Dipinto di autore sconosciuto commissionato dal consigliere comunale di Siena Scipione Turamini per l'anno 1852. Biblioteca Comunale di Siena.

 L'astronomo Antonio Giglio (o Lilio) di Cirò illustra al Papa Gregorio XIII il progetto di riforma del calendario, elaborato dal fratello Luigi deceduto nel 1576, davanti alla Commissione che lo approvò.

Oltre Antonio Giglio facevano parte della Commissione il Cardinale Guglielmo Sirleto di Guardavalle, il Vescovo Vincenzo Lauro di Tropea, l'astronomo Giuseppe Moletti, il patriarca di Antiochia Ignazio Nehemy,

il canonico e giurista francese serafino Oliver, l'interprete e studioso di lingue orientali Leonardo Abel di Malta, il domenicano Pietro Ignazio Danti di Perugia, il teologo spagnolo Pietro Chacòn,

 il matematico Giovan battista Gabio, il gesuita tedesco Cristoforo Clavio.

 

 

Il periodo romano - La morte

 

di Antonio Francesco Parisi

 


 

Vincenzo Lauro, come moltissimi ecclesiastici meridionali, conobbe Roma molto per tempo. Era ancora giovinetto quando vi si fermò la prima volta, mentr’era in viaggio da Napoli diretto a Padova, e gli capitò un singolare incidente. Un robustissimo toro, infuriato, lo issò sulle corna e lo depose a terra sano e salvo come prima.

Tra il 1544 ed il 1560 tornò a Roma diverse altre volte al seguito dei cardinali Parisi, Gaddi e Tournon. Vi dimorò vari mesi, al principio del 1566, quando ricevette l’investitura vescovile, e, dopo, la nomina a Nunzio di Scozia. Lo ritroviamo ancora in Roma nel febbraio del 1573 allorché fu dal Papa nominato Nunzio in Polonia.

Come si vede, nonostante le enormi distanze cui sovente era assoggettato dal servizio diplomatico, a compimento di questo, ma anche per sue necessità, ogni 4-5 anni egli si recava nell’Urbe attirato dalla potente calamita della corte papale e dalla convinzione, non infondata, che in tal modo avrebbe meglio potuto procedere per la via intrapresa. A Roma, infatti, col suo tatto, con la sua prudenza, con la sua sottile arte cortigianesca, penetra in quell’ambiente non facile, e, forte di vecchie e di nuove referenze, si crea amicizie e si procura protezioni. A noi, ora non interessa questa sua attività, che ha avuto il giusto rilievo in precedenti capitoli. Qui noi intendiamo delineare, del Nostro, l’operosità, il contributo di scienza e di lavoro generosamente offerti nel servizio delle Congregazioni, alle quali fu destinato dalla fiducia dei Pontefici, e la sua attività cardinalizia; un’attività che non può essere considerata su un piano sussidiario, ma che brilla di luce propria; come sempre brillano, nel grigiore uniforme dell’umane cose, le azioni compiute al servizio della bontà e della giustizia.

Il 1° novembre 1578, Vincenzo Lauro, allora allora di ritorno in Italia dalla quadriennale missione polacca, sperava di potersi recare a Mondovì per dare assetto alle sue cose, e poi, ben riposato, fare una rapida escursione fino a Roma onde riferire al Papa sulla compiuta nunziatura. Il suo viaggio, invece, non fu rapido e la sua dimora nell’Eterna Città non fu così breve come immaginava. Proprio in quei giorni Gregorio XIII era assillato dalla necessità di riformare la commissione per l’esame del calendario progettato da Luigi Giglio e aveva da nominare un consulente teologico.

E’ facile supporre che il Lauro sia stato messo al corrente da qualche suo confidente e da qualche corregionale. Certo avanzò la propria candidatura, che si raccomandava da sé, dal momento che il Papa lo conosceva molto bene perché entrambi erano stati, e sempre in ottimi rapporti, al servizio del card. Parisi. Gregorio XIII ben sapeva quali fossero le notevoli conoscenze teologiche del suo antico compagno e la sua singolare competenza circa il pensiero e le opere di S. Tommaso d’Aquino. Pertanto il Lauro fu nominato membro della Commissione.

Della riforma del Calendario era ormai da un pezzo che se ne parlava. Già nel sec. XV vi erano state varie proposte e discussioni, specie nei concili di Basilea e di Costanza; ma solo nel V Concilio Lateranense (1512-1517) la questione venne finalmente posta ed esaminata in tutta la sua importanza. Tuttavia, nonostante la volontà e l’energia di Leone X, per allora non se ne potè venire a capo. E neanche sotto Marcello II, che era figlio di Ricciardo Cervini, noto per le sue opere dedicate al calendario, e che, da cardinale, aveva protetto Luigi Giglio (1).

Gregorio XIII fin dai primi tempi del suo Pontificato prese a cuore la riforma e ne perseguì l’attuazione con la maggiore energia. Dapprima incaricò di un progetto il matematico Carlo Ottavio Lauro, che gli espose le sue osservazioni nel 1575, poi accolse con il massimo interesse il calendario di Luigi Giglio (morto nel 1576) presentatogli dal fratello Antonio, illustre medico e letterato. Egli sottopose questo calendario all’esame di una commissione alla cui testa mise un altro Giglio: mons. Tommaso, vescovo di Sora. Ma quest’ultimo mancava delle necessarie energia e competenza e, a 1577 inoltrato, la commissione dovette confessare la propria incapacità a raggiungere, così come era composta, le finalità assegnatele.

Il Papa allora mise a capo di essa il cardinale Sirleto e gli pose a fianco, come consulenti, il francese Serafino Olivario per la materia giuridica, il calabrese mons. Lauro per la materia teologica. Gli altri membri della commissione furono i matematici Antonio Giglio, Ignazio Danti e Giov. Battista Gallio, il gesuita Clavio, lo spagnolo Chacon ed il patriarca Ignazio di Antiochia. Lauro entrò a far parte della Commissione a metà del 1579 e partecipò assiduamente alle sedute. Procrastinò, anzi, il ritorno a Torino per non disertare la seduta finale del 14 settembre 1580 (2).

Naturalmente non potè assistere alle successive adunanze, dedicate all’esame delle risposte date dai principi al quesito se erano favorevoli, o meno, all’accettazione del nuovo calendario e alla risoluzione del tempo in cui il nuovo calendario sarebbe entrato in vigore. Come sappiamo, della metà di ottobre, egli si trovava di nuovo in Piemonte, nunzio presso Carlo Emanuele, e con altre gravi responsabilità sulle spalle. Nondimeno anche da Torino egli continuava a tenersi al corrente e dei lavori relativi al Calendario vero e proprio e dei progressi per un’edizione migliorata del Martirologio romano, che coi lavori del calendario aveva attinenza. Infatti lo vediamo incoraggiare il card. Gallio a sostenere Gregorio XIII nella sua determinazione di riformare il Calendario nonostante l’opposizione di molti: tra li servizi che N. S.re e la S.ta Sede ricevono di continuo da la pietà et dal valore di V. S. Ill.ma non è men degno che gli altri d’eterna lode, quello che essa ha ultimamente fatto con l’havessi opposta a le persecuzioni che si fanno contra la pubblicazione del Calendario, il quale dovrà stamparsi et pubblicarsi quanto prima (3); ed anche rammaricarsi della morte del Cardinale Ciacconi, specie per le conseguenze che ne potrebbero derivare alla riforma del Calendario, osservando tuttavia che ciò nonostante «non s’ha in modo veruno a tralasciare o ritardare un’impresa tanto importante» ed aggiungendo in seguito: « Et circa il Martirologio ardisco… di dire, che N. S.re come che sia in tutte le Sue Santissime attioni circospetto… può in questa dormire in utramque aurem; poi che ella ha da uscire da la pia et dottissima biblioteca del nuovo San Gerolamo, che così hoggi debbo chiamare mons. Ill.mo Card. Sirleto» (4).

Sarà proprio lui a sostenere in Piemonte l’utilità dalla riforma del Calendario e ad annunciarne l’entrata in vigore (5).

La partecipazione alla Commissione del Calendario procurò e procura ancora al Lauro la fama di insigne matematico. Ci pare che si tratti di un’attribuzione indebita. Nessuno dei contemporanei, neanche il suo apologista Tritonio, ricordano la sua particolare competenza in questa disciplina. E neanche dai suoi scritti traspare una conoscenza matematica particolare. Il fatto d’essere stato membro della Commissione per la riforma del Calendario non è una prova valida. A codesta commissione egli fu aggregato quale consulente teologico; e non risulta che si sia occupato d’altro.

