La natura matrigna incombe sugli eroi

INTERVISTA A
ANTONIO DE VITA

a cura di Silvio Costa e Luciano Tamagnini


Ci sono città che sembrano nate per il fumetto sia per le loro strutture, per come si presentano, sia per l'impressione che ti danno; ebbene la cittadina di Ghemme in un certo senso potrebbe (e il condizionale lo spiegherò tra poco) essere una sorta di capitale dei comics, un vero museo all'aperto: ospita un carnevale di grande risonanza che ad ogni anno lascia dietro di sè degli elementi decorativi ispirati al mondo dei fumetti. Lì sono passati Jacovitti, Altan, Silver, Mordillo ed hanno donato qualcosa di sè, che servisse a rendere più lieti i giochi dei bambini: delle sagome dei loro eroi, delle giostre con i loro personaggi, tutta una serie di amici di carta o di polistirolo che avevano il compito di allietare i momenti di svago all'aperto dei piccoli nel corso dell'anno, al di fuori del Carnevale, in maniera che fosse per loro un pò Carnevale tutto l'anno. Questa era una scelta che ci sembrava qualificante per la giunta della cittadina piemontese, ma che ha subito una variante con la nuova amministrazione: quella che stava per divenire una nuova mecca del fumetto ha dimenticato i propri eroi e li ha lasciati in un angolo in attesa di decidere cosa farne.
Quando ci siamo andati a rintracciare il "desaparacido" De Vita ci era piaciuto trovarlo in un contesto che faceva del fumetto la sua bandiera; ora in fondo l'unico fumetto... vivente rimasto a Ghemme è proprio lui, quello che i francesi pensavano che fosse scomparso nel nulla e che solo la grande passione e la volontà di ricerca di Guerre ha riportato prepotentemente alla ribalta ad occupare il posto che merita.
Così ci siamo recati al suo appartamento nel centro storico della città ed abbiano dato vita ad una piacevolissima conversazione che ha il compito di riportare alla luce l'opera di questo grande autore un pò troppo a lungo dimenticato.
Attorno al tavolo c'eravamo in quattro; noi due rappresentanti dell'A.N.A.F.I., Silvio Costa e Luciano Tamagnini, il grande Antonio De Vita e sua moglie Vittoria; le domande e le risposte si sono ovviamente accavalllate le une sulle altre e non ci è sembrato giusto scardinarle in tante parti diverse; ci siamo divisi in due squadre: chi domandava e chi rispondeva. Ed ecco cosa ne è uscito.
 



Partiamo da qualche dato anagrafico....
Sono nato a Tropea, oggi in provincia di Vibo Valentia, prima era in quella di Catanzaro; la data è quella del 26 aprile del 1923; ho esitato un pò sulla data esatta, perchè sono nato in casa ed allora c'era sempre qualche differenza tra la data di nascita vera e quella che veniva dichiarata negli atti. Ho vissuto un pò a Catanzaro e poi un pò a Roma; verso i 24 anni sono venuto a Milano.

Che cosa l'ha spinto a venire al Nord?
La voglia di essere libero; ero stufo di stare a Tropea in un ambiente familiare che non mi era del tutto congeniale: ci stavo piuttosto stretto e appena ho potuto sono scappato.

Che tipo di lavoro svolgeva a Milano?
Mi sono iscritto alla Bocconi a Milano per studiare lingue straniere, poi per questioni economiche ho dovuto lasciar perdere: la necessità mi ha spinto presto a lavorare. Ho iniziato con il disegno, trovando immediatamente delle cose da fare, dovrebbe essere stato nell'aprile del 1947 quando mi sono avvicinato all'editrice Stellissima dove ho messo mano ai primi disegni per un giustiziere/bandito dalla faccia a teschio chiamato Za La Mort.

