J. L. Gérome, Il mecato degli schiavi di Tunisi, Williamstown, Mass. (USA)PIRATERIA
E
SCHIAVITU'
 

NELLA CALABRIA
 

DEI SECOLI XVI-XIX
 
 

di Antonio Tripodi




 

La storia della Calabria, e nel caso particolare quella dei secoli della pirateria, emerge sempre più complessa con la lettura dei documenti d'archivio.
Le migliaia di episodi, isolati, che non potevano suscitare echi nelle ampie "cronistorie" tramandate dalle penne dei solerti intellettuali che erano stati testimoni o che comunque ne erano venuti a conoscenza, sono ricordati nelle vecchie e polverose carte che da secoli attendono di essere esplorate.
Il primo posto tra queste non può essere negato agli atti notarili. La consultazione di questi è lunga e laboriosa, ma gratifica con generosità il ricercatore. Le testimonianze giurate, i testamenti, le donazioni tra vivi, le compravendite, le divisioni ereditarie, sono fonti sorprendentemente prodighe di notizie di ogni genere, e nel caso specifico di quelle utili per la storia delle incursioni piratesche.
La donna in quelle epoche non poteva costituirsi da sola in alcun atto pubblico. E se per le necessità della famiglia doveva presentarsi dal notaio, nell'istrumento era chiaramente riportato che il marito non poteva darle il suo consenso "dispositivo ed obligativo" perchè trattenuto "in posse infidelium", o con altre espressioni equivalenti1.
Poco o per nulla è stato finora consultato il Regesto Vaticano per la Calabria del defunto p. Francesco Russo, dal quale si rileva che per alcuni casi gravi intervennero i romani pontefici con concessioni di indulgenze in favore di quanti si disponevano ad offrire il proprio contributo per la liberazione di persone razziate dai pirati e trattenute in nazioni lontane.
Informa una bolla pontificia del 5 gennaio 1520 che in precedenza "prope muros" della città di Tropea i pirati avevano catturato e condotto a Tunisi due coniugi che si recavano in pellegrinaggio alla chiesa di Santa Maria la Nova di Messina2.
La prigionia di Paolo Iosello di Cetraro, preso dai turchi nel mare di Tropea, si rileva dall'istrumento di vendita di una metà fregata di nove banchi, posseduta in parti uguali da mastro Camillo Utino e da Michele Iosello figlio del menzionato Paolo, anch'essi di Cetraro. Il passaggio della proprietà dall'Utino al magnifico Cesare Scattaretica e soci fu stipulato il 3 agosto 1573, per il prezzo di 125,00 ducati3.
Nella marina di Nocera (Terinese) un vascello turco era sbarcato il 20 marzo 1586. Ricevuta la comunicazione di quella non gradita presenza, si recarono sul posto il capitano Scipione Carlone ed alcuni cittadini tra i quali il notaio Sallustio Falascina verbalizzante. La comitiva potè vedere "una filuca" lunga trenta palmi, con quattro banchi e senza albero. Nessun accenno fu fatto sugli occupanti dell'imbarcazione4.
Sopra una spiaggia romana, nel mese di luglio 1620 fu assalita una barca patronizzata da Alfio Vizzari del Pizzo, che fu preso prigioniero unitamente ad alcuni marinai. Il bergamasco Francesco Locatelli, commerciante residente in Monteleone, fece donazione al Vizzari della metà barca di sua proprietà onde col ricavato di quella potesse pagare il prezzo del proprio riscatto5.
Mentre da Tropea si recava a Napoli per i suoi affari, fu catturata Lucrezia Marcellino vedova di Gaspare Zappia, che nel 1642 riacquistò la libertà dopo venticinque anni di schiavitù6.
Sull'incursione del 20 giugno a Nicotera e sugli sviluppi successivi si rinvengono nuovi documenti che arricchiscono ed integrano quello che già si sapeva dalle memorie coeve.
Susciterà soltanto curiosità sapere che in quella "scaramuzza" furono presi due turchi ed uno schiavo, e la testa di un turco, che due giorni dopo furono portati a Tropea. La testa era ormai puzzolente, per cui fu fatta rotolare "per quelli ripi abasso" onde non desse fastidio ai passanti7.
