Cardinale François de Tournon (1489 - 1562)

Le prime esperienze ed i primi incarichi

 

di Antonio Francesco Parisi

 


Se il servizio prestato a favore del cardinal Gaddi fece perdere il giovane Lauro verso il partito filo-francese, il successivo servizio sotto il cardinale e principe Tournon nel confermare quell’orientamento, gli aprì le porte del complesso mondo della diplomazia europea e segnò l’origine della sua fortuna.

Per questo è necessario tralasciare momentaneamente il filo principale della biografia e dare un fuggevole sguardo alle grandi vicende che turbavano in quel tempo l’Europa, ed anche all’opera diplomatico-religiosa del cardinale Tournon; la conoscenza del Tournon servirà a spiegarci parecchie posizioni del Lauro vescovo e legato apostolico.

Com’è noto il secolo XVI fu caratterizzato da un movimento spirituale così vasto e profondo da influenzare enormemente l’ulteriore svolgersi della civiltà: la Riforma e la Contro-riforma. Un complesso di cause materiali e spirituali avevano prodotto in Germania un senso di irrequietezza e d’insoddisfazione, che le forme superficiali del cattolicesimo dell’epoca non riuscivano a soddisfare, e che il comportamento di parecchi prelati e religiosi contribuiva ad aggravare. In questo teso stato psicologico scoppia, fatale, lo scandalo dell’indulgenze. Il pontefice Leone X, bisognoso di danaro, con bolle del 13 settembre e del 18 ottobre 1517, aveva concesso ai fedeli la remissione dei peccati per sé e per le anime dei trapassati a condizione che compissero le opere prescritte per il Giubileo o che almeno versassero un obolo per il compimento della basilica vaticana. In Italia la predicazione venne accolta col solito indulgente scetticismo. In Germania invece, ove l’impresa era stata affidata all’arcivescovo di Magonza, Alberto di Brandenburgo, assunse un carattere essenzialmente commerciale, operando persino in cooperazione con una banca, la ditta Fugger, e valendosi di mezzi, i più pratici e spicciativi, anche se talora sfrontati. E finì col trasformarsi in un grave scandalo. Scandalo che trovò il terreno favorevole per svilupparsi ed alimentarsi in quel latente sentimento antiromano, mai spento, e che gli eventi contribuirono ad ingrandire.

Contro questo scandalo si leva la voce di Martin Lutero, il quale gradatamente allarga l’orizzonte delle sue accuse e, sostenuto da sempre maggior numero di Università, ordini religiosi, Signori laici e credenti, dall’esecrazione del mercato delle indulgenze passa alla critica dell’intero sistema e della gerarchia ecclesiastica, ed alla diretta accusa del Papa. Nelle parole di Lutero la Germania sente esprimere la propria anima, affermare la propria individualità, manifestarsi la forza della nascente nazionalità. La chiarezza e potenza delle idee novatrici, tuttavia fu tale, che in pochi anni esse superarono i confini degli stati tedeschi, e fatte conoscere da ardenti seguaci penetrarono negli stati limitrofi: Olanda, Svizzera, Ungheria, Austria, Inghilterra, Francia, Boemia, percorse dagli appassionati apostoli delle nuove dottrine videro in poco tempo crescere vertiginosamente il numero degli adepti protestanti.

Di fronte a questo cataclisma sovvertitore, il Papato ebbe un attimo di smarrimento e d’incertezza, ma poi si riprese, prima controbattendo, e poi passando addirittura all’offensiva per riconquistare vecchie e nuove posizioni. Certo gli sarebbe stato utilissimo l’appoggio incondizionato dei sovrani cattolici ed in particolare del re di Francia e dello imperatore Carlo Quinto. Questi, però, impegnati in una lunga ed estenuante guerra fra di loro, non sempre si mostrarono condiscendenti alle necessità del Papa. Il prestigio e l’abilità del cardinale de Tournon riuscì infine a far assumere al proprio re, Francesco I, un atteggiamento intransigente; ma l’imperatore non sempre si dimostrò solerte nel favorire Roma, anzi quando i suoi interessi non collimarono con quelli della S. Sede non mancò di servirsi dei protestanti per combattere il Papa ed i suoi alleati. Cosa che accadde dopo il disastro francese a Pavia (febbraio 1525); quando la soverchia potenza imperiale cominciò a dar ombra alle altre potenze e, dopo intense trattative, il papa Clemente VII, il re Francesco I, Venezia e Francesco Sforza a Cognac, il 22 maggio 1526, firmarono un trattato di alleanza diretto contro l’impero, Carlo V lasciò che le truppe imperiali, formate in gran parte da luterani, mettessero a sacco Roma.