Non appena il Duca Carlo Emanuele parte per raggiungere la propria Sposa, il Nunzio Lauro si ritira a Mondovì, l’ormai tranquillo capoluogo della sua diocesi. E’ la primavera del 1585. Le Alpi marittime ancora vestono il loro bianco abito di ghiaccio e di neve luccicante al sole, ma già Mondovì e la sottostante pianura si aprono alla calda carezza del sole, i prati verdeggiano ed i peschi s’inghirlandano di fiori. Lauro, dopo qualche giorno di riposo, ha appena ripreso le sue vigilanti cure pastorali: quand’ecco improvvisa giungergli la triste notizia che Gregorio XIII, il suo gran protettore, è morto (10 apr. 1585). Addolorato e piangente sollecita il Tritonio, suo segretario, a raggiungerlo a Torino e di là muove celermente a Savona, dove lo attende una trireme apprestata dal Senato di Genova (6).

Dopo due giorni di prospera navigazione giunge a Telamonio il 20 aprile, vigilia di Pasqua. Data questa fausta circostanza, il cardinale vuole scendere a terra e nutrirsi dell’Ostia divina. Ma nel frattempo ecco che dal promontorio dell’Argentario nove veloci navi di pirati Mauritani assalgono due navi cariche di merci uscenti dal porto, mentre da Telamonio i testimoni sbigottiti assistono impotenti all’assalto marino. Scrive il Tritonio che non sarebbe stato difficile alla trireme di Lauro a forza di remi giungere fino a Centocelle, al Capo Argentario o a Porte Ercole; ma il Capitano genovese fu del parere che era conveniente non mettere a repentaglio la vita del Cardinale e perciò consigliò il proseguimento del viaggio per via terrestre. Noi tutti del seguito – aggiunge il segretario del Lauro – ci dolevamo di questa necessità, perché significava non poter giungere in tempo al Conclave; ma il cardinale, tranquillo, li assicurava dicendo «Noi non sappiamo ciò che più importa. Iddio nel cielo ha già stabilito chi deve rappresentarlo su questa terra».

Giunsero così nel castello di Corneto dove alcuni soldati, che facevano loro da scorta, eccitati dal vino e da un ottimo pasto, si misero a litigare cogli uomini del luogo. In breve si venne alle mani ed alle armi; qualcuno restò ferito in modo grave, ma c’era da temere che accadesse di peggio. Fu allora che il cardinale, tutto ardente d’amore per il prossimo, scese dalla lettiga e, sfidando il pericolo, corse in mezzo agli armati, li persuase a deporre le armi e a far la pace (7).

All’indomani la piccola carovana giunse a Tolfa e qui incontrarono un corriere che portava la notizia dell’elezione di Felice Peretto, cardinale di Montalto, a sommo pontefice sotto il nome di Sisto V. Lauro decise ugualmente di proseguire per rendere omaggio al nuovo papa.

A Roma lo aspettava una soddisfazione: quella di sapere d’essere stato temporaneamente affiancato, benché assente, al dottissimo cardinale Sirleto, al card. Peretti ed al card. Santoro come uno dei prelati papabili (8).

Sisto V in una delle prime riunioni concistoriali gl’impose il sacro rosso galero cardinalizio, e gli concesse il titolo di S. Maria in Via, ch’egli poi volle mutato con quello di S. Clemente.

Era a Roma da pochi mesi, quando la Provvidenza gli fornì un’altra occasione per adoperarsi a fin di bene. Viveva in quegli anni nell’Urbe Camillo de Lellis, il quale, dopo aver trascorso buona parte della sua esistenza fra le milizie venete e spagnole, e dopo essersi ridotto a così mal partito da dover chiedere l’elemosina, era riuscito a superare la crisi spirituale grazie all’assistenza di alcuni cappuccini. Era anzi in pensiero di farsi frate, allorché gli venne una piaga ad un piede. Stretto dalla necessità di curarsela negli ospedali, aveva dovuto conoscere quanto difficile fosse la cura a certi ammalati, specie incurabili, sovente abbandonati all’assistenza di gente inesperta e poco volenterosa. Guardando le cose proprio coll’occhio dell’ammalato e sotto l’influsso benefico dell’ambiente francescano, egli sentì allora la profonda sofferenza che l’organizzazione ospedaliera contemporanea infliggeva ai poveri infermi, comprese che la sola disciplina non era sufficiente a trasformare gente inesperta e nauseata dal contatto di corpi piagati e di membra imputridite e cancerose, in buoni infermieri; capì la necessità di far penetrare nelle anime di costoro un messaggio di carità verso il prossimo, uno spirito di vero e proprio apostolato; concepì l’ardito disegno di un generale rinnovamento dell’assistenza infermiera.

E’ nell’agosto del 1582 che in lui prende forma l’ispirazione di porre rimedio allo stato di abbandono in cui erano lasciati gli ammalati, colla costituzione di una compagnia di uomini pii, sacerdoti e laici, che assistessero gli infermi per amore di Dio. Quindi si mette a studiare per poter essere prima rivestito dell’abito clericale e, poi, ordinato sacerdote. Intanto cominciano ad accorrere presso di lui seguaci e compagni; con essi dà inizio alla sua missione. Ma perché la «compagnia» avesse vita e potesse operare era necessaria l’approvazione papale. Si rivolse perciò Camillo de Lellis a Filippo Neri ed al card. Cusani, ma senza alcun risultato.

Ed ecco che un giorno, passando per via Aracoeli – così scrive Mario Vanti (9) – vide nell’atrio del Palazzo Muti (attualmente al N. 3) il card. Vincenzo Lauro, sceso per accompagnare e congedare un altro cardinale venuto a fargli visita. Camillo si sentì improvvisamente ispirato di avvicinarlo e di parlargli! L’aspetto sereno e gioviale del venerando porporato gli mettevano in animo una fiducia e un ardire inesplicabile. Con semplicità e candore gli si accostò e gli parlò dell’esistenza e scopo dell’Istituto. Visto che il cardinale gli prestava attenzione, gli porse copia delle regole, lo pregò di volerle scorrere e di prendersi cura di quell’opera nascente, facendone parola al Pontefice per l’approvazione.

Piacque al Cardinale quel fare schietto e franco, eppur tanto umile, di Camillo. Con amorevolezza l’intrattenne a discorrere e gli chiese d’indicargli da chi poteva avere informazioni sul suo conto in Roma. Soddisfatto della richiesta, promise il suo appoggio. Fra i porporati, il Lauro era il più adatto allo scopo. Egli aveva una particolare competenza in materia e, per essere stato lungo tempo a contatto con ammalati e per essere anch’egli medico, conosceva lo stato dell’assistenza ospedaliera. Pertanto, presa visione delle regole ed avute le migliori informazioni sul fondatore, restò soddisfatto ed anzi ammirato che un uomo quasi illetterato avesse dato origine ad un’opera così necessaria e benefica. Si presentò, dunque, e ne parlò con entusiasmo al Papa. Sisto V, benevolmente prevenuto, annuì alla richiesta e dette, subito, incarico alla  Congregazione dei Vescovi e Regolari di effettuare il consueto esame sulla natura e gli scopi della Compagnia. Qui però le cose non filarono molto lisce. Il Cardinale di Santa Severina trovava soverchio  il moltiplicarsi di ordini regolari, cui si stava assistendo in quei tempi, e rammentò che i Padri del Concilio di Trento avevano consigliato disposizioni restrittive in materia. Anche qualche altro porporato espresse parere negativo. Ma il Lauro, che intervenne alle sedute, riuscì ad avere dalla sua il maggior numero di membri e potè far trasmettere dalla Congregazione al Pontefice l’atteso parere favorevole. Sisto V, con breve apostolico del 18 marzo 1586, approvò La «Congregazione» sotto la denominazione di «Chierici regolari Ministri degli Infermi», concedendo a Camillo ed ai suoi compagni di vivere insieme in povertà, castità ed obbedienza al servizio degli ammalati. Nel successivo 26 giugno autorizzò i componenti a portare sul mantello una croce di colore rosso nacque così il simbolo di quella benefica istituzione oggi operante in tutto il mondo, col nome di Croce Rossa. Di questi «Ministri» Vincenzo Lauro fu il primo protettore ed anche il primo benefattore; in quei primi anni di ristrettezza furono le sue frequenti e non parche elemosine ad aiutarli a vivere (10)

La suaccennata opposizione del card. di Santa Severina contro il riconoscimento dei Ministri Camillini non era un atteggiamento contingente e temporaneo, si trattava invece dell’estrinsecazione di una generale presa di posizione di molti cardinali avverso la riforma e l’accrescimento delle Congregazioni a cui il Papa volgeva il pensiero. Come dimostra il Pastor, Sisto V vi stava pensando proprio in quei giorni nei quali si decideva del riconoscimento dei PP. Camillini, e cercava un sostegno alle sue riforme facendosi portare dalla Biblioteca Vaticana molti libri sui riti, per cavarne una nuova osservanza di essi (11).

