GIORNALE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
Edizione di Lunedì 30 settembre 1822

La Rappresentazione
de 'La Morte di Achille' di Francesco Ruffa


La sera di venerdì scorso, nel teatro de'Fiorentini, si riprodusse dalla compagnia Fabbrichesi La morte di Achille, tragedia del nostro concittadino ed amico Francesco Ruffa: ebbe felice successo, e la sera consecutiva se ne diè la seconda rappresentazione, richiesta dal pubblico tra vivi e replicanti applausi. E' noto che il nostro tragico si apre una via poco battuta nel teatro classico, per non dir quasi deserta: quella cioè della pittura de'caratteri. Ei rispettando le immortali orme del grande Astigiano, non le ricalca servilmente: segue al proprio genio e non le di lui vestigia: l'arte si prefige e non la maniera. E' il manierato all'alfieresca pur troppo dispotizza nel nostro teatro di declamazione, e tutti gli attori, come è per molti altri riguardi pregevolissimi, peccan tutti per soverchia monotonia. E' vero che l'Alfieri ripetè le mille volte con la voce, e con gli scritti che dire adagio e dir bene sono la stessa cosa. Ma questo ricordo sarà buono pel suo stile, di soverchio compresso per avventura e stringato. Quando però un autore osa vincolarsi da quelle pastoie, quel ricordo non vuol essere seguito alla lettera. E dall'altra banda il dire adagio non significa dir lentamente e stentatamente sillabando, anche quando la posizione esige rapidità, vicinanza, calore. Quella Polissena vuol essere più ingenua e specialmente nelle sue confidenze con Paride: e il mostrarsi convulsa fin dal suo primo apparir su la scena, diminuisce e forse annienta il colpo che dovrebbe produrre nella esplosion degli affetti. Quell'Achille, primo Achille veramente omerico che sia stato sinora prodotto in teatro, rodomonteggia di soverchio e freddamente rodomonteggia, quell'Ulisse scende in qualche momento sino al comico, e quell'Andromeca non ci pare talvolta quella vedova e madre, quale l'A. ce la dipinge, anelante ognora a vendetta, ma a vendetta generosa. Nell'atto quinto però rese ella più di un tratto con energia veramente tragica. Il Paride mai non ci dispiacque, e il Priamo toccò in più punti la perfezione. L'ideale de'caratteri tragici non si consegue per manierate abitudini: alto ed intenso sentire e lungo studio e coraggio di distaccarsi dal consueto, son queste le condizioni indispensabili per la perfetta pittura de'caratteri.
Non dobbiamo però toccare che nella seconda rappresentazione gli attori, tranne l'Achille, recitarono con maggiore forza e verità.
E perchè la critica reclama i suoi dritti anche verso il poeta, l'amicizia non ci tratterrà dal rimostrargli due torti. Ed è il primo quella protesta ch'ei premette all'edizione di Livorno delle sue Tragedie, quando La morte di Achille caratterizza non come tragedia, ma come semplice esercizio tragico. Il veggiam pure che questo suo parto di prima gioventù non vale il Teramene, l'Agave, il Crodo, e qualche altra sua produzione ancora inedita: ma la morte di Achille è tragedia perfetta la quale, ad onta di qualche neo ch'egli stesso non dissimula, resterà lungamente su le nostre scene: spezialmente dopo le varianti con che la va ritoccando. Il secondo torto del poeta è quello del titolo. E' tamto l'interesse che ci desta Polissena, quel suo amore è tanto eminentemente tragico e magistralmente tratteggiato, che non la morte di Achille par che dovesse avere il titolo; ma sibbene: Achille e Polissena.
 

 
 
FRANCESCO RUFFA
INDICE:
|  Biografia  |  Le tragedie  | Le poesie  |  Centenario  |
| TerameneCritica su 'Teramene'  |  Critica su 'Goti' 
| Critica su 'Morte di Achille' | Rappresentazione di 'Morte di Achille |
      |  Ricordo di Filippo Cirelli  |  Francesco Ruffa di  Antonio Sposaro  |
| Censore borbonicoL'Amor Filiale  |