I reciproci interessi riavvicinano il Papa e Carlo V, entrambi miranti, se non allo stesso modo, alla riappacificazione della Germania e alla sua unità di fede. A questo scopo venne convocata nel 1530 dallo imperatore una dieta ad Augusta, che si concluse con un fallimento: da parte cattolica si mostrò un atteggiamento intransigente ed anche la moderata confessione presentata da Melantone venne rigettata. Altri provvedimenti antiriformistici venivano emanati da Carlo V. Erano misure inutili: la Riforma aveva percorso troppo cammino e non poteva ormai tornare indietro. Per meglio coordinare la loro difesa i seguaci  di Lutero si uniscono in una lega, che non ha soltanto intendimenti religiosi, ora giovandosi dell’appoggio francese, ora dei contrasti fra l’imperatore e la Chiesa, come pure delle difficoltà imperiali durante la guerra contro i Turchi. Così essi possono consolidare le loro conquiste dottrinali e territoriali e nello stesso tempo sostenere la reazione delle forze cattoliche.

Il dissidio franco spagnolo, che tanta influenza ebbe nella prima metà del secolo, sorse perché mentre Carlo V alimentava l’egemonico sogno di un dominio europeo, Francesco I, che si trovava alla testa di una nazione che attraversava un momento di grande floridezza e di promettenti sviluppi, si trovò costretto ad opporvisi; del resto anche Carlo V non poté non contrastare il disegno francese di fare dei possedimenti italiani il fulcro di una più vasta espansione. Il re francese alleandosi di volta in volta col Papa, coi signori italiani, coi Turchi, coi tedeschi riesce, malgrado numerose e schiaccianti sconfitte, a salvare il trono, ed il posto della Francia di grande potenza europea.

Uno dei principali artefici di questa politica francese fu proprio il cardinale de Tournon, il quale anche in momenti difficili seppe conciliare l’interesse della nazione e quello della religione, pur mostrandosi talvolta troppo inflessibile nei problemi della fede per poter essere considerato sempre all’altezza della situazione (1).

Egli nacque l’anno 1486 da Giacomo, conte de Roussillon ed uomo d’arme morto in combattimento in Italia, e da Giovanna di Polignac, che per prematura morte del marito si occupò dell’educazione dei numerosi figli, avviando il quintogenito Francesco alla carriera ecclesiastica. Fin dai primi anni lo vediamo occupato nel soccorso dei poveri e degli ammalati; poi viene accolto nell’abbazia di S. Antonio, nel Delfinato, e poco dopo aver compiuto il 25° anno di età è nominato superiore di S. Antonio en Forest. Ricopriva questa carica, quando fu presentato a Francesco I, di passaggio per Lione, diretto in Italia. Non seguiremo la carriera di Francesco di Tournon, abate della badia de la Chaise Dieu, poi arcivescovo d’Embrun, di Bourges, di Auch ed infine di Lione. Accenneremo solo al fatto che sin dai primi anni del vescovato si trovò di fronte al problema dei protestanti, dapprima i Valdesi e poi i Calvinisti, e che fin d’allora maturò l’idea che la loro pericolosità per l’unità della fede non doveva essere sottovalutata, ma bisognava combatterla coll’arma della persuasione prima, e poi, contro gli irremovibili, inflessibilmente coi mezzi più duri.

