. . . perchè Tropea è Tropea . . .

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Tourist Shuttle: Fermata 'Fontana Nuova'. "Passa o non Passa?"



(Mimmo) Egregio Direttore,
sono rientrato a casa oggi 28 agosto dalla vacanza trascorsa a Tropea. Stamattina, per non perdermi il bagno, sono sceso alle 7.30 al Mare Grande e ho fatto una bellissima nuotata sino al Mare Piccolo. L'acqua era calda e trasparente.
Poi alle 9 mi sono recato fiducioso in Contrada Fontana Nuova per prendere alle 9.18 il tanto reclamizzato Tourist Shuttle, gratuito finanche, che mi avrebbe dovuto portare all'aeroporto.
Come me, aspettavano l'autobus due ragazzi che dovevano prendere lo stesso aereo. Dopo circa 45 minuti di ritardo rispetto all'orario previsto (9.18), ecco arrivare un autobus che credevamo il nostro.
L'autista però ci ha detto che quello per l'aeroporto era già passato. Ma come, diciamo noi, non l'abbiamo visto e siamo qui da molto. E l'autista: oggi hanno mandato un bus piccolino, diverso da quello usato abitualmente con la scritta Tourist Shuttle...
Per fortuna dopo qualche minuto è passato un furgone noleggio che ci ha portato a Lamezia e, essendo in 3, abbiamo diviso le spese (20 euro a testa).
Ma si può fare turismo in questo modo?
A cosa serve un autobus gratuito (!!!), quando passa in ritardo e non si accorge se c'è o meno della gente che aspetta un autobus che ha una ben precisa fisionomia?
Se pensano i politici locali di risollevare le sorti del nostro turismo in questo modo, si sbagliano e di grosso.
La Tropea di questa estate era invasa da turisti che lasciano assai a desiderare.
Si poteva avere una specie di Portofino, ma siamo in una situazione che non lascia ben sperare....
Peccato davvero!
Saluti

(Set. 2009)

Presentata l'Opera Omnia su Tropea dell'etnografo Giuseppe Chiapparo



I relatori Luciano Meligrana, Maria Sabina Chiapparo, Luigi M. Lombardi Satriani e Giuseppe Carone

(S. Libertino) Mi piace l'idea finalmente realizzata di raccogliere la produzione di Giuseppe Chiapparo (1894 - 1963), insigne etnografo, dedicata a Tropea, sua città natale. Un po' meno la veste editoriale scelta da M.G.E. che in particolare mette in cattiva luce le preziose immagini antropologiche facenti parte del corposo archivio alimentato dall'autore durante la rispettabile carriera di ricercatore e attualmente custodito dalla figlia Maria Sabina.
Il volume "Etnografia di Tropea - Scritti demologici e storici" è stato presentato il 2 settembre 2009 nel settecentesco Cortile del Seminario, alla presenza di un attento folto pubblico e di Mons. Luigi Renzo, vescovo di Mileto - Nicotera - Tropea.
Per illustrare l'eccezionale avvenimento di grande portata culturale hanno preso la parola il curatore Giuseppe Carone, la figlia dell'autore Maria Sabina e l'antropologo Luigi M. Lombardi Satriani. Ha presieduto i lavori Luciano Meligrana in rappresentanza del 'Centro Studi Galluppiani".
Mi pare che nel corso della serata la figura e la produzione etnografica di Giuseppe Chiapparo non sono state sufficientemente tracciate come anche non sono stati esaurientemente delineati i cenni biografici apparsi sul libro il cui testo non lascia il benché minimo spazio al valoroso curriculum e a una definitiva bibliografia, che appariva necessaria in considerazione dell'intento editoriale di "opera omnia" e dell'estrema frammentazione editoriale dei singoli saggi via via pubblicati dagli anni Trenta agli anni Sessanta.
Auspico che gli scatti, che costituiscono un irrinunciabile spaccato di memoria storica tropeana nonchè traccia documentale inscindibile dalla produzione demologica di Peppino Chiapparo, siano pubblicati al più presto nei dovuti modi e accorgimenti. Mi auguro altresì che l'opera sia oggetto di un prossimo convegno nel quale la figura dell'antropologo tropeano emerga ancora di più fino a conquistare almeno i crediti e i meriti che gli sono stati riconosciuti in vita da colleghi, studiosi, amatori di storia patria.
Alla memoria di Peppino Chiapparo vorrei dedicare un significativo contributo del collega Hettore Capialbi che nel 1940 ha firmato sulle pagine dell'Archivio Storico della Calabria la recensione dell'opera "Canti popolari sacri di Calabria".

""A siffatta nobile schiera di studiosi appartiene il benemerito prof. Giuseppe Chiapparo, che pubblica i suoi "Canti popolari sacri di Calabria", nell'Archivio per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italiane, celebrata rivista diretta dal prof. Corso. In questo volume del Chiapparo sono raccolti dei canti inediti, di carattere sacro, della Calabria, divisi opportunamente nei seguenti gruppi: Canti dei bambini; Preghiere serali nei fanciulli; Offerte del Rosario; Rosari speciali; Preghiere alla Madonna; Preghiere varie; Canti del ciclo natalizio; Canti del ciclo pasquale; Leggende agiografiche. Le annotazioni dichiarative e storiche che accompagnano il testo, altamente lo illustrano e il corredo di un glossario delle principali voci contenute nei canti ne agevola l'intelligenza al profano lettore e a chi non ha troppa familiarità col dialetto calabrese.
Giuseppe Chiapparo, assai apprezzato insegnante nella scuola "Giacomo Leopardi" in Napoli, è un appassionato ricercatore di rarissime particolarità e notizie storiche culturali e la fervida collaborazione prestata all'inchiesta sulla Musica Popolare Italiana gli ha procurato un diploma di benemerenza dal Comitato Nazionale Italiano dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Pur dimorando in città dove il dinamismo moderno tutti avvince e travolge, in città, dove, come dice un illustre critico, si è tutti infestati di ambizioni, di vanità, di opportunismo e di snobismo, egli grida sempre il suo grande amore e la sua adorazione per questa terra e ne imprime nei suoi scritti le orme della sua perenne vitalità. Oltre che letterato di buona lega e scrittore geniale ed elegante, è anche valoroso giornalista: nel 1916 diede vita ed impulso ad un periodico di Tropea "Alba Novella" e scrisse e scrive articoli d'indole storica in tre periodici della nobile e colta città. Di quando in quando pizzica di poesia e ci offre versi delicati, di purezza cristallina, specchio fedele di un animo mite, di sentimenti sinceri, di ardore per tutto quello che è bello e buono nella natura e nella vita. E negli studi folklorici non è alle prime armi, perchè ha già al suo attivo varie pubblicazioni che interessano questi luoghi. Di lui ricordiamo: "I Tropeani a Lepanto", "La festa della Croce a Tropea", "Un vecchio contrasto calabrese", "Li multi vuci", "La marineria tropeana nelle sue tradizioni e consuetudini": Ecco fin qui il "curriculum vitae" di questo scrittore di attività feconda ed ammirevole."".

Infine, vorrei proporre al lettore una ricerca del Nostro a proposito della rinomata attività dei forgiari tropeani del borgo e della scoperta della saldatura dei metalli che un tempo sarebbe stato un segreto del potente Re Salomone. Antonino Basile raccolse tale ricerca e la pubblicò sulla rivista "Folklore della Calabria". In questo caso, il direttore della rivista, fece appello alla propria onestà intellettuale riconoscendone pubblicamente la paternità all'amico Giuseppe Chiapparo.

Continua (intervento di Luigi M. Lombardi Satriani)

Salomone e i forgiari di Tropea

(Set. 2009)

«Totò», spaesamento e interiorità di un emigrato a Vienna



(E. P.) Nel concorso «Orizzonti» batte bandiera austriaca ma lo schermo è invaso dall'universo mediterraneo di Tropea: «Totò» di Peter Schreiner - viennese, 52 anni, documentarista, sperimentatore - è un film vocato all'interiorità e allo spaesamento. Sconcertante alle prime mosse: indulge sui dettagli, evita l'interezza dei volti e delle figure, itera (generoso ausilio per il critico incline all'abbiocco) e gli sfondi - scogliere a strapiombo, pendolarismi ferroviari, sterrati con basso continuo di cicale, tipi e canzoni da spiaggia - sono rappresi in un bellissimo bianco e nero, quasi filtro della memoria. Totò (Antonio Cotroneo) - suoi i lobi auricolari, le sopracciglia, la peluria sul labbro, i rari sorrisi su cui indugia la macchina da presa e sua, soprattutto, la voce fuori e dentro il campo - alterna tedesco e dialetto, oscilla tra il paese dell'infanzia cui ritorna e Vienna dove lavora come custode, il vestito più curato della persona, al Konzerthaus.
Smilzi dettagli di vita - matrimonio, 4 figli, rimpianti, domande sulla morte in verticale sul frangersi dei flutti - agglutinano attorno al rovello di una nevrosi che potrebbe essere il denominatore comune di molte esistenze: Totò, mon semblable, mon frère…

(Set. 2009)

Venezia: "TOTÒ" DI PETER SCHREINER. Totò l’emigrante



(Marco Onorato) Da lungo tempo Totò Cotroneo ha lasciato la Calabria per Vienna, dove ha sposato un’austriaca e trovato un umile lavoro presso la Konzerthaus. Al compimento del cinquantesimo anno di età riaffiora in lui il bisogno di tornare alla natìa Tropea, ma il desiderio di riannodare un legame ormai reciso lascia ben presto il posto all’angosciosa consapevolezza del proprio limbo esistenziale e all’amara riflessione sulla perdita di sé e delle origini connessa allo status di migrante.
Autentica sorpresa della sezione “Orizzonti”, il documentario del 52enne regista austriaco Peter Schreiner è sorretto da un’idea stilistica molto forte quale l’uso insistito del fuoricampo totale o parziale: quasi sempre, infatti, il protagonista rimane all’esterno o ai margini dell’inquadratura, rinnovando nello spazio filmico la medesima difficoltà di collocazione che lo attanaglia nella vita reale, nella quale egli cerca il proprio “posto nel mondo” attraverso un frustrante movimento pendolare tra Vienna e Tropea; anche in occasione dei numerosi primissimi piani, c’è sempre una parte del volto di Totò non catturata dalla mdp, che restituisce così allo spettatore un’immagine frammentaria senz’altro congrua alla labile identità del personaggio. Soltanto gli occhi non sfuggono pressoché mai alla ripresa, quasi a ricordare che il film, pur attingendo inevitabilmente un’esemplarità sociologica, è in prima istanza un ritratto psicologico, lo studio di un dissidio interiore forse insolubile.
Il filtro della soggettività del protagonista viene esaltato dalle scelte formali dell’ottimo Schreiner e, in particolare, dal ricorso ad un’efficace fotografia in bianco e nero, che appiattisce l’atmosfera mitteleuropea di Vienna e il sole della Calabria sulle stesse tonalità spente ed appannate e, nel caso specifico delle sequenze girate a Tropea, apporta un surplus di nostalgia e sconforto, come se il paesino non potesse essere immortalato diversamente perché agli occhi di Totò laggiù, nel bene e nel male, il tempo sembra essersi fermato. Assai curato è anche il sonoro, che cattura ed amplifica il rumore del mare (un richiamo ancestrale che all’improvviso si carica di sfumature inquietanti), la nota affannosa del respiro di Totò e lo sferragliare del treno che a tratti sembra la vera casa del protagonista.
Il continuo oscillare tra il tedesco, l’italiano e il dialetto calabrese nonché la crescente desultorietà dei dialoghi e dei monologhi in cui è impegnato Totò sono il tocco finale di una messa in scena esasperatamente destrutturata e dilatata, che intende comunicare allo spettatore tutta l’estenuazione dello sradicamento del protagonista e che, se si ha pazienza, regala un notevole appagamento estetico. Purtroppo l’eventualità di una distribuzione in sala risulta piuttosto remota e quindi Totò è probabilmente soltanto una delle luminose quante inattese apparizioni veneziane destinate a lasciare dietro di sé una fugace scia di bel cinema prima di dissolversi nel nulla.

(Set. 2009)

Totò - Venezia 66 - Orizzonti



(N. Lazzerotti x close-up/7set) Peter Schreiner porta in laguna un’opera difficile e per certi versi scostante. Con Totò (Antonio Cotroneo), infatti, il regista austriaco realizza un’opera rarefatta, ambigua, persa in un incerto limbo a metà tra fiction e documentario. A "metà" si trova anche lo stesso protagonista della pellicola, un emigrante calabrese bigliettaio al Konzerthaus di Vienna che vive sulla sua pelle un’aspra nostalgia della terra natia, una terra che noi spettatori rivediamo attraverso dei veri e propri viaggi mentali del protagonista ripresi in un opprimente bianco e nero. Il senso fisico del malessere provato dall’eroe di questa storia si manifesta, allora, nella pellicola oltreché nella parole e nei toni della voce di Totò impastata di passioni e ricordi, anche nella regia che si immedesima a tal punto nello stato d’animo oppresso del personaggio che mette in scena da diventare, a sua volta, opprimenti e difficile da digerire, perfino per un pubblico allenato come quello presente in Mostra alla proiezione.
La messa in scena meticolosa e calibratissima è tutta tesa a creare una sorta di sconcerto visivo e sonoro nello spettatore. I continui primissimi piani e i dettagli del viso del protagonista, o la frammentazione continua del corpo degli attori, ripresi in modo da intravedere frazioni di gambe, braccia e bacini, fanno, infatti, da "cornice" a luoghi privi di qual si voglia interesse per lo spettatore. E’ come se lo sguardo del pubblico fosse trattenuto nel quadro visivo offerto, senza alcuna via di fuga relegato ed imprigionato sullo schermo. E i suoni, spesso ridondanti come l’andamento del treno (metafora forse scontata del viaggio ?) o i rumori emessi dal corpo come il respiro lento e pesante di Totò appesantiscono volutamente la visione, frustando lo spettatore.
Pur comprendendo l’intento dell’autore, ci appare eccessivo l’atteggiamento, che egli assume. Se, infatti, provocare e mettere alle corde uno spettatore può essere un condotta ‘vincente’ per un certo cinema di ricerca, questa estrema coerenza e questa predilezione per un’azione di disturbo, adottata dal regista, quasi con intenti sadici, è un vero stupro visivo, una violenza che costringe lo spettatore per le oltre due ore di visione all’annientamento per spossatezza o all’abbandono della sala. E’ evidente che l’operazione di Totò non è intrattenimento, e che per approcciare una visione del genere bisogna assumere una certa predisposizione, ma crediamo che un respiro più breve e la presenza di momenti che possano alleggerire la pellicola avrebbero giovato alla stessa. E dispiace perché una sua più che meritata dignità sarebbe stata sacrosanta se l’autore avesse abbassato i toni della messa in scena.

(Set. 2009)

Morto Mike Bongiorno. Scomparso a 85 anni a Montecarlo per un infarto il celebre conduttore



(Libero/8set) È morto di infarto a Montecarlo all'età di 85 anni Mike Bongiorno. Nato a New York nel 1924, è stato l'anima della televisione italiana fin dalla sua fondazione. Si preparava al nuovo debutto su Sky con il RiSkytutto, riedizione del Rischiatutto.
«Un grande amico, un protagonista della storia della tv italiana»: così Silvio Berlusconi ha parlato di Mike Buongiorno appena appresa la notizia della scomparsa del celebre presentatore. «Mi dispiace molto - ha aggiunto il premier -, aveva un grande sogno che era quello di diventare senatore a vita». A chi gli chiedeva poi dell'ultimo periodo e degli attriti che ci sono stati tra Mediaset e Mike Buongiorno, Berlusconi ha spiegato che con lui non ci sono mai state controversie e che la vicenda con Mediaset è stato «un misunderstanding».
Mike Bongiorno, all'anagrafe Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, nasce a New York il 26 maggio 1924. Insieme a Pippo Baudo, Corrado e Raimondo Vianello, è tra i più noti volti della televisione italiana fin dalla sua nascita. Italoamericano, figlio di madre torinese. Il nonno paterno, Michelangelo Bongiorno, era emigrato da Campofelice di Fitalia a quel tempo frazione di Mezzojuso in Sicilia, dove aveva una bottega. È giovanissimo quando si trasferisce in Italia: frequenta il ginnasio e il liceo a Torino.
Durante la Seconda guerra mondiale interrompe gli studi e si unisce alle formazioni partigiane in montagna. Arrestato dai nazisti, trascorre sette mesi nel carcere milanese di San Vittore; successivamente conosce gli orrori dei campi di concentramento tedeschi (è insieme al noto giornalista Indro Montanelli), da cui si salva grazie ad uno scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Germania. Dopo aver condotto negli USA nel 1946 il programma radiofonico Voci e volti dall'Italia (per la stazione radiofonica del quotidiano Il progresso italo-americano), si stabilisce definitivamente nel Belpaese nel 1953, chiamato a sperimentare la neonata televisione con il programma Arrivi e partenze. Il programma va in onda il 3 gennaio 1954 alle 14.30: è il primo giorno di trasmissioni della televisione italiana.
Il programma che incorona Mike Bongiorno come icona televisiva è sicuramente Lascia o raddoppia? (che si ispira alla versione americana "Una domanda da 64.000 dollari"), primo grande quiz della storia della TV italiana, successo incredibile, tanto da far chiudere i cinema al giovedì sera. Va in onda dal 1955 al 1959. Da allora Mike Bongiorno inanella una serie incredibile di successi tra cui ricordiamo Campanile Sera (1960), Caccia al numero (1962), La fiera dei sogni (1963-65), Giochi in famiglia (1966-67), Ieri e oggi (1976), Scommettiamo (1977), Flash (1980). Umberto Eco nel 1961 traccia un profilo indimenticabile del conduttore nella sua celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno. Uno dei programmi più importanti di Mike Bongiorno è Rischiatutto (1970-1974), in cui vengono introdotti in TV l'elettronica e gli effetti speciali. Nel 1977 conosce Silvio Berlusconi. Il noto imprenditore capisce che è giunto il momento di creare in Italia la TV privata; per avere successo chiama i più grandi personaggi della TV fino a quel momento: Corrado Mantoni, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini e Mike Bongiorno. Mike già conosce le regole del marketing e il modello americano ed è il primo a portare gli sponsor nelle sue trasmissioni su TeleMilano (la futura Canale 5). Si apre un nuovo capitolo della storia di Mike Bongiorno con i successi I sogni nel cassetto" (1980), Bis (1981), Superflash (1982-1985), Pentatlon (1985-1986), Parole d'oro (1987), TeleMike (1987-1992) e C'era una volta il Festival (1989-1990). La sua impareggiabile esperienza gli vale nel 1990 la vice presidenza dell'emittente Canale 5. Parlando di Berlusconi Mike disse nel 1992: "Se fosse nato in America potrebbe persino fare il presidente".
Dal 1989 conduce con grande successo La ruota della fortuna, game show di provenienza americana, arrivando a stabilire lo strabiliante record di 3200 puntate. Nella sua lunghissima carriera, Bongiorno vanta anche la presentazione di ben undici edizioni del Festival di Sanremo, l'evento televisivo più importante in Italia. Nel 1991 presenta la prima edizione del varietà Bravo Bravissimo, giunto oggi alla decima edizione, dal quale prende spunto il nuovo programma Bravo Bravissimo Club, ideato dai suoi figli. La sua ultima fatica è la conduzione del nuovo programma di Rete 4 Genius.
Il primo aprile 2001 Mike parte da Milano in una spedizione diretta al Polo Nord: uno degli obiettivi dei 40 membri della spedizione è quello di compiere dei prelievi (effettuati dal CNR) nelle nevi della calotta polare, per verificare a migliaia di chilometri di distanza gli effetti dell'inquinamento prodotti dall'uomo. La spedizione, costata lunghi mesi di preparazione ai partecipanti e due miliardi di lire agli sponsor ingaggiati, è stata promossa dall'Opera romana pellegrinaggi per il centenario della prima spedizione al Polo nord, organizzata nel 1898 da Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi e che fu allora patrocinata da re Umberto I.
Dopo la rottura con Mediaset, che lasciò il conduttore molto amareggiato, si preparava all'ennesimo debutto su Sky con la riedizione del Rischiatutto.

