questi prodi suoi figli, tanto che può ben dirsi:

<<... a lor non ombra pose la città natale
<<non pietra e non parola...>>.

E' vero che una via della città, a ricordanza di tale storico avvenimento, porta il nome di <<Via Lepanto>>; ma ben poca cosa è ciò, quando si pensi che un'umile colonia tropeana, residente a Montevideo (Uruguay), animata da alti sentimenti di patriottismo, fece erigere a proprie spese, in una delle nuove piazze di Tropea, un degno monumento ai Caduti nella grande guerra. Però se i tardi nepoti del Toraldo, dei Fazali, dei Barone, dei Galluppi, ecc. mai curarono di far eternare nel marmo i nomi dei loro valorosi antenati, a noi rimane segnato a caratteri d'oro nella storia il ricordo di quanto essi fecero nella battaglia di Lepanto, il cui buon esito tolse ai Turchi la fama d'invincibili sul mare e salvò l'Italia e l'intero occidente, sopra il quale, pieni di tracotanza, già si spingevano i barbari, dopo la conquista di Cipro.
 

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Fazali C. - Rime, Napoli, 1577.
Conforti L. - I Napoletani a Lepanto, Napoli, 1886.
Costo - Storia del Regno di Napoli, Venezia, 1591.
De Lorenzo A. - Un secondo manipolo di monografie reggine e Calabresi, Siena, 1895.
Molmenti P. - Sebastiano Veniero e la battaglia di Lepanto, Firenze, 1899.
Cirella F. - Il regno delle due Sicilie - vol. 5, II ediz., Napoli.
Toraldo F. - I Calabresi a Lepanto, Tropea, 1912.
Toraldo F. - Il Sedile e la nobiltà di Tropea, Tropea, 1915.
 
 
 
 

 
 
LEPANTO E DINTORNI
 di  Salvatore Libertino
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