Era ancora arcivescovo d’Embrun, nel 1526, quando venne chiamato dalla regina madre, Luisa di Savoia, ed ebbe affidato l’incarico di negoziare a Madrid la liberazione del re, fatto prigioniero nella battaglia di Pavia. D’allora prese parte ai principali avvenimenti della Francia, capeggiando numerose delegazioni, dirigendo la politica e trattando anche dei matrimoni: quello di Eleonora d’Austria con il re Francesco I e quello di Caterina de’ Medici con il delfino Enrico II. Con il primo sperava di portare un decisivo contributo alla pacificazione europea e col secondo di procurare un avvicinamento fra la Francia ed il Papa. Eletto cardinale nel marzo del 1530 ebbe sempre consapevolezza della delicata posizione derivantegli dall’essere un principe della chiesa, e gran parte della sua attività diresse a smorzare ogni motivo d’attrito fra la corte francese e quella romana e perciò a neutralizzare, colla sua influenza presso il re, il protezionismo accordato ai protestanti della principessa Margherita, sorella di Francesco I.

Alla morte di Francesco I, Enrico II non gli si mostrò grato del matrimonio combinatogli e non volle seguire i consigli paterni di tenerne cari i servigi: l’influenza del Tournon, tenuto quasi sempre in disparte, scemò. Ma fu ugualmente adibito a delicate missioni presso la corte papale, ove la sua attività in favore della Francia fu tale che – secondo ne scrive il Fleury – il re fu forzato a nominarlo ministro di Francia a Roma.

E’ appunto in questo periodo, che il Tournon trascorse fra Venezia, donde cerca di agevolare l’afflusso di truppe svizzere ausiliarie, che attraversano il bresciano veneto, dovevano rinforzare i contingenti francesi destinati a sostenere i diritti dei Francesi a Parma, e Roma, ove negozia con Giulio III, è in questo periodo che egli prende al suo servizio qual medico e segretario particolare il giovane Lauro. Di questa assunzione il Tritonio scrive: «Avendo il Gaddi lasciato il mondo dei vivi, molti fecero a gara per offrire a Vincenzo (Lauro) il loro patrocinio. Vinse il cardinale francese Francesco (de) Tournon, uomo altamente chiaro per antica nobiltà e per proprie virtù il quale protesse Vincenzo, trattandolo più come un secondo fratello che non come un semplice familiare» (3). Pur rinunziando a prestar fiducia alla notizia della gara fra gli offerenti, possiamo pensare che il giovane medico ebbe la possibilità di scegliere fra varie offerte e fu lieto di accettare quella del prelato francese, che egli conosceva e dal quale era stato conosciuto mentre serviva il Gaddi. Pare che già il Lauro fosse al seguito del Tournon nel febbraio 1552 quando il cardinale si recò a Roma e vi si fermò oltre due mesi per appianare le relazioni fra Enrico II ed il Papa riuscendo alla fine a concordare un armistizio di due anni, col quale poté salvare, coi Farnese, l’influenza francese in alta Italia, lasciando in cambio che il Papa riprendesse alcune prerogative ecclesiastiche in Francia, già sottrattegli dal re. Sottoscritti gli accordi il 15 aprile, circa un mese dopo, al seguito del Tournon, il Lauro si recava per la prima volta sotto il bel cielo di Francia.

Ma quelli sono anni di continui spostamenti per il cardinale, che fa la spola fra la corte di Francia e quella di Roma, ed il Lauro lo segue dappresso conoscendo così un’infinità di gente e prendendo vivo interesse alle sue molteplici attività. In verità il regno di Enrico II rappresenta nella vita del Tournon uno dei periodi politicamente meno brillanti, ma le sue relazioni restano vastissime e i suoi consigli sono tuttora apprezzati in molti ambienti. Specialmente in questi anni egli lega il proprio nome ad iniziative culturali di rilevante importanza, cui anche il suo medico-segretario dona un suo contributo, sovente notevole. Egli aveva già promosso la costituzione della Biblioteca e dell’«Imprimerie» reali e fondato, sempre sotto Francesco I, le cattedre di lingua greca ed ebraica alla Sorbona, oltre a dei colleghi nella città da lui dipendenti. Ma la massima aspettativa e le maggiori speranze egli riponeva nella creazione, avvenuta nel 1552 a Tournon, di un collegio destinato a radunare – come scrive G. G. Eggs – uomini coltissimi ed eccellenti in tutte le umane discipline, e per il quale aveva chiesto tanto al re quanto al Papa il riconoscimento della qualifica d’Università (4). Perciò aveva fatto edificare uno splendido edificio ed aveva chiamato a far parte della scelta accademia oltre al Lauro, che però figurava solo di nome, l’insigne filosofo Denis Lambin, il celebre ellenista Pietro Danès, Francois Vatable, Guglielmo Budée, Marcantonio Muret e parecchi altri. Molti altri letterati egli lega a sé con doni, con favori oppure retribuendoli con larghezza e regolarità per traduzioni, poesie od altri lavori, non escluse le informazioni di carattere riservato  e politico. Tra questi ricorderemo Annibal Caro, Bernardo Tasso, A. Du Ferrier, il Lascaris. Con tutti costoro il Lauro fa da intermediario, si interessa per le ricompense, presenta ora questo ora quel lavoro, raccomanda ora questo ora quell’altro e non manca di dare dei consigli estetici. Le sue lettere e quelle dei suoi corrispondenti, specialmente il Tasso, lo Speroni, ecc. sono piene di testimonianze in merito. Del resto se si pone mente a quanto scrive il De Thou, che il Tournon non era uomo di lettere, ma aiutava i letterati solo per nobiltà di carattere e per fasto, appare più evidente quanta influenza potesse esercitare il Lauro sul Tournon in questo campo.