Ma lei aveva già esperienza con il disegno?
No, ero del tutto autodidatta; non conoscevo nulla; ho guardato dei giornaletti e mi sono presentato da solo all'editore; hanno visto i miei disegni e mi hanno subito offerto un lavoro per 3.000 lire, all'epoca una bella cifra per un debuttante. Questo primo ingaggio mi ha dato la possibilità di sopravvivere e di ricercare un altro lavoro che mi fosse più congeniale. So che sono passato anche alla Mondadori, ma il mio primo lavoro vero me l'ha proposto Baggioli, un importante giornalista sportivo che aveva fondato una piccola casa editrice, dove lavorava in coppia con il fratello.
Molte delle cose di questo periodo le ricordo poco e male, perchè non mi si sono ben impresse nella memoria: lavoravo un pò di malavoglia, visto che avevo sempre pressioni per produrre in fretta, spesso senza poter badare alla qualità del prodotto. L'Alpe, invece, è stata la prima editrice che mi ha dato quel respiro che sentivo come necessario.
 
 


Don Chisciotte

L'incontro con il fumetto è stato casuale o lei aveva tra le sue letture preferite delle tematiche avventurose?
L'avventura debbo averla avuta istintivamente nel sangue. I miei mi dicevano che a quattro anni mi sdraiavo sul balcone di casa mia e col carbone e la carbonella disegnavo sul pavimento delle storie di avventura. Mi sono avvicinato al fumetto veramente solo dopo aver incontrato L'Avventuroso con i suoi Uomo Mascherato, Mandrake, Agente Segreto X9; poi mi sono innamorato di Cino e Franco che comparivano sulle pagine di Topolino. Non ero il solo ad essermi innamorato di quelle storie disegnate: con tutti i miei compagni correvo alle rivendite dei giornali per leggere la prima e l'ultima facciata dell'Avventuroso, che si riusciva a leggere gratis visto che era appeso a mo' di pubblicità davanti alle edicole; questo fu il contatto con il grande Alex Raymond e il suo Gordon. Se qualcuno comprava un giornale eravamo tutti là: in preghiera: "Me lo fai vedere? Me lo fai leggere? Me lo presti?". Siccome a quell'età avevo avuto una operazione chirurgica piuttosto importante a Roma, con conseguenti 10 mesi di ricovero ospedaliero, per passare il tempo mia zia mi aveva portato fogli e matite per disegnare ed io realizzavo delle storielle seduto sul letto. Non mi ero mai accorto che dietro le mie spalle c'era un tizio che stava a guardare: era un professore di disegno che, entusiasta dei miei schizzi, mi incitò a fare un disegno per Mussolini per ottenere un qualche vantaggio, Ma io non lo feci: Mussolini mi piaceva poco e non ho mai avuto la divisa da Balilla e da avanguardia. Sono sempre stato un tipo libero e schivo.
Al ritorno a Tropea, mia zia mi aveva regalato dei volumetti di Delly per ragazzine ed un romanzo di Ryder Haggard, "La Donna Eterna" (She), da quest'ultimo io, quattordicenne, trassi un vero e proprio soggetto/sceneggiatura di 64 pagine con 6 vignette per pagina, che avevo realizzato con mozziconi di matita, di gomma e con l'inchiostro dei calamai di allora, quello nero dei banchi di scuola, che spandeva da tutte le parti.
Chissà dove è andato a finire quel lavoro che avevo completato sino all'ultima immagine? Darei l'anima per poter vedere oggi che cosa avessi combinato a quell'età!

Fermiamoci un attimo sull'ed. Baggioli, perchè lì lei ha realizzato la serie a strisca Il Figlio della Prateria, che praticamente in Italia non ha nessuno, è un vero fumetto fantasma!
Ho fatto anche altre cose che sono rimaste nell'archivio di Baggioli, perchè, quando c'è stato il fallimento dell'editrice e lui è stato costretto a defilarsi, hanno requisito tutto e le mie storie non sono più riapparse; non le ho viste pubblicate e non sono stato pagato!

Quindi se ricomparissero i famosi archivi dell'ed. Vulcanetta ci sarebbero storie inedite di De Vita da vedere?
Non ricordo quante ne ho fatte, ma qualcuna ci dovrebbe proprio essere!