In tal modo, nonostante l’opposizione cardinalizia, poté procedere per la sua strada riformando, accrescendo e riordinando le Congregazioni. Di queste, solo due interessano il presente lavoro: quella creata per dirigere gli affari di Polonia, e quella per i Riti e le Cerimonie. L’una e l’altra creazioni «ex novo» di Sisto V.

La Congregazione per trattare gli affari polacchi venne costituita nel concistoro del 7 gennaio 1587, appena giunta a Roma la triste notizia della morte del re Stefano Bathory (12 dicembre 1586). Il Papa era rimasto molto addolorato per la scomparsa di un re saggio, coraggioso e cattolico. Nella corte vaticana cominciavano ad affiorare preoccupazioni non lievi, per l’avvenire di quella nazione, aggravate dal timore dei precedenti errori della diplomazia pontificia proprio in occasione delle ultime regie elezioni. Il Papa non voleva incorrere nuovamente in quegli errori, e voleva che si agisse nel modo il più possibile previggente. A questo scopo volle creare questa particolare istituzione, nominandone membri i cardinali più esperti delle cose polacche e dell’Europa Orientale. Farnese, Lauro, Radziwill ed Azzolini.

L’influenza moderatrice del Lauro si fece subito sentire. Egli conosceva bene non solo uomini, umori e situazioni particolari della Polonia, ma anche ciò che i Polacchi pensavano dei vari pretendenti alla loro corona ed in particolare di quei principi austriaci di casa Asburgo che la diplomazia vaticana aveva due volte ciecamente quanto vanamente la diplomazia vaticana aveva due volte ciecamente quanto vanamente sostenuto, non ostante i contrari pareri dei Nunzi dell’epoca. Principi che ancora una volta tornavano alla ribalta e che, sostenuti dall’iniziativa personale del Nunzio Annibale di Capua, stavano per coinvolgere, per la terza volta, nel giro dei loro interessi, la Santa Sede. Egli era stato entrambe le due precedenti volte testimone, ed in certo senso anche la vittima, di questa politica malamente diretta. Aveva pure conosciuto le lungaggini, le pastoie, le incertezze e le vuote promesse dell’Austria. Mise perciò in guardia il Papa ed i colleghi dal prendere, sin dal primo momento, un atteggiamento definito e dal sostenere un candidato col rischio di puntare – come già era successo – sul cavallo perdente.

Queste sue direttive trapelano dall’istruzione trasmessa il 10 gennaio 1587 dal cardinale Azzolini al Nunzio polacco, che fu invitato ad adoperarsi per l’elezione di un cattolico, ma evitando d’impegnarsi in particolare per uno solo di essi e mostrando di osservare la maggiore neutralità.

Lo stesso giorno il Papa, tenendo conto dei pareri espressi dalla Congregazione, inviò numerosi brevi ai dignitari ecclesiastici e civili della Polonia esortandoli a tenersi uniti ed a scegliere un re di sicura fede cattolica. Un tale atteggiamento, come mette in evidenza il Pastor, era determinato unicamente dagli interessi religiosi (12).

Ma non passò molto tempo ed alcuni cardinali, politicamente legati alla Spagna ed all’Austria, cominciarono a tramare in favore dei candidati austriaci; alle loro spalle operava, con tutto il suo gran peso politico e morale, l’inviato spagnolo, il conte di Olivares.

Lauro, in coscienza, non si sentiva di aderire ad una tale politica; incurante delle sollecitazioni che gli venivano da parte spagnola e senza, forse, considerare che stava sacrificando sull’altare delle proprie convinzioni il favore della Spagna, persisteva nelle sue idee ed insisteva col Papa per una politica di neutralità. Naturalmente si rese ostile Olivares e non evitò che Sisto V, influenzato dai cardinali filospagnoli, prendesse posizione a favore dell’arciduca Ernesto. Intanto gli intrighi e le pretese dei vari principi asburgici facevano perdere alla diplomazia vaticana altro tempo prezioso e quando finalmente essa poté puntare su un solo candidato, Massimiliano, era troppo tardi: ed era anche tardi per tirarsi indietro giacché, dal marzo, erano state diramate istruzioni ai Nunzi di adoperarsi a favore dei candidati austriaci, e il gesuita Possevino, che sosteneva le parti di Sigismondo di Svevia, era stato richiamato.

Ed allora si vide quanto sarebbe stato saggio seguire il consiglio del Cardinale Lauro, cioè di attendere ulteriormente fino a quando le preferenze non si fossero nettamente delineate, e lasciare al Possevino, al Nunzio ed al Primate di Polonia, che erano sul luogo, il compito di appoggiare il favorito senza scoprirsi troppo e senza impegnare apertamente la Sede Apostolica. Infatti il candidato di Possevino, coll’appoggio della Svezia, della vedova di Bathory e del cancelliere Zamoiski, nella Dieta riunita a Wolo, presso Varsavia, il 19 agosto 1587, veniva eletto. Lo proclamava re il primate di Gnesen, Stanislao Karnowiski. Il partito filo austriaco, però, colla condiscendenza del Nunzio, non si arrese e qualche giorno più tardi proclamò re Massimiliano. Ciò significava la guerra civile. Sigismondo, che era stato incoronato re ed aveva dalla sua la maggior parte dei Polacchi, il 24 gennaio 1588 sconfisse e fece prigioniero il rivale. Si era in tal modo nuovamente creata la complicata situazione diplomatica quando, vittorioso Bathory, il nunzio Lauro era stato costretto ad uscire dal regno per non contravvenire alle disposizioni vaticane, riconoscendolo. Ma la lezione di allora era stata proficua, e Sisto V, incurante del malumore imperiale, ordinò al suo rappresentante di recarsi da Sigismondo e riconoscerlo re (13).

L’altra Congregazione che ci interessa, è quella dei Riti, costituita da Sisto V con bolla del 22 gennaio 1588. Suoi primi membri furono i cardinali Niccolò Sfrondato, Agostino Valerio, Vincenzo Lauro e Federico Borromeo. Ad essi era preposto il card. Gesualdo. Così il Lauro per la seconda volta mette a profitto della riorganizzazione ecclesiastica la sua scienza teologica. Ciò, però, con una differenza dall’altra volta: durante le sedute della Commissione per la riforma del Calendario, i suoi pareri non erano, e non potevano essere determinanti; avevano un fine complementare. Invece in questa Congregazione il suo voto è decisivo, allo stesso modo che i suoi pareri sono di natura sostanziale. I compiti della Congregazione infatti consistevano nel prendere cura delle antiche consuetudini di tutte le chiese e migliorarle, qualora risultassero corrotte; esaminare, e nel caso correggere, i libri che vi si riferivano: occuparsi della canonizzazione dei Santi e della santificazione dei giorni festivi; stabilire il cerimoniale in occasione di visite al Papa di personaggi importanti, e decidere sulle formalità, precedenze e consuetudini nelle cerimonie.

Sappiamo che la Congregazione si mise di buona lena al lavoro e lavorò sodo a cominciare dai mesi di agosto, settembre e ottobre 1588; tuttavia, specie per la correzione dei libri liturgici, vivente Sisto V non si giunse ad alcuna soluzione (14).

Sisto V morì il 27 agosto 1590. Dal 5 settembre seguente la gente cominciava a dargli per probabile successore il cardinale G. Battista Castagna. E’ da notare tuttavia che fra i possibili figurava anche il Lauro: al quinto posto nell’elenco dei preferiti e con appena 9 probabilità su cento (15). Ma figurava. Era handicappato dal fatto di appartenere allo stesso gruppo dei card. gregoriani dei quali facevano parte i preferiti Castagna e Facchinetti. Erano a suo vantaggio gli stretti legami col card. Sforza, che dirigeva il gruppo. In Conclave parecchie candidature caddero sin dai primi giorni. Il 12 settembre anche quella di Lauro risultava sfumata per poca condiscendenza spagnola e per mancanza di validi sostenitori; un «avviso» di quel giorno, infatti, significava che, mentre altri cardinali erano appoggiati da questa e quella fazione, il card. «Mondovì era [aiutato] per Spirito Santo» (16).

Due giorni dopo vinceva il suo gruppo e veniva eletto il Castagna, che assunse il nome di Urbano VII. Questo papato non ebbe lunga vita. Due settimane non erano ancora trascorse, che Urbano VII, ammalatosi di malaria, morì. Il 27 sett. 1590.