(Set. 2009)

"Totò", elogio della nostalgia



(Isabella Marchiolo x Quotidiano Calabria) Antonio Cotroneo ha la fisionomia meticcia del nomade. I lineamenti stabili e sanguigni del viso, di genia calabra, s’ingarbugliano nella mobilità di occhi inquieti. Non mettono radici, gli occhi. Se lo incontri a Tropea, il suo sguardo vaga tra l’epifania mondana delle luci del borgo e il mare, ancora denso di mistero. Dell’etnico calabrese, Cotroneo non ha più la meridionale gestualità. La serena pacatezza del corpo è austriaca, appartiene alla residenza viennese acquisita nel ’97 per amore della moglie. Cotroneo, ex emigrante ribelle di una sudista generazione ruggente – quelli che partivano non per lavoro ma per smania di esperienze – e oggi poeta che s’ispira al vernacolo tropeano, è il “Totò” del documentario del regista austriaco Peter Schreiner, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. Il film sarà presentato oggi 3 settembre 2009 in anteprima per la stampa e poi sabato 5. Girato a Tropea e Vienna, è un lungo memoir sentimentale che inizia con un giovane calabrese che abbandona il suo paese guidato dall’istinto dell’avventura. Totò si laurea in scienze politiche a Messina e parte. Bohemien ma sorretto da quel pragmatismo che certe volte impedisce agli artisti di dissociarsi dalla realtà, lavora al Nord come portalettere, viaggia, a Vienna conosce la donna che da trent’anni è sua moglie e gli ha dato quattro figli (amorosa contaminazione del prolifico status familiare del nostro Sud!). Il documentario insegue i ricordi di Totò e una pungente nostalgia di Tropea, che affiora negli anni della maturità. Le scogliere, la calata del convento, la grotta del cannone trasudano un segreto senso di rimpianto. Peter Schreiner ha conosciuto Cotroneo vent’anni fa, durante un viaggio del regista in Italia, per girare un docufilm a Stromboli. Lo accompagnai – racconta Cotroneo – fin sopra il cratere. A mezzanotte Peter filmò un paio di eruzioni e la cenere di lava stava per soffocarci. Anni dopo, quando Cotroneo vive già a Vienna con la famiglia, sul web Schreiner s’imbatte in poesie e racconti del tropeano, e nasce l’idea del film “Totò”.
Mi disse – spiega Cotroneo – che voleva scoprire quel mondo, la mia terra d’origine, di cui scrivevo angosciosamente, per averlo perso.
Lo spleen dell’emigrante, insomma.
Ho nostalgia degli anni selvaggi e dolci trascorsi in una contrada abitata da artigiani, commercianti, pescatori. Il borgo era un’agorà, gli artigiani avevano sempre le porte aperte, gli anziani parlavano dei fatti del paese come in un centro sociale all’aperto.
Nei suoi libri di poesia gli antichi mestieri sono un tema ricorrente. Lei però ha avuto una vita controcorrente, da girovago. Ha cambiato lavoro e città, ha reciso radici.
Ho lasciato Tropea già durante gli anni universitari, facevo la spola con Milano dove lavoravo come portalettere tornando a Messina per gli esami. Ma a Milano, facendo il postino, ho incontrato i calabresi, che vivevano nei sobborghi, da emarginati, e tanti di loro, come gli immigrati stranieri oggi, vivevano in cascine fatiscenti. Dopo la laurea sono rimasto a Milano, attratto dalle opportunità di una metropoli. Il dialetto delle poesie l’ho appreso da mia nonna, che si alzava all’alba per girare i paesi e barattare sale e medicine con altri prodotti. Mio padre invece era reggino, di Fiumara, un ceppo di commercianti di origine greca: il cognome significa “nuova pietra”. Ma tutti li chiamavano “luppinari”, perché commerciavano i lupini, che si consumavano nelle cantine per accompagnare il vino.
Quindi lei con l’oralità dei nonni e la poesia ha trovato un compromesso tra ambizioni e memoria.
Ma anche in Austria ero irrequieto. Ho lavorato alle Poste e poi ho lasciato per impegnarmi nel campo culturale. Musei, teatri, la sala concerti Konzert Haus dove accompagnavo gli artisti e scrivevo poesie nei turni d’intervallo.
Nel film “Totò” lei interprete del cambiamento di Tropea. Il mondo della sua infanzia non esiste più.
E’ cambiato tutto. Ad esempio, i rapporti di noi giovani con la società erano dominati dal maschilismo. La mancanza di dialogo tra i sessi favoriva l’avvicinamento morboso alle donne. Nel film parlo del blick… lo sguardo. Un giorno, ritornando a Tropea da Milano, mi capitò di incontrare una ex compagna di scuola. Mi sono avvicinato per salutarla e lei mi disse che non poteva darmi retta in piazza perché il fidanzato le aveva proibito di intrattenersi con altri uomini.
Tropea oggi è uno dei punti nevralgici del turismo calabrese.
Questo rende più evidente il cambiamento. Tropea è un grande centro commerciale, una macchina per fare soldi. I turisti hanno cambiato il modo di vivere dei tropeani che si preparano tutto l’anno per l’estate. Ad ottobre Tropea ricade nel letargo, nella solita vita.
Un pò cinico riguardo il turismo di massa…
A Tropea abbiamo avuto il vero turismo culturale. La città era un’oasi di silenzio dove gli artisti venivano a riposarsi e ispirarsi. Tra loro e i tropeani nascevano rapporti duraturi. Il pittore Lorenzo Albino, e poi Eduard Baumer pittore austriaco e direttore dell’Accademia Viennese, lo scrittore Giuseppe Berto. Il professor Baumer passando per il Borgo mi allungava dieci lire per il gelato. Oggi abbiamo masse incontrollate che arrivano dalle grandi città. Negozi e ristoranti arrangiati da maggio a luglio, licenze a iosa, le poche spiagge libere occupate dai privati, altre scomparse. E neanche sono stati creati servizi validi, tutto si progetta per recepire le masse caotiche che riempiono Tropea 30 giorni all’anno.
Troppo rumore. Si chiama movida, è il turismo di tendenza.
Invece il silenzio è la prima prerogativa di un posto turistico! Come Grado, Capri, Portofino. A Tropea andava meglio un tipo di turismo con piccole pensioni, appartamenti in affitto a prezzi accessibili: chi viene in villeggiatura vuole anche estraniarsi dalla città, riposarsi e godere dei benefici di un posto di mare. Dalle 23 in poi a Tropea sembra un festival all’aperto, con i bar che suonano all’impazzata per attirare i giovani. Giovani a cui oggi non si può negare niente. E’ vacillata l’istituzione familiare che durante la mia gioventù era il perno principale della vita collettiva.
Lei ha quattro figli che vivono a Vienna. Ma per loro è diverso.
L’inserimento dei primi due è stato difficilissimo nelle scuole pubbliche austriache senza le basi della lingua. Rudi, il maggiore, si è iscritto all’accademia d’arte. Adesso lavora per una galleria viennese e ha fatto già diverse mostre di pittura.
In Calabria per gli artisti è duretta…
La differenza culturale non esiste. In Austria i giovani si rivolgono ai politici per i loro progetti, se uno vale le istituzioni lo sostengono. La politica è la vera palla al piede del Sud Italia. Ho spedito il progetto del mio film agli assessori alla cultura delle province calabresi. Non faccio nomi, ma uno mi ha risposto: “Cosa me ne faccio di una cosa mezza calabrese e mezza tedesca”. Gli ho scritto una mail informandolo che “Totò” è stato selezionato alla Mostra di Venezia.
Però, Cotroneo, lei la Calabria, e Tropea, le ama.
E’ un amore difficilissimo, da Tropea vorrei staccarmi per non soffrire più. Ogni volta tento di ritrovare un dialogo con le cose che ho lasciato, qualcosa di tenero e indefinibile. Invece mi sento, violentemente invecchiato. In una scena del film, sotto la grotta del cannone vicino al porto, c’è un piccolo pezzo della mia infanzia, ormai irriconoscibile. L’accesso al sentiero per lo scoglio demaniale è ostruito da un cancello, il letto della fiumara è stato coperto per fare spazio a una villetta. Piangevo tanto che il regista non riusciva ad inquadrarmi.

(Set. 2009)

"Totò"



(Giuliana Steri x FilmUP) Parla di bilanci, di nostalgia e di dolore "Totò", il documentario del regista austriaco Peter Schreiner in concorso nella Sezione Orizzonti, presentato oggi in Sala Darsena alla presenza del regista e del protagonista Antonio Cotroneo.
Temi universali, ma ancora più vicini a noi poiché calati nella realtà di un emigrante.
In un elegante fotografia in bianco e nero, che ben sottolinea il senso di vuoto e di incompiutezza del protagonista, Schreiner ci rende partecipi del delicato momento vissuto da Antonio, calabrese trapiantato a Vienna da ormai 35 anni.
Giovane ribelle, Totò (questo è per tutti il suo nome a Tropea) contesta quanto la sua Terra e le sue tradizioni rappresentano e fugge lontano dalla sua famiglia per trovare se stesso. A Vienna Antonio (non più Totò) ha buon lavoro e si è ben integrato, come lui stesso dice non ha mai notato un atteggiamento razzista nei sui confronti.
Una crisi sentimentale e una nostalgia sempre più impellente della sua Calabria lo portano a un bilancio amaro dei sui 50 anni: non è dove – forse - vorrebbe essere. Si sente alla continua ricerca di un qualcosa che forse non raggiungerà mai, senza neppure sapere cosa cercare.
Per trovare e capire meglio se stesso ritorna in Calabria: affrontare e riconoscere gli sbagli del passato sono il primo passo per migliorare la sua vita. Per riniziare a vivere, riniziare ad amare ed emergere dal suo perenne senso di torpore.
Ma la realtà, come sempre accade, è meno dolce dei suoi ricordi, nella sua Terra tutto è immobile e sempre uguale, quasi senza un futuro.
Antonio farà pace con il suo passato, e capirà che il suo futuro è li dove ha scelto di vivere, a Vienna.
Con una regia documentaristica, lenta e attenta ai dettagli cosi come ci si aspetta visto l’amore del regista per la fotografia, Schreiner e la bravura del protagonista permettono di "sentire" il dolore di Antonio. Unico appunto, forse l’uso del colore per la Calabria avrebbe reso ancor più accentuata la differenza e il senso di straniamento.

La frase
"Dopo la curva era un’altra vita… Prima ero Totò. Dopo, non ero più Totò".

(Set. 2009)

CRISI: A RUBA A TROPEA CALENDARIO SENZA ULTIMA SETTIMANA MESE



La dolce Suor Enzina nella pagina dedicata al mese di settembre 2010

(AGI) - Vibo Valentia, 21 ago. - A Tropea, cittadina turistica sulla costa vibonese, sta andando a ruba, al prezzo di sei euro, il calendario 2010, tutto a colori con bellissime immagini ed anche con una sorpresa. In ogni mese, infatti, manca l'ultima settimana. Si tratta di un "aiuto" nei confronti di coloro che non riescono ad andare avanti oltre la terza settimana del mese. Quindi la quarta diventa inutile. "Il Calendario di Enzo 2010 - Sorridi... sei a Tropea" e' stato realizzato da Enzo Taccone, un noto personaggio del luogo, scrittore, pubblicista, musicista, intrattenitore.
"Si tratta di dodici scatti esilaranti - spiega - che cercano di dare una scossa ed invitano al sorriso, cercando di alleviare la pesantezza della crisi che inesorabilmente si abbatte ogni giorno sulle spalle di tutti coloro che non riescono ad arrivare alla fine del mese. E' dunque un calendario dedicato a loro, privo dell'inutile ultima settimana nei mesi che lo compongono, ma che fa ben sperare per il prossimo futuro con l'augurio a tutti di superare l'attuale difficolta'". Taccone ha anche fatto sapere che l'intero ricavato delle vendite del calendario andrà alla sezione di protezione civile di Tropea. (AGI) Cli/Ros

(Set. 2009)

Totò di Schreiner. Una storia calabra

Danila Bellino intervista Schreiner. Foto Calabria Ora

(Danila Bellino x Calabria Ora/4set) Tropea come non l'avevamo mai vista. Il regista Peter Schreiner, con il suo Totò, ce la presenta scarnificata, di una bellezza essenziale ma ipnotica, complice anche un'eccezionale fotografia in bianco e nero, con dei particolari contrasti di luci e ombre. Conoscevo già Tropea, c'ero stato insieme al mio amico, Antonio Cotroneo, che è anche il protagonista del film, ci ha raccontato il regista alla sua prima kermesse veneziana, lo conosco da 25 anni e ho voluto fare un film sulla sua storia, dovevo perciò ritornare nel luogo dov'era nato.
Molte scene di Totò sono in dialetto tropeano, ma è stata una scelta meditata, non è la prima volta che giro un film con una comunità ben precisa nel dialetto del territorio ci ha spiegato mi era già capitato con un paese delle Alpi carniche, che è considerato una vera e propria isola linguistica per il particolare dialetto, molto vicino al tedesco.
Nessun disorientamento dunque, venendo a contatto con la comunità di Tropea, sono state sei bellissime settimane di lavorazione ha ricordato Schreiner ero concentrato su Antonio e sui suoi stati d'animo, la sua realtà personale, ma il film riflette anche la nostalgia di me, austriaco, nei confronti del vostro Sud; questo, sia ben chiaro, non vuol dire che Totò è un film sulla melanconia, ma sul modo di rapportarsi al proprio vissuto attraverso luoghi e ricordi.
Il dipanarsi degli eventi quotidiani, semplici, il tempo disteso del film, viene invece da una ricerca di filmare il presente, semplicemente, o meglio lasciare che una cosa accada davanti alla cinepresa ci ha spiegato il biondo austriaco solo così posso cercare quel grande regalo che è la bellezza, e la posso trovare in una cosa, in una luce. Anche le inquadrature, dove partecipano con uguale importanza uomini e oggetti, risponde a un'estetica "asciutta", quando riprendo una cosa, sento la necessità di ridurre ha precisato Schreiner di essere un osservatore partecipante, ma rispettando la natura di ciò che riprendo.
La città da questa sorta di "oggettivismo", viene fuori trasformata, i volti delle persone, il mare, le baracche sulla spiaggia, le rocce, le grotte, perfino luoghi banali come la stazione dei treni, parlano un altro linguaggio, sono combinati in una forma che sembra talvolta astratta, ma è disperatamente concreta.
Il montaggio alterna agli scenari di Tropea, gli interni del Konzerthaus di Vienna, dove Totò fa il bigliettaio; il suo viaggio al Sud, appunto, parte da un bisogno di allontanarsi dalla dimensione viennese e cercare quello che gli manca o, come dice, cercare di vivere meglio.
L'incontro con gli amici del paese, il pescatore, la donna anziana, il perdigiorno, gli farà sentire un pò di conforto, ma capirà anche che, ormai, è irrimediabilmente lontano di quella dimensione.
Il viaggio di Totò all'interno di Tropea è un'elegia poetica sulla difficoltà di un emigrante calabrese a riconoscersi. Uno dei film più interessanti sulle conseguenze dell'emigrazione.

Da emigrante vi racconto Tropea


E' impaziente Antonio Cotroneo, davanti alla sala Pasinetti del Palazzo del Cinema, si aggira con l'ansia di chi vuole che tutte le cose filino lisce e la première di Totò, film di cui è protagonista con la regia di Peter Schreiner, è atteso come una delle sorprese della rassegna Orizzonti. Mi sembra che qui facciamo troppo ritardo osserva Antonio mentre chiede alla hostess di sala quando potrà partire il film.
E' la prima volta qui al festival, mi sembra che ci sia un po' di caos nell'organizzazione ci ha detto con un pò di apprensione ma non mi lamento, mi hanno dato un bellissimo albergo vicino San Marco.

Questo film è costruito tutto sulla memoria.
Sì, insieme a Peter siamo andati a Tropea, a ritrovare i luoghi della mia infanzia, abbiamo fatto un viaggio in treno lunghissimo, che si vede anche nel film. Ma molte cose che ho visto, ho stentato a riconoscerle, non mi sento coinvolto come prima, cioè il sapore di quelle cose si è irrimediabilmente perso.
Lei ormai abita e lavora a Vienna…
Sì, ma anche lì ci sono dei problemi, si respira un'aria soffocante, forse è per questo che ho cominciato a scrivere delle poesie, per cercare un'altra dimensione. Sono usciti due miei libri, 'La strada della lentezza' e 'Storii du burgu', dove parlo proprio delle esperienze che poi si vedono nel film, che, per esempio, inizia con la vestizione della Madonna del Carmine, io infatti sono del Rione del Carmine.
La sua memoria però ci fa vedere un'altra Tropea.
Sì, forse si riferisce al fatto che, per esempio, non mi posso affacciare dal belvedere, mi tremano le gambe, perché mi ricordo di quando si sono buttate da lì tre persone, quello che per gli altri è un posto bello, per me è un brutto ricordo.
Il film è molto commovente, soprattutto nell'incontro con le persone.
Sì, sono le stesse che mi erano amiche allora e sono state molto disponibili, anche perché noi giravamo senza premeditare un piano prima, prendevamo le situazioni che si presentavano; infatti, con il mio amico pescatore siamo veramente andati a pescare e un altro mio amico, invece, ci veniva a trovare lui, passava e ci chiedeva cosa stavamo facendo.
Chi è secondo lei l'emigrante calabrese?
Uno che alla fine non si trova bene in nessun posto e che però, per la scelta che ha fatto, deve dimostrare un coraggio da leone, perché sono tante le cose da affrontare, lontano da tutto e senza riferimenti certi; io ho fatto anche molti anni a Milano, e poi sono arrivato a Vienna, non è stato per niente facile.