Una lettera di bernardo Tasso del 12 agosto 1558 ci rende inoltre edotti che in quegli anni il Nostro frequentava anche la corte e godeva della particolare amicizia della principessa Margherita di Valois sorella di Enrico II (5).

Intanto la ripresa delle operazioni militari contro l’impero porta Enrico II e la Francia al disastro di S. Quintino (1557) e poi alla pace di Chateau-Cambresis (1559); con questo trattato si stabilisce, fra l’altro, il matrimonio di Elisabetta, figlia di Enrico II, con Filippo II, e di Margherita di Valois con Emanuele Filiberto di Savoia. Durante le feste del duplice matrimonio il re muore per un accidente capitatogli in un torneo, e sul trono di S. Luigi sale il quindicenne Francesco II. Sotto questo re ed il successivo, il Tournon, pur non riacquistando la autorità goduta al tempo di Francesco I, è di nuovo in auge e riprende a frequentare con maggior frequenza la corte. Francesco UU, è del tutto dominato dalla giovanissima sposa Maria Stuart, a sua volta diretta dagli zii Francesco e Carlo di Guise, il primo uomo d’arme ed il secondo cardinale. I Guise sono quindi quelli che in realtà detengono il potere e sono i capi del partito cattolico. Essi fanno immediatamente riammettere il Tournon nel Consiglio della Corona, mentre gli antagonisti lavorano e si agitano a favore delle idee riformiste, tingendo così d’un colore politico quello che era soltanto un movimento religioso.

Questi antagonisti non sono pochi. Comprendono buona parte della nobiltà insofferente della soverchia potenza dei Guise; il principe Antonio di Borbone, re di Navarra, e la moglie, l’ammiraglio Gaspare di Coligny, il principe Luigi di Condè sono i principali esponenti e il loro protezionismo dona ardire a tutta la fazione.

Contro i Guise viene preparata una congiura, quella famosa d’Amboise; ma la reazione del cardinale è dura e tremenda. Anche il Tournon fu costretto a prendere severe misure per arrestare i progressi calvinisti nella sua diocesi e nelle sue terre. Scrive il Fleury che l’audacia dei protestanti era giunta a tanto che il cardinale durante la visita ai suoi feudi venne accolto con schiamazzi e fischi mentre gli alunni del suo collegio gli gridavano: «Papista». Prostrato dalla delusione, il cardinale dopo essersi amaramente lamentato col rettore del collegio, Jean Pélisson, ed aver rimproverato con asprezza il corpo insegnante, non sapeva che altro fare. Fu allora che intervennero Vincenzo Lauro e Pietro de Villars per sottoporgli un loro progetto: lasciar liberi gli attuali insegnamenti e cedere il collegio ai padri gesuiti; questi, a parere del Lauro, avrebbero dato ampie garanzie contro lo espandersi del calvinismo. Il Tournon accettò il consiglio e dette incarico al suo medico-segretario di scrivere a Giacomo Lainez, allora Generale dei Gesuiti, ed offrire il collegio. Sebbene, da quanto scrive il Fleury, possa apparire che la proposta del Lauro e del Villars fosse improvvisa, il fatto stesso che furono in due ad esprimerla induce a pensare il contrario. Del resto, come sappiamo dal Sacchino, e come si può arguire dalle lettere intercorse fra loro, il Lauro ed il Lainez erano in continua relazione epistolare per cui il Nostro approfittò dell’occasione opportuna per favorire i suoi amici gesuiti (6). La lettera coll’invito di venire in Francia e l’offerta del collegio porta la data del primo ottobre 1560: il 3 maggio dell’anno seguente i padri gesuiti si stabilivano a Tournon.

