GIORNALE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
Edizione di Sabato 5 ottobre 1822
VARIETA' POLITICO-LETTERARIE

Sulla tragedia intitolata 'Morte di Achille'
Riflessioni critiche dell'autore

di Francesco Ruffa


E' questo il solo mio tragico lavoro, intorno al quale non ho finor pubblicato la mia opinione. Non mi par quindi inopportuno lo spandervi qualche parola or che le recenti rappresentazioni fattene dalla compagnia Fabbrichesi mi han posto in istato di meglio giudicarne. Mi tratterò dunque, giusto il mio costume, su i difetti dell'opera, checchè ne abbia detto in contrario la troppo parziale amicizia d'un mio collega in un precedente numero di questo Giornale. Io poi seguo un tal costume:
1° perchè ogni artista si dee meno occupare di quel che è ben fatto, che di quel che può farsi meglio, essendo la principal sua gloria il mirar al perfezionamento dell'arte;
2° perchè il pubblico, pago di rilevare i difetti delle opere, non ne investiga perloppiù le cagioni, che pur giova conoscere;
3° perchè mostrando come si è caduto, s'insegna agli altri a schivar gl'inciampi;
4° perchè de'propri difetti si può ragionare con maggior franchezza e quindi con maggior utilità, che non di quelli degli altri, che han percorsa la stessa carriera;
5° finalmente perchè la pubblica confessione dei propri falli, quando è sincera, è la più atta a farcene meritare il perdono.
Sembra parlar di talune scene de'primi atti, le quali riduconsi a semplici conversazioni, e le quali sebben tocchino l'argomento, pure nell'argomento non stanno; senza parlar delle commemorazioni de'passati fatti che nella Morte di Achille son frequentissime, e di alcuni modi di dire che debbono esser più nobilitati per adeguarli alla tragica dignità, mi arresterò soltanto sul masimo inconveniente della produzione, ch'è la sua fredda catastrofe. E' vero che il Voltaire dicea rarissime esser le tragedie che hanno quinto atto; ma io non saprei se a rigore possan denominarsi tragedie quelle che quinto atto non hanno.
Io attribuisco a due difetti la freddezza della catastrofe nella Morte di Achille, uno inerente all'argomento, l'altro tutto mio. Il primo sta ne'caratteri notissimi di Achille e di Paride: Achille impetuoso, irragionevole, feroce, non divien certamente amabile: Paride vigliacco e traditore, è conseguentemente odiosissimo. Non si prende dunque interesse nè per chi uccide nè perchè è ucciso, che val quanto dire, la catastrofe manca di interesse diretto. Si aggiunga a ciò, che Achille, secondo la favola risaputissima, muore d'un modo affatto strano. Farlo ferir da Paride al calcagno in iscena mi parrebbe per lo meno ridevole: farvelo venir ferito sarebbe inverisimile, avendo egli tronco un tendine il quale è indispensabile per ben reggersi in piedi, e dar de'passi regolari: farvelo trasportare sarebbe il colmo della sciocchezza, facendo perdere ad Achille tutto il gigantesco del suo carattere; chi è mai da tanto che osi approssimarsi ad Achille benchè mortalmente trafitto? Si dee dunque privar il pubblico della vista di Achille moribondo, cioè d'uno de'punti più caratteristici e calorosi che la tragedia potrebbe presentare, e che gli spettatori si attendono.
Coll'aver innalzato fino all'eroismo i sentimenti di Priamo e di Polissena io procurai d'introdurre nella catastrofe un interesse indiretto, onde commuover gli spettatori coll'attristamento di questi due personaggi per l'attentato di Paride; e vi mischiai per incidente l'idea spaventevole dei disastri che sarebber derivati a Troia dalla morte di Achille. Ecco il mio fallo: io avrei docuto rendere oggetto principale quel che ivi non è che necessario. Se per esempio il vaticinio di Cassandra seguisse l'assassinio di Achille, invece di precederlo, e se invece di esser narrato, fosse esposto da Cassandra stessa con tutto il profetico suo furore, quanto calore non avrebbe acquistato la catastrofe ! Io sto su ciò meditando, e veggo che in tutti i conti non posso in altra guisa ravvisare lo scioglimento del nodo che fondando l'effetto sulle sventure di Troia dipendenti del misfatto di Paride - Altro mio fallo è il modo onde ho fatto conoscere agli spettatori la uccisione di Achille. Non contenta il sapersi che Paride il trafisse di saetta. Si vorrebber saper tutte le circostanze della sua morte, poichè s'egli non si ama, si ammira però, e nulla si vuole ignorare di ciò che riguarda gli uomini straordinari. Della correzione di questo difetto mi sto pure occupando.
Non parlo della morte di Polissena, poichè non entrò mai nel mio piano, e fu un semplice sperimento ch'io volli fare nella prima rappresentazione.
A dir vero quando io concepii questa tragica azione era giovine troppo e privo d'ogni esperienza del teatro. Mi si offerse però allora l'inconveniente del soggetto, ed esitai qualche tempo a trattarlo, benchè mi avesse sempre sedotto l'idea d'una scena fra Polissena ed Achille innanzi alla tomba di Ettore. Ma io non avrei neppur per un istante esitato, se avessi potuto prevedere che siffatta scena sarebbe stata un giorno così energicamente eseguita dalla Signora Tessàri.
R.
 

 
 
FRANCESCO RUFFA
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