(Set. 2009)

Questa sera a Venezia (Domenica 3 set) un film con Giuseppe Imineo girato anche per le strade della provincia di Vibo



Il proiettorista e cinematografaro Giuseppe Imineo di Filogaso

(F. Vallone/6set) All'inizio, quando il regista Valerio Jalongo venne in avanscoperta a Pizzo, ospite di Vera Bilotta e del Circolo Lanterna Magica, il film si doveva chiamare semplicemente "Film Bianco", oggi, a distanza di un anno e più, il nuovo lavoro di Jalongo è già uscito e stasera (Domenica 6 settembre) verrà proiettato al Festival del Cinema di Venezia. 'Film Bianco' durante le riprese ha cambiato nome, proprio durante una delle fasi della lavorazione del film in Calabria, il nuovo titolo "Di me cosa ne sai" è stato suggerito, o meglio ispirato, casualmente e per strada, dal cinematografaro Giuseppe Imineo di Filogaso. Ora quel film è pronto per concorrere a pieno titolo a Venezia ed è stato presentato in concorso alla quinta edizione delle Giornate degli autori (Venice Days), all'interno della stessa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2009.
"Di me cosa ne sai" è un film docu-drama, una sorta di interessante documentario che indaga e racconta dello stato del cinema in Italia. Un vero e proprio un guardarsi allo specchio, o meglio allo schermo, dello stesso cinema. Fino agli anni Settanta il cinema italiano dominava la scena internazionale, arrivando perfino a fare concorrenza ad Hollywood e a tutta la cinematografia americana. Poi, nel volgere di pochi anni, il rapido declino, la fuga dei nostri maggiori produttori, la crisi dei grandi registi-autori, il crollo della produzione.
Ma quali sono le vere cause e le circostanze di questo declino? Nel cercare di dare una risposta a questa domanda, "Di Me Cosa Ne Sai" tenta di raccontare questa grande mutazione culturale. Iniziato come un'amorosa indagine sul cinema italiano, "Di me cosa ne sai" diventa così un docu-drama che alterna testimonianze dei protagonisti di allora a frammenti della vita culturale e politica degli ultimi trent'anni: un vero e proprio diario di bordo di un affascinante viaggio che racconta l'Italia da nord a sud, attraverso sale cinematografiche e ragazzini teledipendenti, Berlusconi e Fellini, centri commerciali e direttori di telegiornale, storie di esercenti appassionati e registi che lottano per i propri film, testimonianze di proiezionisti girovaghi e di grandi registi europei…
Nel film "Di me cosa ne sai" di Jalongo molte scene sono state girate in Calabria, a Palmi e Bagnara, ed in particolare nella provincia di Vibo Valentia, a Papaglionti di Zungri, a Serra San Bruno, Filogaso, San Nicola da Crissa, Tropea, Vibo Marina, ma anche a Briatico e Francavilla Angitola dove nei pressi di un'antica chiesa del rione Pendino è stato allestito, proprio grazie a Imineo, un cinema all'aperto con macchina di proiezione a carboni e schermo con il lenzuolo al vento.
Questa sera nella città lagunare, alle ore 17.00, il film verrà presentato al Festival del Cinema più importante d'Italia e, per questa irripetibile occasione, a Venezia, ospite di Valerio Jalongo, ci sarà anche Giuseppe Imineo di Filogaso, definito oggi l'ultimo cinematografaro della Calabria. Imineo durante le riprese ha accompagnato il regista per paesi e contrade di tutta la provincia di Vibo Valentia per raccontare, davanti alle videocamere, la sua affascinante avventura con il cinema durata quasi sessant'anni. C'è da precisare che nel film di Valerio Jalongo compaiono tra l'altro, oltre a Giuseppe Imineo, anche Giulio Andreotti, Mario Monicelli, Silvio Berlusconi, Wim Wenders, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Vittorio De Seta, Maurizio Nichetti, Vincenzo Mollica, Carlo Verdone, Francesca Comencini, Michele Placido, Clemente Mimun e tanti altri operatori dello spettacolo e del mondo del cinema.

Trailer

(Set. 2009)

COSENZA: L'EX BOSS FONTI ALL''ESPRESSO', POLITICI E 007 DIETRO NAVI VELENI
Indagini sul relitto scoperto al largo di Cetraro (Adnkronos/17set) ''Per anni nessuno ha voluto ascoltare quello che dicevo ai magistrati. Ho sempre ammesso di essermi occupato dell'affondamento di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Ho indicato dove cercare: al largo di Cetraro, nel punto in cui il 12 settembre la Regione Calabria e la Procura di Paola hanno trovato a 480 metri di profondità un mercantile con bidoni nella stiva. Eppure, anche oggi che tutti mi riconoscono attendibile, devo affrontare una situazione assurda: vivo nascosto, senza protezione, con il pericolo che mi cerchino sia la cosca a cui appartenevo, sia i pezzi di Stato che usavano me e altri 'ndranghetisti come manovalanza''. A parlare in un'intervista a ''l'Espresso'' in edicola domani è l'ex boss della 'ndrangheta Francesco Fonti, trafficante di droga condannato a 50 anni di carcere poi diventato collaboratore di giustizia, le cui dichiarazioni hanno portato al ritrovamento lungo la costa cosentina.
Il racconto di Fonti, svela il settimanale, ''parte dal 1992, quando l'ex boss spiega di avere affondato le navi Cunski, Yvonne A e Voriais Sporadais''. ''Era una procedura facile e abituale - racconta l'ex boss - Ho detto e ribadisco in totale tranquillità che sui fondali della Calabria ci sono circa 30 navi. Io ne ho affondate tre, ma ogni anno al santuario di Polsi (provincia di Reggio Calabria) si svolgeva la riunione plenaria della 'ndrangheta, dove i capi bastone riassumevano le attività svolte nei territori di loro competenza. Proprio in queste occasioni, ho sentito descrivere l'affondamento di almeno tre navi nell'area tra Scilla e Cariddi, di altre presso Tropea, di altre ancora vicino a Crotone''.
''Il mio filtro con il mondo della politica è stato, fin dal 1978, un agente del Sismi che si presentava con il nome Pino'', racconta ancora Fonti all''Espresso', spiegando che, quanto ai compensi, ''si partiva da 4 miliardi di vecchie lire per un carico, e si arrivava fino a un massimo di 30'', versati a Lugano. Quanto ai politici che stavano alle spalle dell'agente Pino, ''mi incontrai più volte per gestire il traffico e la sparizione delle scorie pericolose con Riccardo Misasi, l'uomo forte calabrese della Democrazia cristiana'', sostiene Fonti, facendo riferimento al politico morto nel 2000. Secondo il pentito, nell'affare dei rifiuti pericolosi sarebbe stato coinvolto anche ''l'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita'', con il quale si sarebbero incontrati ''tre o quattro volte''. Interpellato dal settimanale, De Mita nega qualunque rapporto con Fonti: ''Smentisco nella maniera più netta le affermazioni di una persona che non credo di conoscere.
Porterò questo individuo innanzi al tribunale per rispondere penalmente e civilmente delle sue calunniose dichiarazioni''.

Cetraro: le prime immagini della nave dei veleni (YouTube)

Le rivelazioni del pentito sulle navi dei rifiuti (L'espresso)

(Set. 2009)

Briatore: breve vacanza in Calabria con la moglie



"Force blue" in rada al largo di Tropea

(AGI/19set) Da ieri mattina il mega yacht “Force Blue” di Flavio Briatore, ex team manager della Renault, si trova nelle acque del Vibonese, prima al porto di Vibo Marina e questa mattina nello specchio d’acqua antistante la spiaggia della baia di “Rocca Nettuno”, nella cittadina turistica di Tropea. Briatore, con la moglie Elisabetta Gregoraci, si sono fatti vedere poco, ma sono molti i curiosi che sperano di poter fotografare la coppia e quindi in attesa di una loro passeggiata sulla terraferma.
Secondo quanto si è appreso la breve vacanza calabrese, terra d’origine della Gregoraci, dovrebbe concludersi domani. Per lunedì Briatore è stato convocato dalla Fia sulle vicende relative all’incidente in pista di Piquet.

(Set. 2009)

Radici del Suono. A Reggio la Festa di presentazione del Progetto Kordax 2009/10



(S. L.) Sabato 26 settembre alle ore 2130, al Museo dello Strumento Musicale - Pineta Zerbi, Reggio Calabria, si svolgerà la Festa di presentazione del Progetto Kordax 2009/10, programmazione annuale alla scoperta della musica e delle danze popolari del centro-sud Italia.
Il laboratorio pratico/teorico di danze popolari si articola in una serie d’incontri sullo studio delle tradizioni etnocoreutiche e musicali del centro sud Italia. L’obiettivo è quello di creare momenti d’incontro, divertimento e socialità, ma anche la possibilità di una conoscenza più ampia di quei luoghi dove la tradizione del suono e della danza è ancora viva.
La didattica è affidata ai consueti canoni della trasmissione orale e cioè del guardare e ripetere.
Questo progetto si svilupperà da settembre 2009 a giugno 2010 con dei laboratori settimanali di danza e strumenti e con approfondimenti e concerti in un fine settimana al mese.
I momenti di approfondimento e concerti saranno affidati a suonatori, cantori e ballerini appartenenti alla cultura popolare della regione "presa in esame".
Le lezioni si svolgeranno ogni mercoledì dalle ore 19.30 alle 21.00 presso il Museo dello Strumento Musicale

Il programma è così articolato:

Ottobre/ Novembre: Tarantella del Pollino
Novembre /Dicembre: Fora u primu (Reggio Calabria)
Gennaio/ Febbraio: Ballittu (Sicilia)
Febbraio/ Marzo: Pizzica Pizzica (Salento)
Marzo/ Aprile: Tammurriata (Campania)
Aprile/ Maggio: Saltarello (Lazio)
Giugno: Danze Occitane

Saranno presenti i suonatori della Valle del Sant’Agata (RC)e di Alessandria del Carretto(CS).

Sabato 26 settembre 2009 ore 21,30
Museo dello Strumento Musicale
Pineta Zerbi
Reggio Calabria
INFO 340.7634333/320.1958651
www.mustrumu.it

(Set. 2009)

Briatico "perde" la preziosa biblioteca del Centro Scalabrini con i suoi 16.000 volumi



Una bella immagine di Padre Maffeo Pretto all'interno della sua biblioteca

(F. Vallone) Oramai è più che confermato, la biblioteca del Centro Studi Scalabrini per le Migrazioni Meridionali dopo vent'anni lascia Briatico per altra destinazione. I quasi sedicimila volumi sono stati impacchettati per essere trasferiti a San Nicola da Crissa, presso la struttura che a breve ospiterà il Centro Studi voluto dall'antropologo sannicolese Vito Teti, docente dell'Unical.
Briatico perde anche questa grande risorsa culturale "ma, - per come comunicato dallo stesso Padre Maffeo Pretto, fondatore e curatore della biblioteca, - dal Comune di Briatico non si è evidenziato nessun interesse a far rimanere la struttura culturale in paese. Soltanto tre giorni fa è arrivato in biblioteca l'assessore comunale alla cultura, ma ormai i volumi stavano per essere imballati negli scatoloni... e le trattative con il Comune e l'Associazione Crissa di San Nicola da Crissa erano state già concluse. La biblioteca è uno strumento di ricerca, in assenza dell'elemento ricerca o di un gruppo di ricerca la biblioteca rimane solo uno sterile deposito di libri" in queste parole, sempre a firma di P. Maffeo Pretto, si racchiude il significato più vero e profondo di intendere il termine "biblioteca".
Una biblioteca nata a Simbario con un fondo originario di poco più di trecento volumi, poi, successivamente, per tre anni a Favelloni di Cessaniti, dove la biblioteca inizia a prendere forma con ben 5000 volumi catalogati e dopo, stabilmente, a Briatico, dove si raggiungono i 16000 volumi presenti, ben allineati in ordine di tematica, tra gli scaffali. Padre Maffeo Pretto ci racconta dei tanti ragazzi di tutto il comprensorio che negli anni si sono formati su quelle pagine, dei tanti studiosi, di chi doveva affrontare la stesura di una tesi o semplicemente di una ricerca più approfondita, dei sacrifici economici ma anche dei piccoli grandi aiuti dell'Anap Calabria di Briatico che, sensibile alla cultura, per qualche tempo aveva pagato l'affitto delle casette che ospitavano la biblioteca presso Piazza Marconi. Poi i libri diventano tanti, c'è la frenetica ricerca di spazi più ampi. Si riesce così a trovare una struttura, posta proprio di rimpetto al palazzo municipale, con Callipo, il proprietario, che concede la grande casa, simbolicamente per soli 300 mila lire l'anno. Ma alla morte del proprietario, ricorda ancora P. Maffeo, le cose cambiarono, gli eredi pretesero 300 euro al mese fino ad arrivare alla recente richiesta, raddoppiata, di 600 euro al mese. A chi chiede come mai la biblioteca non viene ospitata nell'oratorio, padre Maffeo risponde ricordando loro che la biblioteca non è proprietà della Parrocchia ma è una vera e propria parte dello CSER, il Centro Studi Emigrazione di Roma. Come si ricorderà gli Scalabriniani sono arrivati in Calabria negli anni sessanta per comprendere il mondo calabrese, cioè la storia, la cultura e la religiosità popolare; in tutte le parti del mondo nelle quali svolgono la loro assistenza agli emigrati gli scalabriniani hanno incontrato forti gruppi di calabresi fra i più uniti ed attivi anche in campo religioso, da qui l'esigenza e l'urgenza di un incontro con le realtà della Calabria. C'è da sottolineare che la Biblioteca di Briatico vantava tra l'altro la "presenza", nel suo interno, di ben 3000 volumi sul mondo calabrese, 3000 volumi di antropologia culturale, 2500 volumi sulla religiosità popolare, 2000 di storia oltre che varie enciclopedie, riviste e libri di letteratura, teologia e filosofia.

(Set. 2009)

Il fondo dello stivale



(Giuliano Santoro) La scena è avvenuta qualche giorno fa. Wim Wenders è arrivato da queste parti. Il regista cult è stato ingaggiato dall’amministrazione regionale per girare un film che racconterà la storia dei migranti kurdi sbarcati a Badolato, sulla costa ionica, e accolti nel bellissimo centro storico della città abbandonata dagli emigrati calabresi. Licenza poetica: Wenders ha deciso di girare la scena dello sbarco sulle spiagge tirreniche di Briatico, che si affacciano sulle acque cristalline a pochi chilometri da Tropea. Nel frattempo, sull’altra costa della punta dello stivale, quella senza i riflettori e il ciak del regista del cielo sopra Berlino, sbarcavano i migranti. Quelli veri.
Il gioco di specchi tra realtà e rappresentazione è utile per comprendere come mai le notizie sui mari avvelenati da fusti tossici non sfocino in ribellione sociale ma in mugugni rassegnati. Se fossimo antropologi ricaveremmo la soluzione dalla storia della regione: i calabresi non hanno mai percepito il mare come una «risorsa». Già nel passato il mare era percepito come una minaccia. La cultura dei calabresi è cultura di terra, come dimostrano le tradizioni gastronomiche a base di carni e peperoncino e non di pesce, e gli insediamenti arroccati sulla difensiva. Quindi, direbbe il nostro antropologo, non c’è da stupirsi se il fatalismo dei calabresi ha saputo smaltire persino le scorie nucleari.
Ma bisogna sapere che questa vicenda dei rifiuti tossici affonda nella materialità dei rapporti sociali contemporanei. Fossero confermate le parole di Francesco Fonti, il pentito che ha condotto gli inquirenti fino al mercantile con i bidoni tossici affondato al largo di Cetraro, scopriremmo che l’uomo che ha fatto da tramite tra lo Stato e la ‘ndrangheta per lo smaltimento delle scorie velenose negli anni ottanta è Riccardo Misasi, cioè il ministro democristiano e cosentino che ha dato un lavoro a migliaia di cittadini: i calabresi trovavano un impiego pubblico e investivano i primi risparmi per acquistare una casa nei condomini supereconomici della costa tirrenica, la stessa che da anni rimane deserta perché il mare, ogni giorno, dalle 12 alle 17, si trasforma in una distesa di schiuma bianca.
Il ciclo del cemento fa parte del riciclaggio del denaro sporco, e in tanti individuano una data precisa in cui collocare la sconfitta delle lotte contro la cementificazione: il 21 giugno 1980 venne ammazzato, mentre usciva dal consiglio comunale di Cetraro, Giovanni Losardo, amministratore comunista e strenuo oppositore delle speculazioni. Negli stessi anni, si esauriva l’esperienza di Felice Spingola, unico sindaco di Lotta continua d’Italia, eletto a Verbicaro, comune famoso per le lotte contadine e il vino rosso, arrampicato sulle montagne sopra la costa tirrenica, a pochi chilometri da Scalea. Ogni anno, nel mese di agosto, Scalea passa da 10 mila a 200 mila abitanti. Lo scenario si tinge di masochismo quando ci si ricorda che il feudo estivo di Misasi era a San Nicola Arcella, poco più a nord delle acque di Cetraro. Misasi, insomma, si sarebbe seppellito i veleni sotto casa. Lo dicono chiaramente Massimo Covello e Angelo Cotugno, segretari della Cgil di Calabria e Basilicata: «Sembra che nulla più nelle nostre regioni e nel Mezzogiorno intero sia ‘bene comune’, diritto universale ed inalienabile. Sembra che il ‘dio denaro’ abbia fatto saltare perfino i legami più profondi, fino ad accettare di avvelenare la propria casa. A tanto, ci permettiamo di dirlo, ha portato un modello politico, economico, sociale che sta dominando anche il nostro paese ed a cui, forse anche noi, la Cgil, non ci siamo opposti con adeguata convinzione, a partire dal Mezzogiorno».
Questo è il contesto. Buona parte della Calabria sopravvive all’interno di un sistema che rispecchia la capacità della mafia di essere arcaica o ipermoderna, a seconda delle convenienze all’interno di un modello di vita in cui convivono forme feudali di paura nei confronti dei potenti, cascami novecenteschi del meccanismo elettorale della prima repubblica e aspetti postmoderni di precarietà esistenziale. La generazione dei dipendenti pubblici ha lasciato in eredità ai figli – oltre alla fedeltà ai politici di turno – una misera rendita fatta di una casa da affittare a migranti o studenti fuorisede e di un appartamentino nei palazzoni sulla costa alla generazione successiva, quella dei disoccupati cronici. Il sistema del pubblico impiego di una volta cerca di rimodularsi sui flussi di denaro di oggi: i quattrini per le «zone arretrate» che arrivano dall’Unione europea sono serviti ad aprire capannoni abbandonati alla periferia dei capoluoghi e ad adescare gli operatori dei call center: rispondere al telefono e vendere qualcosa è il lavoro più gettonato dai neolaurati della regione che non sono ancora emigrati.
E quando l’amministrazione regionale di centrosinistra di Agazio Loiero ha sostituito il suo assessore al bilancio, il leader locale del Pd Nicola Adamo, coinvolto nelle indagini sull’impiego dei fondi europei, ha cercato di salvare la faccia affidandosi a Domenico Cersosimo, stimato economista esperto in «sviluppo locale» esterno dal giro dei partiti. Cersosimo si è inventato i «voucher», un singolare meccanismo per spendere i soldi Ue, che consiste nel distribuire ai giovani assegni, formalmente per finanziare viaggi all’estero o incoraggiare all’acquisto di computer. I «voucher» che cadono a pioggia sul territorio regionale sono una specie di reddito di povertà che l’Europa passa ad un territorio alla deriva, dopo aver spedito bastimenti carichi di morte da mandare a picco nelle acque calabresi.
Non è facile prendere atto di questa crisi sociale, tanto che i calabresi che sperano di scacciare via le scorie del clientelismo straccione semplicemente liberandosi delle «caste», come se queste fossero semplice sovrastruttura, hanno eletto a loro simbolo Luigi De Magistris, il pm che è stato allontanato dall’inchiesta «Why not» e che denuncia la nascita di un superclan massonico-mafioso a cavallo tra politica e criminalità organizzata. Ora De Magistris siede al parlamento europeo, e da Bruxelles proietta la sua aurea di vendicatore delle ingiustizie sull’imprenditore Pippo Callipo, l’uomo del tonno in scatola catanzarese che ha annunciato di voler scendere in campo alle elezioni regionali di marzo. Il candidato in pectore del Pdl è il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti. Anche la storia di Scopelliti è un emblematica, un miscuglio di realtà e rappresentazione. Da giovane era segretario dei giovani missini e qualcuno se lo ricorda fuggire dall’università di Arcavacata in una scena che ricorda i nazisti dell’Illonois di «The blues brothers». Poi è arrivato il tocco magico del berlusconismo che lo ha trasformato da reietto di provincia in presidente del consiglio regionale prima e in sindaco poi. Adesso, sempre a proposito di clientelismo, Scopelliti investe i soldi del benefit del governo, che ha battezzato Reggio Calabria «città metropolitana». Anni fa, in tempi non sospetti e prima che spuntassero Fabrizio Corona e il film «Videocracy», aveva pagato fior di quattrini all’agente delle veline Lele Mora per portare qualche concorrente del Grande Fratello a passeggiare sul lungomare.
Vanno controcorrente i ragazzi dei centri sociali cosentini che hanno preso a secchiate d’acqua i privatizzatori con lo slogan «Vendetevi anche questa», gli antirazzisti di Rosarno che cercano di rompere l’isolamento cui le cosche cercano di costringere gli africani che lavorano nei campi della Piana di Gioia Tauro, senza dimenticare l’ottima legge regionale sui rifugiati e le esperienze di accoglienza di Caulonia, Stignano e Riace. Ma i vecchi impelagati nelle clientele e i giovani aggrappati ai piccoli privilegi residui fotografano una società fatta a pezzi. La posta in palio delle prossime elezioni regionali è la cassaforte della sanità. Loiero ha allontanato dalla poltrona di assessore alla sanità Doris Lo Moro quando questa ha annunciato che non avrebbe pagato i 200 milioni di prestazioni sanitarie «fuori budget» reclamati dai laboratori medici, cioè da strutture private che lucrano senza rispettare i vincoli imposti dalla Regione. L’atomizzazione va oltre: si diffonde fino alle briciole. Il racconto di un intellettuale che ha accettato un incarico di assessore provinciale, nell’apprezzabile speranza di costruirsi un gioco di sponda con l’associazionismo diffuso, è sconfortante. Dovendo decidere come investire una certa somma, l’ingenuo professore ha convocato le associazioni e ha proposto loro un meccanismo partecipativo: «Scegliamo insieme cosa fare, pensiamo un grande progetto collettivo», ha detto loro. Ma ecco che, uno a uno, nei corridoi dell’assessorato gli esponenti delle associazioni hanno proposto sottovoce: «Dotto’, ma se ci date 500 euro a testa non è più facile?».