Così a distanza di un mese i cardinali si ritrovavano in conclave: e sulla bocca di tutti si facevano gli stessi nomi dei papabili di prima (17). Ma un fattore, che un mese prima aveva operato con discrezione, venne ad influire su questo, dividendo i porporati in due opposte fazioni, alterando la loro volontà e stuzzicando il loro amor proprio: la prepotente, intempestiva e sfacciata azione dell’inviato spagnolo duca di Olivares e del suo connazionale ambasciatore Sessa. Pare addirittura che i due avessero compilato una lista di 7 cardinali da imporre al conclave in nome di Filippo II: i loro candidati preferiti erano i cardinali Mandruzzo e Santoro:

Sin dal precedente conclave si era venuta a creare un’intesa fra i due capigruppo cardinali Montalto e Sforza. Ora di fronte alla sfacciata prepotenza spagnola, che li feriva nel più profondo del loro orgoglio, essi decisero di unire le loro forze per far eleggere un cardinale non appoggiato dai rappresentanti spagnoli. Essi scelsero Vincenzo Lauro che «per la vecchiezza, per la grandezza dell’animo, per le lettere et per l’esperienza grandissima che haveva delle cose del mondo era giudicato da chi lo conosceva accomodantissimo allo stato presente dell’Italia et al bisogno della Sede Apostolica, et però in predicamento ragionevole di Papa» (18).

Forse nel pensiero dei due cardinali non c’era del tutto estranea la considerazione che il loro candidato per essere protetto di Carlo Emanuele, a sua volta genero di Filippo II alla fine non sarebbe riuscito gradito allo stesso partito spagnolo. E del resto proprio in quei giorni, non ostante qualche manovra del cardinale della Rovere in un primo tempo illusosi di potere riuscir papabile, Carlo Emanuele coll’autorità derivantegli dal suo grado e dalla convinzione di poter interpretare la volontà del suocero Filippo II, così scriveva ai due rappresentanti di Spagna: Ho conosciuto nel Card. Del Mondovì tanta pietà et valor et tanto affetto verso il servitio di S. M.tà Cat.ca che mi sento obligato scriver a V. E. che nel’occasione della sede vacante non si può venir ad ellettione di pontefice più santa et più utile per servitio de Dio et di detta M.tà che nella persona di detto Card.; et siccome le sue virtù et buone qualità sono palesi al mondo, così la devotione verso S. M.tà la sò io per particolare isperienza sì dall’attioni passati meco sopra le cose del Marchesato di Saluzzo, che procurò mi restasse in mano per sicurezza delle cose della religione cattolica, del Stato di Milano et di tutta Italia; com’anco V. Ecc. deve saper molto bene per quello che fece in Polonia a favor et servitio del fu Imperator Massimiliano, ond’io so’ così securo della sua persona, come della mia propria et prometto a S. Maestà et a V. Ecc.za (invece di quella) della vita et stato mio proprio, che sarò sempre gratissimo a S.M.tà, et però la prego caramente che per servitio publico et di quella maestà procedir a favorirlo animosamente. Et sappia V. Eccellenza ch’io dell’istesso tenor ho scritto a S. Maestà per corriere espresso, rimettendomi a quanto di più le dirà il mio ambasciatore (19).

Invece il conte d’Olivares, incurante perfino di poter colla sua azione danneggiare i suoi stessi candidati, poco prima della chiusura del conclave volle adoperarsi ancora una volta contro il Lauro, vietando la sua elezione ai cardinali della fazione spagnola. Da molto tempo non si assisteva ad un grado così alto di arroganza! Stupore ed ira pervase la maggior parte dei cardinali, unanimi nel deplorare l’intollerabile sopruso che minacciava l’indipendenza e la dignità del Sacro Collegio. Non v’era una fazione antispagnola o filofrancese; la dichiarazione dell’Olivares la creò.

Il 12 ottobre si era sparsa per Roma la voce dell’elezione del cardinale Marcantonio Colonna. Era una falsa voce. Invece la candidatura Lauro, in precedenza poco considerata, venne mantenuta. Di nuovo, in quei giorni Alessandro Peretto, card. Montalto, con tutto il suo giovanile entusiasmo coalizzò i cardinali sistini sul nome del Nostro, ed altrettanto fece il cardinale Sforza con quelli gregoriani, adoperando tutta la sua influenza per il trionfo della candidatura Mondovì.

La fazione spagnola allora presentò quale controproposta la candidatura del cardinale Madruzzo, sul quale particolarmente si appuntarono gli strali del cardinale Pier Benedetti che rinfacciò, a lui ed ai suoi sostenitori, il cieco servilismo verso un re tanto imprudente e sfrontato, ed il boicottaggio dei migliori cardinali, cioè di coloro che non avrebbero supinamente eseguito gli ordini di Filippo II, ma, sopra ogni altra cosa, avrebbero avuto cura degli interessi superiori della Chiesa. Allo scopo di superare lo scoglio che si era venuto creando, e rendere possibile delle trattative, il card. Peretto presentò allora una lista coi seguenti nomi: Aldobrandini, Lauro, Vallero, Salviati e Medici. L’opposizione, però, li rigettò tutti. Per la qual cosa il cardinal Peretto, già irritato a causa di alcune offese rivolte alla memoria dello zio Sisto V, dichiarò solennemente di voler morire in conclave piuttosto che cedere alla sopraffazione. Fra proposte e controproposte, discussioni e trattative le settimane passavano e si era entrati nel mese di dicembre senza che la corrente filo-spagnola, propugnatrice della candidatura Santoro accennasse minimamente ad una maggiore duttilità verso la candidatura Lauro, propugnata dall’opposta corrente. Del Lauro, in quei giorni così scriveva il gentiluomo senese Lelio Maretti, conclavista dello Sforza: «Cardinale…, che, di medico ch’era et di basso nascimento, si era tirato col valor suo et con la servitù fatta alla Sede Apostolica alla dignità del Cardinalato datogli da Gregorio XIII. Questo cardinale per la vecchiezza, per la grandezza dell’anima, per le lettere et per l’esperienza grandissima che haveva delle cose del mondo era giudicato da chi lo conosceva accomodantissimo a lo stato presente dell’Italia et al bisogno della Sede Apostolica et però in predicamento ragionevole di Papa» (20).

Ed in altra parte.

Appariva ogni dì più l’errore fatto da Spagna con la nominatione di sette et esclusione degli altri, non solo per la divisione che partorì nel conclave et per l’ostinatione così gagliarda che ci introdusse, ma per haver suscitata una scola di cardinali francesi negli italiani senza che all’entrar del conclave ve ne fosse pensiero o almeno fondato disegno, conoscendosi chiaro che l’esclusione di Salviati et Mondovì, Firenze, Verona et Aldobrandino, non haveva altra ricoperta che l’esser giudicati questi cardinali amici di quel regno et desiderosi, che si riunisse in un capo, in modo che li Spagnoli con questa scoperta unirno alli cinque molti deboli, vi fecero dichiarar molti dubii et apersero gli occhi di molti cardinali… (21).

Pareva che non ci fosse più modo di uscire dal vicolo cieco in cui ci si era cacciati, quando il superiore interesse della Chiesa spinse lo stesso Montalto a cedere in favore di qualche candidato accetto alla Spagna. Anche il Lauro, che in tutti quei giorni aveva sopportato con ammirevole pazienza le offese e le calunnie di cui era stato oggetto, si rassegnò a lavorare fra i suoi amici per il cardinal Facchinetti (22).

Però il favore di Montalto e dello Sforza fecero pendere la bilancia dalla parte del card. Sfrondato, che finalmente, il 5 dicembre, venne eletto papa e prese il nome di Gregorio XIV.

Romane oscuro, in questo conclave, il perché della violenta caparbietà colla quale il conte Olivares si oppose alla candidatura di Lauro. Alcuni autori supposero contrasti d’interessi, altri invincibile antipatia. Il Pastor si limitò a constatare che l’Olivares odiava questo principe della Chiesa con tutto l’ardore del suo temperamento (23).

Prima di tutto mi sembra giusto ricordare che l’ordine di favorire solo alcuni cardinali ed ostacolare l’elezione di altri partì da Madrid. Fu appunto questo che dette modo all’Olivares di manifestare il suo sentimento di odio verso il nostro prelato. Senza dubbio era stato l’Olivares a creare i presupposti per quello stesso ordine mettendo, per quanto era nelle sue possibilità, nella peggiore luce il Lauro ed il suo operato verso la Spagna. All’origine di questo modo di agire non vedo un qualche contrasto d’interesse personale e neanche una insufficiente reciproca conoscenza. Circa la prima possibile ipotesi osservo che il Lauro, da buon diplomatico, sapeva tirarsi indietro quando non c’era pregiudizio per i terzi, e circa la seconda, la corrispondenza fra il Lauro, il Duca sabaudo ed i suoi ministri a Roma, attesta che sovente Lauro, Olivares e i rappresentanti sabaudi erano fra loro in abbastanza stretto contatto; almeno dal 1585. Ma forse fu appunto questo che appesantì sempre più i loro rapporti, esasperando l’antipatia e la naturale insofferenza dell’Olivares. Se infatti sul carattere aperto e cordiale del Lauro non vi sono dubbi, altrettanto non possiamo dire del diplomatico spagnolo. Costui era superbo, vanaglorioso, intempestivo e collerico. Troppo pieno di sé e del suo ufficio, trattava con pochi riguardi anche i ministri sabaudi e lo stesso loro duca (e il Lauro era… appena un protetto del Sabaudo). In molti dispacci l’ambasciatore piemontese Muti, nel disapprovare la sconsiderata condotta dell’Olivares, fa anche presente d’aver avuto con quello violente discussioni; e fu proprio lui che in un dispaccio a cifra del 27 gennaio 1590 suggerì a Carlo Emanuele di avvisare il re di Spagna dell’indegno modo di comportarsi di quel suo rappresentante (24).