A Francesco II, morto 15 mesi dopo l’incoronazione, succedeva nel frattempo Carlo IX (5 dic. 1560); ma il potere effettivo dei Guise passava nelle mani della regina Caterina de’ Medici. Pare che fosse stato proprio il Tournon a suggerire alla regina di assumere la reggenza del regno, cui tendeva, e ne aveva diritto, Antonio di Borbone. Ma il re di Navarra non si era ancora decisamente staccato dal partito filocalvinista ed i cattolici non nutrivano piena fiducia in lui. La regina gli concesse, in cambio, il titolo prettamente onorifico di Luogotenente Generale; anche il partito cattolico fece di tutto per legarlo a sé, approfittando delle sue aspirazioni a quella parte del regno di Navarra che era stata annessa pochi decenni prima della Spagna. Tuttavia la situazione francese era ben lontana dall’essere calma e chiara. La fazione dei Guise, anzi, temendo d’essere del tutto estromessa, decise di ricorrere all’aiuto straniero e rivolgersi al re di Spagna.

E qui torna in campo il Lauro, al quale venne affidato l’incarico di iniziare le trattative. Il Nostro ancora una volta pensa di servirsi di Giacomo Lainez per sentire le intenzioni di Filippo II e, poi, procedere; ma l’intervento dell’ambasciatore spagnolo in Francia, il quale si affretta a dichiarare che il suo re non avrebbe prestato orecchio alla richiesta, fa cadere le speranze, ed il Lauro rientra momentaneamente nell’ombra.

L’indecisione e l’indifferenza che la regina mostrava per i problemi religiosi dette animo ai protestanti; e la liberazione del principe Condé, incarcerato per aver ordito una congiura contro i Guise, fu dal partito cattolico, come pure l’editto fatto approvare dal governo il 12 calvinisti ebbero modo di rallegrarsi in seguito, a motivo della politica interna di Caterina. I Guise allora cercarono di trar partito dall’indecisione di Antonio di Navarra e, colle promesse, trarlo dalla loro parte. Anche il Papa, Pio IV, seguì questa via. E così Antonio di Borbone finì per staccarsi, se pur lentamente dai suoi vecchi amici ed unirsi ai  Guise. Già al colloquio di Poissy – secondo quanto ha dimostrato il Merki – egli difendeva in privato, presso la regina gli interessi dei Guise. Questo colloquio o concilio di Poissy indetto dal governo per la fine di luglio in quella località sotto la presidenza del re e durato sino ai primi d’ottobre colle sue varie sedute, segnò un’altra sconfitta del partito cattolico, come pure l’editto fatto approvare dal governo il 12 settembre, col quale venivano annullate le collazioni dei benefici in Francia e vietato l’invio del danaro a Roma.

Tuttavia da notare che neanche gli innovatori ottennero dall’ammissione al concilio i frutti sperati ed anzi qualche frase del discorso di Beza conseguì un effetto opposto all’intenzione; persino qualcuno dei suoi stessi seguaci la giudicò inopportuna. Nondimeno essi ottennero ancora un altro successo con l’editto del 17 gennaio 1562 di tolleranza verso il loro culto. Fu questo per i cattolici un duro colpo e i cardd. Guise e Tournon l’attribuirono alla soverchia moderazione ed all’indecisione del delegato pontificio. Il Papa, addolorato anche lui, dando ascolto ai due cardinali, scrive al d’Este di mostrarsi più fermo sia a Corte sia con il re di Navarra, e a quest’ultimo fare pure la promessa che si cercherà di soddisfarlo se si mostrerà decisamente cattolico. Ed era ora; perché i protestanti si apprestavano a passare all’offensiva.