(Set. 2009)

Il Caso Antonello Venditti



Riceviamo (7ott):

Gentilissimo direttore, mi chiamo Antonella Maccarone ho 25 anni e sono di Tropea (Calabria) vorrei spiegarle perchè ho puntualizzato la mia città e la nostra terra......tutto è cominciato pochi giorni fa, quando su facebook nella bacheca di una mia amica ho visto un video di un concerto tenuto in Sicilia da Antonello Venditti.....fino a quì niente di strano, ma continuando a vedere(anzi sentire) il video, mi sono imbattuta in una vera e propria forma di razzismo nei nostri confronti (e per noi intendo tutti i Calabresi).
Il caro "COMPAGNO ANTONELLO" ha affermato senza problemi le seguenti parole: "ma perchè Dio ha creato la Calabria?" "se il ponte sullo stretto verrà fatto è un bene, almeno daremo un senso alla Calabria!!" e tanto altro ancora.....
Ora le chiedo, come dovremmo sentirci noi Calabresi? Mi rivolgo a lei perchè spero che dirà qualche parola in nostra difesa.....la nostra terra è stupenda e non ha niente da invidiare a nessuno, e chi ci conosce bene ama anche noi Calabresi...
Con stima e simpatia una sua grande ammiratrice!!


(S. Libertino) Vedi Antonella. Ogni volta che si parla comunque male della Calabria, a noi Calabresi vengono le doglie. Facciamo giustamente quadrato per difendere i nostri luoghi bellissimi in cui viviamo, lavoriamo e per difendere un popolo fiero di cui facciamo parte da millenni. Guai se non fosse così.
Pur sapendo tuttavia che quelli che parlano male della nostra terra e di noi calabresi molte volte non hanno tutti i torti. Il fatto è che fino a quando dalle nostre parti esisteranno mafie, delitti, estorsioni, malaffare, truffe, cattivi politici, cemento depotenziato, ecomostri, navi dei veleni, abusivismo, costruzioni sui letti dei fiumi, stragi annunciate, e molte altre drammatiche deviazioni, qualche esame di coscienza ce lo dovremmo pure fare. E' vero?
Per quel che riguarda il caso Venditti, Antonello che ha svolto in questi ultimi anni un paio di concerti in Calabria (e quindi ha lavorato nella nostra terra) nell'area di Corigliano e nella piazza principale di Vibo Valentia (mi pare a gennaio di quest'anno) ha chiesto alla testata CN24 il diritto di replica spiegando che sono state solo ora strumentalizzate e manipolate delle frasi rilasciate addirittura qualche anno fa, estrapolate però da un discorso sulla Calabria che non era per nulla dispregiativo.
Cordiali saluti

Salvatore Libertino - TropeaNews

Il diritto di replica di Antonello Venditti

(Ott. 2009)

Loiero: necessaria la chiusura di 12 ospedali
Il Governatore della Calabria Agazio Loiero (Adnkronos/7ott) ''Non è tutto negativo, ci sono motivi di speranza''. Con queste parole il presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, dopo due ore e mezza di chiarimenti, ha concluso l'audizione davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari presieduta da Leoluca Orlando. Loiero, rispondendo anche a domande dei commissari, ha fatto un check-up del settore sanitario in Calabria. Ne dà notizia una nota dell'ufficio del portavoce. Il Governatore ha parlato di conti, organizzazione e strutture, spiegando la situazione che ha trovato al suo insediamento, ciò che è cambiato anche in seguito ad alcuni tragici episodi, ciò che c'è da cambiare e anche in tempi brevi.
''L'obiettivo del nostro lavoro - ha aggiunto Loiero - avviato con il ripristino di parametri di legalità nel settore sanitario dove due Asl sono state commissariate per mafia, è proseguito e prosegue nell'intento di migliorare l'offerta tramite servizi territoriali e rete ospedaliera riqualificata''.
Annunciando la chiusura di 12 ospedali (''viene anche imposto dal piano di rientro presentato al Governo''), Loiero pure davanti a posizioni critiche provenienti da parlamentari del centrodestra (Francesco Nucara si è detto fortemente deluso) ha ricevuto apprezzamenti generali per il modo in cui sta affrontando la questione del risanamento del settore sanitario. Maria Grazia Laganà, del Pd, ha detto di condividere l'azione del presidente Loiero, e lo stesso presidente della Commissione Orlando, che ha insistito sull'opportunità di applicare sanzioni severe contro coloro che commettono errori per ridare fiducia ai cittadini calabresi, ha giudicato le parole di Loiero come dimostrazione che la Regione intende fare fino in fondo la propria parte nell'opera di razionalizzazione e messa a regime del settore sanità.
Il deputato siciliano Giovanni Burtone, del Pd, dal canto suo ha espresso totale apprezzamento: ''Condivido l'impostazione di Loiero. Quelle meridionali non possono assolutamente essere considerate regioni canaglia. Ci sono problemi ovunque ma le regioni del sud chiedono un impegno solidale dello Stato centrale per risolvere definitivamente problemi antichi''.

(Ott. 2009)

Francesco Adilardi e le sue 'Memorie Storiche sullo stato fisico morale politico della Città e del Circondario di Nicotera', Porcelli 1838 Napoli



Francesco Adilardi di Paolo. Dipinto ad olio di V. Basile. 1831 (C. P.)

(S. Libertino) Francesco Adilardi, durante la sua brevissima esistenza, lasciò una traccia significativa e indelebile nella cultura ottocentesca calabrese. Una figura dotta di storico, di magistrato, di archeologo che ebbe ospitalità nelle più affermate Accademiche del tempo, compresa quella degli Affaticati di Tropea. Nato a Mandaradoni, studiò in Mottafilocastro, quindi diritto con Francesco Paolo Inglese e Giuseppe Marzano in Monteleone, dove conobbe V. Capialbi. Fu magistrato, accademico, cittadino onorario per meriti letterari della Repubblica di S. Marino. Ebbe l'onorificenza di Cavaliere di S. Gregorio Magno. Morì a soli 37 anni in Cariati durante un duello per mano del Regio Giudice di quel Circondario il quale lo aveva sfidato per futili motivi.
Tra gli scritti pubblicò nel 1838 "Memorie Storiche sullo stato fisico morale politico della Città e del Circondario di Nicotera". Notizie molto rare con soventi richiami alla Città di Tropea essendo la Chiesa Episcopale di Nicotera unita ed aggregata aeque principaliter a quella di Tropea.
Il libro, dedicato a Mons. Michelangelo Franchini vescovo della diocesi di Nicotera e Tropea, è suddiviso in tre Parti, la prima dedicata a Nicotera, la seconda al Comune di Limbadi e la terza al Comune di Joppolo.

BIBLIOGRAFIA

Memorie storiche su lo studio fisico, morale e politico della città di Nicotera raccolte da Francesco Adilardi di Paolo, socio dell'Acc. Florimontana Vibonese e degli Affaticati di Tropea, Napoli, Tip. Porcelli, 1883.
Nicotera (Chiesa vescovile) in Cenni storici sulle chiese... del Regno delle Due Sicilie raccolti.. per l'Abate Vincenzo D'Avino, Napoli, Ranucci, 1848, pp. 473-81. Questi cenni sono estratti dall'Enciclopedia dell'Ecclesistico, Tomo IV, pp. 833-841.
Cenno storico sul Vescovato di Nicotera dettato da Francesco Adilardi (Estratto dall'Enciclopedia dell'Ecclesiastico), Tomo IV, pp.833-841, Napoli, Ranucci, 1849.
Nicastro (Chiesa vescovile). In Cenni storici sulle chiese... del Regno delle Due Sicilie raccolti... per l'Abate Vincenzo D'Avino, pp. 456-71; e nell'Enciclopedia dell'Ecclesiastico, T. IV, Napoli, 1845.
Cariati (Chiesa vescovile). Ivi, pp. 137-45 dei Cenni storici (Ha la data <>.
Tropea (Chiesa vescovile). Ivi, pp. 707-19.
Vita del Canonico Filippo Cafaro, nel giornale Il Pitagora e in Accatatis, III, 197-200.
Biografia di Ercole Coppola, vescovo di Nicotera, 1848.

MANOSCRITTI

I Nunzii apostolici nel Reame di Napoli.
Notizie sull'istoria naturale, civile e religiosa della Città di Nicastro.
La provincia Cappuccina di Reggio descritta ed illustrata con brevità.
Notizie genealogiche della famiglia Adilardi.
Memoria per la istituzione di un Ordine equestre in San Marino a ricompensa del merito.

PUBBLICAZIONI VARIE

Cfr. Il Lucifero, a. III, n. 41; L'Omnibus, a. VIII; Leopoldo Pagano. artic. nel Progresso sc., lett. ed arti; Interprete, a. 4; N. Falcone, Bibl. stor.; V. Capiaalbi, Doc. circa la voluta rib. di Campanella; Grimaldi, st. archeolog.; V. Brancia, Biogr. di F. A., Napoli, A. Festa, 1854; Accattatis, IV, 413-5.

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Francesco Adilardi e la storia patria

(Ott. 2009)


Guglielmo Lento
La giacca

di Guglielmo Lento



Molti Tropeani, oramai da anni, vivono fuori dalla loro amata Città natale.
Dopo aver studiato nel glorioso Liceo Classico intitolato all'illustre concittadino Pasquale Galluppi, avendo frequentato Università di altre regioni, a Roma vanno le preferenze, si sono sistemati, alcuni in posti di prestigio, e vivono fuori, ritorniamo tutti in estate ed è un'occasione per ripercorrere vecchie strade.
"Ti ricordi di... quando tu... allora che... sai Pasquale, Franco, Giuseppe, è morto... un tumore, un infarto, ma l'anno scorso..., sì all'improvviso, quanti anni avevano più di me, tre Pasquale, io il quinto Ginnasio e lui la maturità, Franco, no la mia stessa età, andavamo a scuola assieme, non ricordi?". Andando avanti con gli anni aumenta l'elenco, io non amo questi discorsi nè i ricordi, mi sento cittadino del mondo, anche se con radici in vari posti, le più salde nell'ultimo dove abito, vivo il presente; preferisco, quindi, camminare solo per i vicoli di Tropea, 'i vinej', bellissime, solitarie, che pure loro mi ricordano... ma con il linguaggio muto delle pietre.
Considero, consideriamo un pò tutti questi profughi, Tropea la più bella città del mondo, qua ritorniamo tutti, almeno in estate, carichiamo macchine, portiamo gli indumenti adatti ad un posto di mare, pantaloncini magliette, ognuno di noi, però, trova sempre posto in valigia per farci entrare una giacca, corredata da camicia e cravatta dai colori sobri, questo per l'occasione, non improbabile, si debba partecipare ad un funerale.
Sempre capita che qualcuno muoia: genitori di amici, parenti, amici di famiglia che come parenti sono, bisogna essere all'altezza, spesso incontrandoci ci rivolgiamo, scaramanticamente la domanda: "A portasti a giacchetta?" (Hai portato la giacca?), anche per non incorrere nella disavventura capitata a me l'anno che dimenticai la giacca e dovetti farmela prestare da un nipote, due misure in meno.
Quest'anno l'ho portata e l'ho usata due volte l'ultima per una lontana parente, non so spiegare come parente, forse solo amica, ma amica-parente.
Strano questo funerale svoltosi in una casa di riposo per anziani, il feretro non c'era, non c'era neanche il simulacro di feretro, un mio amico d'infanzia, uno di quelli con e della giacca, mi sussurrò all'orecchio: "per la prima volta un funerale senza morto"; mi spiegarono poi che per non fare impressionare le vecchie ospiti lo facevano, il feretro era al piano inferiore, forse poteva sentire i requiem, da una stradina laterale e fuori mano, sempre per non impressionare le vecchie, si usciva.
In questa occasione incontrai la mia vecchia maestra d'asilo Suor Franceschina, completamente cieca, con le mani mi toccò per rendersi conto di chi fossi. "Guglielmo!!!" fu il suo grido di gioia, mi aveva riconosciuto al tatto.
"Comi staciti beni suora" le dissi in tropeano "che vuoi, giorni sono oramai. Sono tornata, non dico per vedere, perchè sono cieca, ma per sentire l'odore di Tropea, prima di morire".
Nemmeno lei tropeana, napoletana come quasi tutte le suore di Santa Giovanna Antida, ma anche lei affascinata da questa città, dai suoi abitanti "Genia di pescivendoli senza coscienza e fede..." come diceva il concittadino abate Jerocades, dai suoi profumi: un misto tra l'odore della cipolla e del cappero selvatico mischiato all'aspro sentore di muffa che esala dai vecchi palazzi e dalle pietre, odore del mare e dei pesci "i surici" che solo in questo mare si trovano, l'odore della Ripa e quello che proviene dalla Villetta, misto di urina ed erbe selvatiche, dall'alto di questo belvedere facevamo la pipì, d'inverno, rivolti al mare e, spesso, il vento di tramontana ce la rimandava, inondandoci. Ora anche questi odori si sono corrotti ed imbastarditi, coperti dal puzzo dell'olio più volte rifritto che esce dai fast food, ammorbante; dalla spazzatura fermentata e per più giorni non ritirata.
"Ciao Suora l'anno prossimo ci vediamo" "Io ti vedrò, Guglielmo mio, da lassù, fai sempre il bravo" il bacio della suora cieca fu dato sulla mia barba umida ma non di sudore.
Quest'anno, andando via da Tropea, ho rimesso in valigia la giacca ed un vaso a chiusura ermetica con entro l'odore di questa Città, per sentirlo nel momenti di sconforto.
Ho aperto il vaso, stamattina, incazzato quanto mai cercavo conforto; le mie narici sono state colpite da un odore meraviglioso: l'odore della fanciullezza, l'odore che si sentiva dalla "villetta" un misto di pipì, cipolla, capperi ed erbe selvatiche, lo stesso odore che stava sentendo Suor Franceschina dall'alto di una nuvola rosa posta sopra lo scoglio di San Leonardo.

(da 'storie di ordinaria emarginazione', 1992)

(Ott. 2009)



Loiero: necessaria la chiusura di 12 ospedali
Il Governatore della Calabria Agazio Loiero (Adnkronos/7ott) ''Non è tutto negativo, ci sono motivi di speranza''. Con queste parole il presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, dopo due ore e mezza di chiarimenti, ha concluso l'audizione davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari presieduta da Leoluca Orlando. Loiero, rispondendo anche a domande dei commissari, ha fatto un check-up del settore sanitario in Calabria. Ne dà notizia una nota dell'ufficio del portavoce. Il Governatore ha parlato di conti, organizzazione e strutture, spiegando la situazione che ha trovato al suo insediamento, ciò che è cambiato anche in seguito ad alcuni tragici episodi, ciò che c'è da cambiare e anche in tempi brevi.
''L'obiettivo del nostro lavoro - ha aggiunto Loiero - avviato con il ripristino di parametri di legalità nel settore sanitario dove due Asl sono state commissariate per mafia, è proseguito e prosegue nell'intento di migliorare l'offerta tramite servizi territoriali e rete ospedaliera riqualificata''.
Annunciando la chiusura di 12 ospedali (''viene anche imposto dal piano di rientro presentato al Governo''), Loiero pure davanti a posizioni critiche provenienti da parlamentari del centrodestra (Francesco Nucara si è detto fortemente deluso) ha ricevuto apprezzamenti generali per il modo in cui sta affrontando la questione del risanamento del settore sanitario. Maria Grazia Laganà, del Pd, ha detto di condividere l'azione del presidente Loiero, e lo stesso presidente della Commissione Orlando, che ha insistito sull'opportunità di applicare sanzioni severe contro coloro che commettono errori per ridare fiducia ai cittadini calabresi, ha giudicato le parole di Loiero come dimostrazione che la Regione intende fare fino in fondo la propria parte nell'opera di razionalizzazione e messa a regime del settore sanità.
Il deputato siciliano Giovanni Burtone, del Pd, dal canto suo ha espresso totale apprezzamento: ''Condivido l'impostazione di Loiero. Quelle meridionali non possono assolutamente essere considerate regioni canaglia. Ci sono problemi ovunque ma le regioni del sud chiedono un impegno solidale dello Stato centrale per risolvere definitivamente problemi antichi''.