Quello di Il Figlio della Prateria è stata una cosa velocissima, 3 numeri e poi fine di tutto, mentre invece molto più vasta e corposa è stata la collaborazione con l'Alpe; come ci è arrivato?
E' stata la solita trafila: mi sono presentato con i miei disegni che loro hanno visto e valutato; subito mi hanno dato del lavoro; ho lavorato in una serie western con un giustiziere mascherato che si chiamava Razzo Bill, poi ho partecipato all'ultima fase dell'albo a striscia di Jimmy and Johnny, due ragazzetti che vivevano avventure sia metropolitane che esotiche e poi sono arrivate le Gaie Fantasie.
Con il western non ho mai avuto un buon rapporto: a cavallo degli anni sessanta, ho disegnato alcuni episodi di Maschera Nera. Ricordo che ho avuto solo tre o quattro giorni per realizzarne un episodio intero: per essere uno che odia che gli venga messa fretta è stato veramente un disastro! In un giorno e in una notte ho dovuto disegnare ben 12 pagine con un risultato che è stato veramente di basso livello! E pensare che io avevo già dietro le spalle l'esperienza francese ed avevo uno stile ben delineato... Ho dovuto imitare il segno dei disegnatori precedenti sotto l'assillo del tempo che scorreva! Questo mi ha tolto del tutto la voglia di continuare le storie di quel personaggio.

Torniamo ai tempi dell'Alpe e di Razzo Bill: ricorda che le scriveva i testi, sia di questo personaggio che dei racconti apparsi su Graziella?
Ho lavorato con Cesare Solini ai tempi del Figlio della Prateria, invece all'Alpe era fondamentale l'apporto di Lionello Martini. La serie di Razzo Bill fu decisamente lunghina e partiva da un formato rettangolare piccolo in stile all'italiana per poi diventare, sempre nello stesso formato, molto più largo e lungo. Ricordo che ci furono dei problemi con il tondino dal quale campeggiava in copertina il volto del personaggio: lo volevano più somigliante all'eroe che disegnavo io, mentre invece l'hanno deformato; ne era venuto fuori un volto piuttosto infantile, mentre io avevo realizzato un volto più maschio, più deciso. E' stato ritoccato da non so chi.
E' stato comunque un personaggio di grande successo che era durato oltre una sessantina di numeri e questo, unito al mio stile che cominciava ad intravedersi come completo, è stato il mio viatico per raggiungere la testata delle Gaie Fantasie, che erano considerati albi di qualità, di lusso, su cui dovevano comparire artisti di vaglia. Era un albo più costoso degli altri e anche quando il suo prezzo era simile a quello degli Albi d'Oro, 50 lire, dava meno pagine di quella collana, perchè Gaie Fantasie ne aveva 28, mentre gli Albi d'Oro 32. Entrare in quella pubblicazione era come una promozione sul campo.
Inoltre, quando sono passato a quella testata avevo già cominciato a scrivere dei testi miei e da questo mio lavoro completo sono scaturiti racconti come La Spada di Fuoco, Il Principe Giuliano, che ha addirittura vinto un premio. Caregaro, il patron dell'Alpe, mi chiamava il suo Raffaello ed era contentissimo di queste storie fiabesche che erano un pò come il mio marchio di fabbrica.

Lei era "specializzato" in quella che oggi definiremmo fantasy, con tutti quegli orchi, principi con la spada sguainata, principesse da salvare...; c'era una sua passione personale per questo tipo di mondo?
Sì, derivava dalla mia voglia di sentirmi libero; anche quando racconto non voglio avere le pastoie di una realtà troppo invadente.

Questa sua vena "fiabesca" è stata il fiore all'occhiello di Gaie Fantasie.
Tornando per un attimo al racconto westwrn, lei ha collaborato per una sola volta alla testata Yabù; stupisce che avendo fra le mani un narratore così abile, non le abbiano proposto di realizzare il personaggio di Yabù, che era un eroe adatto alla sua mano; era una curiosità, ma non penso lei abbia una risposta precisa.
Infatti, non so perchè Caregaro non me l'abbia proposto; forse si accontentava di quello che sapevo fare per Gaie Fantasie e visto che l'altro personaggio funzionava bene anche in mano a Bonato, forse ha pensato che fosse rischioso cambiare mano.