Il Tournon, però, la cui salute già dal principio del 1559 non era più ottima, a causa del soverchio lavoro e delle non poche preoccupazioni, rapidamente declinava. L’assemblea di Poissy, della quale era stato anche presidente e dove i suoi interventi, talvolta teatrali, furono sempre all’altezza della situazione, i dissidi sulla politica del cardinal d’Este ed i dispiaceri dell’editto sulla libertà di coscienza, aggravarono le sue condizioni. Gli riesce di condurre ancora in porto un’altra pratica, quella dell’ammissione dei P.P. Gesuiti in Francia, ma le sue condizioni lo tengono lontano dalla corte. Non è presente – a quanto scrive il Fleury – all’assemblea dei notabili che fu aperta a Sant Germain al principio del 1562. Ormai sentiva vicina la sua ultima ora e l’aspettativa nel suo ritiro a S. Germain en Laye, quasi ricusando le affettuose cure del devoto Vincenzo Lauro. E là lo colse la morte il 21 di aprile del 1562 mentre al capezzale ne piangevano la dolorosa perdita il gesuita Pollanco, il Lauro e molti altri da lui beneficati.

Terminava così per il Nostro un decennio ricchissimo di insegnamenti, di esperienze intimamente vissute, e non parco di soddisfazioni. Aveva potuto farsi apprezzare in ambienti influenti, conoscere re, regine, principi, cardinali e ministri di stato, uomini di spada e uomini di lettere, gente che in gran parte nutriva ormai per lui molta stima, e qualcuno anche affetto. Egli era divenuto – come scrive il Tasso forse con un po’ di adulazione - «quel gentiluomo… le cui rare ed onorate qualità meritano, che la sua amicizia sia desiderata».

In premio dei suoi fedeli servigi il Tournon gli volle far dono di due pingui priorati: quello di Nantuà e l’altro più importante e dovizioso di Contamina. (7) La donazione costituì per il Nostro non soltanto un gratissimo ricordo, bensì anche un’importante riserva economica, alla quale attinse specialmente negli anni della legazione polacca e che fu sempre molto restio a cedere. Orbato di tanto patrono niente altro – ci racconta il Tritonio – desiderava Vincenzo Lauro che tornare in Italia al più presto e vivere tranquillo e dedicarsi agli studi preferiti.

Diversamente, invece, il destino aveva deciso per lui. Egli voleva tornare in patria, ma il cardinale Ippolito d’Este, legato pontificio, gli offriva, e con una certa insistenza, impiego e protezione; lo stesso si erano offerti di fare tanto la regina Caterina de’ Medici, quanto Antonio Vandome re di Navarra, il cardinale di Lorena Carlo Guise ed il connestabile Anna Montmorency: tutti però erano incarichi che lo avrebbero costretto a rimanere in un paese nel quale erano chiari ed evidenti i segni premonitori di una guerra civile. Perciò il Lauro aveva quasi scelto di mettersi al seguito del cardinale legato, che gli dava speranza di un non lontano ritorno in Italia. Ma a questo punto intervennero il duca Francesco di Guise e l’altro capo dei cattolici francesi, Giacomo d’Albon maresciallo di Saint André, i quali avendo giudicato che sarebbe stata opportunissima cosa mettere al fianco del re di Navarra una persona di piena fiducia del partito stesso, che sapesse consigliare l’irresoluto principe, rivolsero le loro attenzioni sul giovane calabrese, convenendo che nessuno meglio di lui potesse assolvere quel compito tanto delicato. All’invito dei due capipartito, si unirono poco dopo le pressioni esercitate dal legato pontificio, dal cardinale di Lorena, dal Generale dei Gesuiti e pure dallo stesso confessore del Lauro, il gesuita Giovanni Polanco. Nondimeno il Lauro era ugualmente restio ad accettare, e solo dopo molte insistenze, colle quali gli si fece capire che avrebbe potuto conseguire notevoli risultati per la religione ed anche per sé e che le prospettive potevano essere ancor migliori qualora il Navarra avesse ottenuto un trono, dette la propria adesione.