(Ott. 2009)

Il 'Caso Venditti' alla trasmissione 'Le Iene' del 13 ottobre tra peperoncino, amaro del capo, 'nduja e cipolla di Tropea



Antonello Venditti e la Iena Giulio Goria durante la trasmissione

(S. Libertino/14ot) La trasmissione 'Le Iene' del 13 ottobre su Italia 1 ha dato ampio spazio a Antonello Venditti che è ritornato a chiarire quello che nelle scorse settimane era divenuto 'il caso Venditti' per le frasi offensive pronunciate durante un concerto dell'anno scorso contro la Calabria.
L'intervista con Antonello è stata affidata alla Iena Giulio Goria detto 'sputazzo' nel contesto usuale della trasmissione che tratta e approfondisce aspetti importanti della società con piglio leggero e divertente e quindi dall'intervista alla fine è uscita fuori una gag a dir poco esilarante. Da aggiungere che i due romani sono amici e veri mattacchioni dello spettacolo, ma ciò non ha impedito a Venditti, che si è scusato con chi si è sentito offeso, di ammettere di avere sbagliato i modi con cui le frasi sono state dette e conseguentemente fraintese perché estrapolate da un discorso di fondo sulla mafia. Non ha rinnegato però la loro sostanza che mirava a stigmatizzare le attività mafiose che bloccano in modo determinante la crescita della Calabria 'sana'.
L'incontro con Venditti si è svolto all'interno del salone del barbiere del cantante al quale Goria ha portato un paniere carico dei famosi prodotti calabresi: peperoncino, amaro del capo, 'nduja e cipolla rossa di Tropea.

Continua... (video)

(Ott. 2009)

Chiuso edificio scolastico per rischio crollo



(Strill.it/21ot) Dichiarati inagibili per rischio di crollo due padiglioni dell’Istituto Comprensivo Statale “Don Mottola” che ospita le classi elementari e medie a Tropea. L’edificio sarà chiuso da domani.
A determinare la decisione della chiusura, i controlli fatti nelle strutture in cemento del plesso scolastico, che hanno evidenziato la possibilità reale di un crollo della struttura per inadeguatezza dei materiali. Il plesso, prima adibito ad ospitare solo le classi elementari, ospita anche ragazzini delle medie dall’aprile scorso, quando un analogo provvedimento aveva predisposto la chiusura dell’edificio in cui erano ubicate le loro aule.
Quindi, da domani oltre 600 studenti saranno impossibilitati a frequentare le lezioni e i loro genitori sono in allarme; previsto nel pomeriggio un incontro di docenti e genitori con il commissario prefettizio, in carica dopo le dimissioni del sindaco e di due terzi dei consiglieri comunale, per trovare una soluzione immediata.

(Ott. 2009)

Tropea senza un futuro
Caterina Sorbilli (C. Sorbilli x fascioemartello.it) Capita anche questo nel 2009, assistere impotenti alla chiusura progressiva delle scuole un tempo appartenute ad una delle più belle località turistiche del meridione.
Tutto avviene a Tropea, in Calabria, nella famosa regione d’Italia destatasi, improvvisamente, dal sonno millenario al grido “Mai più concerti di Venditti”.
La Calabria ed i calabresi, colpiti nell’orgoglio dalle parole in libertà pronunciate durante un concerto siciliano con cui il famoso cantautore “offendeva” la dignità di tutti, finalmente hanno reagito. L’assurdo sta proprio nel contenuto del filmato quando il cantante affermava che “In Calabria non c’è niente”: mai frase fu più profetica! E’ vero in Calabria, in alcuni paesi della Calabria, non c’è niente soprattutto quando vengono a mancare le scuole.
Questo sta capitando ad oltre 600 bambini tropeani, la chiusura per rischio crolli delle loro scuole, del loro mondo, della loro realtà quotidiana più profonda ed educativa. Certo il diritto allo studio sarà comunque garantito, si farà appello al senso del dovere dei mal pagati insegnanti che, come al solito, faranno nascere da questa esperienza negativa quanto di più positivo i propri alunni potranno giovarsi; si farà appello al buon senso delle famiglie sacrificate nella gestione familiare tra un turno pomeridiano e l’altro; si fomenteranno i buoni propositi dei politici impegnati nelle varie campagne elettorali imminenti; si punterà a far passare per lecito provvedimenti urgenti per salvaguardare l’incolumità delle persone quando ormai pensavamo che il diritto a “vivere” fosse scontato e sancito da tutte le leggi di Stato e di natura. E’ vero, per alcuni versi la Calabria non ha niente: quando in un territorio già di suo povero e limitato manca addirittura la scuola, non solo mancherà qualcosa di materiale e concreto, educativo e formativo ma, mancherà semplicemente il futuro.

(Ott. 2009)

Il maltempo sferza il Sud
(AGI/24ot/1919) Il maltempo continua a colpire duramente il Mezzogiorno. La Sicilia risulta la regione più colpita.
Le Eolie sono ancora isolate. Da ieri pomeriggio le sette isole sono prive di collegamenti marittimi. L'unico mezzo che ha spezzato l'isolamento è stato il traghetto 'Brigde' della Ngi partito da Milazzo alle 21 per le Eolie e poi rientrato nel cuore della notte nella citta' mamertina. In precedenza la nave della Siremar delle 18.30 non aveva mollato gli ormeggi. Il mare in tempesta è stato anche sfidato dal traghetto della Siremar 'Laurana' partito ieri sera da Napoli, mentre alle 10 da Lipari collegherà Milazzo. Sulle Eolie soffia un vento da nord-ovest con mare agitato forza 4-5.
Aliscafi e traghetti così sono fermi nei porti. Da quasi due giorni sono isolate Stromboli, Ginostra, Panarea, Alicudi e Filicudi. Il calvario per gli isolani e per i gruppi di turisti presenti dunque continua. Nel porto di Pignataro si sono rifugiati tutti i pescherecci.
A causa di una frana abbattutasi sui binari a seguito del maltempo di questi giorni, dalle 9.20 di stamattina la circolazione ferroviaria è stata sospesa tra le stazioni di Tusa e Santo Stefano, sulla linea Palermo-Messina. La contemporanea chiusura dell'autostrada e della strada statale non consente a Trenitalia di attivare il servizio di trasbordo dei viaggiatori con autobus. I tecnici di Rete ferroviaria italiana sono al lavoro per liberare la sede ferroviaria e ripristinare la circolazione.
Decine di allagamenti, auto danneggiate e alberi sradicati da forti raffiche di vento hanno contrassegnato un'altra nottata, soprattutto nella città di Palermo. I vigili del fuoco, dalla mezzanotte fino alle 4.30, sono stati chiamati da automobilisti in difficoltà e da cittadini che hanno segnalato danni e allagamenti. Alberi abbattuti dalle raffiche sono finiti sulle vetture in sosta a Mondello, in via Sacra Famiglia e in via Cluverio. Il sottopasso di via Belgio - direzione Palermo - è stato chiuso al traffico in quanto completamente allagato.
Altri allagamenti nelle borgate di Partanna e Mondello, in via Lanza di Scalea e in viale dell'Olimpo. Dalla Capitaneria di porto, infine, raccomandono pridenza ai diportisti in quanto il mare è forza 6-7.
Nel foggiano vigili del fuoco e carabinieri sono al lavoro per recuperare un'auto finita in un torrente nei pressi del casello dell'A14 di Poggio Imperiale. Sembra che le vettura mentre percorreva la provinciale 35 tra S.Marco in Lamis e S.Severo abbia sbandato a causa dell'acqua, ribaltandosi più volte e finendo quindi nel torrente. Si pensa che almeno una persona sia all'interno dell'automezzo. A dare l'allarme è stato un cacciatore che ha visto l'auto travolta dall'acqua.
La pioggia, che da ieri pomeriggio imperversa nel vibonese, ha provocato degli allagamenti e qualche smottamento, costringendo i vigili del fuoco ad una serie di interventi.
Allagato il sottopassaggio della statale 18 Vibo Valentia - Mileto, di fronte ad un ipermercato. A Briatico, lungo la costa, i vigili del fuoco sono dovuti intervenire per svuotare una sorta di laghetto che si era formato lungo la foce di un torrente. Allagate anche le case popolari di Tropea e la piazza di Zaccanopoli, mentre a Parghelia è crollato un sentiero che ha ostruito la strada che porta alla frazione Fitili.

(Ott. 2009)



Buon Compleanno TropeaMagazine!

(S. Libertino) TropeaMagazine compie 10 anni! La 50^ Tornata di Maggio 2009 segna il decennale del mio bimensile. Dieci anni di ricerche di storia patria tropeana 'raccontata al popolo'. Affiancata, dopo appena tre anni di attività, dalla sezione 'TropeaNews', blog/diario/notiziario del territorio preminentemente di carattere culturale.
Durante questi lunghi anni di attività ho potuto trarre il pieno convincimento che il territorio di Tropea, oltre a essere, per le bellezze paesaggistiche, la colonna trainante del turismo calabrese, si sta rivelando sempre di più una enorme risorsa storica culturale d'eccellenza educativa, di studio e intellettuale, un patrimonio ricchissimo di tradizioni popolari uniche e di un universo sbalorditivo letterario, umanistico, filosofico, archeologico, scientifico, artistico, musicale, teatrale, cinematografico, verso il quale l'amministrazione locale non ha mai posto la dovuta attenzione e sul quale invece occorre investire ogni possibile energia. In tutto questo tempo lo hanno chiesto con insistenza e lo esigono i tropeani, che hanno bisogno di essere presi per mano e aiutati ad appropriarsi della loro storia e a disporre da subito di quei punti di aggregazione cittadina e di riferimento considerati 'essenziali' nel costume di ogni amministrazione comunale: una biblioteca aperta, ordinata ed efficiente, un campo sportivo accessibile, un cinematografo, il sogno di uno spazio teatrale, una palestra con un tetto ben saldo...
Buon Compleanno TropeaMagazine!
Buona Lettura a Tutti!

www.tropeamagazine.it





Nella prima foto Antonio Cotroneo e Peter Schreiner girano a Tropea 'Totò'.
Nella seconda una foto di scena del film Antonio Cotroneo e Gaetano Dimarzo/Zaino


Eccellenze tropeane alla 66^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.
Antonio Cotroneo interpreta se stesso nel film ‘Totò’ di Peter Schreiner

(S. Libertino) Alla 66^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2 – 12 settembre, Direttore Marco Muller) è in lizza il film austriaco ‘Totò’ di Peter Schreiner. L’opera cinematografica è stata girata in massima parte a Tropea e si avvale quale protagonista della performance straordinaria di un tropeano che risiede a Vienna, Antonio Cotroneo, che ne ha curato progetto, scrittura e sceneggiatura.
Il film, autobiografico, che verrà proiettato in prima mondiale – nell’ambito della Sezione ‘Orizzonti’ (le nuove correnti del cinema mondiale) - a Ca’ Grande il prossimo 5 settembre ore 14,00 presso Sala Darsena, affianca in finale altri 23 film con registi agguerritissimi come l’americano Michael Moore.
La giuria che dovrà emanare il verdetto, è composta da:

Pere Portabella (sceneggiatore e regista, Spagna) - Presidente
Bady Minck (regista, Lussemburgo)
Gina Kim (sceneggiatrice e regista, Corea del Sud)
Garin Nugroho (regista, Indonesia)
Gianfranco Rosi (regista, Italia)

La trama descrive la vita di Totò, emigrante tropeano che dopo aver voltato le spalle alla sua casa come un giovane ribelle e dopo decenni di inquiete ricerche approda a Vienna sua destinazione finale.
Totò vive tra due mondi - con la sua lingua, i suoi sentimenti, e il suo sogno - tra l'essere un usciere nel Wiener Kon - e il sentirsi ancora nella città natale nella strada della sua infanzia del "Borgo" che lo trascina verso il mare, libertà senza fine.
Il film descrive le fasi della mia lotta politica giovanile – precisa Totò - la fuga dal paese natale come tanti altri giovani calabresi, i ritorni al paese problematici dell´emigrante, l´amarezza di vedere una vita e le persone cambiate in un mondo che sembra ormai evanescente....
Mi nutro quindi della mia infanzia, fatta di spiagge, mare, scogliere, e dei poveri e semplici conoscenti di un tempo, che rimangono gli unici personaggi - in una Tropea totalmente cambiata - con cui posso sentirmi, essere ancora Toto', mentre tutto il resto mi porta via, mi allontana, fino ad un nuovo ritorno.
”.
Antonio Cotroneo, che già porta a casa un successo senza precedenti, è soddisfattissimo dell’attuale piazzamento.
Io e Peter siamo felicissimi. Concorrere alla Mostra del Cinema di Venezia a fianco di validissimi registi internazionali quali Michael Moore è esaltante. Ciò ci ripaga di tre anni di sacrifici, tanto sono durate le riprese del film. Un solo rammarico, che ora davvero si fa sempre più pesante, è che nel giro di promozione che avevamo intrapreso presso le istituzioni locali, compresa la Regione Calabria, siamo stati letteralmente snobbati. L'Austria invece ci ha supportati e in questo momento le radio e i giornali non parlano altro che del nostro piazzamento. ”.
Le riprese del film che dura 128’ sono iniziate a marzo 2007 e completate ad aprile del 2009. La casa produttrice è la viennese Echt. Zeit. Film, il regista Peter Schreiner , conosciutissimo a Tropea, già vincitore nel 2007 della ‘Diagonale Film’ di Graz con il film ‘Bellavista’. Gli attori sono tutti tropeani

CAST

Antonio Cotroneo
Angela Simonelli
Gaetano Dimarzo
Melo De Benedetto
further
Annibale Pirro
Antonio Blasa
Antonio Dicosta
Antonio Pisera
Billy Buttafuoco
Ciccio Il Grande
Franco Fazzari
Giuseppe Pandullo
Mimmo Latorre
Nicola De Lorenzo
Orlando Padula
Padre Mariano
Paolo Calamita
Pasquale Lorenzo
and many others

L’opera è stata sponsorizzata dal Ministero della Cultura austriaco.
Totò ha annunciato l’uscita durante il periodo della Mostra di un suo nuovo libro di poesie interamente tradotto in tedesco insieme ad alcune foto del film.
Non ci rimane che intrecciare le dita e attendere il verdetto, augurando affettuosamente a Totò e a Peter tutto quello che in questo momento desiderano.
Nell'attesa, abbiamo incontrato Zaino, un punto di riferimento essenziale nella produzione e nell'economia del film. Peter e Antonio lo hanno invitato a Venezia, ma Zaino non ha potuto raggiungerli per motivi di salute. Gli abbiamo chiesto le impressioni e se il film ha le carte in regola per arrivare sul podio.
E' significativo come i tre eventi più importanti di quest'anno riguardanti Tropea, l'uscita dei libri di Franco Aquilino "'Nu Paisi" e "Etnografia di Tropea" di Giuseppe Chiapparo, e del Film "Totò" di Peter Schreiner, spostano, lontano dai blasoni e dai portali nobiliari della Città, la dovuta attenzione sulle tradizioni popolari, sulla tropeanità non ancora scomparsa ma che sta scomparendo, sul recupero del dialetto, sulle storie quotidiane degli umili, dei bassi della povera gente, che finalmente diventa padrona e assoluta protagonista di nuove culture.

Continua...(videointervista a Zaino)

Plakat del film 'Totò'




Gli attori Dario De Luca e Rosario Mastrota nei panni di Coviello e Capitan Giangurgolo

La Commedia dell'Arte insegnata da 'Scena Verticale'

(F. Bove) Dopo anni di appiattimento culturale, finalmente anche la città di Tropea, uno dei centri balneari di prim'ordine del Sud Italia, ha il suo buon festival di teatro. Tutto questo grazie alla caparbietà e all'intelligenza di Ester Tatangelo, una giovane regista che, in poco tempo e con pochi mezzi, ha saputo offrire un programma interessante e di spessore.
La lezione-spettacolo della compagnia cosentina Scena Verticale, ideata nel 1995 e oggi riproposta, si inserisce alla perfezione in questo cartellone, offrendo al pubblico un excursus sulle origini e l'evoluzione delle maschere della Commedia dell'Arte, soffermandosi principalmente sulla sua unica maschera calabrese: Capitan Giangurgolo.
La maschera di Giangurgolo, capitano calabro-spagnolo, nasce durante la dominazione spagnola ed è una forte satira dei capitani dell'epoca. Con i suoi pantaloni a strisce gialle e rosse (tipici colori spagnoli), una camicia bianca senza collo e polsini e baffi da tipico moschettiere, il personaggio riesce a camuffare le proprie debolezze grazie ad un'esasperazione, fin troppo teatrale e falsa, delle sue imprese, sia con le donne che in battaglia. Diventa così un gigante temerario dinanzi ai deboli scappando, al tempo stesso, di fronte al vero pericolo.
Rosario Mastrota riesce a dare perfettamente anima e corpo a questa maschera, coinvolgendo pienamente un pubblico composto soprattutto da bambini attenti e spigliati, grazie anche al supporto fondamentale di Dario De Luca nei panni di Coviello, servo astuto che affianca Giangurgolo nello sketch finale dello spettacolo.
La lezione-spettacolo che De Luca ha scritto con Saverio La Ruina comincia con una descrizione della storia e delle maschere della Commedia dell'Arte, così da imbastire una serie di siparietti divertenti ed emozionanti in cui De Luca e Mastrota mostrano fisicamente, con acrobazie, pantomime e artifici scenici, personaggi come Arlecchino, Pulcinella, il dottor Balanzone, Brighella, oltre al già citato Giangurgolo.
I due attori di Scena Verticale costruiscono intrecci e storie partendo da un semplice canovaccio, rivolgono domande ai numerosi bambini (e ai loro genitori) per testare la loro preparazione, per chiarire dubbi e sfatare miti.
Con stupore il pubblico tropeano apprende così che il nome “Pulcinella” deriva da “Policinello”, cioè “piccolo pulcino” per via del suo naso (ma alcuni studiosi fanno discendere l'origine della maschera – e del nome – da Puccio D'Aniello o da Paoluccio della Cerra, detto Paolo Cinella, un contadino acerrano che creò questo personaggio), o che il vestito di Arlecchino non fu creato da sua mamma in occasione del carnevale ma da un attore un pò sbadato.
Il lazzo viene usato come meccanismo comico per far ridere di pancia, mentre il dialogo con il pubblico rompe la classica barriera che si crea a teatro tra palco e platea, rendendo gli spettatori parte integrante della performance.
“Capitan Giangurgolo” è una lezione-spettacolo entusiasmante, leggera, capace di far divertire e riflettere grandi e piccoli, portata con maestria ed eleganza sulla scena da una compagnia che da anni propone un teatro di sperimentazione di qualità e impegno. Da ricordare lo splendido lavoro del 2006 “Dissonorata”, vincitore di due premi Ubu nel 2007 nelle categorie “Migliore attore” (Saverio La Ruina) e “Nuovo testo italiano”, oltre ad essere nella terna dei finalisti al Premio Eti – Gli olimpici del teatro 2007 nella categoria “Migliore interprete di monologo” e ricevendo, inoltre, una segnalazione speciale al Premio Ugo Betti 2008 per la drammaturgia.
Un buon inizio, insomma, per il neonato festival di Tropea, e un augurio affinché compagnie di questo calibro tornino, affiancate a realtà ancora meno conosciute.