Studi inediti

Quando è finita la collaborazione con l'Alpe?
E' finita quando i francesi chiesero un disegnatore valido per realizzare le loro storie e Caregaro, che aveva un rapporto di collaborazione editoriale con la Lug, propose me, perchè in quel momento ero il migliore in un certo tipo di disegno: Navarro e gli altri francesi vennero e ci siamo accordati: mi hanno detto che volevano un disegnatore capace di fare una storia originale ispirandosi al mondo del Piccolo Re che disegnava la Buffolente. Io invece ho detto di no, che non avrei fatto nulla che fosse una imitazione nè di Piccolo Re, nè del coevo Scugnizzo. Ho posto come condizione che non mi facessero sapere niente di come era la storia della Buffolente, per evitare influenze: questi albi li ho conosciuti solo da pochi anni. Ho pensato di costruire le storie del Piccolo Duca e l'ho proposto per vedere se avevano già delle idee loro.

Però prima del Piccolo Duca c'è il Cavaliere d'Harmental...
Sì, però la base del contratto era Il Piccolo Duca; quello serviva come spunto, come prova: praticamente ho fatto qualcosa di cappa e spada per dare l'idea di quello che volevo realizzare. Non mi hanno detto come dovevo realizzarlo; io sono andato a casa, ho lavorato duramente tutta la notte e alla mattina dopo mi sono presentato con le prime bozze; loro erano ancora a Milano e io ho fatto vedere che cosa avevo fatto, cosa mi era venuto fuori ispirandomi all'Harmental di Dumas. E' piaciuto e hanno detto: "Bene, cominciamo con questo, poi faremo il Piccolo Duca".

Era sempre Navarro ai testi?
No, era tutto mio. Mi sono rifatto a Dumas; conoscevo già la storia, così ho riletto i primi episodi, poi siamo andati avanti con l'Harmental. Visto il successo Navarro mi scrisse che avrebbe voluto continuare con quella serie, ma io avevo già preventivato di concluderla e l'ho fatto; ma sono rimasto, per compiacere Navarro, ancora in campo cappa e spada realizzando L'Aquila di Clermont, sempre d'ispirazione dumasiana con un personaggio che penso sia veramente esistito; in quel periodo stavo però già realizzando il Piccolo Duca.

Prima di Mirko, Piccolo Duca in Francia non avevano ancora visto niente di suo: vuol dire quindi che le storie di Gaie Fantasie sono scomparse in tempi successivi?
Solo più tardi queste storie sono approdate in Francia e io l'ho scoperto... cinquanta anni dopo!  Ero il loro Raffaello..., però i diritti per le pubblicazioni estere si evitava di pagarli, se possibile!

Beh, Raffaello doveva essere lasciato in pace a...dipingere, per i soldi... non c'era tempo!
E' vero; così iniziai la collaborazione con la LUG di Navarro; non interruppi, però, quella con l'Alpe, tanto che mi chiamavano sempre quando c'era qualcosa da realizzare velocemente per occupare scadenze importanti, come a Natale o in certi supplementi. Mi telefonavano ed io cercavo di realizzare al meglio le loro richieste. E' così che è nato il personaggio di Sigmar l'Uomo Volante, che doveva essere un riempitivo, ma che ha avuto un certo sorriso; io non l'ho fatto molto volentieri, perchè sentivo che nasceva solo per riempire un tot di pagine e non per durare.

Ci sono altre storie che lei ha realizzato nel periodo 1956/1959 come Racconto di Natale...
Erano racconti di vario genere indirizzati ai ragazzi.

Qualche volta, agli inizi si è firmato Ottavio Endina: da dove derivava tale nome? i collezionisti si sono scervellati a lungo per capire chi fosse celato dietro questa sigla!
Era l'anagramma del mio nome vero. L'ho fatto perchè quando ho iniziato era subissato di domande: mi chiedevano se fossi parente del grande De Vita che lavorava spesso con racconti in costume sulle pagine del giornale Topolino per la Mondadori. E io ho voluto cambiare pista...