Il tesoriere della chiesa cattedrale di Nicotera, canonico Giuseppe Livanio, con bolla pontificia del 3 febbraio 1639 fu autorizzato al prelevamento di trenta ducati per poter riscattare quattro familiari che durante la "scaramuzza" erano stati razziati dai corsari8.
La solidarietà verso gli infelici che cadevano nelle mani di pirati o di corsari era tangibilmente dimostrata da alcuni feudatari ed ancor di più dalle istituzioni ecclesiastiche.
La consultazione dei libri della Confraternita di Santa Maria de Jesu per la redenzione dei prigionieri, eretta in Napoli l'anno 1548, mostra come il principe Pietrantonio Sanseverino di Bisignano il 26 giugno 1549, a mezzo dei banchieri Pinello e Ravaschieri, versò per elemosina 110.00 ducati, e l'anno successivo s'introitarono  25,00 ducati dal conte di Nicastro e l'1 luglio altri 10,00 ducati dal conte di Sinopoli. La città di Cosenza e suoi casali offrirono 140,00 ducati il 18 novembre, e 27,50 ducati pervennero il 16 dicembre dal conte di Condoianni. Il vescovo di Martirano diede 6,23 ducati il 4 gennaio 1553. Nel 1554 versarono 24,00 ducati l'università di Catanzaro il 21 giugno, e 20,00 ducati per il riscatto di "certi poveri marinari" il duca di Monteleone il 18 settembre9.
Notizia di un legato da parte di un defunto non nominato "Mons(igno)r di Squillace" in favore dei prigionieri di quella diocesi prima, spagnoli poi, ed infine "della natione italiana" si apprendono dalla contabilità del 156010.
In quei libri si possono leggere le traversie anche economiche degli infelici che venivano riscattati a volte dopo quindici o più anni, se si riusciva a riscattarli.
Si apprende, ad esempio, che a Giangiacomo Palamolla di Scalea l'8 maggio 1555 furono restituiti i 50,00 ducati versati il 17 maggio 1554, perchè il nipote non era stato riscattato. Lo stesso capitò il 20 maggio 1555 a Paolo Matricino, anch'egli di Scalea, per i 30,00 ducati del mancato riscatto della moglie Lesionna Cavallo, della madre e dei due figli11.
La liberazione dei prigionieri di Cariati ebbe inizio nel 1554, e potrebbe ritenersi conclusa nel 1560. La decima del pontefice Pio IV del 1562 in favore di quella Chiesa sarebbe pertanto da riferirsi all'incursione del 1544 e non ad una non documentata successiva12.
Ogni chiesa o cappella, seppure a volte con alcuni grani, corrispondenti a poche migliaia di lire attuali, contribuiva annualmente alle spese da sostenere per la liberazione dei "captivi" che si trovavano nelle mani dei turchi.
Nei libri d'introito ed esito consultati si legge che le elemosine erano consegnate ai padri Trinitari od ai Mercedari, ordini religiosi mendicanti fondati rispettivamente nel 1198 e nel 1218 con l'impegno preminente di adoperarsi per la restituzione della libertà a quanti erano costretti a vivere in schiavitù. In mezzo alle uscite per le feste e per le colture di vigne o di oliveti si trovava il posto per la voce riguardante il contributo per portare il cristiano sollievo ai fratelli sofferenti.
Nel mese di marzo 1711 la confraternita di Gesù e Maria Santissima del Rosario, eretta nel real convento dei Domenicani di Soriano, offrì mezzo ducato "per limosina a' ricattarsi certi presi da Turchi, per mano di fra Gio(vanni) di Stilo, quali cattivi sono di Bad(olat)o"13.
Nel registro di contabilità della chiesa del Carmine di Palmi risulta che "per dui berretti previtischi che furono predati da liparoti" si spese mezzo ducato nel 1712. Non può esserci alcun dubbio che quell'anno sul lido di quella città si era verificato uno sbarco di corsari14.
Il procuratore della collegiata di Santa Maria dei Poveri di Seminara nell'esercizio finanziario 1736/1737 annotò il pagamento di un ducato "Per una elemosina alla redenz(io)ne de' Cattivi di Nicotera che sono più anni in mano di Turchi". Si tratta ovviamente di un'incursione non documentata, perchè le persone razziate un secolo prima (19-20 giugno 1638) erano da tempo passate nel mondo dei più15.