Capitan Giangurgolo. Lezione-spettacolo sulla Commedia dell'Arte
Scrittura scenica e regia: Saverio La Ruina e Dario De Luca
Con: Dario De Luca e Rosario Mastrota
Durata : 1 h 30'
Applausi del pubblico : 2' 30”

Visto a Tropea (VV), Teatro del Porto, il 10 agosto 2009
Tropea Teatro Festival 2009

Continua...(video)

Tropea Teatro Festival

Scena Verticale




La Calata del Quadro della Madonna di Romania

(S. Libertino) La giornata che conclude il mese di agosto, il più vacanziero per vocazione, riserva finalmente ai tropeani un momento intimo, di meditazione, introspezione, fede, culto, religiosità antica. La liturgia locale da avvio alla santa Novena che precede i festeggiamenti del 9 settembre, anniversario dell'incoronazione - con corona d'oro - della Madonna di Romania, avvenuta il 9 settembre 1877 a seguito di specifico decreto del capitolo vaticano. Oggi rimane ben poco di quella festa e di quei festeggiamenti che prevedevano nelle strade della città, molto prima del 31 agosto, l'allestimento della 'villa', una serie di archi retti da pali, a distanza intervallata, con l'inserimento di luminarie composte da numerose candele multicolori, dai disegni animati a grande effetto, per corredare e alimentare degnamente la memoria dell'evento dell'incoronazione della Santa Patrona cittadina, ora dell'intera Diocesi. La memoria storica di Micuccio Cortese ricordava le suggestive luminarie a gas di Don Gilormu che poi hanno lasciato il posto a quelle ad elettricità di mio nonno Salvatore Libertino.
Vi si montava a piazza Ercole un palco illuminato a giorno - o si utilizzava quello fisso smantellato negli anni Trenta - sul quale prendeva posto il complesso bandistico di turno che veniva chiamato ad allietare le tre serate della festa. Oltre alla grande animazione che si avvertiva in paese, dentro la manifestazione si potevano cogliere anche spunti culturali di grande rilievo, sto parlando di quelli musicali veicolati da grossi complessi come quello della Guardia di Finanza e dell'Arma dei Carabinieri, che Tropea a quei tempi si permetteva il lusso di ospitare. Inoltre una trentina di anni fa il comitato dei festeggiamenti, oltre al complesso bandistico di gran nome richiesto a viva voce dai tropeani, aveva la facoltà di ingaggiare un cantante di chiara fama internazionale quale Claudio Villa.
Oggi i festeggiamenti, da almeno una trentina d'anni, si sono via via ridotti a lumicino fino al solo mantenimento dell'indispensabile processione, senza neppure i tradizionali fuochi d'artificio che di solito di notte concludono ogni festa, ormai anche quella di compleanno.
Non credo ci possano essere valide controindicazioni per ritornare ai vecchi tempi, anche perché la tradizione per il culto del Santo Patrono continua felicemente senza mai fermarsi o ridursi nel tempo in decine di paesi limitrofi e quindi dentro lo stesso territorio diocesano attraverso feste sontuose - che non poche volte si avvalgono della presenza del Vescovo - come si conviene ad un Santo Protettore di una comunità diocesana. Abbiamo l'esempio di Parghelia, Brattirò, Spilinga, Zambrone, Zaccanopoli, Zungri, Ricadi, Papaglionti, Caroniti e altri, nessuno escluso.
E non mi si dica che tale ridimensionamento - solo a Tropea - sia dovuto all'opportunità di avvicinarsi ad un culto religioso più consono, contrario nei momenti di preghiera ai beni voluttuari che possono distrarre i fedeli da una più sentita devozione. Sarebbe a questo punto pura ipocrisia clericale. Secondo noi, tale manchevolezza o - se preferite - endemica latitanza è riconducibile ad una forma di 'sciatteria' dei responsabili del clero e degli enti culturali e turistici a cominciare dall'Amministrazione Comunale, il cui sindaco, con sciarpa tricolore, offre pubblicamente ogni anno, il 27 marzo, alla Madonna un cero a testimonianza della particolare vicinanza da parte della comunità di Tropea alla Madonna di Romania, e proseguire poi alla Pro Loco e ai competenti organi provinciali e regionali. Ciò significando che i tre giorni della festa una volta facevano rifiatare, ancora a settembre, l'economia stagionale della zona e la conseguente possibilità lavorativa se si pensi che essi costituivano un richiamo di centinaia di pellegrini che si partivano, come testimoniano le cronache del tempo, da Villa San Giovanni, da Messina, da Amantea, da Fiume Freddo, da Pizzo e da altri centri, anche fuori dalla regione, per soggiornare, secondo una tradizione consolidata, a Tropea. Inoltre, la grande festa costituiva, come negli altri centri calabresi, il momento più sentito di aggregazione all'insegna del quale i tropeani, che ritornavano nel proprio paese durante l'estate, estendevano la loro permanenza fino al 9 settembre. Ciò accade anche oggi ma in tono molto minore.
Uno dei momenti più toccanti per la gente tropeana è la 'calata' del miracoloso Quadro dall'Altare Maggiore della Cattedrale, che si concede quindi e si fa più vicino ai fedeli che finalmente hanno modo di baciarlo e accarezzarlo con le mani sfiorandolo con un fazzoletto destinato ai familiari ammalati che con ansia aspettano a casa di toccarlo, baciarlo e possederlo. Il tempo necessario a che i fedeli possano adempiere a questa ritualità, e poi il Quadro viene inserito nella grande teca d'argento che rimane esposta, ai piedi dell'Altare, per tutta la durata della S. Novena ed infine, il 9 settembre, viene portato in processione.
A proposito del Quadro, "Esso - scrive Mons. Antonio Maria Barone in un saggio del 1876 - della dimensione di palmi 4 per 3 2/12 su di tavola incorruttibile si ha tutta la somiglianza con quello, che si venera nell'insigne tempio di Monte Vergine, il quale fu indubitabilmente mandato in Eudossia di Gerusalemme a S. Pulcheria, e poscia da Caterina II di Valois, cui pervenne da Barduino II, che lo portò nel secolo XIII da Costantinopoli, fu regalato a quel celebre Santuario". E per dare l'idea dell'intensità della venerazione che i tropeani riservano alla 'loro' Maria SS. della Romania, in particolare quelli che vivono lontano dalla città, Mons. Barone continua: "anco agli antipodi vi sono tropeani che portano con sè l'immagine della Madonna loro con più riverenza di quella, onde gli ebrei portavano Gerusalemme scolpita fin sui loro anelli".

Continua...(Video 'Calata Madonna')

Madonna di Romania




Totò, notizie da Venezia...

(A. Cotroneo/10set) Caro Direttore,
Come vedi dagli allegati... ti invio una foto con Peter fatta dopo la conferenza stampa col direttore Muller, entusiasta del film, e la lettera del Ministro austriaco della cultura Claudia Schmied con cui ci invita al ministero per un colloquio e un drink per la forte eco internazionale che ha avuto il film a Venezia. Alla prima proiezione erano in sala la Televisione tedesca, giapponese, coreana, Eurovision tv, Telemontecarlo (il corrispondente, originario di Cosenza, mi ha intervistato), i corrispondenti del Mattino, Calabria Ora (con questi abbiamo avuto un´intervista e forse andremo a Reggio)....
La tua intervista in video a Zaino è eccezionale. Mi ha commosso. Riferisci a Zaino che nel catalogo dei films della Mostra hanno scelto una sua foto sulla barca, quindi lui, icona del film e di Tropea, sarà immortalato nel libro accanto alle inquadrature di 'Baharia' di Tornatore, Silvester Stallone, Herzog, Cage... Glielo porterò personalmente quando verrò a Tropea.
Ancora non sappiamo chi ha vinto. Credo il dodici...
Un abbraccio. Saluti a tutti!

Invito Ministro Claudia Schmied




X Factor 3: tra i 12 finalisti del talent show una tropeana doc, Francesca Ciampa

(S. L.) Francesca Ciampa, nata a Tropea l'8 agosto 1983, entra in finale con la squadra di Claudia Mori. Tipica voce soul funky, ricca di sfumature e capace di trasmettere all'ascoltatore sensazioni particolari.
Seppur giovane vanta numerose esperienze lavorative non solo come cantante e vocalist ma anche come attrice.
Inizia a studiare canto corale gospel con Lena Biolcati. Nel 2002 si diploma al MASTMASTER, scuola di teatro e di musical per la formazione d'artisti a tre dimensioni fondata da Stefano D'Orazio.
Iniziano le collaborazioni, sia in studio che live (Giovanni De Sossi, Piero Cusato, Vittorino Naso, Christal White, Roberto Carlotto, Gianfranco Gullotto.....) e la sua esperienza cresce notevolmente.
Prosegue intanto la sua formazione tecnica; si affida a tale proposito alle cure di Susanna Stivali che la chiama nel suo gruppo vocale con il quale si esibisce in vari contesti. Studia anche armonia con P. Paolo Principato e pianoforte con Emilio Merone. Attualmente studia canto lirico al conservatorio "Torre Franca" di Vibo Valentia e frequenta un Master di specializzazione per coriste con Maria Grazia Fontana. Ultimamente, oltre a varie collaborazioni importanti entra a far parte del cast di HAIR - The Tribal Love Rock Musical, musical caratterizzato dalla direzione artistica di Elisa. Nel 2008 Marco Campea la chiama a far parte del gruppo funk "Tune 88".

X Factor 6/09/2009

Tune 88




Jens Joester con un suo piccolo aiutante

La scomparsa in Cambogia di Jens Joester, il fotografo ventiseienne che in provincia di Vibo aveva girato "I Gigantari" con la regista Ella Pugliese, sua compagna di vita

(F. Vallone) Lo avevamo conosciuto a Papaglionti di Zungri quando assieme alla sua compagna, la regista Ella Pugliese e alla loro figlia Anouk, da Berlino era sceso in Calabria per girare il film "I Gigantari". Si chiamava Jens Joester, aveva soltanto 26 anni e andava molto fiero del suo atipico inizio di carriera. Aveva cominciato a lavorare in un elegante ristorante di Berlino come bestboy e lavapiatti, per poi diventare aiuto cuoco ed imparare a cucinare splendidamente. Proprio la gavetta gli aveva permesso di acquisire 'il metodo' di lavoro, velocità e precisione, che gli servirà poi nei suoi studi di grafica e animazione e, più avanti, nella professione.
Lavoratore instancabile e quasi fanatico, sperimentatore di tecniche d'arte, composizione e riuso di materiali, fotografia e disegno, ha collaborato a svariate produzioni: video musicali, documentari, corti. Ha lavorato come freelance per MTV e VIVA tv, per prestigiose case editrici tedesche che si occupano di grafica; ha realizzato workshop di fotografia e montaggio per i bambini della scuole e ha collaborato con varie O.N.G. internazionali.
Nella produzione de 'I Gigantari' ha realizzato la fotografia del film insieme a Luca Bellino. Con la sua regista e la sua bambina ha conosciuto e percorso le nostre strade dei paesi, da San Costantino di Briatico a Ricadi, Spilinga, San Leo, Brattirò, Papaglionti... Sono sue le animazioni che narrano la storia fiabesca e surreale dei Giganti, dando vita a mondi magici, sospesi tra realtà e sogno, mischiando macchie di colore forte a materiali fotografati dal vero e applicando le sue tecniche ai disegni delicati di Giuseppe Pontoriero Luzzato che ha relizzato le scenografie.
In Cambogia Jens Joester ha lavorato al fianco di Ella Pugliese e di una troupe internazionale di sociologi, psicologi e filmmaker in erba per oltre mezzo anno. Una grande sfida: realizzare nella Cambogia di oggi, con tutte le sue insanabili contraddizioni, un lavoro in cui il 'film' fosse prima di tutto la possibilità di dare vita ad un processo di rielaborazione, riappropriazione e superamento del passato atroce. E in secondo luogo potesse essere utilizzato nelle comunità rurali del paese per inspirare simili e altri processi. Dunque un lavoro, fin dalla sua nascita, esplicitamente 'partecipativo': non solo tutti i membri della troupe, ma anche gli attivisti delle ONG che hanno promosso il progetto, e soprattutto le persone comuni, contadini per la più parte, superstiti del regime, interessate a prendere parte hanno attivamente contribuito alla realizzazione o al montaggio del film. Estremamente complesso e impegnativo mettere insieme tanti diversi modi di vedere le cose, condividere e mettere a frutto competenze, sguardi, conoscenze, linguaggi, stili, non ultime abitudini visive. Jens ha guidato e coordinato il lavoro di fotografia del film, dando la sua impronta poetica e allo stesso tempo trasferendo saperi a coloro che hanno scelto di prendere la telecamera nelle loro mani (le anziane contadine ma anche i loro nipoti, giovanissimi, ex-maestri di scuola, piccoli imprenditori). Ha realizzato il montaggio, lavoro faticosissimo perchè continuamente teso ad un ideale di incontro e scambio tra le diverse istanze che hanno partecipato, dunque sempre riadattabile, malleabile, trasformabile. La sua competenza ha permesso di tenere il filo e il ritmo. Ha realizzato la confezione grafica, il logo bellissimo del progetto, un elefante con un proiettore sulla schiena, le tavole informative e le mappe animate che conducono lo spettatore da un posto all'altro. Più ruoli intensi e fondamentali in uno, in un tempo niente affatto sufficiente alle aspettative che la troupe si era posta. Dunque mesi di lavoro estenuante, senza tregua che ha provato nel corpo e nell'animo tutto i membri della troupe anche per la difficoltà dei temi trattati: il lutto, la perdita delle persone più care, l'assenza di giustizia per troppi anni, i passi necessari per guardare avanti.
Jens amava definirsi 'colui che tiene i fili dietro le quinte', il marionettista invisibile, dato che non amava mostrarsi in pubblico e apparire in interviste e foto. Ha fatto in tempo a portare a compimento questo lavoro. Moltissimi erano i piani di progetti futuri, a partire proprio dalla Cambogia, dove nei diversi mesi di ripresa Jens e Ella avevano raccolto materiale e spunti per almeno altri due documentari, e avevano deciso di tornare in autunno per continuare a seguire alcune delle storie più interessanti intorno ai lavori del Tribunale ai Khmer Rossi.
Neanche 10 giorni dopo la prima a Phnom Penh con oltre 400 persone di pubblico, Jens Joester ha trovato la morte su di una strada-ponte non transennata. Si trovava presso la cittadina di Kampot, nel sud della Cambogia, famosa per le magnifiche montagne con le grotte dove usavano nascondersi i Khmer Rossi dopo la caduta del regime, un vecchio casinò adibito a macabra prigione, ma anche i meravigliosi boschi, la giungla. Vi si trovava per un breve weekend di pausa prima di portare a termine gli ultimi lavori di rifinitura del prodotto, insieme ad Ella e ad Anouk, la figlia di tre anni, mascotte inseparabile della coppia. Una settimana dopo avrebbero lasciato la Cambogia per una meritata vacanza al mare prima di tornare in Europa. Era già buio, con se Jens aveva solo l'inseparabile macchinetta fotografica. Non sappiamo se è stato l'arrivo improvviso di un'auto a farlo barcollare, un malore (aveva sofferto per mesi sotto i colpi di malattie diffuse ai tropici) o altro. Dai primi esami (non è stato ancora rivelato l'esito dell'autopsia) sembra essere scivolato ed aver battuto violentemente alla nuca - morto sul colpo. Sarebbe l'unica consolazione di una vicenda altamente tragica, una vita spezzata giovanissima, una vitalità e un'energia non comuni, un talento che prometteva grandi cose - alcune aveva cominciato a realizzarne, tante altre si trovano in fieri tra le sue carte, negli hard disk dei suoi computer, bozze di mondi, gomitoli di colore, forma, parole sgocciolanti idee. Il suo corpo esanime è stato ritrovato la mattina dopo, trasportato in giornata a Phnom Penh e due settimane dopo a Berlino.
A quasi un mese dalla morte, si è tenuto il funerale, semplicissimo e affranto, ma non senza la leggerezza e la poesia che gli erano appartenuti. Una giornata di sole e vento travolgente a Berlino, alla fine della cerimonia sono stati levati al cielo tanti palloncini colorati. Ma il vento, anziché permettergli di volare lenti e solenni, li ha dispersi a zig zag tra le cime degli alberi regalando ai presenti un attimo di scompiglio e sorriso, le idee degli uomini e le forze sempre inattese della natura. Le ceneri di Jens Joester ora sono sepolte sotto un albero di gelso a Berlino.

Roma Cinema Festival Premio Libero Bizzarri Fondazione Libero Bizzarri




Tropea. Cortile del Seminario. Il tavolo dei relatori.
Caterina Sorbilli, Mario Lorenzo, Guglielmo Lento, Lino Daniele, Lucio Ruffa


Presentato a Tropea nel Cortile del Seminario
"Onorevole... per caso" di Guglielmo Lento

(S. Libertino) Il 10 settembre 2009 nel Cortile del Seminario di Tropea, è stato presentato il libro di Guglielmo Lento “Onorevole… per caso”. L’evento è stato organizzato dall’Associazione politico-culturale “Tropea per Amore”, presente il direttore Lucio Ruffa, dall’Associazione Letteraria “Accademia degli Affaticati”, presenti il vice direttore Lino Daniele e la segretaria Caterina Sorbilli, dall’Associazione Turistica “ Pro Loco di Tropea”, presente il direttore Mario Lorenzo. Durante la manifestazione i rispettivi rappresentanti hanno preso la parola. Caterina Sorbilli ha omaggiato il folto uditorio leggendo le prime pagine che introducono l’opera.
“Onorevole… per caso” non è una storia e tanto meno un romanzo. Sicuramente è un elegante zibaldone, infarcito di storie belle e tristi, ricordi, impressioni vissuti e rivissuti dall’autore, il quale è stato primario ospedaliero e direttore sanitario nonché parlamentare di sinistra, ora in pensione.
L’indole dell’opera quindi è la stessa dell’altra scritta molti anni prima, “Storie di ordinaria emarginazione”, alla quale si affianca, si sovrappone e ne costituisce seguito ideale.
Certamente, durante la narrazione Guglielmo offre volutamente la corsia preferenziale al lato politico delle vicende, aspetto questo che spesso prende nella descrizione degli spaccati (infanzia, famiglia, affetti, professione medica…) il sopravvento. E la prova di ciò si evince, oltre che durante la lettura, a cominciare dal titolo e dal periodo sotto il quale ricade l’ultimo atto della stesura originaria del manoscritto, la primavera del 1994, quando cioè l’autore è già da due anni deputato per l’XI legislatura, eletto in Sicilia alla Camera assieme a 36 rappresentanti della sua compagine, Rifondazione Comunista.
Svelato nella prefazione il motivo del titolo che risale lontano nel tempo quando i rappresentanti del parlamento venivano scelti ed eletti democraticamente e direttamente dal popolo sovrano, l’autore, in tale veste, parte per il lungo viaggio e racconta gli amori, gli affetti, la famiglia, gli amici, gli anni di scuola, ma anche la passione di fare politica e quella di fare il medico. Attraverso le varie locations, in giro per il mondo: Tropea, Gela, Roma, l’Europa, la Colombia. Tra percorsi impossibili e possibili, tra venature di malinconia e gioia, di conferme e stupore, tra il serioso e il faceto, tra passato e presente, tra sacro e profano.
L’ironia, come anche l’autoironia e il mettersi in gioco, la fa da padrona, in ogni pagina e in ogni situazione. Troviamo invece in tono minore la dissacrazione imperante di “Storie di ordinaria emarginazione”. E la lettura corre veloce e leggera sotto gli occhi rapiti di chi legge che si sente prendere per mano e condotto in un mondo favoloso e affascinante che pagina dopo pagina si scopre essere quello vero che noi viviamo o abbiamo vissuto giornalmente accanto alle stesse persone citate nel testo. Ed è questa la scoperta sorprendente e straordinaria che affascina. Il meccanismo letterario poi dell’autore, quello di sublimare personaggi e località, fa sì che gli avvenimenti descritti facciano parte e appartengano al mondo di tutti, in un periodo del passato e presente che appartiene a noi stessi.
Tropea, la Medicina, la Politica quindi sono stati e sono, nonostante abbiano subito col tempo contaminazioni e involuzioni, i tre amori di Guglielmo, che si intrecciano, si interfacciano e si rincorrono nella mente e nel ricordo incantato dell'autore bambino, adulto, medico, parlamentare.
Ho voluto estrapolare dall’evento del 10 settembre l’intervento in video di Guglielmo Lento così si potranno apprezzare dalla sua viva voce emozionata le sensazioni di questa sua seconda esperienza letteraria e con il consenso dell’autore ho scelto di far conoscere il capitolo esilarante (mi piace molto) “La monaca di casa”.
Ho acquistato il libro in quell’occasione, in veste editoriale essenziale “economica” di ‘ilmiolibro.it’.