Reintegrazione attuale dei personaggi di Il Piccolo Duca

L'ha cambiata talmente bene che io in un profilo di alcuni anni fa dedicato a P. L. De Vita ho attribuito il suo Il Figlio della Prateria, che non avevo mai visto, a lui; solo quando ho avuto tra le mani una copia del fumetto ho capito l'errore! Si vede che nei fumetti De Vita è un cognome che porta fortuna!
Ma torniamo al Piccolo Duca: che cosa ricorda di questo personaggio?
Mi sono ispirato a quella che oggi sarebbe la Moldavia, coè quei territori che una volta facevano parte dell'Impero zarista e poi della Romania (ex Bessarabia, così si chiamava prima della guerra 1915-18), che mi avrebbe assicurato una localizzazione esotica. E stata sempre, infatti, una zona politicamente inquieta e a cavallo tra il mondo orientale e quello occidentale. Io l'ho fatta divenire la Maldovia con un sacco di nomi slavi che dovevo cambiare: avevo messo dei nomi particolari per il padre del ragazzo e per altri personaggi e gli editori me li hanno francesizzati. La storia del Piccolo Duca parte in un paese dove c'è un colpo di stato che porta alla tirannia e all'espulsione di tutti i membri importanti del vecchio regime, tra cui appunto il Duca di Maldovia, papà del nostro eroe che si collega ai ribelli. Il nostro ragazzino è costretto a fuggire insieme al cane Rex, come l'hanno chiamato loro, e al suo tutore, il cui nome ha una storia speciale. Mi sono rifatto a Stenka Rasin, il cosacco ribelle al tempo degli zar. Solo che il nome l'ho diviso in due parti e l'ho attribuito a personaggi diversi: Stenka è quello che è stato dato al suo gigante amico, Rasin invece ad un capo ribelle che apparirà nel proseguire della storia.
Torniamo al Piccolo Duca che è costretto a scappare per cercare di raggiungere il padre, senza sapere dove esattamente sia e che va alla ricerca di un tesoro che avrebbe permesso il finanziamento della rivolta contro gli oppressori.
La storia nasce così perchè all'interno del racconto, su richiesta di Navarro, ci doveva essere una rivoluzione, poi io ho preferito prendere altre strade. Appena ho potuto mi sono immesso in mondi fantastici, con draghi e pittoreschi avversari.

E cosa ci dice del Piccolo Duca riproposto in Italia?
C'è da dire che le prime pagine italiane di Robin, così è conosciuto il Piccolo Duca in Italia, non corrispondono a quelle francesi. Per dare un inizio diverso, che non avesse assonanze con altre storie apparse in Italia in anni poco precedenti, ho realizzato tre o quattro tavole originali appositamente per l'Alpe.
Caregaro non voleva un'avventura che avesse come punto centrale una rivoluzione, tema piuttosto sfruttato ed io ho allacciato il racconto al momento in cui Robin scappa. Il personaggio finì in appendice sulle pagine di Trapper John, era uno dei tre personaggi che componevano l'albo. La testata venne interrotta e con essa si interruppe, bruscamente, la storia di Robin: si capiva che il racconto avrebbe dovuto proseguire. Un grande appassionato come il nostro medico curante ci ha raccontato che ha aspettato oltre quaranta anni per sapere come andava a finire veramente l'avventura e la voglia se la è tenuta dentro di sè per tanto tempo senza poterla soddisfare.

Mentre disegnava il Piccolo Duca, al di là di quelle piccole cose per Caregaro ha realizzato qualcosa d'altro?
Era pressochè impossibile visto che ne ho prodotto 65 episodi: c'erano da realizzare ben 56 pagine al mese, da scrivere, da sceneggiare, da disegnare e da inchiostrare, perchè per il personaggio facevo tutto io.

Quando aveva cominciato ad inchiostrare?
Avevo lavorato brevemente nello studio di Magni quando collaborava con l'ed. A.R.C. ed ho cominciato l'inchiostrazione con un'avventura di Tom Mix, poi ho smesso, perchè Magni mi ha detto che non gli occorrevo più. La verità era che all'A.R.C. avevano visto un tratto diverso e chiedevano chi era quel disegnatore e Magni, per evitare che gli soffiassi del lavoro, ha preferito allontanarmi.
Sono anche andato da Pasquale Giurleo, patron dell'A.R.C., perchè avevo scoperto che i miei lavori gli piacevano, ma non abbiamo combinato nulla, anzi abbiamo litigato, perchè lui aveva un caratteraccio e mi ha toccato sul vivo, per cui io ho risposto per le rime e ci siamo allontanati rapidamente l'uno dall'altro.

