
America Josefa Scarfò (1913 - 2006) nel 1937 con una delle figlie di Severino Di Giovanni
E' MORTA
AMERICA josefa scarfo'
di Osvaldo Bayer
America Scarfò ci ha lasciati per sempre. E’ morta ieri sabato 26 
agosto 2006. Aveva 93 anni. Ho ricevuto la notizia con tristezza, sapendo che 
era l’ultima di un’epoca di lotta libertaria. Il mio sentimento non è stato 
altro che di malinconia frammista ad un enorme affetto e ammirazione. E’ stata 
la compagna di Severino Di Giovanni, l’anarchico fucilato dal dittatore golpista 
in uniforme: Uriburu. Il 1° febbraio 1931. Il giorno seguente venne fucilato 
anche il fratello più caro di America: Paulino Orlando Scarfò. Nell’arco di 48 
ore alla adolescente avevano strappato i suoi due più grandi affetti. Restò 
sola, in un mondo assolutamente nemico.
Dei poeti l’hanno cantata. Verso la fine degli anni 30, il caro Raúl González 
Tuñón scrisse: "America Scarfò ti porterà dei fiori e quando tutti saremo morti, 
America ci porterà dei fiori". E’ che in tutti era rimasto impresso il volto di 
America il giorno in cui le ammazzarono il suo amato Severino: non piangeva, era 
sommamente triste, ma decisa. Avrebbe continuato ad amarlo per tutta la vita, 
come mi disse quando andai a intervistarla agli inizi degli anni 70. Ero 
riuscito a scoprire dov’erano le lettere d’amore che Severino le aveva scritto e 
che nella perquisizione della casa di campagna di Burzaco erano state portate 
via dalla polizia. Le lettere d’amore più belle mai lette in vita mia. Gli 
uomini in divisa non solo uccisero Severino, ma fecero anche "desaparecer" le 
sue lettere d’amore. Ma come i desaparecidos degli anni 70 sono ricomparsi con 
le loro Madri, così le lettere sono ricomparse davanti alla strenua ricerca 
dello storiografo. Nelle sue righe d’addio, prima di ricevere le pallottole 
militari, Severino scrisse ad America: "Carissima, più che con la penna, il 
testamento ideale m’è scaturito oggi dal cuore, quando ho parlato con te: le mie 
cose, i miei ideali. Bacia mio figlio, le mie figlie. Sii felice. Addio, unica 
dolcezza della mia povera vita. Ti bacio molto. Pensami sempre. Il tuo 
Severino". Prima di queste ultime righe, a Severino venne concesso di salutare 
America, anch’essa detenuta.
America gli diede l’ultimo abbraccio ed egli la baciò. Gli chiese di badare ai 
figli che egli aveva avuto con Teresina, sua moglie. America gli rispose: "Il 
tuo ricordo mi rimarrà fino alla morte". Egli la guardò con gran tristezza e le 
disse: "Oh, Fina, tu sei così giovane!". Si baciarono nuovamente. America uscì 
guardando Severino, per questo inciampò in una grata e Severino le disse: "Stai 
attenta!".
I principali giornalisti di Buenos Aires assistettero alla fucilazione. La 
miglior cronaca fu quella di Roberto Arlt che non aggiunse alcun commento da 
parte sua, ma solo descrisse quel teatro irrazionale della forza bruta contro le 
idee.
"La scarica terminò con il più bello tra i presenti", saranno le ultime parole 
della cronaca del giornalista del Buenos Aires Herald.
Il giorno seguente cadde anche Paulino Scarfò dinanzi al plotone di fucilazione. 
Sia Severino che Paulino, prima d’esser fucilati, furono barbaramente torturati 
dalla polizia di Uriburu. Ma essi non fecero il nome di nessun compagno. 
L’ultimo incontro tra America e Paulino fu molto breve. Lei non poté dissimulare 
il proprio dolore nel vedere il suo volto gonfio. Lui la trattenne dicendole: 
"Non piangere". Poi, con molto affetto, aggiunse: "Povera ragazza" e le diede un 
bacio sulla guancia. America lo baciò molto forte e gli chiese: "Non vuoi vedere 
la mamma?". Lui rispose: "No, non vedi come sto?". "E’ che gli si vedevano i 
segni delle torture". Paulino aggiunse: " Continua a studiare. Sto desiderando 
che tutto questo termini una volta per tutte". La baciò. America lo abbracciò di 
nuovo e i due si guardarono negli occhi. Lei non pianse. L’agente Florio 
sollecitò affinché terminassero. America se ne andò con un passo deciso. 
Severino e Paulino di fronte all’ordine di far fuoco gridarono le parole che 
definivano la loro ideologia: "Viva l’anarchia". Accadde nel penitenziario di 
Buenos Aires, le scariche si udirono fin nei giardini del quartiere Palermo.
Severino fu un antifascista ed era convinto che l’unica maniera di rispondere 
alla violenza dall’alto fosse la violenza dal basso. I suoi attentati furono 
sempre diretti contro entità fasciste o nordamericane, quando si seppe della 
condanna a morte dei due eroi proletari Sacco e Vanzetti. I suoi scritti parlano 
della sua passione per l’ideologia del socialismo nella libertà. La polizia lo 
sorprese mentre stava uscendo da una tipografia. La sua fuga per le strade di 
Buenos Aires ebbe del leggendario. Durante la sparatoria cadde una bambina e 
ovviamente lo accusarono di questa morte, quand’era noto che ad ammazzarla erano 
state le pallottole della polizia.