Il Tritonio riporta un discorso che all’indomani della sua assunzione egli avrebbe  rivolto al Navarra. Era giunta al re una lettera con notizie poco favorevoli circa il sollecito espletamento della sua pratica di compensazione delle terre sottrattegli da Carlo V, ed il Navarra, adirato, imprecava contro il re Filippo II e contro il Papa Pio IV che lo tiravano per le lunghe. Non aveva tutti i torti: dalla pace di Chateau-Cambrésis egli protestava e reclamava il suo regno; ma da parte spagnola né Carlo V né Filippo II gli avevano dato retta e da parte del pontefice non poteva neanche ritenersi soddisfatto. Aveva, infatti, inviato, a Roma, verso la fine del 1560, un rappresentante per dimostrare obbedienza, ma Pio IV dopo aver differito a lungo, solo il 14 dicembre acconsentì a riceverlo pubblicamente; poi avendo il re rimandato quale inviato permanente lo stesso Pietro d’Albret, il Papa, al quale Filippo II aveva espresso energiche proteste contro il ricevimento del 14 dicembre, fu costretto ad un abile armeggio diplomatico per rimandare indietro il d’Albret senza rompere i ponti col Navarra. Però nell’inviare in Francia il cardinale d’Este, Pio IV non mancò di raccomandargli di blandire quel re, facendo anche qualche concessione. Tuttavia in pratica il Navarra era al punto di prima, e da ciò la sua ira.

A quanto scrive il Tritonio, Vincenzo Lauro avrebbe fatto osservare al re che non aveva alcun motivo di prendersela col Papa e con Filippo II; la colpa era tutta sua che non aveva dato alcuna prova di fedeltà alla Chiesa e non aveva voluto troncare le mene che lo legavano ai protestanti. Mutasse davvero le sue idee e la sua politica, servisse il superiore interesse del cattolicesimo, mostrasse coi fatti di essere il difensore della religione e si accorgerebbe che sia il Papa sia Filippo lo avrebbero favorito. Proprio in quei giorni i calvinisti avevano occupato varie città della Francia, si mettesse lui, Antonio di Navarra, in testa ad una schiera di cattolici per scacciarli da quelle e dalle altre città; poi avrebbe potuto seriamente pretendere che il Pontefice si interessasse delle sue cose e, se non proprio i territori della Navarra occupata, Filippo gli avrebbe potuto cedere il regno di Tunisi e, nel frattempo, la Sardegna.

Non credo che il Lauro già all’indomani della sua assunzione in servizio, rivolgesse al suo patrono un tale discorso: ma quei concetti certamente gli espresse al presentarsi di occasioni favorevoli, spesso facendosi portavoce del cardinale d’Este: essi costituirono senza dubbio le direttive secondo le quali Lauro svolse il suo proficuo lavoro sul Navarra. E le sue esortazioni, insieme certamente alle promesse e pressioni di altri, indussero Antonio di Navarra a mostrarsi alquanto più risoluto partigiano dei Guise e dei cattolici contro i protestanti.

Le sue fazioni erano oramai ai ferri corti. Gli uni aiutati dalla Germania e dall’Inghilterra e gli altri dal Papa e da Filippo II, si combattevano apertamente ed arrossavano del loro sangue generoso le città e le campagne di Francia. Fu appunto in un episodio di questa lotta fratricida che Antonio Vandome, re di Navarra, perdette la vita. Nell’autunno del 1562 i cattolici stavano strenuamente assediando la città di Rouen, occupata dai protestanti. La regina Caterina, il re Carlo IX e la corte si erano recati nei dintorni per visitare i combattimenti. Durante una delle visite, Antonio di Navarra, per compiere una spacconata, esce dalla trincea nella quale s’era riparato e si mette in piedi davanti agi archibugieri. L’ambasciatore sabaudo presente al fatto assicura che venne colpito da un’archibugiere alla spalla sinistra, e che nessuno pensò si trattasse di una cosa grave. Per curarlo lo si portò nella vicina località di Darnétal (Andelys), dove però, malgrado le pazienti e affettuose cure del Lauro e di altri medici spirò il 17 novembre 1562. Il Merki, che segue il racconto del Fourneron, scrive che il Navarra invece di curarsi se la godeva con le varie damigelle che lo andavano a trovare: ed un giorno mentre su un battello risaliva la Senna, si sentì male e dopo aver ascoltato le esortazioni di un prete e di un ministro, morì scettico com’era vissuto. Il Tritonio, che l’aveva ascoltato dal Lauro, descrive la fine del Navarra diversamente: nei giorni precedenti la morte, il Lauro avrebbe convinto il re a confessarsi ed accostarsi ai sacramenti. Pare si debba seguire questa versione che trova conferma in altre fonti, fra cui una lettera diretta al Montmoreny conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi (8).