Il Piccolo Duca chiude nel 1961: come mai Navarro arrivò all'idea di chiudere la serie?
Il mio lavoro con Navarro procedeva in maniera piuttosto elaborata, nel senso che io dovevo portare i disegni all'Alpe, che poi li mandava alla Lug, poi loro mandavano i soldi a Martini, che li passava a me. Io avevo una corrispondenza fitta con Navarro, quando veniva a Milano ci incontravamo ogni volta; quindi ci conoscevamo benissimo e ci stimavamo reciprocamente. Il fatto che l'Alpe continuasse a fare da intermediaria pesava indubbiamente dal punto di vista economico; sembra che la quota che tratteneva l'Alpe fosse più o meno come quella che davano a me, per cui, prima in maniera velata, poi in forma più diretta, Navarro ventilò l'idea che io mi trasferissi in Francia a fare il lavoro, anzi per farmi venire una certa voglia mi dicevano che avrebbero costruito una succursale parigina dell'editrice e che io avrei potuto vivere nella capitale. Io però avevo parecchi problemi familiari in Italia con i miei in Calabria; cercavo di rimandare questa decisione, perchè, per la verità, non mi andava molto l'idea di trasferirmi in Francia.
L'impressione che avevo era poi che, nell'ultimo periodo, i rapporti tra l'Alpe e Navarro non fossero più del tutto idilliaci. Chi faceva gli affari era Martini, un uomo simpaticissimo, sempre scherzoso, ma che negli affari...; Caregaro era come un ragazzo nei suoi confronti ed, essendo più giovane, Martini lo chiamava proprio "il ragazzo". Comunque non so se sia stato Navarro che non ha più voluto inviare il Piccolo Duca per la traduzione in Italia, oppure se sia stato Martini ad impuntarsi, sta di fatto che, in ogni caso, la collaborazione finì. Da lì in avanti si sono viste solo alcune cose comiche di Cezard e poco altro.
Così mi è stato posto un altimatum ed io ho preferito chiudere la serie del Piccolo Duca anche se con un finale che non mi convinceva; volevo farla finire come piaceva a me e non con qualche vignetta conclusiva buttata lì; fortunatamente avevo sempre delle puntate già pronte ed ho continuato per un pò, pur di non trasferirmi in Francia, ad inviare le storie che mi hanno portato piano piano verso una conclusione più logica; invece per L'Aquila di Clermont, pur tentando lo stesso trucchetto, mi sono trovato a doverla finire rapidamente.

Ma si è concluso, oppure...?
C'erano una serie di episodi; dopo L'Aquila di Clermont c'erano Il Cavaliere della Vendetta, poi Le Perle di Ahijandar, Il Cavaliere senza Nome, che era quello conclusivo; proprio questo non è stato pubblicato. Il racconto è apparso molto tempo dopo.

E' in seguito?
Dopo aver spedito quegli episodi (che in buona parte non mi sono stati pagati, forse giustamente, perchè non mi erano stati richiesti) sono tornato in Calabria, dove c'era mio padre che aveva assolutamente bisogno di me. Stava male fisicamente, addirittura sembrava che dovesse morire. Sono andato là e per circa due anni sono rimasto ad aiutarlo. Così ho salutato le mie... lezioni di francese, perchè ero impedito. Mi avevano mandato una lettera, che suonava come un ultimatum e che per fortuna ho conservato, nella quale mi si diceva "Se vuoi continuare devi venire in Francia" o una cosa del genere. E da quel momento è nato una sorta di mistero attorno a me; si diceva "E' scappato via", "E' fuggito" o addirittura "Si è rifugiato in un monastero". Perse in un certo senso le mie tracce, gli uomini della LUG non sapevano che cosa dire dietro la pressione dei lettori che non capivano perchè, di punto in bianco, un autore affermato non presentasse più le proprie storie. Ho avuto l'impressione che giocassero con me come in una sorta di poker: volevano costringermi ad andare in Francia e non avevano assolutamente messo sul piatto la possibilità che io mi rifiutassi e che anzi andassi a chiudere addirittura la storia e scomparissi. E invece è proprio quello che ho fatto. Però debbo dire che se mi avessero cercato veramente...; avevano il mio indirizzo di Milano, perchè ci scrivevamo spesso, e l'Alpe era in grado di pescarmi anche in Calabria, perchè parecchie volte mi avevano telefonato, quando ero al mio paese e loro avevano bisogno di qualche storia da pubblicare con urgenza.