Sulla scrivania del lottatore anarchico la polizia trovò sotto il vetro questa 
frase: "Stimo quelli che approvano la congiura e non congiurano, mentre non 
sento altro che disprezzo verso quelli che non solo non vogliono fare nulla ma 
che si compiacciono nel criticare e maledire quelli che fanno."
Nel 
1928 in 
una lettera che Severino scrisse ad America: "L’amore, l’amore libero, esige ciò 
che altre forme d’amore non possono comprendere. E noi due, ribelli divini 
(nessuno potrà mai giungere alle nostre vette), abbiamo il diritto di 
prosciugare lo stagno della morale corrente e coltivare lì l’immenso giardino in 
cui le farfalle e le api potranno soddisfare la loro sete di piacere, di lavoro 
e d’amore". E’ stato un amore pieno che è durato poco perché tutto è finito in 
tragedia. Quando America andò a vivere con Severino nella casa di campagna, 
molto alberata, di Burzaco, egli era già il ricercato numero uno della società 
argentina. Lei aveva paura tutte le notti e dormì abbracciata a lui. Una notte 
lei sentì dei rumori, come se stessero entrando in casa, e cercò di svegliarlo. 
Gli disse a bassavoce ma in maniera persistente: "Severino, Severino, la 
polizia". Lui si svegliò appena, l’accarezzò e le rispose: "No America, sono gli 
uccelli... dormi... dormi". Mai dimenticò quest’episodio, tanto da raccontarmelo 
in uno dei nostri tanti incontri, mentre stavo elaborando la nuova edizione del 
mio libro (Severino Di Giovanni - El idealista de la violencia).
Caduti i due esseri più cari, la giovane America venne protetta dai suoi 
compagni d’idee. In quel periodo scrisse articoli per periodici anarchici 
europei in difesa dei diritti della donna. Continuerà con i suoi studi, che non 
lasciò nemmeno quand’era ottantenne. Per esempio, si laureò in italiano dando in 
maniera brillante tutti gli esami.
Molti anni dopo la tragedia, America incontrò un compagno d’idee con il quale 
aprì una libreria e la casa editrice Américalee. Il nome spiega tutto. Per molti 
anni è stata la libreria libertaria più completa della città e la casa editrice 
si dedicò a pubblicare testi di tutti i pensatori del socialismo libertario.
Pochi anni fa, quand’era al governo Menem, America fece la sua comparsa sui 
giornali. Accadde che un giorno andai a visitarla e lei mi disse che era già 
prossima alla morte e che prima di andarsene per sempre voleva stringere al 
cuore le lettere d’amore di Severino. Siccome io sapevo dov’erano quelle lettere 
lei mi chiese che facessi tutto il possibile per ottenerne la restituzione. Le 
risposi che avrei posto tutto il mio impegno. Mi recai da Unamuno, il direttore 
dell’Archivo General de la Nación. Sempre disponibile ad aiutarmi, egli mi 
chiese dove avessi visto per l’ultima volta quelle lettere. Gli dissi: "Nel 
Museo Policial, in un archivio isolato". Mi rispose: "Bene, chi potrà darti il 
permesso, trattandosi di un archivio della polizia, è il ministro degli Interni, 
Corach." ("L’ultimo aneddoto che mi mancava", pensai). Chiesi d’esser ricevuto 
assieme ad America. Ci accolse due giorni dopo. Gli espressi il desiderio di 
America. Mi disse che avrebbe fatto le ricerche del caso per soddisfare i suoi 
desideri e aggiunse: "Non si dimentichi, Bayer, che io mi chiamo Carlos W. 
Corach. Carlos per Karl Marx e W. per Wladmir Lenin". Restai sorpreso e non 
potei fare a meno di dirgli sorridendo: "Non sembra".
Due giorni dopo fummo convocati dal capo della Policía Federal, che ci attendeva 
nel suo ufficio. Io andai con America. Ci ricevettero il capo ed il vicecapo. Il 
capo mi ascoltò con una forzata benevolenza . (Il vicecapo aveva un sorriso 
beffardo come a dire: "Ma com’è venuto qui!"). Cercai di spiegarmi, ma il capo 
affermò con magniloquenza: "Lei mi chiede qualcosa che appartiene alla Policía 
Federal. Guardi (e prese un posacenere): qui c’è scritto ’Policía Federal’. Se 
lei me lo chiede devo dirle di no perché non appartiene né a me né a nessun 
altro, solo alla Policía Federal". Io insistei: "Ma non si tratta di un 
posacenere, sono lettere d’amore". Tornò a mostrarmi il posacenere e con gesto 
trionfale: "Sì, ma le due cose appartengono alla Policía Federal". Allora prese 
la parola America che con voce dolce ma ferma affermò: "Signore, sono lettere 
d’amore che sono state scritte a me, mi appartengono. Non si tratta di un 
documento della polizia o di uno che possa servire come prova di un qualche 
delitto. Le lettere appartengo solo a me". Il poliziotto deciso si sentì 
infastidito e sentenziò: "Mettete un avvocato e tutto si risolverà".
Mettemmo un avvocato e presto giunse la risposta. Carlos Wladimiro ci convocò 
alla Casa de Gobierno per restituire le lettere di Severino Di Giovanni 
all’amata America Scarfò.
Come avrà accarezzato le lettere quella bell’anziana dagli occhi molto neri e 
dai capelli bianchi come la neve.
Lei non c’è più. Le sue ceneri sono state seppellite nel piccolo giardino della 
Federación Libertaria, la casa che non si arrende. Là andremo una volta al mese 
per leggerle una lettera d’amore del lottatore caduto.