Il Lauro così, alla fine del 1562, era di nuovo libero da impegni e più che mai voglioso di tornare in patria.

 

NOTE

 

1)      Per la biografia del Tournon mi sono servito soprattutto dell’ormai raro volume del padre gesuita Charles Fleury Histoire du cardinal de Tournon, ministre de France sous quatre de nois rois. Paris, 1728, il quale specialmente nei libri V, VII e VIII parla anche del Lauro e dei suoi rapporti col cardinale francese; e dei voll. IV-VII della Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo di Ludovico von Pastor.

2)      Fra i testi che mi sono stati utili per questo periodo di vita francese ricordo i seguenti: BELLEVAL (De) Les derniers: Valais. Paris, Vivien, 1900; HARDY, E. Les d’Angoulème. (1515-1589). Pars, Doumaine, 1881; MERKI, Ch. L’animal de Coligny, Paris, 1909.

3)      TRITONIO, Op. cit. Le pgg. 7-13 riguardano il periodo che il L. passò col Tournon.

4)      Oltre al FLEURY, parlano di questi collegi anche Jacques Auguste De THOU Mémoires de J.A. de Thou depuis 1553 jusqu’en 1601. Paris, Foucault, 1823, pgg. 318-319 ; e F. SACCHINO Historia Societatis Jesu. Parte II, lib. IV, par. 84, Anversa, Nuti, 1620.

5)      Bernardo TASSO. Lettere. Vol. II. Padova, Comino, 1733: in particolare la lettera 153; ma molte altre sono indirizzate o parlano del Lauro.

6)      La lettere del Lainez sono state pubblicate a Madrid nei Monumenta Hist. Societatis Jesu insieme a tutte le altre opere del Generale gesuita.

7)      BESSON. Mémoires pour l’histoire eccl. Des dioceses de Genève, Tarantasie Aoste et Maurienne. Nancy, S. Henault, 1749, pgg. 157 segg. Prima del Lauro fu priore di Contamina Francesco de Leflechère (1575); dopo, Filippo Muti, che ricoprì la stessa carica per Nantuà.

8)      Bibl. National, fond fr. 3158, f° 107 e 15897 f° 381. Riporto anche quanto sulla morte del Navarra scrisse Pietro SOAVE, Historia del Concilio Tridentino. Geneva, P. Auberto, 1629 (II ed.) pag. 645: «Quel prencipe ferito con un’archibusiata sotto Roano, fino al settembre, non essendo ben curato, in fine si ridusse in stato di morte, nel qual posto, per opera di Vincenzo Lauro medico, si comunicò alla cattolica, poi vacillò verso la dottrina dei protestanti, et finalmente a 10 novembre morì»; come si può constatare anche in la comunione alla cattolica è ammessa per quanto poi si affermi che il re successivamente si riavvicinò al protestantesimo. Il contemporaneo De THOU Historiarum sui temporis. Londra, 1733 nel vol. II, lib. 28, dopo aver messo in rilievo l’opera di persuasione svolta dal Lauro nei confronti del Navarra carezandolo anche con l’offerta della Sardegna «cui et Tunctanum regnum addebat» segue, nel descrivere la morte del re, la comune opinione.

 

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56^/57^ Tornata Gen/Feb 2011 - Mar/Mag 2011

VINCENZO LAURO

di Antonio Francesco Parisi

INDICE
|  Biografia  |  Prefazione | 
La città natale, la famiglia, l'infanzia, i primi studi, i primi impieghi  
|  Le prime esperienze e i primi incarichi |
Da medico dei corpi a pastore di anime  |  Nunzio in Scozia  |
La prima Nunziatura in PiemonteLa Nunziatura in Polonia  |
Il "tutore di Carlo Emanuele" (1580 - 1585) - La nomina a Cardinale

| Il Cardinale del Mondovì Abate di Pinerolo |
|Il mecenate - I suoi rapporti con Caro, B. e T. Tasso, Speroni, Botero, e altri  |
Il periodo romano - La morteBibliografia essenziale |