La presenza di prigionieri in mano dei pirati è documentata ancora agli inizi del secolo scorso. Infatti l'8 giugno 1803 nel libro d'introito ed esito del monastero delle Clarisse di Polistena è registrato il pagamento di 0,20 ducati per una "Elemosina per lo Riscatto di que' d'Ardore fatti schiavi dè Turchi"16.
Nei citati libri della confraternita della redenzione si leggono anche le notizie riguardo al funzionamento dell'organizzazione.
Per la raccolta delle somme necessarie per i riscatti erano incaricate alcune persone, a ciascuna delle quali era assegnata una zona, ed in quella ognuno provvedeva alla vendita dei beni dei prigionieri e ne rendeva conto.
I Captivi Redenti venivano radunati nell'isola di Schio, e da lì raggiungevano Napoli, dove sfilavano processionalmente per alcune strade. Nella processione del 12 aprile 1550 con la cassetta si raccolsero 3,77.6 ducati di oboli17.
La paura d'incursioni,o d'incontri con i predatori, condizionava ogni atto o scelta sia degli abitanti della Calabria che di quanti operavano nella regione.
In un contratto per la consegna della tonnina pescata presso la torre di Acconìa, stipulato in Tropea il 27 febbraio 1553, fu stabilito che si sarebbe defalcato l'eventuale perdita a causa di furti di turchi o di corsari18.
I padri del convento agostiniano di Santa Maria degli Angeli di Monteleone il 31 gennaio 1606 commissionarono a mastro Cola Luciano, siciliano abitante in Monteleone, una campana del peso di quattro cantara19. Il fonditore si assunse di garantirla per un anno, a meno che quella non fosse stata "sonata all'armi". Il riferimento ad eventuali incursioni piratesche era più che evidente20.
Nelle clausole della società di quattro mercanti, stabilita in Monteleone per istrumento del 21 maggio 1607, fu espressamente dichiarato che se durante gli spostamenti per il commercio uno od alcuni di loro fossero stati catturati da turchi o da banditi, quelli si dovevano "recattare a spese" della società21.
Nel liber defunctorum della parrochhia di San Nicola delle donne in Squillace, il 20 luglio 1645 il parroco annotò che Gioacchino Costignosi morì senza i sacramenti per paura di uno sbarco dei turchi22.
Tra i quesiti posti al concorso per l'assegnazione della parrocchia di Caridà, svoltosi a Mileto il 29 gennaio 1763, uno si riferiva all'obbligo di rispettare la promessa od il giuramento dato mentre a causa della cattura dai pirati si temeva per la propria vita23.
La presenza di schiavi d'ambo i sessi nel vecchio continente cristiano è documentata negli atti notarili e nei libri parrocchiali. Quei poveri infelici erano solo oggetti per il procacciamento di danaro e di servizi. Si vendevano, si regalavano, si dotavano, si cambiavano.
Il 5 dicembre 1697, in Monteleone uno schiavo di nome Ignazio, nonostante fosse "christiano pe la di Dio grazia" fu scambiato con due cavalli"24.
Nella città di Tropea, il 7 agosto 1616 fu venduta una schiava olivastra cristiana di nome Filippa, acquistata al mercato di Palermo. La poveretta il 7 marzo 1617 fu ricomprata dallo stesso che l'aveva prelevata in Palermo sette mesi prima25.
Sempre in Tropea, il 6 maggio 1604 era stato Alfonso Bracho (ora Braghò) di Motta Filicastro a far dono alla cognata di una schiava negra di nome Caterina portata in dote dalla moglie Olimpia Pellizza di Tropea26.
Nella divisione dell'eredità Migliarisio (ora Migliarese) di Tropea, il 2 ottobre 1568 erano comprese le schiave Isabella, Lisella o Lisa, e Caterina o Caterinella27.
Non sempre gli schiavi erano soltanto sfruttati dai padroni, segno tangibile che nell'uomo mai fu assente l'amore fraterno.