Il principe ordinò allora al suo inviato particolare di calmare i bollenti spiriti dello spagnolo: et col detto conte di Olivares farete un modesto ressentimento per quello che ha passato col nostro ambasciatore et del poco rispetto che mostrò nelle parolle (!) (25).

Per di più verso il prelato calabro-piemontese l’Olivares poteva avere un altro istintivo motivo di trattarlo con alterigia e degnazione, e trarre nello stesso tempo una piccola vendetta: l’esser costretto da contingenti necessità diplomatiche a dover talvolta impetrare, lui nobile e grande di Spagna, favori ed appoggi da quel cardinale di cui ben conosceva le modeste origini, che aveva creato la sua fortuna, la sua posizione mediante proprie forze, la propria intelligenza e la propria volontà; tutto ciò era per lui particolarmente irritante e penoso.

Figuriamo perciò come aveva dovuto ingoiare amaro allorché le sue pressioni e le sue lusinghe non erano bastate a far desistere il Lauro, che aveva di mira solo il bene della Chiesa, dal consigliare al Papa Sisto V un atteggiamento neutrale nelle elezioni polacche!

E continuando ad esaminar le cose da un tale angolo visivo possiamo considerare cause aggravanti dell’antipatia dell’Olivares anche le risposte non affermative che il cardinale era costretto a dargli, allorché in nome della Spagna bussava a soldi presso il Papa. E’ Lauro stesso che accenna a ciò in una lettera del 7 giugno 1589 diretta a Carlo Emanuele: a Roma in materia pecuniaria… si procede con tale parsimonia e circospettione che, come altre volte ho detto al Marchese di Settimo e anche al conte d’Olivares, non vi è strada di cavarne se non per mezzo de l’obbligo di qualche lega (26).

Con davanti agli occhi questi precedenti, visti ed ingranditi attraverso le lenti della personale antipatia, non doveva riuscire difficile al diplomatico spagnolo convincersi che, in fondo, il Lauro era tutt’altro che ben disposto verso di lui e verso la Spagna. Il fatto che aveva servito nei tempi passati Antonio di Navarra, che aveva in Francia molte amicizie e che godeva della stima dei Guise e dello stesso re, veniva considerato sotto questa luce e serviva a confermarlo ancor più nelle sue convinzioni. Per questo a nulla valsero le lettere e le raccomandazioni di Emanuele Filiberto che, ancora ai primi del 1591, scriveva al suo inviato: Gli direte [ad Olivares] che non accadeva, che havesse mandato la lettera, che gli scrisse la Infante a Sua Maestà, per che se avesse scritto a lei et a me, qual fosse il bon piacere et volere di S. M.à, ci saressimo acquetati, né passati più oltre a favorire il cardinale del Mondovì, come facessimo, per haverlo conosciuto, in tutto quello che habbiamo trattato, molto divoto servitore di S.M.à, né sapendo cosa alcuna in contario non potevamo mancare di reputarlo e tenerlo per tale (27).

In quanto al Lauro non pare che avesse fatto qualcosa per giustificare una tale interpretazione nelle sue azioni nei riguardi della Spagna. Se in materia pecuniaria il Papa rispondeva picche non era colpa sua ed in quanto al «negozio» polacco aveva agito secondo gli dettava la sua coscienza, non certo per ostilità verso la Casa d’Austria, in precedenza favorita, e tampoco verso la Spagna. Eppure non erano mancate occasioni di avvicinamento fra il Lauro e l’impetuoso rappresentante spagnolo.

Valgano per tutte, le trattative relative alla Scozia. Nel 1586 Sisto V aveva affidato al cardinal Lauro la protezione degli interessi del Regno di Scozia e di Maria Stuart; ed a questo suo «protettore» l’infelice regina, prima di sottoporre il proprio collo alla scure inglese, aveva rivolto l’estremo saluto ed espresso l’incrollabile determinazione di voler morire, come s’era sempre studiata di vivere, nella fede cattolica (28).

Il Tritonio aggiunge che, in quella lettera, Maria Stuart aveva dichiarato che qualora il figlio non si fosse mantenuto fedele al cattolicesimo, sul trono di Scozia sarebbe dovuto succedere Filippo II di Spagna; e che per questo il card. Lauro aveva convocato il conte Olivares affinché provvedesse a farla recapitare al suo re (29).

Non credo che una tal dichiarazione la regina avesse fatto al cardinale. Molti falsi col suo nome venivano recapitati in quei giorni! Tuttavia è certo che, sotto la spinta di Sisto V, irriducibile nel progettare soccorsi a Maria ed ai cattolici scozzesi, il Lauro e l’Olivares non poche volte si dovettero incontrare per discutere le modalità, anche se l’Olivares era convinto dell’assurdità di attaccare l’Inghilterra prima di distruggere l’eresia in Francia (30).

Ma evidentemente gli incontri non resero più fluide le loro relazioni, né servirono a modificare le idee che sul Lauro si avevano alla corte di Spagna. Ed adesso, proprio per l’opposizione di questa potenza, il nostro vede sfumare le proprie speranze alla rutilante cattedra di Pietro. Tuttavia regge con dignità alla delusione e umilmente mostra di adeguarsi alla decisione dell’apostolico consesso. Ma nel cuore gli rimane l’amaro della sconfitta, della quale rende partecipe il suo amico e patrono il Duca Sabaudo. Ecco infatti la sua prima lettera dopo l’elevazione di Gregorio XIV, inviata, lo si noti, a ben 22 giorni dalla chiusura del conclave:

«Havendo il Marchese di Settimo cò la solita diligenza supplito in dar conto a V. Altezza del progresso del Conclave passato, sarà cagione che io mi stenderò solamente in render a l’Altezza V. le gratie che devo de li benignissimi favori, che le piacque impiegare verso la persona mia in tale occasione nella quale il sodetto Marchese ha come nell’altre usata la fede, la divotione e la prudenza che si poteva desiderare maggiore, per l’avanzamento del servizio di V. Altezza; la quale può, cò la molta autorità sua, tanto più facilmente gittar per terra tutti i sinistri officii, già fatti e per farsi a l’avvenire de la banda di quà, quanto che li prefati offici non hanno alcun fondamento di verità. Ma la difficoltà sarebbe non picciola, quando l’impedimento postosi nella sede vacante sopra la persona mia procedesse, secondo che alcuni intendimenti credono, da la sola gelosia che s’ha, de la grandezza di V. Altezza, a cui bascio riverentemente le mani e pregole dal Signore il prospero capo dell’anno cò ogni felicità. Di Roma a li 27 di dicembre 1590» (31).

A questa lettera fa riscontro anche questa:

E’ tanta la benignità e grandezza de l’animo di V. Altezza che non ostante li sinistri officii ingiustamente continuati da chi non dovrebbe, ella non però punto diminuisce la solita sua real costanza in difendere e proteggere la sincera fede e natia divotion mia verso il servigio di Sua Maestà e perciò che spero, che V. Altezza in breve toccherà cò mano, che tali inventioni sono tutte bugie e calunnie formate da l’altrui ambitione e malignità, non dubito che col mezzo de la potente autorità di lei non s’abbia a render capace de la verità la santa e prudentissima mente di S. Maestà. In tanto non voglio lasciar di supplicar l’Altezza V. à credere che come io fò cò ciascuno aperta e libera professione di esserle obbligatissimo servitore, così riputerò per mio singolar contento l’havere occasione in tutti i tempi d’eseguire i comandamenti di V. Altezza.... Roma 18 febbraio 1591 (32).