Continua...(video) Per acquistare il libro Il Facebook di Guglielmo Lento

Il covo dove trovare Guglielmo




"Collettanee" in morte di Serafino Aquilano

(S. L.) A oltre cinque secoli di distanza dalla princeps del 1504, questa è la prima edizione moderna delle Collectanee grece, latine e vulgari [...] nella morte de l'ardente Seraphino Aquilano (BNCF 12.2.2.54), ovvero la prima antologia funebre a stampa della nostra letteratura, dedicata alla memoria del celebre poeta-musico abruzzese, scomparso all'età di 35 anni, dopo aver frequentato le maggiori corti italiane come quella urbinate dei Montefeltro dominata da Elisabetta Gonzaga.
L'opera, curata dal bolognese Giovanni Filoteo Achillini per i tipi di Caligola Bazalieri, è di grande rilievo, composta dal paratesto e da oltre 300 componimenti in prosa e in poesia, disposti in due sezioni, la prima latina e la seconda volgare, benchè talvolta i numerosissimi autori, provenienti da ogni angolo della Penisola e non solo, abbiano utilizzato pure il greco e il castigliano.
Accanto a testi pregevoli sul piano stilistico e linguistico, caratterizzati ora dal petrarchismo dominante, ora da componenti classicistiche, se ne trovano di meno eleganti ma non per questo privi d'interesse. Ad ogni modo nella silloge compaiono i nomi di buona parte di poeti più alla moda dell'epoca, anche se non tutti gli autori presenti godettero di celebrità, nè l'avrebbero raggiunta in seguito. Molti di essi, almeno in veste di poeti o letterati, sono rimasti nell'ombra perchè appartenevano ad altri settori della società. Erano infatti artisti, ecclesiastici, uomini d'arme e l'ars poetica era per loro solo un nobile esercizio.
L'edizione è corredata da Tavole, che riproducono personaggi di questa impresa editoriale, da ampi apparati, tanto più che accanto alla trascrizione del testo (108 cc.), realizzata secondo i principi di tipo conservativo, notevole spazio è stato dedicato all'identificazione degli autori, ben 174 se si considerano anche i componimenti anonimi, oltreché alla ricostruzione del contesto storico-culturale e agli indici degli incipit e dei nomi.
Gli elementi raccolti in queste pagine consentono quindi di valorizzare la raccolta, caratterizzata sul piano contenutistico da un unanime coro di lodi nei confronti del poeta celebrato, e di arricchire il mosaico della letteratura cortigiana, sì da comprendere compiutamente il rilievo culturale della figura di Serafino.

Alessio Bologna è Dottore di ricerca in Studi italianistici e si occupa ora prevalentemente di letteratura umanistico-rinascimentale. Ha collaborato e collabora sia con Dipartimenti universitari, sia a riviste di letteratura italiana tra le quali "Italianistica", "Il Nome nel testo" e "Critica letteraria".
Oltre a numerosi saggi e note, ha pubblicato Studi di letteratura "popolare" e onomastica tra Quattro e Cinquecento, Pisa, ETS, 2007 e La pace nel Petrarca civile e altre ricerche di letteratura italiana, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008.

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Tropea, Cortile di Palazzo Sant'Anna, 2 agosto 2009
L'Autore Franco Aquilino, Pasqualino Pandullo, Vittoria Saccà, Michele De Luca


Presentazione del libro di Franco Aquilino "'Nu Paisi"

(S. Libertino) Il 2 agosto 2009 a Tropea c’è stato un evento culturale di grande portata, non solo cittadina. E’ stato presentato il libro di Franco Aquilino “‘Nu Paisi”, edito a Zambrone l’anno prima da Grillo. Il sottotitolo "Poesie calabresi nel dialetto di Tropea" con glossario e appendice di alcune versioni nel dialetto lombardo e nelle lingue europee più diffuse; 15 tavole a colori f. t. e numerose immagini e foto anche d'epoca nel testo.
Un’opera che, appena uscita, nella scorsa estate, in libreria, ha suscitato un vasto consenso di pubblico e non solo tra la gente tropeana. Veniva addirittura acquistato come prodotto da regalare agli amici accanto alle classiche ‘reste’ di cipolla, alle ‘orbe’ di ‘nduja, alle bottiglie di liquore ai fichi d'india, eletto tout cour a prodotto appartenente alla terra tropeana, come in effetti - ed è innegabile - lo è.
Non ci sarebbe stato bisogno quindi di presentarlo un anno dopo quando l'edizione era già in esaurimento e il suo Autore in quel di Paullo era appagato e felicissimo di questo. Di contro, non poteva passare inosservata la sorprendente trovata di Franco Aquilino di aver voluto racimolare in un unicum tutti gli innumerevoli componimenti che aveva dato alle stampe durante la lunghissima carriera di vernacolista, vuoi diffusi in riviste e giornali vuoi fatti conoscere attraverso siti web o declamazioni private e anche pubbliche, accompagnati agli inediti manoscritti su fogli sparsi conservati nei cassetti o appoggiati sugli scaffali delle librerie di casa. E stata veramente un’impresa riuscire a ricomporre la ‘summa’ della sua opera poetica dialettale e alla fine pubblicarla, coronando il sogno di una vita letteraria assai luminosa, nonchè le aspettative degli amici e di chi lo ha conosciuto nella veste del poeta incontrastato di Tropea.
Sono stato uno dei primi ad aver pubblicato sul mio sito le poesie di Franco precedendole da una decina di righe che poi sono venuto a sapere da lui essere state scelte a introdurre la sua voluminosa opera. Ricordo che nello stesso giorno ero andato a rileggere sul web quelle pagine scritte una decina di anni prima per cercare di capire i motivi di quella scelta.
E ben per lui che della presentazione ufficiale si sia occupato Pasqualino Pandullo con la sua Accademia degli Affaticati e con i potenti mezzi e strumentazioni tecnologici di ultima generazione, il quale ha scelto quale teatro dell’evento lo spazio del cortile di Palazzo Sant’Anna, sede del Municipio. Un rettangolo relativamente ristretto, dove i bambini delle elementari anticamente facevano ricreazione, ma della ristrettezza ce ne siamo resi conto lungo il percorso della ‘trasmissione’ osservando la continua e considerevole affluenza di pubblico che andava a riempire sempre di più le rampe di scale, le uniche possibili, esterne che affacciavano su tale area. E non a caso ho voluto prendere in prestito dalla televisione l’aggettivazione ‘trasmissione’ proprio perché nelle sapienti mani di Pasqualino l’evento è stato addomesticato e ricondotto piacevolmente dentro i canoni confidenziali di quelle trasmissioni televisive della RAI che entrano con discrezione dentro casa degli italiani per passare e far passare una serata in famiglia. Mi pare che sia proprio questo il mestiere di Pasqualino, di creare un vivo interesse sullo spettatore al quale cerca di riservare uno spazio relazionale in un genuino contesto di un'atmosfera confidenziale - voglio dire un'atmosfera mai snob -, sicuramente creativa.
Il mattatore della serata – ed è inutile rimarcarlo – è stato l’Autore con le sue dichiarazioni, le sue battute, i suoi versi, i suoi commenti, i suoi ricordi. Tra l'altro è stato spigliato protagonista di uno sketch esilarante in dialetto con Enzo Taccone, il cui contenuto rispecchia il comportamento tipico tropeano quando si incontra un amico che viene in visita per qualche tempo alla città natale: "Quandu venisti? E quandu ti 'ndi vai?". E' inutile dire che il festeggiato della serata era proprio lui. E lui l'ha proprio capito. Alla fine è apparso molto contento e soddisfatto della calorosa accoglienza che Tropea e i tropeani gli hanno tributato, anche se a tale proposito la filosofia di Aquilino nella sua vita di "esule" è stata piena di dubbi e diffidenze. Lo aveva anche scritto da qualche parte dentro le pagine del suo libro che "...Tropea, patria dell'autore, a volte piuttosto sonnacchiosa e distratta anche nei confronti dei figli più amorevoli.". In effetti, su Tropea tra le frasi che suole proferire ve n'è una "Tropea è bella se non fosse abitata…!", anche se lo sappiamo che non è vero, caro Franco, altrimenti non avresti scritto il libro. Questa volta invece i tropeani gli hanno dimostrato affetto e vicinanza in occasione della venuta al mondo della sua sospirata creatura letteraria, ripagandolo in pieno di tutte le fatiche poetiche e della loro veste editoriale.

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Una parte della massa rocciosa staccatasi dalla rupe sulla scala dei carabinieri

La scala dei carabinieri tra pietre, capperi, canne, ficare e un bastardino innamorato

(S. Libertino) Durante la notte sul 20 settembre, a seguito delle copiose precipitazioni dei giorni antecedenti, nei gradini in discesa della penultima rampa della ‘scala dei carabinieri’ si è verificato l’impatto di un masso di considerevole grandezza che staccandosi dalla rupe all’altezza della parete della stessa rampa, è rotolato fino ad arrivare all’inizio della rampa sottostante, spezzandosi lungo il percorso in più parti, senza creare alcun danno a persone. La mattina dopo, la Polizia Municipale ha provveduto a transennare la scala.
Non è la prima volta che accadono sulla ‘scala dei carabinieri’ episodi franosi del genere, come quello del 10 agosto 2007, quando il distacco massi dalla rupe aveva interessato anche la parete rocciosa all’altezza del Palazzo Gabrielli/Casa di Don Mottola, investendo per grande tratto l’asfalto della strada sottostante del lungomare.
Si tratta di un malessere endemico che da decenni affligge l’intera cinta della rocca su cui sorge la città che, ad ogni episodio, solleva molte domande a cui non viene data alcuna risposta certa e molte problematiche mai risolte per quanto attiene la stabilità e la sicurezza dei palazzi che affacciano sulla rupe.
In effetti, dagli anni cinquanta ad oggi i ripetuti interventi di bonifica all’acrocoro arenario, compreso lo scoglio dell’Isola, per rendere più sicure e più solide le abitazioni non hanno dato gli esiti sperati e promessi. Essi si sono dimostrati solo palliativi e basta.
Siamo voluti andare sul posto per capire la dinamica di tale distacco e ci siamo resi conto che la causa di quello che è successo non è da imputare solo alla pioggia.
Oggi 23 settembre, i reperti della vicenda sono visibili sul posto, compresi i massi che giacciono dal giorno della caduta sui gradini segnati ancora dall’impatto e dal rotolamento. Ed è facile individuare nelle immediate vicinanze la parte della rupe che li ospitava qualche giorno prima. Intorno a loro vi è un arbusto di capperi il cui tronco è reciso di fresco. Sulla parete rocciosa nel punto in cui si è creato l’incavo lasciato dal masso che ora è a terra, si nota la stessa pianta con il tronco, anche questo, reciso. Ciò significa che il masso era stato col tempo sezionato e scalzato dal resto della roccia ad opera della pianta. La forza della pioggia poi ha fatto il resto, facendolo cadere e rovinare sulla scala.
La pioggia quindi è sicuramente una concausa che si associa a quella dell’azione dirompente provocata dalla lenta crescita delle piante che attecchiscono dovunque nella rupe ed in particolare sulle pareti della ‘scala del carabinieri’.
Anche molti gradini di travertino si stanno allontanando di gran misura dal livello del muro della scala spinti dalla forza d’urto dei tronchi, ben visibili, che hanno perforato e superato lo spessore del muro.
Ciò potrà essere constatato nel contenuto del filmato girato il 21 settembre, che fa vedere non solo le centinaia di piante di capperi che crescono da secoli sulle pareti della rupe ma anche altre varietà di piantagioni le cui radici sono molto più pericolose, come quelle di veri e proprie colture di canneti e alberi di fico che imperano sulla parete in tutti gli ordini di posti, dal palazzo Collareto alla Chiesa di S. Demetrio, dall’affaccio al palazzo Giffone (lato mare). Tali colture, che costituiscono veri e propri depositi di spazzatura (vedere il filmato), in molti punti ostruiscono in toto la visuale di uno dei più belli scorci di Tropea sul Porto, pubblicizzata sia nelle guide che nelle stesse insegne lungo i percorsi turistici cittadini.
Per diversi ordini di motivi, non ultimi quelli relativi alla sicurezza, sarebbe quindi auspicabile in particolare lungo l'affaccio e la 'scala dei carabinieri' una bonifica radicale della rupe di ogni tipo di piantagione, e nel contempo una oculata azione di controllo delle parti della roccia che sono in sul punto di staccarsi (come appare evidente sulla stessa parete da cui si è staccato il masso). Con l’occasione, si segnala l’eterna catastrofica situazione del letto del Lumia coperto completamente dal canneto e da altri arbusti in un periodo dell’anno molto pericoloso per gli inevitabili prossimi ingrossamenti delle fiumare.
All'inizio del filmato si vede salire tra i gradini occupati dai massi un piccolo bastardino che ogni mattina raggiunge il centro storico di Tropea proprio attraverso la ‘scala dei carabinieri’ per incontrarsi con la sua cagnetta ‘Mirka’ che abita vicino alla cattedrale. Visto e considerato dagli attuali dibattiti sulle pagine dei giornali, che ai tropeani non importa nulla della ‘scala dei carabinieri’, saremmo lieti che il presente appello venga accolto solo per quel bastardino innamorato, altrimenti finirà schiacciato alla prossima caduta massi….

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L'Inno ai Santissimi Medici Cosma e Damiano

(S. Libertino) Siamo in piena Santa Novena che precede i festeggiamenti dei protettori di Brattirò, i Santissimi Cosma e Damiano. Le guide turistiche locali dicono che a Brattirò, ridente villaggio collinare, che confina con i Comuni di Tropea e Ricadi, il 26 e 27 settembre si onorano ogni anno IMMANCABILMENTE nella Chiesa Parrocchiale i Santissimi e Gloriosi Cosma e Damiano, caduti per mano di Diocleziano nell'era del Martiri, per non aver voluto rinnegare la fede critiana. Non erano prelati ma semplici medici espertissimi nel loro mestiere che ricevettero dal divino Maestro il potere di guarire coi rimedi della medicina gli ammalati incurabili.
Essi cercarono quindi di imitarlo nella sua missione alleviando le sofferenze dei poveri ammalati.
Durante la novena in onore ai Santi la gente brattiroese, che accorre a raccolta nella loro Chiesa da ogni parte del mondo per onorare le reliquie autentiche dei Santi, intona un inno che tocca i più alti livelli di commozione durante la fase finale della processione quando i Santi vengono restituiti al loro altare.
Abbiamo voluto far conoscere il testo integrale dell'inno trascrivendone in queste pagine la lirica appassionata e offrendo la possibilità di assistere in audio e video alla registrazione del 2001.

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La Festa dei Santi Medici




Il suggestivo scatto del Corso di Tropea in un'incantevole serata d'estate uscita nel Figaro Magazine
dello scorso 26 settembre. La pregevole attività promozionale è stata propiziata dal Presidente della Pro Loco Mario Lorenzo che ha fatto gli onori di casa ai corrispondenti dell'autorevole Magazine francese.
Crédits photo: Giovanni Simeone/Le Figaro Magazine


De la Calabre, on pense souvent qu'il ne lui reste que la légende noire du Mezzogiorno.
Rien n'est plus faux. La pointe de la botte sait aussi offrir le visage réjoui de l'Italie heureuse.
REPORTAGE EN IMAGES

(Leif Blanc x Le Figaro Magazine) Gagner la baie de Sant'Eufemia par les routes de la corniche est un régal de pinèdes, de falaises, de petites criques blanches et de mer d'un bleu profond sur laquelle se découpe par beau temps la silhouette pyramidale du Stromboli. Tropea est « la » ville de la côte. Il en était ainsi bien avant notre ère balnéaire : dès le XVIe siècle, la noblesse, exonérée d'impôts dans la ville, y a bâti de délicieux petits palais autour de la cathédrale normande. En surplomb, la vieille ville lorgne les plages, que domine une église baroque escortée de cyprès. Les rues sont abandonnées aux touristes trop nordiques, d'une teinte proche de celle des chapelets d'oignons rouges pendus aux devantures. Au coucher du soleil, elles ne sont plus qu'italiennes et riantes....

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Umberto Giancani. Autoritratto. Olio su tela. 1986

Umberto Giancani, scomparso nel 1992, ci consegna dopo trent'anni un documento di rilevante importanza. Un filmato che fa vedere gli scavi della necropoli scoperta nel 1980 davanti alla Cattedrale.

(S. Libertino) Anni fa era mio intento ricordare la figura di Umberto Giancani (1946 - 1992), un ragazzo come noi cresciuti negli anni Sessanta, un amico che ci regalava ogni giorno un sorriso disarmante, innamorato di Tropea e della musica beat. Oltre al pallino del culturista e del filmmaker che lo faceva assomigliare di più a Jack Palance, aveva il dono di trasportare nella tela i colori del mare smeraldo del suo paese, dei tramonti rosso fuoco con lo sfondo di Stromboli o con il primo piano dell'Isola, degli occhi celestiali della Madonna di Romania, della variopinta contestazione del cantante preferito, Adriano Celentano. Mi ero rivolto al fratello Totò per avere un suo filmato che non tardò a venire e che ci aiuterà a conoscere meglio il carattere gioviale, estroverso di Umberto, del suo struggente amore per la città natale, per la propria famiglia e per quella di sua madre unitamente ai suoi fratelli che lo hanno sempre identificato, nelle piccole situazioni come nei momenti decisivi, cerniera importante e loro irrinunciabile punto di riferimento.
Il filmato, da lui stesso girato e in parte diretto e arricchito in post produzione di un commento sonoro spigliato e molto divertente, oltre a farci vedere Umberto in seno alla propria famiglia e a quella dei numerosi fratelli - lui stesso era undicesimo - ha anche un risvolto culturale rilevante, poiché buona parte delle riprese sono delle vere e proprie tracce documentali uniche. Infatti a Tropea correva l’anno 1980, quando Largo Duomo venne messo sotto sopra per la ripavimentazione a cura del Comune. Durante i lavori emersero strutture medievali e post-medievali e gli immediati scavi raggiunsero livelli di età greca e del bronzo. In particolare, nel settore meridionale del piazzale, tra la porta principale della Cattedrale e il porticato angioino, furono rinvenute appena sotto il manto stradale numerose sepolture tardo antiche da collegare al processo insediativo della città avvenuto in occasione dell’istituzione della già conosciuta massa trapeiana. Il filmato fa vedere la necropoli ormai a cielo aperto e molto probabilmente si tratta delle prime immagini in movimento di quell’avvenimento che molto interesse suscitò in ambito archeologico dentro e fuori il territorio calabrese.