Il tropeano signor Giacomo Nomicizio il 16 novembre 1673 affrancò uno schiavo turco di nome Ussain, che era stato battezzato col nome di Nicola, con la concessione di poter portare il cognome della famiglia28.
L'8 agosto 1701 contrassero matrimonio Paolo e Rosa, entrambe Nomicizio. Lui era stato schiavo del signor Giacomo Nomicizio (il precedente?), e lei non poteva che essere una collega di sventura del marito. La celebrazione del matrimonio religioso prova che anche Rosa era stata battezzata29.
Nel testamento di Paolo Purita di Tropea, del 25 luglio 1674, si legge la nomina ad erede universale e particolare di Giuditta Braghò schiava del magnifico Pietro Braghò30.
L'eccellentissimo don Giantommaso Savelli di Squillace il 7 marzo 1590 concesse al proprio schiavo Franceschello, che portava il suo cognome, la libertà dopo otto anni di servizio31.
La signora Vittoria Fazali, moglie del d. Francesco Carbonara, nel testamento del 29 marzo 1605 lasciò al marito il legato di far celebrare quaranta messe nella chiesa cattedrale ed in quella dei Conventuali di Tropea in suffragio dell'anima della "olim loro libertina antiqua di loro casa" di nome Ferrantina Toraldo32.
Il proprio cognome era solitamente dato ai propri schiavi anche dal marchese di San Giorgio e Polistena e da altri padroni di quest'ultima città33.
Il 18 aprile 1609 fu battezzato Francesco Assalto, schiavo di Camillo Assalto. Morì cinque anni dopo, il 20 aprile 1614, e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di Santa Marina.
La morte di Giuseppe Monteleoni, schiavo di Ascanio Montaleoni, avvenne il 28 dicembre 1619.
In Arena il 2 aprile 1714 ricevette il battesimo un maomettano adulto chiamato Amet, servo del marchese Girolamo Caracciolo che gli diede anche il proprio cognome. Ebbe i nomi di Fabrizio, Francesco, Maria, Gaspare, Baldassarre, Menchiorre34.
Tredici anni dopo, il 26 agosto 1727, fu battezzato col nome di Gerolamo un catecumeno alquanto istruito nelle verità della fede cattolica, anche questo servo adulto del marchese di Arena35.
Per rispettare la volontà del defunto marito signor Domenico Curatoli, il 5 gennaio 1693 la signora Vittoria Lombardo di Monteleone liberò ed emancipò la schiava Grazia, divenuta cristiana, che portava il cognome Curatoli36.
Nella città di Tropea il 4 marzo 1639 morì Giovanna, schiava della famiglia Braccio. Schiava "delli Minasi" era Caterina, deceduta il 4 agosto 1652. Il 25 maggio 1677 passò all'altra vita Paolo, figlio di Battistina schiava del barone Mottola37.
I battesimi di due schiave nel 1608, uno il 27 maggio e l'altro il 17 settembre, sono registrati nel libro della parrocchia dei santi Giorgio e Giacomo di Tropea. La prima, chiamata Giovanna, era adulta, esorcizzata ed istruita. Suoi padroni erano Giacomo Barone e la moglie Beatrice Martorano. L'altra, anch'essa adulta, ebbe i nomi di Caterina Domenica. Stava al servizio dei coniugi Giangiacomo Galluppi ed Isabella Frezza, e chiese in punto di morte di essere battezzata38.
Poteva succedere anche che gli schiavi riscuotessero la fiducia dei cittadini con i quali s'integravano. Si legge nell'inventario dei beni del fu Giambattista Feroleto di Monterosso che alcune sue robe erano tenute nella casa di una certa Caterina, turca fatta cristiana39.
Nella città di Catanzaro il 28 giugno 1715 un buontempone per nulla illuminato ha creduto di inscenare uno scherzo agli abitanti annunciando un'eventualità che all'epoca seminava panico ed incuteva spavento.
Quel giorno il signor Ludovico Mirabelli fece spargere la voce che era avvenuto uno sbarco di turchi, per cui al grido di "all'armi" la popolazione si riversò terrorizzata per le strade della città40.
Per fortuna, quello sbarco rimase nella fantasia di un uomo che pensava di fare lo spiritoso giocando sulla paura della povera gente.
Il timore dei pirati non turbava soltanto i sonni delle popolazioni rivierasche!
 