Vari momenti delle avventure di Il Piccolo Duca rivissuti oggi

E quindi durante quegli anni lei non è mai stato contattato?
Mai. Quando le cose si sono rimesse a posto con mio padre che aveva ripreso a vivere da solo, io sono ritornato.

Solo che era tornato praticamente uno sconosciuto...
Proprio uno sconosciuto. Chi voleva che si ricordasse di Gaie Fantasie e poi io, dato il mio stupido orgoglio, non sono mai tornato a farmi sentire dalla LUG oppure a contattare Caregaro, convinto di essere stato abbandonato da tutti ed in un certo senso tradito da coloro che pensavo mi aprrezzassero.
Sono andato a fare dell'altro. E' il momento di Mascera Nera e poi mi si è offerta l'occasione di lavorare per una casa editrice milanese in formazione, il cui proprietario, Fenu, mi ha assunto come direttore artistico e disegnatore. Sono rimasto lì per anni, conoscendovi, tra l'altro, mia moglie Vittoria, realizzando migliaia di disegni e illustrazioni (praticamente un'enciclopedia intera) sino al 1977, quando l'editrice è fallita, perchè il proprietario aveva voluto fare il passo più lungo della gamba. La sua nuova idea imprenditoriale era quella di realizzare dei libri di prestigio, come la Bibbia o la Divina Commedia, illustrati da un accademico che veniva da Brera; di questi ne ha venduto poche copie. E penare che, per il resto del settore illustrativo, di gran lunga il più importante, aveva piano piano eliminato tutti gli altri disegnatori e c'ero rimasto, di fatto, solo io che facevo tutto.

Dopo il lavoro con Fenu cosa è avvento?
Sono stato colpito da un "herpes zoster" che mi ha praticamente reso cieco per circa sei mesi. Ho dovuto portare una benda ad un occhio e per anni ho sofferto di una forte intolleranza alla luce, dovuta al glaucoma da farmaci, con conseguente dilatazione della pupilla.

Quindi si è trovato in guai seri...
Mi sono trovato spaesato: 57 anni, 13 anni soltanto di contributi, vicinissimo a quella che era ormai l'età della pensione che non avrei potuto avere senza un lavoro fisso. Ho cercato di reinserirmi nel settore libraio, ma, alla mia età, era quasi impossibile. Mi sembrava di essere un desaparecido e lavorare con continuità, visto il problema agli occhi, non potevo più. Di soldi ce n'erano pochi e quindi mia moglie si è dovuta gettare nel lavoro. Per sei mesi ha lavorato a contatto con delle vernici che le hanno procurato una forte intossicazione. Fra tanti disastri un solo raggio di sole: suo padre andava in pensione ed essendo il custode di una ditta aveva diritto anche alla casa. Visto che il settore librario sembrava inavvicinabile, mia moglie mi ha convinto ad accettare questo posto con diritto all'appartamento. Poi, dopo due anni seguendo la ditta che aveva trasferito la propria sede, si ciamo sposati nella località in cui viviamo adesso, in un appartamente comprato con un certo sforzo.
E' qui che ho finito per maturare la mia pensione e qui mi sono ammalato di una forma molto grave di artrosi per cui praticamente non riuscivo a fare niente; salire le scale era una vera tortura! Piano piano mi sono messo un pò a posto e dopo l'operazione alle anche ci siamo ritrovati qui insieme, quando mi hanno... riscoperto!