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Mons. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento

'Chiedo anche al Signore che non arrivi mai il momento
di dovermi rifiutare di celebrare funerali “previsti” o “preannunciati” '

(lamicodelpopolo.net) Dopo l’evento franoso verificatosi nel messinese, con il carico drammatico di distruzione e morte, mons. Montenegro, dopo aver chiesto la preghiera per le vittime e per la gente colpita da questa immane tragedia, ha preso carta e penna e ha scritto al sottosegretario alla Protezione Civile, Guido Bertolaso, al Prefetto, Umberto Postiglione, all’Assessore Regionale ai Lavori Pubblici, Antonino Beninati, al Sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, all’Assessore alla Protezione Civile del Comune di Agrigento, Renato Buscaglia, alla Soprintendente di Agrigento, Gabriella Costantino, al direttore della Protezione Civile di Agrigento, Maurizio Cimino, all’Ingegnere Capo del Genio Civile, Rino La Mendola. A differenza della precendente lettera., questa volta mons. Montenegro ha deciso di indirizzarla, per conoscenza, ai cittadini di Agrigento. Di seguito il testo integrale della lettera.

""Gent.me autorità,
so di approfittare della Vostra pazienza e del Vostro tempo, ma non posso tacere.
Quanto è successo a Messina e in Abruzzo rende sempre più urgente che si ponga la debita attenzione al problema del centro storico di Agrigento e della ormai famosa “via d’uscita”.
Busso una seconda volta, dopo il terremoto abruzzese, alle porte di Voi, gentili Autorità, per richiamare la Vostra attenzione sul grave problema, pur sapendo che da parte Vostra questa non manca, però il tempo passa veloce e non si riesce ad arrivare a nessuna conclusione. Improvvisamente e con frequenza, sconcertati, vediamo scomparire paesi interi a causa della forza della natura e degli avversi elementi atmosferici. Fa male e fa rabbia sentire, puntualmente dopo ogni disastro, che sono sciagure preannunciate e attese. Mi passano per la mente le immagini di due anni fa quando già una frana colpì il paese di Giampilieri, in provincia di Messina. Allora, la gravità e l’urgenza di interventi era condivisa da tutti. Le promesse delle istituzioni davano l’impressione che tutto, in quei territori, in poco tempo sarebbe stato sistemato. Invece, dopo due anni e nonostante alcuni segni premonitori, si piangono decine di morti! E ora si ha l’imprudenza, da parte di chi ha responsabilità di governo, di affermare che questo non è il momento delle polemiche. La vita è sacra! Ogni cittadino ha diritto alla sicurezza. Le istituzioni hanno il dovere di assicurarla. Mi chiedo: quanto tempo dovrà ancora passare, qui da noi, prima di arrivare a soluzioni condivise? Sono anni che ad Agrigento si parla di questo problema e alla richiesta di fare qualcosa di risolutivo, si risponde, da chi ha possibilità di decisione, che si sta studiando la soluzione migliore. Ma perché ci vogliono i morti per trovare subito le giuste risposte? Anche per Giampilieri e gli altri paesi vicini alluvionati, le autorità di allora promisero risposte e adesso, loro o altri, dopo il disastro e le morti, riescono a mettersi attorno ad un tavolo, a reperire fondi e a predisporre progetti di salvaguardia dell’ambiente. Ma le morti hanno un prezzo? Se ci si fosse messi attorno al tavolo dopo la prima frana si sarebbero risparmiate vite e lacrime. Su chi cade la responsabilità di questi morti, di questi disastri e di queste famiglie offese e distrutte dall’indolenza, dalla mancanza di interventi e dal cattivo uso di fondi? Dubito – anche se è facile e comodo – dare la colpa a Dio o alla natura che si riprende quanto gli uomini le hanno tolto sconsideratamente.
Vorrei tanto e prego che ad Agrigento non accadano mai eventi che facciano alzare il coro dei: “c’era da aspettarselo!” E nessuno, soprattutto chi è a servizio della comunità, avrà nel caso il diritto di dire: “lo sapevo e lo avevo detto”.
Chiedo anche al Signore che non arrivi mai il momento di dovermi rifiutare di celebrare funerali “previsti” o “preannunciati”, (ad Agrigento ci sono stati terremoti, frane …) perché quel giorno, se mai dovesse arrivare, il mio posto – da agrigentino - sarà tra la mia, anzi scusate, tra la nostra gente a pregare, ma non me la sentirò di parlare, come sarebbe successo se fossi stato a Messina.
Cordialmente""




In via dei Cavalieri

La passeggiata del bastardino innamorato

(S. Libertino) Hanno scritto in molti per informarsi sulla salute del bastardino innamorato di Mirka che ogni giorno partendosi dalla Marina del Vescovado raggiunge il centro storico di Tropea attraverso la scala dei Carabinieri il cui percorso in questo periodo è a rischio per il recente distacco di enormi massi dalle pareti della rupe, nella quale è scavato il tracciato.
La notizia più recente è del 2 ottobre scorso. Sono riuscito a registrarlo proprio mentre saliva con molto affanno l’ultima rampa della lunga scala di cui intanto la Protezione Civile ha fatto bene a intensificare lo sbarramento per interdire il transito alle persone.
Lui ha individuato un minuscolo varco nel groviglio della transenna e così riesce a passare strisciando per terra con molta autorevolezza sfoggiando un magistrale “passo del gattino” degno di un paracadutista della Folgore.
Ho voluto seguire la sua prima passeggiata giornaliera delle 0900. Ero curioso di conoscere percorso e comportamento. Lo seguo e ogni tanto si ferma a guardarmi. Pare che dica 'Che cavolo vuoi?' Fa a passo veloce largo Galluppi annusando dappertutto e innaffiando qualche alberello. Quando la fa, di solito, si alza con tutto il corpo sulle zampe superiori come un vero giocoliere da circo. Incontra un gatto nero che gli fa gli onori sull'attenti e poi decide di andare verso il duomo per via dei Cavalieri scartando la scelta di via Boiano sulla quale staziona una coppia di turisti. Speditamente raggiunge piazza duomo ma non c'è la sua amata Mirka e si inoltra quindi nel vicolo che costeggia il portone di palazzo Tranfo. Passa davanti alla Fontana Barone verso 'la Volpe e l'Uva' guadagnandosi il Corso. Annusa qualche pianta che incontra, fermandosi un attimo nel recinto di Bar Filardi. Poi una visitina 'arretu o casteu' per via Glorizio, dove benedice Palazzo Scrugli e poi ritorna sul Corso. Attraversa le strisce pedonali e imbocca la trafficatissima via dei Forgiari, dove avviene a metà altezza un incontro ravvicinato con una cagna molto più grande di lui. Lei si avvicina e lo annusa insistentemente. Lui immobile scodinzola, approva e saluta. Poi decide di proseguire sotto la 'Cantina del Giudice'. Non lo vedo più ma risalgo in superficie davanti al tabacchino e lo riprendo dall'alto. Questa volta fa la cacca. Molta. E leggero zompetta tra i tavoli fino a risalire la rampa che lo riporta alla villetta del cannone. Anche qui attraversa le strisce pedonali, davanti al Corallone, e poi verso via Indipendenza. Si imbuca nella vinea che rasenta palazzo Campisi, seminandomi definitivamente. Piove. Non riappare più. Torno a casa.
Tranquilli, il bastardino innamorato per ora sta bene anzi benissimo....
Un appello al Dr. Cirillo per la salute del bastardino. Di mettere al più presto in sicurezza la scala dei Carabinieri e il flusso delle acque del Lumia e di lasciare un varco per il suo passaggio sulla scala. Il cane, che non sa nuotare, abita ai piedi della scala presso il ristorante che l'anno scorso nella prima decade di dicembre rischiò di allagarsi per il paventato tracimamento delle acque del Lumia. Allora il Comune ricorse alla pala meccanica per la pulizia del letto.
Grazie!

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Raf & Elena

Con il mare negli occhi

(F. Sepe) Benché con voce ancora robusta a parole si esprimeva poco in quel nostro ultimo incontro presso la sua amata Sperlonga, amata quasi quanto la mitica Calabria, dove ora riposano le sue ceneri. Ed era triste constatare come un conversatore di rango come lui avesse dovuto arrendersi alla malattia e agli anni - i quali però, per sua e altrui fortuna, avevano intaccato soltanto il fisico, un tempo appartenuto ad un atleta, lasciando al pensiero, in quelle sue osservazioni divenute sempre più rare, lo scatto perspicace e l'immancabile ironia.
Aveva il mare negli occhi, come taluni pescatori del sud il cui volto brunito dal sole fa rifulgere, per contrasto, dalle trasparenze azzurrine l'essenza inafferrabile della profondità. È questa l'immagine che in sua assenza, un'assenza senza possibilità di revoca, amo conservare di Raf. Un'immagine che, almeno nel ricordo, e nella mia percezione fortemente influenzata dai luoghi fisici - per lui e Giuseppe De Santis una maniera ciociara (o un ciociarismo di maniera), e un modo di essere di certa poetica neorealistica, per me un potente richiamo alle origini, che sono le medesime del regista - ricompone le due metà vittoriose del personaggio: il volto e l'aspetto da popolano (dal pastore di Non c'è pace tra gli ulivi allo scaricatore di porto di Uno sguardo dal ponte) eppure dietro, ben celato, l'intellettuale che prima della notorietà artistica aveva dato abbondantemente prova delle sue capacità professionali, curando ad esempio in maniera impeccabile e con forte spirito innovativo, tra il '46 e il '48, la pagina culturale dell'Unità. Attività a sua volta preceduta dal mestiere del calciatore, sorta di lavoro nei campi dove lo sport sostituisce l'aratro ma non la rudezza, e che l'agonismo spinge verso l'affermazione e il farsi idolo, propri del divismo, che non a caso arriverà con il cinema.
E certo è stato il cinema a magnificare le doti di questa superba personalità, già formatasi alla scuola di grandi ingegni quali Mario Fubini e Luigi Einaudi, all'antifascismo militante e all'attivismo partigiano, che per poco non gli costarono la pelle; è stato il cinema a fare di lui nel dopoguerra la prima star italiana internazionalmente riconosciuta; ma è stato anche quello stesso cinema ad adombrare ingiustamente, presso il grande pubblico, meriti e qualità che emergono, in maniera sbalorditiva, dalle memorie dell'uomo apparse in volume appena un anno fa.
Se infatti, tralasciando le impressioni con cui esordivo, rivado al nostro primo colloquio avvenuto una ventina circa d'anni fa, mi torna in mente un'affermazione con cui, lamentando il fatto di essere stato in epoca neorealistica "letteralmente fagocitato dal cinema", aveva preso le difese del teatro, sua "vera grande passione". E confesso che la cosa mi stupì non poco, benché proprio in quei giorni avessi letto sui giornali della "prima" al Piccolo di Milano, protagonista Raf Vallone, di Nostalgia di Franz Jung, per la regia di Klaus Michael Grüber. Ma come me, specialisti a parte, quanti sapevano delle sue grandi prove - delle quali, come per tanto teatro del passato, restano pochi filmati; quanti sapevano delle sue regie teatrali e operistiche, delle sue traduzioni di poesie nonché di drammi (da Shakespeare a Miller) da lui stesso interpretati, dei manoscritti ricevuti in dono da Sartre e Camus, e della pièce che quest'ultimo, se l'incidente non ne avesse troncato l'ancora giovane vita, stava per scrivere "su misura" per lui?
Per questo ed altro, oggi posso senz'altro dire che aver conosciuto e fatto amicizia con Raf Vallone, l'aver potuto avvicinare la sua immensa esperienza di uomo e artista, è stato per me un raro e irripetibile regalo. Ma soprattutto un insegnamento, nella testimonianza di uno dei grandi protagonisti del Novecento, appresa una volta tanto dalla vita stessa e non dai libri.

Raf Vallone





Roma. Museo dell'Emigrazione Italiana.
Franco Vallone e il prezioso Baule fineottocento
della sua raccolta "Le Stanze della Luna",
che veniva affittato agli emigranti
per il trasporto delle masserizie
durante i viaggi oltreoceano.


Si insedia al Vittoriano il Museo dell'Emigrazione,
tributo ai migranti italiani nel mondo.
In mostra la raccolta privata di Franco Vallone
"Le Stanze della Luna"

(S. Libertino) Ci sono voluti quasi tre anni per realizzare nei 400 mq della ex Gipsoteca dell’Altare della Patria il Museo dell’emigrazione italiana (Mei), che venerdì 23 ottobre ha aperto i battenti nel complesso del Vittoriano alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Presidente della Camera Gianfranco Fini, accompagnati dal Ministro per i beni culturali, Sandro Bondi e dal Sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica.
Da ora in poi, anche se a livello locale i numerosi musei sull’emigrazione continueranno a ricordare i migranti di una data area geografica, ci sarà un unico “contenitore” a raccontare nel suo insieme un’esperienza tanto complessa. “Abbiamo riletto il fenomeno della storia dell’emigrazione con un andamento cronologico - precisa il direttore del Mei Alessandro Nicosia, presentando il museo, promosso dal ministero degli Affari esteri con la collaborazione del ministero per i Beni e le Attività culturali -. Essendo un museo gratuito rivolto al grande pubblico del Vittoriano e agli studenti, abbiamo voluto semplificare la lettura. La data simbolica d’inizio è il 1861, anno dell’unificazione italiana, anche se l’emigrazione iniziò molto prima. Attraverso sei sezioni si arriva fino ai giorni nostri, con i casi di affermazione di oriundi italiani in sempre più campi e l’inversione dei rapporti, con l’Italia che dal 1976 diventa un Paese in cui i flussi in entrata iniziano a superare quelli in uscita. Ma l’aspetto più importante è quello dell’unità nella diversità, perché l’emigrazione fu un fenomeno caratterizzato da innumerevoli flussi locali”.
All’interno, nelle varie stanze lo strumento multimediale la fa da padrone. Mentre una particolare sezione della Mostra pone all’attenzione le migliaia di espatriati da ogni singola regione e la loro destinazione verso territori diversi. “Un modo per sfatare alcuni luoghi comuni - aggiunge Nicosia - perché il primato spetta al Veneto, seguito dal Friuli, mentre solo a partire dal secondo dopoguerra la Sicilia sale sul gradino più alto della classifica, anche per effetto delle partenze verso il Nord industrializzato”. Migrazione interna alla quale è dedicata una specifica sezione, con i filmati dell’istituto Luce e delle Teche Rai (molti inediti) che testimoniano. E poi le foto, inequivocabili e dimenticate, dei cartelli appesi ai palazzi e sulle porte dei locali: “Non si affitta ai meridionali”, “Vietato l’ingresso ai cani e ai meridionali”. Storie di quotidiana indegnità, al punto che a Milano molti emigrati iniziarono a dormire nei casini, ospitati dalle prostitute.
Nella parte finale del percorso espositivo si può consultare una biblioteca sull’argomento e disporre di una sala cinema dove viene proiettato un documentario dal titolo ''L'Emigrazione Italiana e il Cinema'' con interventi, tra gli altri, di Emanuele Crialese, Carlo Lizzani, Enrico Magrelli, Citto Maselli, Giuliano Montaldo, Gabriele Salvatores, Pasquale Scimeca, Pasquale Squitieri, Daniele Vicari, Nello Correale.
Ma il Museo contiene anche documenti d’archivio. Fra i pezzi pregiati, anche alcuni cimeli storici, dai quaderni di scuola recuperati dalla Società Dante Alighieri a due organetti originali utilizzati per le vie di Buenos Aires da migranti siciliani a inizio secolo fino al modellino della nave Roma, una delle prime a effettuare le traversate transoceaniche e a portare in America gli emigrati a livelli “industriali”. Materiale tanto vasto da rotare ogni sei mesi nei locali del Vittoriano. “Non volevamo allestire la solita mostra col passaporto o il biglietto per New York e visto che avevamo raccolto tanto materiale per gli ambienti che abbiamo a disposizione e in considerazione del tipo di pubblico che abbiamo pensato che era giusto sottolineare le tante peculiarità regionali e ‘accontentare’ tutti - chiosa il direttore -. Per questo non hanno senso le polemiche sulla necessità di realizzare questo museo a Napoli o Genova: scegliendo una sede ‘neutra’ e unitaria volevamo parlare dell’emigrazione italiana nel suo complesso, non di quella di Nord o del Centro-Sud”.
Numerosi e prestigiosi i Prestatori: oltre 40 tra i quali la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, Rai Teche, l'Istituto Centrale per i Beni sonori e audiovisivi, l'Archivio Centrale di Stato, l'Istituto Luce, la Fondazione Cresci, la Società Dante Alighieri, la Società Umanitaria di Milano, l'Archivio Storico della città di Torino e diversi collezionisti privati.
Ed in qualità di prestatore, non è voluto mancare Franco Vallone con una parte importante della sua raccolta privata “Le Stanze della Luna” di Vibo Valentia, che rappresenta dignitosamente la Calabria, una delle realtà geografiche italiane ad aver alimentato maggiormente a cavallo dell’Ottocento/Novecento il fenomeno dell’emigrazione in tutto il mondo, dalle Americhe in Australia e nei paesi europei. Invitato dagli organizzatori, Franco Vallone ha messo a disposizione momenti significativi e ricordi indelebili della diaspora calabrese che ora si possono toccare con mano, studiare e addirittura fotografare: cimeli, fotografie, bauli, documenti di identità, di viaggio, che contribuiscono a raccontare come si muoveva la “Tonnellata umana”, così la definisce Pasquino Crupi, alludendo al carico umano degli emigrati calabresi.
“Non è la prima volta – dice Franco Vallone, accompagnato per tutto il percorso della Mostra dal glottologo Prof. Michele De Luca - che la mia raccolta viaggia da un posto all’altro. In passato, ha collaborato più volte alla realizzazione di eventi e mostre prendendo parte in particolare a quella indimenticabile dell’emigrazione italiana in America “The World in my Hand”, svoltasi nel cuore ancora pulsante dei migranti verso gli USA, a Ellis Island di New York nel 1997.
Il baule di fine ottocento, esposto attualmente al Vittoriano – continua Vallone – ha una storia molto singolare. Gli emigranti lo prendevano in affitto per trasportare masserizie durante i loro viaggi. Dopo le traversate il baule ritornava regolarmente in Calabria pronto per essere affittato per un altro viaggio. La ‘Ditta’ che affittava il baule era di stanza a San Costantino Calabro. La parete esterna del prezioso ‘Baullu’, ormai a riposo, è pieno di targhe e biglietti di viaggio che si sono accumulati nel tempo durante decine e decine di traversate“.  

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