Il destino tuttavia gli riserbava una soddisfazione. Nel luglio 1591 venne a Roma Alfonso II d’Este e chiese al Papa in qual maniera doveva regolare la propria successione. Mal consigliato, Gregorio XIV fece capire al principe estense che avrebbe gradito l’investitura di Filippo d’Este, invece che di Cesare. Filippo era infatti suo parente e godeva fama di filo-spagnolo; Cesare, invece, che era erede legittimo, veniva considerato un fautore della Francia. Alfonso II accondiscese accendendo di speranza gli spagnoli e gli Sfrondato. Nel concistoro che si tenne il 19 agosto parecchi cardinali biasimarono acerbamente questo nuovo atto di favoritismo verso la Spagna. Alcuni, anzi, spinsero il loro zelo nel far notare al pontefice che il caso rientrava fra le alienazioni vietate da una bolla di Pio V, che lui aveva dianzi confermato. In tal modo costrinsero Gregorio XIV a nominare una commissione per esaminare la questione e stabilire, o meno, l’applicabilità della bolla. A membri della stessa, il Papa elesse 13 cardinali fra i quali anche il Nostro. Riunitisi d’urgenza il 24 agosto ed esaminati il fatto ed il diritto, parlarono contro l’applicabilità della bolla. A membri della stessa, il Papa elesse 13 cardinali fra i quali anche il Nostro. Riunitisi d’urgenza il 24 agosto ed esaminati il fatto ed il diritto, parlarono contro l’applicabilità della bolla i card. Valiero, Lancellotti e Piatti; a favore dell’applicabilità, e quindi contro quanto aveva consigliato il Pontefice e speravano gli Spagnoli, parlarono il Lauro e l’Aldobrandini che, con ricchezza di argomentazioni e stringenti deduzioni, convinsero tutti gli altri della validità del divieto.

La delusione spagnola fu grande e grande l’ira. Gregorio XIV fu consigliato di tentare altre vie. Ma nella seduta della Congregazione dei Cardinali, tenutasi il 7 settembre, Vincenzo Lauro, sempre coerente con sé stesso, ed agendo in favore della giustizia e della religione, fornì nuovi e definitivi argomenti per il rispetto dell’ipotesi che la bolla di Pio V riguardasse solo i feudi scaduti, e per preparare la «costituzione» del 4 ottobre (1591) con la quale Gregorio XIV riconfermava la suddetta bolla anche relativamente all’alienazione dei beni della chiesa (33). Quanto, di ciò, rimanesse soddisfatto ed edificato l’Olivares si vide pochi giorni dopo.

Il 16 ottobre, infatti, papa Gregorio morì e si ricominciò a parlare di futuro Pontefice.

Benchè nominato Vicerè di Napoli e nonostante una «istruzione» di Filippo II, il conte Olivares rimandò la partenza per trasmettere al card. Mendoza, capo della fazione Spagnola in concistoro, l’ordine di ferma ed irriducibile opposizione ad una eventuale candidatura del Nostro (34).

Ma era fatica sprecata. Anche se non pochi cardinali puntavano sul suo nome, anche se il Duca e la Duchessa di Savoia avevano per tempo chiarito al rispettivo suocero e padre quali fossero i meriti e le idee del cardinale calabrese, ottenendo che cadesse l’ingiusto divieto nei suoi riguardi, Vincenzo Lauro aveva deposto ogni ambizione ed ogni speranza. A tal riguardo ricordiamo quanto il ministro sabaudo a Roma, Muti, scriveva al suo sovrano:

… Non si crede che vi debbiano concorrere havendoli fatta esclusione tanta aperta in conclave passato; né tampoco 21 [= Lauro] vi concorre, se ben mostra di concorrere (35).

De resto fin da principio apparve come più probabile la nomina del card. Facchinetti, per il quale Vincenzo Lauro si era battuto fin dal precedente Conclave. L’ex vescovo di Nicastro venne eletto il 29 ottobre e prese il nome di Innocenzo IX. Purtroppo anche questo papato fu di breve durata: appena due mesi. Nondimeno l’energia del Facchinetti rese possibile la riorganizzazione della Segreteria di Stato, che venne divisa in tre sezioni, e la restituzione della Congregazione Germanica, a membro della quale fu nominato anche il Nostro (6 novembre 1591). La Congregazione doveva riunirsi settimanalmente e rivolgere la sua attenzione alle cose di Germania (36).

Innocenzo IX, che aveva sempre lasciato in ansietà i medici e i familiari per la salute, dopo una breve malattia, morì il 30 dicembre (1591).

Nel darne notizia al Duca di Savoia, l’ambasciatore Muti quello stesso giorno scriveva che anche stavolta il cardinale Montalto pare che lui habbia pigliato a favore al detto Mondovì al quale S. Maestà (Filippo II) l’altra volta fece la esclusione et anco furente; per conoscere le istruzioni spagnole egli aveva cercato di cavare dal Duca di Sessa che ordine tiene sopra la Rovere et Mondovì e nonostante il riserbo gli era sembrato che l’inviato spagnolo non dimostrasse la solita ostilità, come invece continuava a fare l’Olivares che ostacolava tanto il Lauro quanto il Della Rovere (37).

Ma il Lauro era di diverso parere e non aveva più ambizioni. Probabilmente non era del tutto convinto che dalla parte spagnola non gli si opponesse qualche nuovo rifiuto. Evidentemente preferiva non dar più nell’occhio e seguire la corrente. Ciò, tuttavia, senza rinunciare a quelle che erano le sue direttive principali e i doveri verso i cardinali amici. Perciò nel Conclave si unì al partito di opposizione contro il filo-spagnolo cardinale Santoro e restò sempre passivo. Ecco come il diplomatico Muti descrive una fase altamente drammatica di quel Conclave:

«Sabato la mattina, li 22 gennaro 1591 (leggi 1592). Doi hore avanti giorno, con molta secretezza, si cominciorno le pratiche di Santa Severina, ma non potte esser tanto secreta che la parte contraria non fussi anco lei impiedi. Capo della pratica era Montalto con le sue creature; dall’altra parte era Sfrondato, Sforza, Alessandrino e Altaems li quali, insieme con Aragona, Colonna, Vecchio, Como, Paleotto, Salviati, Mondovi, Lancellotto, Ascoli, ecc… che in tutto facevano numero 16, che al esclusione mancava un voto essendoli mancanti 6 voti dei quali loro se promettevano ed avevano promessa, quali si redussero nella cappella di Sisto et tuttavia andavano mendicando un voto che li mancava; in tanto, havendo Montalto quasi per forza levato dal letto il cardinal Della Rovere, andorno 35 cardinali alla camera di Santa Severina e lo menorno in cappella Paulina dove si fanno li Papi; dove, essendosi assettati tutti come si sol fare, essendo il numero compito con voto dello stesso Santa Severina, e lo menorno in Cappella Paulina per far Papa. E mentre che entrorno dentro li mastri de’ Cerimonij e notarij per rogarse del eletione et andavano contando li voti ad uno ad uno, si levò su il card. Ascanio Colonna facendo la reverenza al altare, dicendo: «Io non lo voglio. Io non lo voglio. Io non consento» et uscì fuori di quella cappella et se ne andò in quella di Sisto, in compagnia del altri escludenti. Onde essendo rimasto detto cardinale di Santa Severina con solo 35 voti, ne li mancava uno al Papato. Vi fu gran disputa…» (38).

Sarebbe certamente interessante poter indagare nel profondo del Lauro per conoscere quale traccia avesse lasciato, nel suo animo di uomo tendenzialmente indipendente e mosso solo dallo scopo di bene agire per la maggior fortuna della Chiesa, la sorda, ingiustificata ed accanita lotta mossagli contro. Ma è un’indagine che non possiamo condurre a termine. E’ umano credere che almeno qualcosa sia rimasta, ma è impossibile valutare quanto essa abbia pesato sulle sue decisioni, senza dubbio dettate prevalentemente da fattori spirituali, politici e morali.

Negli ultimi anni, nonostante il sempre crescente numero e la gravità delle incombenze affidategli dai Pontefici, il lavoro da svolgere nelle Congregazioni delle quali faceva parte, i continui allarmi per la salute dei Pontefici e le emozioni dei conclavi (4 in 2 anni), il cardinale tropeano non cessò di occuparsi ancora delle cose del Piemonte e di fare quanto era nella sua possibilità per favorire il Duca. Sarebbe troppo lungo soffermarsi partitamente su questo. La corrispondenza intercorsa fra lui, Carlo Emanuele, la Duchessa Caterina e gli Inviati sabaudi a Roma è intensissima e zeppa di notizie al riguardo. Fin dai primi tempi della dimora romana Carlo Emanuele si serve di lui per chiedere di appoggiare i vari inviati sabaudi: Domenico Belli, il conte d’Ozegna, il cav. Arconato, ecc., e col peso della sua autorità nell’esplicare gli importanti affari ch’essi trattano, oppure di favorire nei limiti delle sue possibilità qualche personaggio in cerca di prebende (39).

Anche la Duchessa Caterina si rivolgeva sovente a lui per raccomandare persone ed affari (40).