 

ABBREVIAZIONI
ASN = Archivio di Stato di Napoli
ASCZ = Archivio di Stato di Catanzaro
SASVV = Sezione di archivio di Stato di Vibo Valentia
SASLT = Sezione di archivio di Stato di Lametia Terme
not. = scheda del notaio
istr. = istrumento inv.= inventario
ASDM = Archivio storico diocesano di Mileto
ASDS = Archivio storico diocesano di Squillace
ASDT = Archivio storico diocesano di Tropea
AP = Archivio parrocchiale
RVC = F.RUSSO, regesto vaticano per la Calabria, voll. 1-14

NOTE
1 SASVV, not. F. Scrugli, istr. 07/03/1578 e 09/08/1580.
2 RVC, 3°, p.317 (16123).
3 SASVV, not. G. Tomeo, istr. 03/08/1573.
4 SASLT, not S. Falascina, istr. 20/03/1586; C. Salvati, Misure e pesi, Napoli 1970, p. 27. Il palmo napoletano
  equivaleva a 0,2637 m. e pertanto 30 palmi = 7,911 m..
5 SASVV, not. C. Costa, istr. 08/08/620. La città di Monteleone ebbe il nome latino di Vibo Valentia con regio
  decreto del 4 gennaio 1928.
6 SASVV, not. G. B. Cimino, istr. 14/../1642.
7 SASVV, not. G. B. Cimino, istr. 22/06/1638.
8 RVC, 3°, p. 445 (32967).
9 ASN, fondo real santa casa della redenzione dei prigionieri, vol. 19°, ff. 3v, 7v, 14v, 15, 16v, 28v, 29.
10 ivi, f. 188.
11 ivi, ff. 36 e 37.
12 ivi, ff. 17v - 133.
13 ASDM, Libro della confraternita di Gesù e Maria Santissima del Rosario di Soriano, f. 33v.
14 ASDM, Libro della chiesa del Carmine di Palmi, f. 145.
15 ASDM, Libro della chiesa di Santa Maria del poveri di Seminara, f. 128.
16 ASDM, Libro del monastero di Santa Chiara di Polistena 1797-1811, f. 75v.
17 ASN, fondo Real..., vol. 19°, f. 6.
18 SASVV, not. F. Scrugli, istr. 27/02/1553.
19 C. Salvati, Misure..., p. 29. Il cantaro napoletano equivaleva a 89, 100 Kg.
20 ASCZ, not. D. Mellèa, istr. 27/01/1606.
21 SASVV, not. O. Iovene, istr. 21/05/1607.
22 ASDS, Liber defunctorum della parrocchia di San Nicola delle donne in Squillace, f. 8v.
23 ASDM, cartelle Caridà, concorsi.
24 SASVV, not. G. Melito, istr. 05/12/1697.
25 SASVV, F. (de) Amatro, istr. 07/08/1616 e 07/03/1617.
26 ivi, istr. 06/05/1604.
27 SASVV, not. G. Tomèo, istr. 02/10/1568.
28 SASVV, not. A. Scrugli, istr. 16/11/1673.
29 ASDT, Liber matrimoniorum della parrocchia di San Nicola in Tropea.
30 SASVV, not. G. Saiace, istr. 25/07/1674.
31 ASCZ, not. C. Santacroce, istr. 07/03/1590.
32 SASVV, not. F. (de) Amaro, istr. 29/03/1605.
33 V. Arena, I registri parrocchiali di Polistena nell'evo moderno: schiavi, stranieri, esposti, in "Il taurikano I"
   (1989), n. 1°, pp. 38-39.
34 AP di Arena, Liber baptizatorum della chiesa arcipretale di Santa Maria de Latinis.
35 ivi.
36 SASAVV, not. B. Silvestri, istr. 05/01/1693.
37 ASDT, Liber defunctorum della parrocchia di San Demetrio in Tropea.
38 ASDT, Liber baptizatorum della parrocchia dei Santi Giorgio e Giacomo in Tropea.
39 SASVV, not. P. Farina, inv. 07/03/1659.
40 G. B. MOIO e G. SUSANNA, Diario di quanto successo in Catanzaro dal 1710 al 1769, Chiaravalle C., 1977,
   pag. 18.
 
 

 
 
LEPANTO E DINTORNI
 di  Salvatore Libertino
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