Dai tempi delle enciclopedie in avanti lei non ha prodotto più nulla?
Quando ho chiuso con la Francia (o la Francia ha chiuso con me) avevo dietro le spalle l'ammirazione, che ritenevo eccessiva, di Navarro: quando gettavo le basi di una storia stava lì ad ascoltarmi con gli occhi sgranati e mi diceva che i ragazzi attendevano ansiosi nelle edicole l'arrivo di una nuova avventura del Piccolo Duca. A me sembrava che lo dicesse tanto per farmi dei complimenti, non gli credevo, insomma, e quindi quando ho avuto l'ultimatum ho pensato che volessero liberarsi di me. Ero quasi disperato, tendevo a svalutare tutto ciò che avevo fatto ed avevo l'impressione che i miei lavori non valessero nulla, visto che mi avevano "cacciato via" senza tanti rimpianti. Così non mi ero mai fatto vivo con la Lug e con Navarro.
Così fu una vera bomba quando Franco, un mio amico appassionato di fumetti contattato da J.Y. Guerre, perchè portava il mio stesso cognome ed abitava nel mio paese d'origine, mi ha avvisato che c'era un appassionato francese che mi stava cercando e che lui gli aveva dato il mio nunero di telefono. Così con la prima telefonata di Guerre ho scoperto che in tanti in Francia ancora mi amavano e si ricordavano delle mie storie.

Guerre aveva già messo in atto ricerche in ogni dove per sapere se qualcuno la conosceva...
So di tutte le ricerche che ha fatto e che l'hanno poi portato a scrivere un magnifico volume intitolato appunto "Le mystére devi...dévoilé". E questo ha voluto dire tantisimo per me.

E dopo questo suo ritorno alla vita artistica ha trovato persone, editori che le hanno chiesto di tornare a disegnare?
Sì, infatti "La palude stregata" l'ho fatta sotto richiesta della SEMIC; mi hanno chiesto di fare qualcosa di "piccolo" un dodici pagine; io ne ho realizzate sedici e le hanno stampate.
Però di cose a lunga scadenza, di cose un pò ponderose alla mia età non le ho prese in considerazione. Ho ottantun anni e una storia della portata del Piccolo Duca non potrei prenderla in considerazione.

Attualmente sta producendo qualcosa?
Sto facendo illustrazioni, di quelle fantasiose che piacciono a me e che mi richiedono i collezionisti. Avrei ancora tante storie in mente, ma non riesco a concentrarmi su di una cosa di largo respiro: ho realizzato un portfolio su Mirko ed è previsto nel prossimo anno un portfolio su l'Aquila di Clermont. Non disdegno certamente il fumetto, tanto che ho una storia con all'interno un gigante che è già pronta come sceneggiatura e con qualche disegno preparatorio già realizzato: chissà che...
Gianni Bono mi aveva chiesto delle illustrazioni periodiche mensili per delle storie del Comandante Mark, ma non riesco a piegare la mia mano dopo tanto tempo a somiglianza di uno stile altrui.

E per il settore umoristico?
Un primario di diabetologia, mio caro amico, voleva realizzare un libro che gli frullava in mente legato al suo settore di lavoro, solo che non trovava un disegnatore disponibile ed adeguato. Avevo già tutto pronto e quando mi ha conosciuto ed ha saputo che disegnavo, visto che avevo fatto uno schizzetto per un ammalato, mi ha proposto di mettere sulla carta quel progetto. Parlava di una trentina di pagine e furono invece molte di più, cosa che mi stancò moltissimo, anche se ritengo il risultato sia stato molto carino.
 

Qua la chiacchierata si è conclusa, con una grande speranza: di rivedere, malgrado l'età, Antonio de Vita in arte Devi ancora al lavoro per non sentirci derubati di quel suo narrare fantastico così originale.
 

 
 
ANTONIO DE VITA
INDICE:
|  Presentazione di Salvatore Libertino  |
 |  Intervista a cura di Silvio Costa e Luciano Tamagnini   |
Il Mistero Devi di Luciano Tamagnini  |
| Cronologia delle opere a cura di S. Costa e L. Tamagnini  |
|  I Personaggi a cura di S. Costa e L. Tamagnini  |
 |  L'Enigma di Luigi Marcianò   |
Altri Tasselli di S. Costa e L. Tomagnini  |
Le Mystére Devi de Jean-Ives Guerre   |
Lo Zufolo incantato  |