Il Lauro dapprima mostrò molta solerzia nel sollecitare l’applicazione del «breve di Papa Gregorio intorno a la distribuzione de’ beni confiscati agli eretici», nel chiedere che fosse facilitato il compito degli «Illustrissimi del Santo Officio» e fossero «promosse le cose appartenenti a la conservazione de la fede cattolica et de la santa Inquisizione» (41).

Egli provvide – a sue spese – ad installare nei suoi priorati di Nantuà e Contamina, in Savoia, una missione di Gesuiti; ed appunto per questo affinché non si interrompa il profitto che si va facendo in beneficio di quelle anime per mezzo dei PP. Gesuiti, che da me si mantengono ordinariamente ne li prefati luoghi, non annuisce alla richiesta di Carlo Emanuele, di cedere i due priorati all’abate de la Bauma (42). In un secondo tempo egli si limita a questuare dal Duca qualche favore in prò di Mondovì e di Pinerolo, le città piemontesi a lui maggiormente legate da vincoli spirituali e materiali, ovvero a tutelare i suoi residui diritti sull’abbazia di S. Maria di Pinerolo ed i due priorati savoiardi (43).

Per la particolare, sebbene ristretta, importanza riporto questa lettera indirizzata alla duchessa Caterina:

[A] l’infanta donna Caterina, Duchessa di Savoia.

«Dovendosi nominare a la chiesa di Salerno uno del Regno di Napoli, vengo con questa mia a supplicare V. Altezza che le piaccia per mezzo di una sua lettera a la Ser.ma Infanta sua sorella raccomandare appresso la maestà del Re la persona di Mons. Giovanni Antonio Caracciolo di età di 40 anni, referendario residente in questa corte, e per anni con molta laude d’integrità di dottrina e di valore già adoperato da S. S.tà e ne la presente occasione approvato qui da  i Ministri Regi, e ancora nominato al Vicerè di Napoli.

Hora il favore sarebbe di tanto maggior efficacia quando l’Altezza V. restasse servita di metter in considerazione a S. M., oltra li meriti di esso Monsignore, li servigi del Conte di Nicatsro, suo padre, sempre fidelissimo e devotissimo Vassallo de la Corona Cattolica, havendo già il prefato conte servito in persona ne le guerre di Siena e del Tronto; e prima il suo avo ne la guerra di Lautrec; e per avanti gli altri suoi maggiori; donde per rimuneratione ottennero da i Re d’Aragona lo stato che di presente possedono; la qual cosa m’ha dato tanto maggior ardire di interporre l’umile mia intercessione appresso di V. Altezza a cui bascio riverente le reali mani, e pregole dal Signore il compimento d’ogni felicità. Di Roma a li 3 di luglio 1589 di V. Altezza Serenissima umilissimo e obbligatissimo servitor

Il Cardinale di Mondovì» (44).

L’ultima lettera del carteggio Lauro-Duchi di Savoia porta la data del 18 luglio 1592. L’interruzione della nutrita corrispondenza è certamente un sintomo delle non più buone condizioni fisiche. L’età, il lavoro, i travagli dei lunghi viaggi, le emozioni lo avevano molto indebolito nel corpo. Con l’inoltrarsi dell’autunno cominciamo ad avere le prime notizie di qualche indisposizione. Il Tritonio parla di una riluttanza da parte del malato alle medicine ed al medico. Ci consta invece che, avvertita, la Duchessa Caterina si preoccupò di fargli pervenire da Torino dei «medicamenti» che purtroppo giunsero dopo il decesso (45).

La malattia vera e propria si manifestò il 7-8 dicembre con febbre violenta. I medici gli ordinarono di stare a letto. Il 15 dicembre l’inviato sabaudo Buccio scriveva all’Infanta che s’era avuto un leggero miglioramento, sul quale tuttavia non bisognava sperare molto… Mi spiace dover dir che l’Ill.mo card. Mondovy stia con non poco pericolo, e, se ben oggi ch’è la settima, è sminuita alquanto la febbre, tuttavia essendo continua, con 70 anni alle spalle, non c’è sicurezza… (46).

Il Buccio non si sbagliava. Le cure affettuose e continue che gli prestavano i medici, i ministri della compagnia degli Infermi e lo stesso loro generale, S. Camillo de Lellis, assiduo al suo letto, non valsero a nulla. Il cardinale si era reso conto del suo stato, ma manteneva una serenità ammirevole ed incoraggiava i mesti amici con motti sul suo prossimo viaggio presso Dio.

Aggravatosi, volle far testamento nominando propri eredi i Ministri degli Infermi ed esecutore testamentario lo stesso Camillo, che, con un amore del quale può essere capace solo il cuore di un santo, aveva vegliato ed assistito in tutti i bisogni dello spirito e del corpo l’illustre infermo. A testimonianza della stima che nutriva verso la Compagnia di Gesù, lasciò al Collegio Romano la sua biblioteca ed un quadro della Vergine Addolorata «dipinto da Alberto Durer – scrive il Tritonio – con tanta espressione e tanta arte che pareva versasse lacrime vere e riempiva di commozione chi lo riminava». Questo dipinto, ai tempi del Tritonio e secondo la sua testimonianza, i Gesuiti lo cedettero a Clemente VIII.

Infine lasciò ai familiari ed ai servi i mobili, le suppellettili e gli arredi del Palazzo: ai nipoti, in più, l’eredità pervenutagli per la morte del fratello Marco.

Ad alcuni amici lasciò delle pensioni. Ad un figlio dell’ambasciatore Muti il priorato di Contamina.

Ordinò funerali senza pompa e lui stesso dettò il seguente epitaffio:

HIC IACET VINCENTIUS LAUREUS tt. S. CLEMENTIS, SANCTAE

ROMANAE ECCLESIAE PRESBYTER CARDINALIS

MONTISREGALIS NUNCUPATUS.

Spirò il 16 dicembre, dopo aver ancora una volta consolato i mesti amici ed il sacerdote che gli dava l’estrema unzione, dicendo queste parole sto per andare nella casa del Signore e ci vado in letizia (47).

Aveva quasi 70 anni. Fu seppellito nella chiesa di S. Clemente della quale portava il titolo cardinalizio (48).

Con lui si spense una delle più interessanti figure di prelato-diplomatico del XVI secolo ed uno dei maggiori calabresi di tutti i tempi: Uomo grande nella bontà, nella perspicacia e nella devozione ad una idea il servizio della Chiesa Cattolica.

 

NOTE

 

1)  Demetrio MARZI – Nuovi studii e ricerche intorno alla questione del Calendario. In «Atti del Congresso internazionale di scienze storiche» (Roma, 1-9 aprile 1903), Sez. II, Vol. III – Roma 1906 pg. 637 ss.; Anton Maria DI LORENZO – I Calabresi e la correzione del calendario. Roma 1897; Gaspare Stanislao FERRARI – Il Calendario Gregoriano. Roma, 1882; PASTOR, Op. cit., vol. IX, pgg. 203-312.

2) La relazione sottoscritta in tal giorno (Romae die festo exaltationis S. Crucis anno MDLXXX) porta al terzo posto la sottoscrizione di Vincenzo lauro, dopo quella del Sirleto e quella di Leonardo Abel, interprete del Patriarca di Antiochia. Documento in FERRARI, Op. cit., pgg 129-137 (appendice).

3) Arch. S. Vat., Nunz. Sav., XII, 251: Disp. 11 agosto 1581; GROSSO-MELLANO, Op. cit., I, 213.

4) Arch. S. Vat., N. Sav., XII, 369: Disp. 1 dic. 1584; GROSSO-MELLANO, I, 214.

5) PASTOR, Op. cit., Vol. IX, pgg. 204-206; V. LAURO – Ordine di reformatione del Calendario nel 1582, presso la Biblioteca Reale di Torino, misc. 94.

6) TRITONIO, Op. cit., pg. 69.

7) Id. Id. pg. 71.

8) PETRUCCELLI DELLA GATTINA – Histoire diplomatique des Conclaves. Vol. II. Paris, 1864. Pgg 249-252.

9) S. Camillo De Lellis (1550-1614). Torino, S.E.I., 1929. Pg. 116 sgg.: il racconto è ricavato dal volume di Sanzio CICATELLI – Vita del beato Camillo de Lellis. Catania, 1747: lib. I, cap. XVIII; vedi anche PASTOR, Op. cit., X, 106 ss.

10) CICATELLI, Op. cit., lib. I cap. XIX; VANTI, Op. cit., pg. 120; da ricordare che anche mercè il suo appoggio la congregazione ottenne una bolla «amplissima» e «singolarissimi privilegii» da Gregorio XIV il 21 sett. 1591. Cfr. Carlo SOLFI – Compendio historico della religione de’ chierici regolari ministri degl’infermi. Mondovì 1689. Pgg. 36-37.

Ricordiamo qui, che con S. Camillo il Lauro conobbe e praticò in quegli anni anche S. Filippo Neri. Cfr. Alfonso CAPECELATRO – La vita di S. Filippo Neri. Milano, 1884, vol. II, pg. 363.

11) PASTOR, Op. cit., X, 188.

12) Id. Id., X, 397.

13) Id. Id., X, 399-400.

14) Id. Id., X, 189-190.

15) Avviso dell’8 settembre 1590. Biblioteca A. Vaticana: Urb. Pg. 1058, pg. 454.

16) Lelio MARETTI – Il conclave di Gregorio XIV in «Tria conclavia», Francoforte 1617, e Conclavi dei Romani Pontefici, s.l., 1667, pgg. 225-280: PASTOR, Op. cit., X, 520.

17) MARETTI, cit.

19) A.S-T., Registri lett. Corte, N. 24, f. 77: Minuta da scriversi da S. Alt. Al Duca di Sesia et Conte d’Olivares, di suo pugno, separatamente…

Debbo avvertire che il raccoglitore del volume ha considerato la minuta come del 1592. La minuta è senza data; ma il 1592 non è una data probabile, sia perché il Lauro allora più non s’interessava ad una sua candidatura, sia perché non mi pare che Carlo Emanuele avrebbe insistito ancora coll’Olivares, che aveva pregato invano precedentemente e che sapeva irrimediabilmente ostile al Nostro. Del resto nello stesso titolo della minuta v’è un riferimento al pontificato di Sisto e bisogna supporre che ci si riferisca al conclave seguente. Riguardo le speranze del Della Rovere cf. la lettera dell’inviato Anastasio Germonio del 9 ottobre, indirizzata al Duca di Savoia. A.S.T., Lett. Min. Roma, marzo 12.

20) MARETTI – loc. cit.; PASTOR, Op. cit., X, 524.

21) Id. Id.

22) Il Tritonio (pgg. 76-77) scrive che il Lauro, a chi si stupiva dell’ingratitudine di alcuni suoi amici e suoi beneficati, e delle ingiurie e calunnie rivoltegli, rispondeva che un tempo anche Alcibiade era stato accusato di aver abbattuto una statua si Mercurio, pur non essendo notoria la sua pietà e la sua giornaliera devozione verso quella divinità.

23) Op. cit., 524.

24) Alessandro LUZIO e Giacomo SELLA – Sisto V e Carlo Emanuele I. In Atti della R. Accad. Delle Scienze di Torino, vol. LXVII (1927) pg. 48 ss. I due autori affermano che la missione del Duca di Sessa si informò a questo consiglio; ma non ci pare.

25) PASSAMONTI – Le «Istruttioni» di Carlo Em. I. cit, doc. VIII.

26) A.S.T., Lettere Cardinali: mazzo 5, Lauro.

27) PASSAMONTI, Op. cit., Documento citato (VIII).

28) TRITONIO, Op. cit., pg. 72, PASTOR, (Op. cit. X, 296) scrive di una lettera diretta al Pontefice, in data 23 Nov. 1586, ma non accenna ad alcuna diretta al Lauro.

29) TRITONIO, Op. cit., pg.73

30) KERVYN DE LETTENHOVE – Marie Stuart. Paris, 1889, Vol. I, 107.

31) A.S.T., Lett. Card., mazzo 5, Lauro al Duca il 27 dic. 1590.

32) A.S.T., Lett. Card., mazzo 5, Lauro al Duca il 18 febr. 1591.

33) PASTOR, Op. cit., X, 555-556.

34) Mi sembra non inutile far notare la condotta ambigua ed ingannevole dell’Olivares anche verso l’altro cardinale sabaudo, del tutto ignaro del doppio-giochismo spagnolo. Ecco infatti cosa scrive alla Duchessa di Savoia il card. Della Rovere il 27 ottobre…. Siamo entrati in Conclave, dove li sigg. Duca di Sessa et conte di Olivares, con il sig. card. Di Mendoza, sono venuti a vedermi nella mia cella… [restando d’accordo] che il sig. Card. Suddetto teneva ordine di servirmi, e quanto ribadisce in altra lettera, due giorni dopo, all’augusta corrispondente: Hora le dico… nel collegio tra’ Cardinali non vi mancano di molti che si dimostrano ben disposti di dare soddisfattione a V. Altezza… Hoggi il Duca di Sessa et il sig. Conte di Olivares sono stati a visitarmi; et [mi hanno] detto assai della buona volontà di S.M. verso di me. (A.S.T., Lett. Card., mazzo 13: il 27 ed il 29 ottobre).

35) A.S.T., Lett. Ministri Roma, mazzo 12; Muti al Duca il 15 ott. 1591 [Parzialmente in cifra].

36) Biblioteca A. Vaticana, Urb. 1059, II, 597 b.

37) A.S.T., Lett. Ministri Roma, mazzo 13. Lettera in parte cifrata, e allegata ad altra con data 30 dic. 1591.

38) A.S.T., Lett. Ministri Roma, mazzo 12.

39) A.S.T., Lett. Card., mazzo 5: Lauro al Duca il 21 genn. 1586, il 7 e il 19 sett. 1588 (circa la richiesta di un sussidio), il 3 ottobre (2 lettere) ed il 22 ottobre 1588 (in una delle due prime si compiace della liberazione di carmagnola e Centallo, l’ultima riguarda il «negozio» del Monferrato), del 7 giugno 1589 (in risposta ad una delle consuete petizioni di danaro), del 24 marzo 1590, del 14 maggio 1592, ecc.; vedi anche le «istruttioni» pubblicate dal PASSAMONTI, citato, (in particolare la IV dell’ultima di giugno 1585 riguardante l’appoggio del Card. alla richiesta di un soccorso papale per l’impresa di Ginevra; l’VIII e la IX del 1591, la X del 1592 in cui comunica di aver ottenuto un soccorso di 10 mila scudi e manovra per ottenere altri); ed anche in LUZIO e SELLA – Sisto V e Carlo Em. I, citato, le lettere di Sisto V, che dava al Duca sabaudo notizia di quanto avesse operato in suo favore il cardinale del Mondovì «per la successione di V. Alt. In Francia».

40) A.S.T., Lett. Card., mazzo 5: Lauro alla Duchessa il 12 maggio ed il 3 luglio 1591; il 23 nov. 1591; il 30 maggio 1592, ecc.

41) A.S.T., Lett. Card.: mazzo 5: Lauro il 5 sett. ed il 5 ott. 1587.

42) A.S.T., Lett. Card.: mazzo 5: Lauro il 24 marzo 1587.

43) A.S.T., Lett. Card.: mazzo 5: Lauro il 16 ott. 1588, il 7 agosto 1589, il 7 aprile ed il 1 giugno 1590 (vescovato del Mondovì), il 13 aprile, il 30 maggio,  2 giugno, 18 luglio 1582.

44) A.S.T., Lett. Card., mazzo 5.

45) TRITONIO, Op. Cit., pgg. 80-81; A.S.T., Lett. Min. Roma, mazzo 15: Muti il 2 gennaio 1593.

46) A.S.T., Lett. Ministri Roma, marzo 15.

47) TRITONIO, Op. cit., 83; A.S.T., Lett. Min. Roma Muti il 21 dic. 1592; VANTI, Op. cit., 217; Arch. Stor. Pinerolo, Cat. I, 135 ter.: Atti… avanti il Senato di Torino…

48) Camillo De Lellis, esecutore testamentario, non credette opportuno rispettare integralmente la volontà del suo benefattore, che aveva stabilito esequie modeste. Richiese ed ottenne dal Papa una deroga e volle onorare il defunto con un funerale solennissimo, al quale invitò a partecipare anche la maggior parte dei suoi confratelli, insieme ai quali, poi, assistette alla tumulazione. Egli ordinò inoltre particolari suffragi per l’anima del defunto in Roma ed in Napoli, e dispose che il suo ritratto venisse conservato in un luogo decente della Casa. Funzioni funebri vennero effettuate anche a Mondovì, a Pinerolo ed altrove.

 

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56^/57^ Tornata Gen/Feb 2011 - Mar/Mag 2011

VINCENZO LAURO

di Antonio Francesco Parisi

INDICE
|  Biografia  |  Prefazione | 
La città natale, la famiglia, l'infanzia, i primi studi, i primi impieghi  
|  Le prime esperienze e i primi incarichi |
Da medico dei corpi a pastore di anime  |  Nunzio in Scozia  |
La prima Nunziatura in PiemonteLa Nunziatura in Polonia  |
Il "tutore di Carlo Emanuele" (1580 - 1585) - La nomina a Cardinale

| Il Cardinale del Mondovì Abate di Pinerolo |
|Il mecenate - I suoi rapporti con Caro, B. e T. Tasso, Speroni, Botero, e altri  |
Il periodo romano - La morteBibliografia essenziale |